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USA, 1994
VII. Brasile: bellezza è efficienza

La cocente delusione patita per l’eliminazione dal Mondiale italiano ad opera dell’Argentina lascia sul corpo della nazionale brasiliana cicatrici non facilmente rimarginabili. Dopo quella sconfitta la selecao, ora guidata da Paulo Roberto Falcao, ottiene la sua prima vittoria soltanto nell’aprile del ’91, a scapito della Romania; in mezzo cinque pareggi e un pesante tre a zero rimediato dalla Spagna. A metà di quell’anno il Brasile disputa una buona Copa America conclusa al secondo posto, piazzamento più che onorevole ma ottenuto alle spalle dei soliti nemici biancocelesti. Il ’92 è un anno poco indicativo nel quale i brasiliani giocano soltanto amichevoli, con esiti altalenanti: vittorie su Germania e Francia, ma due sconfitte contro gli altri rivali continentali dell’Uruguay. Intanto qualcosa è cambiato: dal settembre 1991 siede sulla panchina verdeoro Carlos Alberto Parreira, con Zagallo nel ruolo di direttore tecnico.

Segnali incoraggianti giungono dalla nazionale giovanile, capace di conquistare il titolo mondiale under-20 del 1993 (e finalista, ma sconfitta, nell’edizione precedente e in quella successiva). Invece l’appuntamento con la Copa America di quell’anno si risolve in un nuovo fallimento: eliminazione ai quarti di finale per mano ancora una volta della nazionale argentina, nei cui confronti i brasiliani rischiano seriamente di instaurare un preoccupante complesso di inferiorità. Poi, tra luglio e settembre ’93, sono in programma gli incontri di qualificazione per il Mondiale americano, e non è una passeggiata. Il Brasile gioca le prime quattro partite fuori casa: pareggia in Ecuador, subisce un’inaspettata sconfitta maturata negli ultimi minuti per due a zero in Bolivia, vince in Venezuela e pareggia di nuovo, in Uruguay. L’accesso alla fase finale della Coppa è in bilico e molti in patria chiedono la testa di Parreira.

Ma il Brasile si riprende in maniera sorprendente. Fra le mura degli stadi casalinghi inanella quattro vittorie di fila – tra le quali la rivincita sulla Bolivia che, lontana dai tremila metri di La Paz, è travolta sei a zero – e segna quattordici reti senza subirne neanche una. L’affermazione decisiva è ottenuta il 19 settembre al Maracanà di Rio de Janeiro: due a zero all’Uruguay, a sua volta eliminato a vantaggio dei boliviani. In quell’occasione, a causa dell’infortunio di Muller, viene richiamato in nazionale Romario che realizza entrambi i gol brasiliani. Romario non vestiva la maglietta verdeoro da dieci mesi, precisamente da un amichevole con la Germania nella quale era entrato solo negli ultimi minuti, non aveva gradito e per tale ragione si era lamentato pubblicamente con i giornalisti, provocando l’inevitabile disappunto di Parreira. Il ct brasiliano aveva pertanto smesso di convocarlo ma, in vista della sfida chiave per raggiungere il Mondiale, torna saggiamente sui suoi passi.

Tra la fine del 1993 e il campionato del Mondo, il Brasile gioca diverse amichevoli: perde in Germania, batte Messico e Argentina, poi sconfigge le non eccelse nazionali di Islanda, Honduras e Salvador, e infine pareggia contro l’altrettanto non eccelsa nazionale canadese. È un Brasile in parte indecifrabile quello che arriva negli States.

Il 20 giugno 1994 la nazionale brasiliana esordisce nel Mondiale contro la Russia. L’incontro si svolge nell’area metropolitana di San Francisco, una zona decisamente meno calda e umida rispetto a gran parte delle altre sedi del torneo. I brasiliani giocheranno lì anche la seconda partita del girone e l’ottavo di finale, ed è un vantaggio da non sottovalutare in una competizione funestata da condizioni climatiche proibitive quale il Mondiale americano; qualcosa di analogo, ovvero giocare la prima fase nella fresca Galizia, era accaduto all’Italia nel 1982 in Spagna, con l’esito che sappiamo. Contro la Russia i brasiliani passano in vantaggio al minuto ventisette: angolo di Bebeto e Romario, da vero opportunista, anticipa il difensore russo (anche abilmente spostato) toccando d’esterno in rete. Poco dopo Bebeto sfiora l’incrocio dei pali su calcio di punizione. Nella ripresa Rai raddoppia su rigore, fischiato per fallo su Romario penetrato pericolosamente in area, e poi il portiere russo nega il tre a zero a Bebeto con una grande respinta d’istinto su tocco sotto porta dell’attaccante brasiliano. Sempre nel secondo tempo si infortuna il difensore Ricardo Rocha, il cui posto al centro della difesa brasiliana è preso da Aldair sino alla fine del torneo. Il Brasile chiude due a zero e in controllo abbastanza agevole.

