La vittoria sull’Italia nel corso di Euro 2008 realizza un momento storico per la nazionale spagnola, oltre a una sorta di passaggio di consegne, visto a posteriori: la Spagna supera gli azzurri campioni del Mondo in carica (prima volta dal 1920 nella fase finale di un grande torneo internazionale) e da quell’incontro avvia non solo la rincorsa al titolo continentale ma anche un periodo di gloria calcistica imperitura mai sperimentato prima. Dopo l’affermazione nei quarti di finale, la Spagna si libera facilmente della Russia per tre a zero e affronta nella finale del campionato europeo la Germania, che a sua volta ha sconfitto all’ultimo minuto la Turchia in semifinale. La partita si chiude sull’uno a zero – gol di Torres su assist di Xavi – ma gli spagnoli dominano i tedeschi oltre il punteggio e portano a casa il secondo titolo europeo, dopo quello casalingo ottenuto nel lontano 1964.
Due uomini, entrambi simbolo dell’Atletico Madrid ma in epoche differenti, assumono il ruolo di principali protagonisti nel trionfo continentale, e sono la punta Torres e il tecnico Aragones. El Nino Torres da un anno ha già lasciato la capitale spagnola per trasferirsi al Liverpool e si presenta in grande forma fisica agli Europei del 2008, torneo in cui tocca i suoi massimi; è un giocatore che in campo sfodera notevoli progressioni e micidiali tiri a rete, capace di segnare in totale trentotto marcature con la maglia rossa della nazionale. Arriva al Mondiale accompagnato da un problema al menisco: occupa il posto da titolare alla seconda partita ma lo perde nel percorso, delude un po’ le aspettative, non segna ma comunque è di aiuto alla squadra.
Duro, collerico, esigente, il ct Luis Aragones diventa allenatore veramente da un giorno all’altro nel novembre 19741)Euan McTear, 2010 Spain, la roja, World Cup magazine – These Football Times, appena smesse le scarpette di centrocampista offensivo dell’Atletico e a pochi mesi da una Coppa dei Campioni sfumata all’ultimo istante contro il Bayern. La sconfitta per tre a due patita in Irlanda del Nord, all’inizio delle qualificazioni europee, rappresenta la svolta per la nazionale di Aragones, che da quel momento trasforma la squadra e soprattutto lascia a casa un totem come Raul. Molto criticato dall’epoca dei Mondiali 2006 sino di fatto alla vittoria europea, è Aragones a mettere le fondamenta della forza spagnola: gioco; collettivo; convinzione. Lascia nel 2008 la panchina, al suo posto siede Vicente Del Bosque.
È la selezione decisiva del Mondiale sudafricano, sebbene non la più spettacolare; è la Spagna che attorno alla Coppa 2010 raccoglie i frutti portati in dote da un prodigioso accumulo di talenti, tecnici e versatili. Il segreto del suo successo – segreto per modo di dire, poiché è ormai evidente come nella costruzione di una nazionale di pregio non sia più sufficiente il semplice assemblaggio del meglio a disposizione – è racchiuso nel lavoro e nella programmazione, e il presidente della federazione Angel Maria Villar, in carica dal 1998 al 2017, ne rappresenta il maggior artefice. La federazione spagnola attua in quegli uno specifico progetto dedicato ai giovani calciatori iberici, abituandoli a giocare sempre con lo stesso modulo (4-2-3-1, trasformabile in 4-3-3) e insegnando loro i fondamenti del gioco, ma aggiornati: la fase di possesso palla e le contromisure in caso di perdita della stessa; il pressing; il passaggio veloce della sfera2)Graham Hunter, Spain – The inside story of La Roja’s historic treble, BackPage Press, 2013. Tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo il calcio giovanile internazionale inizia a tingersi di rosso: vittoria nel Mondiale under-20 nel 1999 e finale nel 2003; vice-campione del Mondo under-17 nel 2003 e nel 2007; quattro titoli europei under-19 (2002, 2004, 2006 e 2007); campione d’Europa under-21 nel ’98, e poi ancora nel 2011 e 2013. È un contesto che premia il talento acerbo. Non a caso gli undici finalisti in maglia rossa dell’Europeo 2012 hanno alle spalle 332 presenze complessive nelle giovanili spagnole, all’interno di un ambiente in grado di giovarsi anche dei validi settori giovanili imbastiti dai club professionistici, in primis quello del Barcellona.