Nella sfida che la vede opposta al Camerun, la nazionale brasiliana passa nuovamente in vantaggio nel primo tempo, e ancora con Romario: c’è un bel lancio di Dunga, ma è bravissimo Romario a resistere alla pressione del difensore avversario e toccare il pallone verso la porta, anticipando così di un attimo, quello necessario, l’uscita del portiere Bell. Nella seconda frazione di gioco, sull’uno a zero, l’arbitro non vede un possibile rigore a favore del Camerun per una fallo di Marcio Santos su Embe; poi al diciannovesimo il camerunense Song viene espulso e il Brasile dilaga con i gol di Marcio Santos (su cross di Jorginho) e Bebeto. Se c’erano dei dubbi, il Brasile li ha fugati con una notevole impressione di solidità: due vittorie, cinque gol all’attivo, zero al passivo, e lasciapassare per gli ottavi conquistato dopo soli centottanta minuti. La nazionale verdeoro può lottare da protagonista per la conquista del titolo.

Brasile – Svezia, entrambe già qualificate e anticipo del futuro prossimo, consegna alle cronache il primo gol incassato dal brasiliano Taffarel e la terza partita di fila in cui Romario scrive il proprio nome nel tabellino dei marcatori. Ma l’incontro che quel giorno passa alla storia calcistica è il contemporaneo e ininfluente Russia – Camerun, concluso sei a uno per gli europei. Di questi sei gol, cinque li segna Oleg Salenko, il quale stabilisce così un nuovo record di reti marcate in un unica partita nella fase finale della Coppa, e con sei reti in totale (tra l’altro le uniche segnate in tutta la sua carriera con la magia della nazionale) diventa inoltre capocannoniere del torneo in coabitazione con Stoichkov. Ma Salenko è già uomo da imprese particolari: miglior marcatore anche nei Mondiali giovanili nel 1989 (pertanto primo e sinora unico giocatore nella storia a vincere entrambe le classifiche), è uno dei pochi calciatori ad aver vestito le maglie nazionali di tre differenti paesi, ovvero l’URSS (per quanto solo a livello giovanile), l’Ucraina una sola volta e la Russia. Come se non bastasse, nello stesso incontro il grande Roger Milla porta a compimento altre due imprese: è il giocatore più anziano nella storia dei Mondiali a scendere in campo (primato poi superato) e a segnare un gol, e questo record rimane ancora imbattuto.

Milla e Salenko al termine dell’incontro – calcioweb.eu

Le vere difficoltà per il Brasile arrivano nella fase a eliminazione diretta. La nazionale statunitense, avversario negli ottavi di finale, nel complesso è parecchio distante dai brasiliani, ma gode del fattore campo ed è reduce di una prima fase al di là delle aspettative. È da questo incontro che nel centrocampo brasiliano si aggiunge un’ulteriore mediano, Mazinho, a scapito del regista Rai. Gli USA iniziano con forza e un tiro di Balboa manda il pallone a sfiorare il palo brasiliano. Ma col passare dei minuti cresce la selecao. C’è un schema da calcio d’angolo molto efficace: la palla giunge indietro a Dunga il quale, mentre i difensori avanzano, apre per Mazinho, e questi a sua volta per Marcio Santos; il centrale brasiliano è solo, ma il suo tocco è fuori. Bebeto poi si produce in uno spettacolare gesto tecnico in mezza rovesciata, con la palla che rimbalza a terra prima di uscire di poco.

A un minuto dall’intervallo, ecco verificarsi l’episodio che potrebbe cambiare le sorti del Mondiale brasiliano. Leonardo scaglia una terrificante gomitata sullo zigomo di Ramos, è espulso e chiude qui il suo torneo. Ramos passerà diverse settimane in ospedale per i danni ricevuti e Leonardo, molto scosso per quanto ha combinato, andrà a porgli visita. Anche con uomo in meno, nella ripresa il Brasile è in grado rendersi pericoloso – una conclusione di Romario finisce sul palo -, sicché Parreira attende fino a metà ripresa prima di modificare la squadra, inserendo Cafu. Quando manca un quarto d’ora al termine Romario, autore di una grande prestazione e autentico trascinatore della squadra, apre per Bebeto sulla sinistra che infila il portiere statunitense. Poi anche gli USA restano in dieci. Uno a zero e quarti di finale per le maglie verdeoro.

Brasile – Olanda, giocata al Cotton Bowl di Dallas alle due e mezza di sabato 9 luglio, è una delle partite più divertenti del campionato, vero passaggio chiave nel Mondiale brasiliano (come dall’altra parte, Italia – Nigeria), sebbene tecnicamente non impeccabile. Una nuova promettente generazione di calciatori olandesi si sta mettendo in luce: i gemelli Frank e Ronald de Boer, (rispettivamente centrocampista e difensore); Marc Overmars, ala destra, votato miglior giovane del torneo; Dennis Bergkamp, quell’anno vincitore della Coppa UEFA con l’Inter. Crescono a fianco dei senatori ex-campioni d’Europa ancora in forza alla nazionale, quali Koeman (cardine della difesa), Wouters, Rijkaard e Winter. Manca van Basten, i cui problemi fisici lo stanno trascinando al ritiro, e manca Gullit, ritiratosi dalla nazionale per dissidi con l’allenatore. Costui è Dick Advocaat, che organizza la squadra tramite un 3-4-3 o 3-5-2 non troppo offensivo (due uomini marcano a uomo in difesa). Advocaat conosce bene gli Stati Uniti: ci ha giocato sia nel 1967 a San Francisco – oh, durante la summer of love! – con il suo club Ado Den Haag sotto le mentite spoglie del San Francisco Golden Gate Gales, sia anni più avanti nei Chicago Sting (lega NASL). La ripresa del calcio olandese è stata già anticipata dalla Coppa UEFA vinta dall’Ajax nel ’92 contro un valido Torino, e nella stagione successiva al Mondiale la squadra di Amsterdam tornerà ai vertici del calcio europeo, dopo oltre vent’anni.

Gli orange disputano una prima fase del torneo sull’ottovolante, in un girone che a conti fatti risulta più difficile di quanto si pensasse a causa dell’exploit dei sauditi. L’Olanda esordisce proprio contro gli asiatici, chiude in svantaggio il primo tempo e poi ribalta la partita grazie a un bel tiro dalla distanza di Jonk e al gol di Taument, subentrato nella ripresa. Poi perde uno a zero contro il Belgio – segna Albert a metà del secondo tempo – in una sfida bella e stracolma di occasioni da rete, in cui il portiere olandese non sta certo con le mani in mano, ma nella quale l’estremo belga Preud’homme sfodera una prestazione gigantesca: cinque/sei interventi prodigiosi, fra i quali l’ultimo, a tempo scaduto, su conclusione deviata di Overmars che alza miracolosamente sulla traversa. Preud’homme sarà indicato come miglior portiere del torneo, e altresì come miglior portiere dell’anno in assoluto secondo la graduatoria IFFHS. L’Olanda supera il Marocco nel terzo decisivo incontro, di nuovo grazie alla rete di un giocatore entrato a gara in corso (Roy), e negli ottavi, contro l’arcigna Irlanda, risolve la partita nel primo tempo: segnano Bergkamp (grande discesa di Overmars sulla destra, il biondo attaccante è liberato davanti a portiere e deve solo appoggiare in rete) e Jonk (tiro da fuori area, ma erroraccio del portiere Bonner che era sulla palla).