Non è azzardato sostenere che la Spagna del 2010 sia stata, sotto un particolare aspetto, la miglior selezione espressa sinora nella storia dei campionati mondiali: attenzione, non la più bella o la più divertente, e nemmeno la più forte in generale – ma la migliore nella capacità di gestire il gioco: forse alla pari dell’Ungheria anno ’54, ma non ci sono sufficienti immagini di repertorio per stabilire un paragone accettabile, e comunque gli ungheresi il Mondiale non l’hanno vinto. In alcuni momenti sembra una corazzata inaffondabile. Controllo palla, tecnica sopraffina che supplisce a un fisico non imponente, movimento continuo e accorto al fine di creare sempre una linea di passaggio libera dall’interferenza avversaria – questi sono i piatti principali del menù offerto dagli spagnoli. L’azione parte dal lento palleggio dei difensori, poi è sviluppata dai centrocampisti che si abbassano, e continua imperterrita attraverso ripetuti passaggi sino al momento in cui non si scorge il corridoio giusto – di solito per vie centrali, talvolta sulle fasce per i terzini che si sganciano, soprattutto nella persona di Sergio Ramos. È un gioco che a tratti può apparire noioso e per taluni lo è (non per chi scrive); è il gioco del Barcellona di Guardiola raffreddato, così come fece il cool jazz con il bebop negli anni Cinquanta.
Il modulo è di ardua definizione: può essere un 4-4-2 o un 4-5-1 quando gioca Pedro anziché Torres, oppure un 4-2-3-1 come indicato nel rapporto ufficiale FIFA3)Team data – Spain, 2010 FIFA World Cup South Africa – Technical report and Statistics, che manterremo per comodità da qui in avanti; in realtà, l’indicazione più corretta dello schieramento spagnolo sarebbe il 4-2-2-2 di brasiliana memoria. Poi, quando scattano in avanti gli esterni difensivi, Busquets si abbassa per costituire una difesa a tre, con Pedro e Iniesta che scalano avanti trasformando il tutto in un 3-4-3. Io l’ho detto, è parecchio complesso analizzare la forma di questa squadra. La formazione mandata in campo risulta pressoché sempre la stessa, per cui il ct lascia poco spazio alle riserve. Traspare inoltre un clima sereno tra i giocatori, che in campo si applaudono spesso, o si scusano per un passaggio sbagliato o mancato. Nel dream team del torneo, che è una selezione dei migliori giocatori determinata dai voti dei tifosi e che da questa edizione la FIFA affianca ad un all star team basato sulle statistiche – tanto per fare un po’ di confusione -, compaiono sei spagnoli: il portiere, e poi Puyol, Sergio Ramos, Xavi, Iniesta, Villa. E poi c’è soprattutto un centrocampo meraviglioso, fra i più validi mai visti nella storia delle nazionali.
Spesso citati assieme – ma accoppiati fanno più di due grandi giocatori – Xavi e Iniesta sono fra i principali responsabili dei successi del Barcellona, ed entrambi altresì prodotti dall’importante accademia del club blaugrana detta La Masia. Xavi è da quasi un decennio un pilastro del centrocampo del Barcellona, quindi ben prima dell’arrivo di Guardiola; Iniesta è di qualche anno più giovane ed interpreta il ruolo con maggiore propensione offensiva: contano centotrentatré e centotrentuno presenze in nazionale, rispettivamente. Sono dotati di un fisico insignificante per degli atleti ma di profonda intelligenza calcistica e di una capacità quasi innata nel sapersi muovere tra le linee della squadra avversaria. Ha detto Xavi:“Mi rende felice sapere che giocatori come Leo (Messi), Andresito (Iniesta) e io siamo la prova che, nel calcio moderno, il talento rimane più importante della forza fisica”4)Graham Hunter, The Inverted Sheepdog, The Blizzard n. 4.
Xavi Hernandez è eletto per due volte uomo del match nel corso del Mondiale. È stato nominato miglior giocatore durante gli Europei 2008. Ha vinto con il club di appartenenza quattro Coppe dei Campioni e otto titoli spagnoli. Xavi ha visione di gioco e capacità di fornire assist, inoltre esegue regolarmente un gesto tecnico che lo contraddistingue in campo ovvero, ricevuto il pallone, compie un giro di 360 gradi utile per evitare l’avversario diretto e scorgere la posizione dei compagni; ma più di tutto è un vero maestro nel controllo e nella gestione della palla, e con essa dell’intero andamento della partita. Non la sola, ma la mente più eccelsa e importante della nazionale spagnola in Sudafrica.