Brasile in campo con: Taffarel; Jorginho, Aldair, Marcio Santos, Branco; Mazinho, Mauro Silva, Dunga, Zinho; Bebeto, Romario. Risponde l’Olanda: de Goey; Wouters, Koeman, Valckx; Winter, Rijkaard, Jonk, Witschge; Overmars, Bergkamp, van Vossen. Branco, che sostituirà lo squalificato Leonardo per il resto del Mondiale, è molto attivo e ci prova su punizione dalla distanza, alta. Sul versante olandese, Bergkamp guadagna falli con pericolose ripartenze. I brasiliani sono rudi ma attenti in difesa; c’è equilibrio e qualche errore di troppo, ma le occasioni da rete sono tutto sommato scarse. Al ventesimo la conclusione di Romario è facile preda del portiere avversario; cinque minuti dopo Bergkamp ha una chiara possibilità per segnare di testa, davanti alla porta, ma tocca alto; cinque minuti ancora e Mauro Silva calcia potente da fuori area, con la sfera che transita non troppo distante dall’incrocio. Al quarantesimo si assiste alla migliore occasione creata sin lì dal Brasile: cross di Zinho, bell’avvitamento e colpo di testa di Marcio Santos, palla che sfiora il palo.

I primi quarantacinque minuti sono stati piuttosto anonimi ed è quindi difficile immaginare quella che sarà una fantastica ripresa colma di emozioni, vera gioia per gli occhi degli appassionati. La partita è cresciuta di intensità già alla fine primo tempo, in particolare sul lato brasiliano – ma non solo -, e dunque il ritmo rimane sostenuto anche ad avvio ripresa. Al quarto minuto l’Olanda abbozza un contrattacco ma Rijkaard sbaglia il passaggio; i brasiliani ripartono, Marcio Santos pesca Bebeto sulla sinistra, traversone basso e al centro sbuca Romario, che al volo spara in rete. Uno a zero per i sudamericani, i quali iniziano a spingere sul serio: Jorginho per Bebeto, in area, tiro e palla che tocca la base del palo prima di rotolare a fondo campo; Romario scappa in area al suo marcatore Valckx, ma il portiere blocca in uscita. Diciassettesimo minuto: disastro dei difensori olandesi che si addormentano sulla trequarti, Bebeto sguscia in mezzo a loro e agguanta la sfera, corre verso la porta, scarta de Goey, segna; poi si produce nella celebre esultanza della culla per celebrare la nascita del figlio, già eseguita nella partita contro il Camerun in onore del bambino appena nato di Leonardo.

Due a zero per il Brasile, pare chiusa a mandata plurima. E invece no. Il tempo di battere l’avvio del gioco e Bergkamp, che sta sta reggendo da solo l’attacco olandese, entra in area sulla sinistra, vince un rimpallo con un Marcio Santos un po’ titubante e batte Taffarel. Advocaat toglie un Rijkaard non pervenuto per inserire R. de Boer; poco prima aveva cambiato attaccante, mandando in campo Roy per van Vossen. L’Olanda spinge sull’acceleratore: Winter impegna Taffarel dalla distanza; Bergkamp chiede un rigore per fallo di mano. A quindici dal termine c’è un angolo calciato da Overmars: Taffarel resta a metà strada, Winter salta e di testa insacca il clamoroso pareggio. È due a due!

L’ombra dei supplementari si avvicina sempre di più quando sale in cattedra chi non ti aspetti: Branco. Ci prova una prima volta su punizione e de Goey alza in angolo. Al minuto ottantuno guadagna un fallo (ma forse era stato lui stesso il primo a commettere un’infrazione ai danni di Overmars) con la sfera posta a trenta metri dalla porta: Branco sfodera una magnifica conclusione bassa, con effetto, che entra in rete a fil di palo per il definitivo tre a due. L’Olanda non ne ha più, il Brasile prova a perdere tempo in maniera sistematica ed eccessiva, esasperando l’arbitro e giocandosi in tal modo, molto probabilmente, un chiaro rigore su Romario. Al culmine di un intenso quarto di finale, il Brasile si impone su di una valida Olanda; vale altresì come rivincita della semifinale del 1974, ma le due squadre torneranno a incrociarsi ben presto sui campi del Mondiale.