Andres Iniesta è cresciuto in un paesino sperduto nella Mancha che lascia di fatto per la prima volta all’età di dodici anni, quando i genitori lo accompagnano in auto a Barcellona per giocare nelle giovanili blaugrana, e definisce quel momento, e quei primi mesi a Barcellona, come l’esperienza più dura di tutta la sua vita5)Javier Prieto Santos, “Le football, ce n’est pas que le but”, intervista a Iniesta, So Foot n. 115. Tre volte uomo del match al Mondiale, benché provenga da una stagione tormentata nel fisico e non solo; anch’egli colleziona quattro titoli europei per club, oltre a nove edizioni della Liga. È un centrocampista universale Iniesta, inarrivabile negli spazi stretti, gentile, aggraziato, che talvolta si ricorda anche di metterla dentro. Due sue marcature restano nella memoria: nella semifinale di Champions League 2009 segna al Chelsea il gol che lancia la leggenda del Barca di Guardiola in una partita subita e all’apparenza compromessa, con diversi errori arbitrali a favore – perché a calcio si vince anche rubando; per l’altro gol, restare sintonizzati su questi schermi. Iniesta sarà anche eletto miglior giocatore a Euro 2012.
Completano il centrocampo in posizione più arretrata Xabi Alonso e Busquets, entrambi figli di padre professionista. Il primo è un soggetto dal carattere spigoloso ma dotato di pregevole tecnica e lancio lungo, un vero regista arretrato. Il secondo gioca al Mondiale come un veterano quando non ha ancora raggiunto i ventidue anni di età: Busquets sa rompere il gioco altrui e possiede una particolare dote nel gioco di sponda, ma non solo. Nel merito, un paio di opinioni abbastanza illustri: Cruyff, “Con la sfera, rende facile ciò che è difficile, riuscendo a far uscire la palla dalla difesa con al massimo due tocchi; senza sfera, ci dà una lezione, quella di posizionarsi al posto giusto per intercettare un passaggio e di correre solo il necessario a riconquistare un pallone”6)Daniele V. Morrone, Sergio Busquets: l’arte di scomparire nel sistema, l’Ultimo Uomo; Del Bosque, “Se guardi il gioco, non vedi Busquets. Ma se guardi Busquets, vedi l’intero gioco“.
Fra la zona centrale del campo e l’attacco, affiancano i titolari in diverse occasioni i seguenti uomini: David Silva, che nell’undici iniziale gioca solo la prima gara e poi una manciata di minuti; Jesus Navas, in campo in tre incontri; Pedro, il quale ha esordito in nazionale pochi giorni prima del Mondiale ed è un giocatore veloce e molto disciplinato tatticamente, e che prende il posto di titolare a Torres; Fabregas, che parte sempre dalla panchina subentrando a un compagno in quattro occasioni. Quest’ultimo, già miglior giocatore e miglior marcatore ai Mondiali under-17 del 2003, è un grande uomo-assist e sarà protagonista del calcio internazionale negli anni a seguire con la nazionale e in club importanti come Arsenal, Barcellona, Chelsea; è esploso molto giovane, Fabregas, ma quasi a bilanciarne la precocità tramonta abbastanza presto per gli standard attuali di longevità ad alti livelli dei calciatori.
David Villa è eletto terzo miglior giocatore del Mondiale, in forza di cinque reti segnate (i tre quarti dei gol spagnoli portano il suo nome) e un assist fornito. Era stato già capocannoniere all’Europeo, ma in quel frangente la sua prestazione era stata oscurata dal compagno di attacco Torres. La sua importanza per le sorti della nazionale spagnola qui in Africa è addirittura sottovalutata: Villa è l’elemento decisivo che, in una squadra di fantastici centrocampisti che però non segnano tanto, o comunque nella media (anche nei club, dove infatti hanno terminali offensivi portentosi), e in carenza di altre punte, si carica sulle spalle l’intero attacco della Spagna e assume il compito di buttarla dentro sino ai quarti, risolvendo pratiche davvero intricate. In maglia rossa Villa è di gran lunga il miglior marcatore di sempre con cinquantanove reti. Gioca nel Valencia, poco dopo il Mondiale indosserà la maglia del Barcellona ma un brutto infortunio patito a fine 2011 non gli consentirà mai più di tornare ai suoi massimi livelli. Villa mostra un’interessante capacità di adattamento: “Ha fisico da esterno, piedi da trequartista, killer instinct da uomo d’area”7)Gabriele Lippi, David Villa, il più bravo a nascondersi, QuattroTreTre. Asturiano, figlio di un minatore, appoggia in prima persona le periodiche lotte di questi combattivi lavoratori.
La formazione spagnola è il risultato dell’innesto di due squadroni, Barcellona e Real Madrid, ma con netta prevalenza dei catalani che nelle gare decisive per il titolo forniscono sei titolari più Villa, già acquistato. L’unico elemento alieno è Capdevila, esterno destro difensivo in forza al Villareal. Sempre riguardo il reparto difensivo, la coppia di centrali proveniente dal Barcellona è valida e ben assortita: Piqué, più tecnico e bravo a impostare; Puyol, una roccia difficile da superare, sempre concentrato, sempre tendente a superare i propri limiti. “Carles Puyol era una molla caricata e pronta a scattare appena la palla entrava nella sua zona di competenza”8)I migliori difensori nell’uno contro uno (2000-2020), l’Ultimo Uomo. Completa la difesa sulla fascia sinistra Sergio Ramos del Real Madrid.
Sergio Ramos detiene il record di presenze con la Spagna (centottanta) e, per un difensore, un numero impressionante di reti in nazionale: ventitré, come Alfredo Di Stefano, che però le ha segnate in sole trentuno partite. Con la sua squadra di sempre raccoglie quattro Coppe dei Campioni e sei campionati nazionali, e marca a tempo ormai scaduto la storica rete del pareggio contro i concittadini dell’Atletico durante la finale Champions 2014, vinta poi quattro a uno ai tempi supplementari. È da annoverare fra i più grandi difensori di sempre. In campo furbo e talvolta provocatore, Sergio Ramos riceve innumerevoli sanzioni nel corso della carriera; ma è imperioso di testa, bravo al centro della difesa quanto sulle fasce, e poi ha corsa, capacità di spingere – insomma è completo. Un Paolo Maldini (il paragone con l’italiano proviene anche da Ancelotti) più rude e meno bello da vedere, ma capace di segnare molti più gol.
In questa Spagna non poteva mancare infine un grande portiere. Si chiama Iker Casillas, è formato dall’accademia del Real Madrid (detta La Fabrica) dove milita per quasi tutta la carriera ed è il capitano della nazionale, la cui porta è difesa da lui per ben centosessantasette volte. Grandi riflessi, leader della difesa, viene acclamato come il migliore nel suo ruolo al Mondiale 2010 e per cinque volte di fila, tra il 2008 e il 2012, è eletto miglior portiere del mondo. Continua con Casillas la serie di straordinari portieri che si esibiscono sul palcoscenico della Coppa del Mondo FIFA, e non solo lì: Kahn nel 2002, poi Buffon, ora Casillas e nel 2014 un altro tedesco, Neuer. Per il calcio, l’inizio del secolo XXI è l’età dell’oro dei portieri.
Tradizionalmente la nazionale spagnola di calcio ha sempre portato con sé l’appellativo di furie rosse, un termine la cui origine risale nel tempo, ma di derivazione ancora più antica: si è infatti iniziato a parlare di furia spagnola per descrivere le prestazioni degli iberici durante le Olimpiadi di Anversa del 1920, richiamando nel contempo il sacco della città belga compiuto dagli stessi spagnoli nel 15769)Brizzi Riccardo, Sbetti Nicola, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930 – 2018), Le Monnier, 2018; poi l’appellativo è stato accostato al colore delle maglie di gioco. Ma ora, nel 2010, la Spagna adotta un approccio molto ragionato quando prende in mano gli incontri e non li molla sino a risultato ottenuto; la furia appartiene al passato, all’immagine del nazionale spagnolo come una sorta di toro scatenato, mentre ora da toro è diventato matador10)David Winner, Corrida of Uncertainty, The Blizzard n. 4. La furia ha quindi ceduto il passo all’intelligenza – tattica, organizzativa, tecnica. Quello che è rimasto è il colore. La Spagna è la roja.

A voler rendere l’idea delle credenziali con le quali la selezione spagnola giunge in Sudafrica, oltre al pregio di detenere il titolo di campione d’Europa, ecco alcuni dati. La Spagna vince dieci partite su dieci in fase di qualificazione, un record, durante le quali segna ventotto gol e ne incassa cinque. La sconfitta in semifinale nel corso della Confederations Cup 2009 interrompe una serie positiva di trentacinque partite e quindici vittorie consecutive: la Spagna non perdeva dal novembre 2006, superata all’epoca in amichevole dalla Romania. Con piglio autorevole affronta le partite pre-mondiale, alcune delle quali anche impegnative: sono sei affermazioni su Argentina, Austria (5 a 1), Francia, Arabia Saudita, Sudcorea, Polonia (6 a 0). I risultati insoddisfacenti storicamente raccolti dagli spagnoli in Coppa del Mondo non influenzano un giudizio pressoché unanime degli esperti, che appunto vede la roja quale principale favorita per la vittoria finale. Per cui si capirà lo stupore generale al limite dell’incredulità, quando gli spagnoli lasciano il campo che ha ospitato il loro esordio mondiale dopo aver subito, per mano della selezione svizzera, una clamorosa sconfitta per uno a zero.