Los Angeles ospita la semifinale tra brasiliani e svedesi. Nella Svezia giocano i titolari, salvo Schwarz, espulso nel quarto contro la Romania e rimpiazzato da Mild. Il Brasile ribadisce l’undici che ha sconfitto l’Olanda. Il primo tempo vede i sudamericani impegnati ad attaccare e gli svedesi provarci di rimessa, quando ci riescono. Una bella combinazione per vie centrali tra Romario, Bebeto e Zinho mette il centrocampista in condizione di battere a rete, ma è fischiato fuorigioco (davvero di poco, se c’era). Al venticinquesimo Romario si esalta con una splendida serpentina in area, conclusa però con un tiro un po’ debole e respinto sulla linea da Patrick Andersson; poi raccoglie la sfera Mazinho e spara fuori un gol già fatto. La coppia di attacco verdeoro pare girare alla grande: è il trentaduesimo quando Bebeto lancia in area Romario, il quale non controlla alla perfezione e poi conclude, ma è bravo Ravelli in uscita a deviare in angolo. Il primo tempo si chiude sullo zero a zero.

Si ricomincia come si è finito, con il Brasile proiettato in zona offensiva e la Svezia incapace di rendersi pericolosa: il suo attacco, sin lì così efficace nel torneo, oggi sembra avere le polveri bagnate. Romario libera Rai, entrato al posto di Mazinho, in area e Ravelli in uscita evita il gol. Al decimo Romario calcia da fuori: grande intervento di Ravelli che alza la sfera sopra la traversa – il portiere svedese sta tenendo in piedi da solo la sua squadra. Ma quando al ventesimo Thern riceve un rosso per un pestone a palla già lontana, la Svezia pare ormai alla frutta; il ct prova a rimediare inserendo Rehn al posto di Dahlin, in condizioni fisiche precarie. È ancora Romario a provarci dalla distanza, Ravelli para e Zinho non riesce a correggere in porta. La contesa fra Ravelli e Romario si risolve definitivamente a dieci dal termine e a favore del secondo: cross di Jorginho da sinistra, testa di Romario – il piccoletto in mezzo ai pennelloni svedesi, ma se lo sono beatamente perso – ed ecco l’uno a zero che consente al Brasile di giocarsi la Coppa.

È stata una partita a senso unico che il Brasile ha avuto la pazienza di conquistare sino ai minuti finali. I brasiliani hanno sfoderato la loro miglior prestazione nel torneo, così come hanno fatto gli italiani nell’altra semifinale. Si annuncia – si auspica – una finale stellare.

Il gol di Bebeto contro gli USA – ifdb.us

Nell’illustrare la nazionale brasiliana del ’94, è inevitabile partire dal suo miglior talento, trascinatore e simbolo a futura memoria. Romario de Souza Faria nasce nel 1966 a Jacarezinho, una favela di Rio, e quindi poverissimo. Le sue difficili origini e il suo carattere forte e bizzarro emergono sin da subito: durante i Mondiali giovanili del 1985 ha la bella idea di urinare dal balcone (o girare nudo per i corridoi, le versioni sono discordanti) nell’hotel di Mosca che lo ospita, e viene pertanto rimandato a casa. È grande protagonista dell’argento conquistato dal Brasile alle Olimpiadi del 1988, in una squadra che raccoglie alcuni dei suoi futuri compagni nella nazionale maggiore, quali Taffarel, Jorginho, Bebeto. Un suo colpo di testa regala la Copa America edizione ’89 al Brasile; ma, reduce da infortuni, vede quasi tutto il – per altro breve – Mondiale verdeoro del ’90 dalla panchina. Poi sbarca in Europa, destinazione Paesi Bassi, Eindhoven per la precisione.

Nel PSV Romario gioca splendide stagioni e segna molto; restano negli annali anche le feste che organizza. Passa al Barcellona di Cruyff, vi resta un paio di anni in cui lascia comunque il segno, senza per altro evitare di porre in discussione i metodi di allenamento del suo tecnico. Si racconta poi questo aneddoto: nel bel mezzo della stagione domanda il permesso di volare a Rio per il carnevale, e Cruyff lo stuzzica così: “Solo se domani segnerai due reti”. Il giorno dopo le ha marcate in appena venti minuti. Si avvicina quindi alla panchina e chiede di essere sostituito per correre in aeroporto; Cruyff, di parola, è costretto ad accontentarlo1)Charlie Carmichael, Romario Baixinho, Brazil magazine – These Football Times. Nel Mondiale del ’94 è eletto miglior giocatore del torneo. Assieme a Roberto Baggio, in quel periodo è il più forte giocatore al mondo.