È un girone ostico quello che attende la Spagna nella prima fase del Mondiale. Contro la Svizzera, la Spagna controlla la sfera e attacca per buona parte dell’incontro, ottiene calci d’angolo e produce conclusioni, ma pare una squadra troppo leziosa e non troppo pericolosa, in particolare nel primo tempo. Gli svizzeri godono di un’evidente superiorità fisica e in più del lavoro del loro tecnico tedesco Ottmar Hitzfeld, un vincente: due Coppe dei Campioni con Borussia Dortmund e Bayern Monaco, sette titoli tedeschi; guiderà gli svizzeri anche nel Mondiale successivo. Il primo tempo è avaro di emozioni: Piqué ha la palla buona in area su grande assist di Iniesta, controlla bene, si smarca dall’avversario ma non conclude subito e quando tira Benaglio è uscito dalla porta e respinge di piede; Iniesta lanciato a rete è fermato fallosamente da Grichting, il quale viene ammonito ma era al limite del rosso.
Passano sette minuti nel secondo tempo ed ecco la svolta dell’incontro: contrattacco svizzero che buca la difesa spagnola per vie centrali e gol di Fernandes. L’improvviso svantaggio tocca i nervi dei nazionali spagnoli che si scuotono immediatamente e in modo collettivo. Villa si presenta a tu per tu con Benaglio, il quale però esce tempestivamente sui piedi dell’attaccante e salva la propria porta; Iniesta sfiora il palo con un tiro a giro; Xabi Alonso coglie la traversa su conclusione da fuori; Navas accarezza il palo lontano con un tiro scoccato da posizione defilata sulla destra. Ma gli spagnoli rischiano una nuova rete che avrebbe significato probabilmente la fine prematura del loro torneo quando, a quindici minuti dal termine, Dreydok dribbla in area Puyol, tocca di esterno e a Casillas battuto… prende il palo. In ottantacinque anni di sfide la Svizzera non aveva mai superato la Spagna e ci riesce per la prima volta qui, nel girone della Coppa 2010. Ricorda da vicino la sorprendente vittoria degli svizzeri – allenati da Rappan, l’inventore del catenaccio – sulla Germania al primo turno dei Mondiali 1938; ma lì erano tutte sfide a eliminazione diretta, senza appello, mentre ora nulla è deciso.
È già accaduto che la Spagna sia arrivata al campionato del Mondo sulle ali di un pronostico a sé favorevole e poi abbia tradito, in parte o in tutto, le attese (vedi in particolare il torneo del 1998). Ma questa nuova delusione, inaspettata – comunque nel complesso immeritata, perché soprattutto dopo lo svantaggio gli spagnoli hanno mostrato una reazione vigorosa -, associata al carico delle aspettative della vigilia e soprattutto gravata dal bagaglio di una sfilza di Mondiali andati male, avrebbe schiantato chiunque: non questi uomini, che così dimostrano una forza mentale non comune. Temendo il passato ma rivendicando il presente, è illuminante l’apertura di Marca il giorno dopo la sconfitta: La Spagna di sempre? e subito a fianco l’invito a non dimenticare di essere una delle squadre più forti al mondo. Non lo dimenticano.
Giova agli spagnoli la possibilità di incontrare nel secondo incontro la squadra meno impegnativa del girone, cioè l’Honduras, selezione con il tratto caratteristico di presentare in lista tre fratelli, i Palacios: Jerry, Johnny e Wilson, quello forte, che gioca nel Tottenham. All’esordio l’Honduras ha perso contro il Cile, che dopo quarantotto anni è riuscito a tornare a vincere nella fase finale della Coppa grazie a un gol di Beausejour, al culmine di una bella azione corale; i centroamericani non hanno sfigurato ma senza segnare, e resteranno a secco anche nelle restanti partite del girone. Contro l’Honduras manca Iniesta per un problema fisico, Torres gioca al posto di Silva, ma per il resto Del Bosque conferma la squadra dell’esordio e infonde fiducia ai suoi uomini. Esplode Villa con una prestazione incontenibile: palla sulla traversa con un tiro arcuato da fuori area dopo pochi minuti di gioco; gol al minuto diciassette su grande azione personale – due avversari passati nel mezzo e palla colpita in scivolata che termina in rete; raddoppio siglato all’inizio della ripresa. L’unica pecca di Villa è un calcio di rigore mandato fuori. La Spagna domina e vince due a zero.