Gli anni a venire vedranno Romario costituire una grande coppia d’attacco con Ronaldo che porta in dote al Brasile la Coppa America del ’97, ma un infortunio muscolare gli preclude il Mondiale dell’anno successivo. Ha 36 anni nel 2002 quando, in previsione del campionato del Mondo nippo-coreano, una mobilitazione popolare appoggiata anche dal presidente brasiliano Cardoso spinge affinché Romario sia convocato in nazionale. Il ct Scolari non cede alle pressioni, ma in ogni caso è un significativo esempio dell’affetto che il popolo prova nei sui confronti, di come la gente si identifichi in lui probabilmente a causa delle sue umili origini. Non è quindi casuale la strada che Romario intraprende una volta appese le scarpette al chiodo: diventa un uomo politico di alto profilo, deputato e poi senatore nelle fila del Partito Socialista Brasiliano.

Con il suo caratteristico baricentro basso, Romario è stato un attaccante molto prolifico e capace di segnare in tutti in modi, devastante in area e sullo stretto, veloce, intelligente e dotato di un prodigioso senso del gol. Volendo trovargli un difetto, partecipava proprio poco alla fase difensiva. A Galeano ricorda a una tigre, mentre Cruyff lo considera il miglior di sempre in area di rigore. In parte misconosciuta, l’importanza di Romario nel calcio brasiliano è paragonabile a quella di Pelé, Garrincha e Ronaldo, ovvero gli uomini che hanno guidato in prima persona il Brasile al titolo mondiale.

Romario chiude il campionato del ’94 con cinque gol all’attivo, più due assist; il suo degno sodale in attacco, cioè Bebeto, di gol ne realizza tre, oltre a fornire due assist. Bebeto è un giocatore all’apparenza piccolo e mingherlino, ma è rapido, è un ottimo realizzatore e sarà titolare del Brasile anche quattro anni più tardi. Fra gli attaccanti c’è anche un giovane non ancora diciottenne di cui si parla un gran bene e che si chiama Ronaldo, ma lì in America non scende in campo, oltre a Muller (impiegato pochi minuti) e Viola.

I nostri centrocampisti non erano mollo tecnici, ma hanno fatto il loro lavoro davvero bene e in modo intelligente2)Romario: We made a downtrodden nation ecstatic, FIFA.com. Sono parole pronunciate dallo stesso Romario e fotografano con esattezza pregi e limiti della mediana brasiliana a USA ’94, composta essenzialmente da tre incontristi e da un unico elemento di fantasia, Rai. Giunto negli Stati Uniti come potenziale leader della squadra, Rai a metà del percorso lascia il posto di titolare a un altro centrocampista difensivo, Mazinho (i cui due figli, Thiago Alcantara e Rafinha, diventeranno entrambi calciatori professionisti di alto livello). Sempre restando in tema di parentele, Rai è il fratello Socrates, ma soprattutto è stato la mente del grande San Paolo di Tele Santana.

Si può dire che la rinascita della nazionale verdeoro sia stata infatti annunciata dalle imprese del club paulista, benché ormai molti giocatori della selecao – la maggioranza, 12 su 22 – militino oltreconfine. Il San Paolo vince la Copa Libertadores per due anni di fila, come non accadeva a una squadra brasiliana dai tempi del Santos di Pelé: nel ’92 sconfigge il Newell’s Old Boys di Bielsa, nel ’93 doma i cileni dell’Universidad Catolica; è finalista anche nel ’94, ma sconfitto. È una formazione capace di esprimere un ottimo calcio, le cui colonne sono Cafu, Cerezo, Palinha e Muller, oltre al già citato Rai (che nella stagione del Mondiale è già passato al Paris Saint-Germain). Conquista anche la Coppa Intercontinentale contro il Barcellona, passato in vantaggio con Stoichkov e poi recuperato da una doppietta di Rai. A commento della gara, Cruyff dirà: “Se devi essere investito, è meglio che sia una Ferrari3)Luis Miguel Hinojal, Eterno Tele, Revista Libero n. 17. E rivince la Coppa l’anno dopo ai danni del Milan, grazie a un gol nel finale di Muller.