Intanto un po’ a sorpresa il Cile ha battuto anche la Svizzera, sfruttando una superiorità numerica di circa un’ora per l’espulsione – a dir la verità apparsa eccessiva – di Behrami, reo di aver allargato un braccio sul viso di Vidal. L’episodio cambia non solo la partita ma l’intero Mondiale degli svizzeri, i quali reggono fino al minuto settantacinque quando Gonzalez porta avanti i cileni; gli europei rischiano di crollare, poi al novantesimo Dreydok ha un’occasione enorme, una sorta di rigore in movimento: spedisce la palla fuori e provoca un mezzo mancamento a Hitzfeld. Dunque il Cile guida la classifica con sei punti e potrebbe puntare a un pareggio nell’ultima partita, risultato sufficiente non solo per passare il turno ma anche per restare primi; seguono Spagna e Svizzera a tre, Honduras a zero. Proprio alla vigilia della sfida con il Cile, l’ex nazionale spagnolo ora accompagnatore Hierro pronuncia ai giocatori un discorso rimasto nella memoria della selezione, e il cui succo può essere riassunto così: “Non fate gli idioti: questo è un treno che passerà una sola volta nella vostra vita”11)Javier Prieto-Santos, Le jour ou Fernando Hierro a secoué la roja en Afrique du Sud, So Foot.
Pur avendo giocato sino a quel momento una valida partita a viso aperto, e altresì sfiorato il gol in almeno due occasioni, al minuto trentasette il Cile è sotto di due gol contro la Spagna e con un uomo in meno, oltre a due ammoniti. È ancora Villa ad aprire le marcature, e in modo spettacolare: su lancio di Xabi Alonso per Torres, l’estremo difensore cileno esce oltre il limite dell’area sui piedi dello spagnolo, la palla giunge a Villa che da quaranta metri calcia di prima verso la porta sguarnita dal portiere e insacca in rete. Raddoppia Iniesta e nella stessa azione del gol Estrada guadagna la seconda ammonizione per aver sgambettato Torres in corsa, ma forse involontariamente. I cileni allora si difendono, riescono a segnare a inizio ripresa grazie a un tiro di Millar deviato in modo decisivo da Piqué, e sperano sia di non subire ulteriori reti, sia nel risultato dell’altra sfida. Stante infatti la sconfitta cilena, la Svizzera potrebbe qualificarsi battendo l’Honduras, ormai quasi spacciato, con due gol di scarto: invece pareggia zero a zero, e rischia anche di andare sotto nel corso della ripresa. La Svizzera si è come sgonfiata dopo l’esaltante avvio. Impressiona poi il bilancio svizzero messo insieme nelle ultime due Coppe: appena un gol incassato in sette partite tra Mondiale 2006 e quello 2010, e quale massimo risultato raggiunto, un ottavo di finale.
Dunque alla fase successiva del torneo passano il Cile, selezione che con gli spagnoli condivide il nomignolo di la roja sempre in virtù del colore delle magliette, e la Spagna, in fin dei conti prima classificata del girone, seppur meno agevolmente di quanto si pensasse. Sì, ma quale Spagna sta per affrontare le sfide decisive di questa Coppa del Mondo: ridimensionata dal passo falso iniziale? O rafforzata dalla pronta reazione?

Ottavi di finale, Spagna – Portogallo. Il derby iberico è incrocio dal valore crescente che si ripeterà in contesti importanti negli anni a venire, come nella semifinale degli Europei 2012 in cui il protratto equilibrio fra le due squadre è rotto soltanto dai rigori a vantaggio della Spagna. Poi si incontreranno anche ai Mondiali 2018, e inoltre in amichevole solo pochi mesi dopo la Coppa 2010, a novembre, partita che registra un sonoro quattro a zero per i lusitani.
Dopo il pari iniziale nella sfida con gli ivoriani, il Portogallo sovrasta sette a zero la nazionale nordcoreana nel remake del quarto di finale edizione 1966 quando il grande Eusebio, qui inquadrato in tribuna, segnò quattro reti. Tornata al Mondiale di calcio dopo quarantaquattro anni, la Corea del Nord chiude il torneo maluccio con tre sconfitte e dodici gol al passivo; la partecipazione nordcoreana fa rumore per il caso Kim Myong Won, un giocatore inserito nella lista dei convocati come terzo portiere che in realtà nella vita di tutti i giorni è un attaccante. Errore o furbata che sia, la Fifa taglia la testa al toro disponendo che possa giocare solo fra i pali. Nel terzo incontro del girone il Portogallo sfrutta l’incrocio con un Brasile già qualificato, pareggia zero a zero e, in quanto secondo classificato, ottiene un passaggio del turno non così scontato alla vigilia, visti gli avversari.