Gli altri centrocampisti titolari sono Dunga, Mazinho e Mauro Silva. Dunga (per i brasiliani è il nome del Cucciolo di Biancaneve – però in campo è tutt’altro che mansueto) milita nello Stoccarda, dopo varie stagioni trascorse con la maglia della Fiorentina; dalla partita con gli USA è il capitano della squadra. Interditore ma dotato di tecnica – per cui capace di proporsi in campo anche come regista -, e uomo d’ordine, Dunga è uno dei personaggi determinanti in tre decenni di storia calcistica brasiliana: gioca tre Mondiali da titolare e mette altresì due Coppe America in bacheca; allena poi la selecao dal 2006 al 2010 (altra Copa America vinta, nel 2007) e poi ancora nella ricostruzione post mineirazo dal 2014 al 2016.

Mauro Silva è la bandiera del valido Deportivo La Coruna di quegli anni: pochi giorni prima del Mondiale – è il 14 maggio – si disputa l’ultima di campionato e la squadra galiziana ha il suo primo titolo spagnolo praticamente in tasca. Il Barcellona è un punto dietro in classifica e sta perdendo due a uno in casa contro il Siviglia, mentre il Depor ospita il Valencia tra le mura amiche. Poi la situazione vira verso il drammatico. Il Barca passa in vantaggio, il Deportivo è ancora fermo sullo zero a zero. In pieno recupero viene fischiato un rigore a favore dei galiziani: lo specialista Donato è fuori, Bebeto ne ha sbagliato uno poco tempo prima e non se la sente (alimentando così le voci che non lo descrivono come un cuor di leone), e quindi va sul dischetto Djukic. Tira, il portiere avversario para e il Barcellona è campione di Spagna per differenza reti. A dir poco tremendo. L’anno dopo il Deportivo è ancora secondo, ma vincerà il titolo nel 2000.

Gli elementi di maggior talento e fantasia della selecao, oltre agli attaccanti, si trovano fra gli esterni di difesa. Leonardo macchia il suo torneo con la gomitata a Ramos, poi è degnamente sostituito da Branco. Subito dopo il Mondiale, e prima di tornare in Europa per vestire le maglie di PSG e Milan, Leonardo vola in Giappone per la nascita della prima autentica lega professionistica locale e veste la maglia dei Kashima Antlers, dove ha appena chiuso la carriera agonistica Zico; lo seguiranno a breve altri suoi connazionali campioni del Mondo. Jorginho, appena laureatosi campione di Germania con il Bayern, disputa uno splendido torneo. Si presenta poi al mondo Cafu, nonostante abbia già mietuto successi col San Paolo. Sempre in difesa ma al centro, mancano gli uomini indicati come titolari alla viglia: Mozer è ammalato; Ricardo Gomez e Ricardo Rocha sono infortunati. Chi prende il loro posto, ovvero Marcio Santos e Aldair, se la cava egregiamente. Aldair trascorre tantissimi anni con la magia giallorossa della Roma, dimostrandosi un ottimo difensore dotato di tecnica, forza, senso dell’anticipo e attitudine al gol; sarà titolare anche quattro anni dopo.

Concludendo la disamina della nazionale brasiliana in direzione contraria, è il momento quindi di parlare del portiere. Claudio Taffarel sembra un atleta in fase discendente quando, un anno prima della Coppa, il Parma lo cede alla Reggiana; giocherà ancora diversi anni nell’Atletico Mineiro e nel Galatasaray, con pregevoli risultati. È bravo in tutti i fondamentali, forse un po’ meno nelle uscite a causa dell’altezza. Difende i pali verdeoro per tre Mondiali di fila e colleziona il record di presenze in nazionale tra i portieri; assieme a Gilmar, estremo difensore nei trionfi brasiliani del ’58 e del ’62, è il portiere più importante della storia della selecao.