È certamente il Portogallo di Cristiano Ronaldo, ormai stabilmente ai vertici mondiali: ha vinto la Champions League del 2008, poi si è trasferito al Real Madrid ma in quel periodo pare un po’ eclissato dal confronto con Messi – il portoghese ha però ancora diverse potenzialità da esprimere appieno. Nonostante brilli la stella di Ronaldo, i lusitani denunciano le consuete difficoltà realizzative poiché le sette reti che vantano all’attivo sono messe a segno in un solo incontro, mentre in tutte le altre partite mancano il bersaglio. In compenso arrivano alla fase ad eliminazione diretta senza aver preso neanche un gol. Il reparto arretrato è quindi da apprezzare, composto com’è da due solidi centrali quali Bruno Alves e Ricardo Carvalho, oltre a un portiere che disputa un valido campionato. Non è frutto del caso la striscia di imbattibilità che il Portogallo allunga da diciannove incontri, né il fatto che in venti delle ultime ventiquattro partite la rete portoghese sia rimasta inviolata. Allena Queiroz, già sulla panchina dei lusitani parecchi anni prima, tra il ’91 e il ’93, all’epoca senza troppo successo.
Il derby iberico del 2010 è una sfida combattuta. La roja parte all’attacco, si registrano un paio di tentativi di testa a opera di Torres e Villa, ma al ventesimo minuto ecco manifestarsi una chiara occasione da rete sul versante portoghese: Tiago calcia da fuori, Casillas respinge e la palla si impenna, poi il portiere spagnolo riesce a anticipare di un soffio Almeida che stava per concludere di testa. Nuovamente Tiago ha la palla buona ma spedisce fuori di testa da posizione favorevole. Il Portogallo ha retto l’urto spagnolo nella prima frazione e inizia bene la ripresa, sfiorando il vantaggio quando Puyol, intervenuto in anticipo su Cristiano Ronaldo, devia la sfera calciata da Almeida e la manda a sfiorare il palo della propria porta. Ma l’andamento dell’incontro è prossimo a cambiare.
Al minuto cinquantotto Llorente, entrato al posto di Torres, impegna immediatamente di testa l’estremo portoghese. Poco dopo Villa scaglia un tiro a fil di palo. La Spagna si è svegliata e sta imprimendo la svolta decisiva all’incontro, che diventa realtà al minuto sessantatré: passaggio di Iniesta, tacco di Xavi a liberare Villa – di poco, ma in fuorigioco – che è di fronte a Eduardo e tira, respinge il portiere, Villa riprende e ribadisce in rete. Spagna avanti uno a zero. È poi il turno di Ramos nel rendersi pericoloso, con Eduardo che tiene in piedi i suoi, e lo stesso avviene pochi minuti dopo su conclusione di Villa dalla distanza, e poi si assiste a un tentativo a rete di Llorente. Nel finale Ricardo Costa alza il gomito verso Capdevila e paga con il cartellino rosso. Un’ultima mezzora di gioco poderosa e impeccabile regala agli spagnoli la meritata vittoria; Cristiano Ronaldo è apparso isolato e spesso bloccato da Capdevila, proprio il meno noto degli spagnoli, e allora il Portogallo è costretto cedere il passo.
Quarti di finale, Spagna – Paraguay. L’affermazione in un girone di prima fase che si è dimostrato più facile del previsto grazie alla disfatta dell’Italia, ha consentito ai sudamericani di affrontare il Giappone nella sfida degli ottavi. Si trova di fronte un buon Giappone, sospinto dalle ottime prestazioni di Honda, punta del CSKA Mosca. La partita finisce zero a zero dopo centoventi minuti e viene decisa ai tiri di rigore: Komano sbaglia il terzo rigore degli asiatici, spedendo la palla sulla stessa traversa contro la quale nel primo tempo regolamentare aveva concluso il suo percorso una conclusione arcuata del compagno Matsui; il Paraguay segna tutti i suoi rigori e si aggiudica l’incontro. È la solita squadra solida, disciplinata, volitiva e quindi rognosa, il Paraguay, che sinora ha preso solo un gol e ne ha segnati tre; disputa il suo quarto Mondiale consecutivo, mentre non sarà in grado di qualificarsi ai due tornei iridati che seguiranno. Quale miglior risultato ha raggiunto due ottavi di finale nel 1998 e nel 2002 – ma così avanti l’albirroja non era mai giunta, e l’occasione è enorme, storica, perché si chiama semifinale mondiale.