Sul rettangolo verde il Brasile è una formazione schierata attraverso un misto fra il 4-2-2-2 tipo Mondiali ’82 e un 4-4-2 senza ali, con Mauro Silva che gioca più arretrato, a volte anche con funzione di libero, mentre poco più avanti opera Dunga; ai loro fianchi si incontrano Rai e poi Mazinho (a destra) e Zinho (a sinistra). Questo centrocampo di faticatori e scarsa fantasia marca la differenza nei confronti della nazionale di dodici anni prima. È una squadra solidissima, difficile da mettere in difficoltà, con un’ottima fase difensiva che concede pochi gol (alla fine del torneo saranno solo tre) ma soprattutto poche conclusioni. Chiude la competizione imbattuta e resta in svantaggio soltanto per metà tempo nell’ininfluente partita contro la Svezia della prima fase. È una squadra che senza dubbio ha carattere: supera gli USA con uomo in meno per buona parte dell’incontro; batte l’Olanda che le aveva recuperato due gol di scarto in pochi minuti. Questa attitudine la avvicina molto alla nazionale con la quale contenderà sino all’ultimo il titolo, ovvero l’Italia. Gode poi di un’ottima panchina, il Brasile, in quanto i ricambi inseriti per necessità a torneo in corso (Aldair, Branco) funzionano alla perfezione, e anche l’avvicendamento tra Rai e Mazinho non è così sbagliato. Alla fine c’è comunque più talento di quanto si racconti.

L’artefice di tutto ciò si chiama Carlos Alberto Parreira, ct del Brasile dal 1991 in una botte di ferro – ha infatti al fianco un mostro sacro e una garanzia di nome Zagallo, il quale prenderà il suo posto dopo il Mondiale. Parreira è un brasiliano dall’aspetto tranquillo e dalla carriera particolare trascorsa in giro per il mondo. Allena molto in Medio Oriente: dirige Kuwait ed Emirati Arabi alla fase finale della Coppa (edizioni ’82 e ’90) e vince due Coppe d’Asia, con il Kuwait nel 1980 e l’Arabia Saudita otto anni più tardi. Siede una prima volta sulla panchina brasiliana per un breve periodo, nel 1983, durante il quale perde la finale di Coppa America; l’anno dopo è campione del Brasile con la Fluminense. Nel 1991 conduce lo sconosciuto Bragantino (nelle cui fila milita Mauro Silva) alla finale del campionato, sconfitto dal San Paolo. Dopo aver iscritto il suo nome nella storia a USA ’94, si ripresenta sui campi del Mondiale successivo alla guida della nazionale saudita: non va molto bene ed è esonerato dopo sole due partite. Ma nel 2003 Parreira è di nuovo l’allenatore del Brasile. Una nazionale colma di stelle (alcune un po’ sopravvalutate) diventa campione del Sudamerica nel 2004 e punta diritto al titolo mondiale del 2006 ma, seppur indicata come la squadra favorita per la vittoria finale, esce ai quarti. Quattro anni dopo, in Sudafrica, allena la nazionale di casa nel corso della fase finale della Coppa, senza gloria.

Da ventiquattro anni il Brasile non si laurea campione e non disputa una finale, quindi non è mai accaduto da quando è stata introdotta la Coppa del Mondo FIFA. Un lasso di tempo così lungo senza entrare in finale è una novità, nonostante le valide compagini che il paese sudamericano è riuscito a mettere in campo nel periodo di digiuno. Il Brasile del 1994 non è una squadra che accende la fantasia ed entusiasma, non scalda gli animi, ma le critiche ricevute sono in parte esagerate e immotivate, più che altro dettate dall’abitudine di vedere un Brasile spettacolare e offensivo – ma, come detto, perdente da oltre vent’anni. Per Cruyff è stata la sola squadra del torneo in grado di mantenere il controllo della palla per inseguire gol; per Galeano, invece, il Brasile ha venduto l’anima al calcio moderno4)Dan Willimason, 1994, Brazil magazine – These Football Times – cioè al risultato. Chi ha ragione?

Sostiene Parreira (vent’anni dopo): “Sento ancora dire che non giocavamo un bel calcio. Ma cos’è la bellezza? Per me è l’efficienza5)Ibidem. Provate a dargli torto. I dubbi e le critiche rimarranno sempre – e per carità, ci stanno anche – ma è lì, dal Mondiale negli USA, che l’impero calcistico brasiliano torna a dominare il pianeta calcio, aprendo un nuovo, fantastico ciclo vincente.

1 dicembre 2019

immagine in evidenza: Mazinho, Bebeto e Romario festeggiano il gol con il gesto della culla

References   [ + ]

1. Charlie Carmichael, Romario Baixinho, Brazil magazine – These Football Times
2. Romario: We made a downtrodden nation ecstatic, FIFA.com
3. Luis Miguel Hinojal, Eterno Tele, Revista Libero n. 17
4. Dan Willimason, 1994, Brazil magazine – These Football Times
5. Ibidem