Durante tutto il primo tempo della partita tra spagnoli e paraguaiani non accade granché e si assiste al consueto possesso palla spagnolo, qui però piuttosto lontano dal creare seri pericoli alla porta avversaria. Anzi, qualcosa succede, ovvero un gol del Paraguay marcato di Valdez e annullato per fuorigioco, ma l’attaccante pare in linea con l’ultimo avversario. Il ct Martino ha cambiato i sei undicesimi della squadra scesa in campo all’avvio della gara con il Giappone e le scelte sembrano rendere bene perché il Paraguay gioca alla pari con la Spagna. Nella ripresa, al cinquantaseiesimo, un Torres inconsistente fa spazio a Fabregas, e poi un minuto dopo la sfida potrebbe avviarsi verso lidi impensati: primo corner a favore del Paraguay, fallo di Piqué che trattiene platealmente Cardozo per il braccio e lo fa cadere, rigore per i sudamericani. Calcia Cardozo, Casillas si tuffa sulla sinistra e para, indicando poi il portiere di riserva Reina in panchina che prima della partita gli aveva descritto, evidentemente in modo corretto, le abitudini di tiro di Cardozo. Passa un altro giro di orologio, Alcaraz stende da dietro Villa in area e adesso il rigore è per la Spagna. Va sul dischetto Xabi Alonso, tira, la palla entra ma c’era troppa gente in area di rigore e il direttore di gara ordina la ripetizione: nuovo tiro, Xabi Alonso cambia direzione ma stavolta Villar para e poi si lancia sui piedi di Fabregas per evitare la conclusione a rete – gli spagnoli chiedono un nuovo rigore, hanno ragione ma l’arbitro fa proseguire –, quindi Sergio Ramos calcia a rete ma Da Silva salva sulla linea. La Spagna conta due rigori sbagliati su due tirati nel campionato. È successo l’impossibile, ma il risultato resta fermo sullo zero a zero.
Nei rimanenti minuti cresce di intensità il gioco spagnolo. A sette dalla fine dei tempi regolamentari la Spagna sviluppa una splendida azione centrale con il pallone gestito da Fabregas, da Xavi, e poi giunge sui piedi di Iniesta che al culmine di una devastante progressione scarica su Pedro: questi calcia in porta e coglie il palo, e allora Villa riprende la sfera, calcia di piatto cercando di piazzare la conclusione, la palla tocca faccia interna di un palo, poi dell’altro, e poi finisce in rete. E la Spagna ha vinto. Al fischio finale Cardozo piange disperato e viene consolato anche dagli avversari: il Paraguay abbandona il torneo a testa alta ma di nuovo, come nel ’98 e nel 2002, prendendo gol a pochi minuti dal termine e contro una prossima finalista del torneo. Qualche rimpianto comincia ad affiorare con prepotenza e accompagnerà i paraguaiani per parecchio tempo.
Superato un girone di prima fase complesso e una partenza-choc, superate due partite a eliminazione diretta indubbiamente difficili con la pazienza e la pervicacia tipiche dei forti, la Spagna adesso è fra le prime quattro del mondo, per la seconda volta nella sua storia e dopo ben sessant’anni. Villa ha assunto il ruolo del mattatore e l’impianto di gioco collettivo non ha mai smesso di funzionare; gli spagnoli hanno poi sbrogliato l’intricata matassa del confronto con il Paraguay, ovvero la partita del torneo che hanno maggiormente sofferto – più ancora della gara di esordio -, quella in cui la loro manovra è stata per buoni tratti imbrigliata e resa inoffensiva dal gioco di rottura avversario. La Spagna ha oltrepassato lo scoglio dei quarti di finale, un ostacolo all’apparenza insormontabile per tradizione negativa. No, non è la roja di sempre: gli spagnoli sono veramente qui per prenderlo quel treno, il treno che porta direttamente al titolo mondiale.
18 dicembre 2021
References
1. | ↑ | Euan McTear, 2010 Spain, la roja, World Cup magazine – These Football Times |
2. | ↑ | Graham Hunter, Spain – The inside story of La Roja’s historic treble, BackPage Press, 2013 |
3. | ↑ | Team data – Spain, 2010 FIFA World Cup South Africa – Technical report and Statistics |
4. | ↑ | Graham Hunter, The Inverted Sheepdog, The Blizzard n. 4 |
5. | ↑ | Javier Prieto Santos, “Le football, ce n’est pas que le but”, intervista a Iniesta, So Foot n. 115 |
6. | ↑ | Daniele V. Morrone, Sergio Busquets: l’arte di scomparire nel sistema, l’Ultimo Uomo |
7. | ↑ | Gabriele Lippi, David Villa, il più bravo a nascondersi, QuattroTreTre |
8. | ↑ | I migliori difensori nell’uno contro uno (2000-2020), l’Ultimo Uomo |
9. | ↑ | Brizzi Riccardo, Sbetti Nicola, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930 – 2018), Le Monnier, 2018 |
10. | ↑ | David Winner, Corrida of Uncertainty, The Blizzard n. 4 |
11. | ↑ | Javier Prieto-Santos, Le jour ou Fernando Hierro a secoué la roja en Afrique du Sud, So Foot |