In tutti i sensi, è giunto il momento dell’Africa. Esprime il concetto senza alcun indugio lo slogan della stessa candidatura sudafricana, “Africa’s time has come”; lo ribadisce la canzone ufficiale del Mondiale cantata da Shakira e intitolata “Waka waka (This time for Africa)”, la migliore di sempre fra le musiche dei tornei, tratta da un pezzo del 1986 registrato dal gruppo camerunense Golden Sounds, che a loro volta si erano ispirati a vecchie marce militari in uso durante la Seconda guerra mondiale. Terra di limitata tradizione ma di enorme passione calcistica, l’Africa organizza la prima volta la Coppa del Mondo – ed è anche il momento per provare a vincerla?
L’assegnazione dei Mondiali alla Repubblica del Sudafrica avviene nel 2004: per l’obiettivo si spende in prima persona Nelson Mandela, recatosi a Zurigo assieme ad altri due premi Nobel per la pace, l’arcivescovo Desmond Tutu e l’ex presidente de Klerk, oltre al presidente in carica Mbeki. In una sfida tra sole africane, il Sudafrica supera il Marocco, Mandela esulta in mondovisione ed esprime così tutta la sua soddisfazione: “Sono stato ventisette anni nella galera di Robben Island e non potrò mai dimenticarmi quando mi chinavo verso la radio, per ascoltare la cronaca delle partite ai Mondiali”1)Brizzi Riccardo, Sbetti Nicola, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930 – 2018), Le Monnier, 2018.
Negli anni però si accumulano timori sulla riuscita della manifestazione, sia dal punto di vista organizzativo che in termini di sicurezza. Il governo sudafricano non lesina ingenti investimenti per la Coppa, riconoscendo all’evento un ruolo di costruzione dell’unità nazionale (molto traballante nel recente passato) e di promozione a livello internazionale. Proprio nell’anno mondiale il Sudafrica è ufficialmente inserito tra i paesi economicamente emergenti a livello planetario e riuniti nell’acronimo BRICS (Brasile, Russia, India, Cina e appunto Sudafrica). Ma nonostante la crescita economica il paese resta sempre afflitto dagli stessi mali endemici, suoi e di tutto un continente: povertà di vasti settori della popolazione; corruzione fra i vertici politici e amministrativi; violenza diffusa; diffusione dell’AIDS. In ogni caso il Mondiale fila via liscio e registra un’ottima risposta di pubblico nelle nove città e nei dieci stadi – metà nuovi e metà ristrutturati – che ospitano gli incontri. In aggiunta, e per la gioia della FIFA, l’importo della vendita dei diritti tv compie un nuovo salto e raggiunge i 2,4 miliardi di dollari: si calcola che tre miliardi e duecento milioni di persone – quasi la metà degli esseri umani sul pianeta – abbia visto almeno una partita del torneo.
Siamo nell’emisfero australe per cui le condizioni climatiche per il calcio in quella fase dell’anno sono ideali. C’è un po’ di altitudine, come non capitava dal 1986: quattro città sono tra 1200 e 1500 metri, Johannesburg, con due stadi, raggiunge i 1750, ma è comunque cinquecento metri più in basso rispetto Città del Messico. C’è ovviamente molta Africa sparsa un po’ ovunque. Il sorteggio viene condotto dall’attrice sudafricana, ma trapiantata a Hollywood, Charlize Theron, affiancata da vari sportivi africani fra i quali spicca l’etiope due volte olimpionico sui diecimila Haile Gebresilase. Il pallone dell’Adidas si chiama Jabulani, in zulu significa “che porta gioia a tutti”, ma più che gioia attira su di sé svariate critiche per le difficoltà di controllo e, indisponendo i portieri, per le sue traiettorie imprevedibili. Bello il poster che in parte ricorda quello, altrettanto riuscito, di Cile ’62. Meno piacevole l’uso massiccio e protratto delle vuvuzela, sorta di trombe usate in massa negli stadi sudafricani ai fini di incitamento, dal suono forte, monocorde e decisamente fastidioso – però a quanto pare lì sono parecchio apprezzate.
A conti fatti il paese ospitante può pertanto vantare un successo dal punto di vista organizzativo, non altrettanto invece sotto l’aspetto prettamente calcistico, poiché il Sudafrica diventa la prima nazionale ospitante a non passare il primo turno del torneo casalingo. Come testimoniato dalla parole di Mandela, il calcio è stato sempre molto seguito nel paese. È sudafricano il club più antico del continente ancora attivo, il Savages F.C., fondato nel 1882. I Kaizer Chiefs sono la squadra più popolare, giocano a Soccer City – lo stadio della finale – e hanno quale principale antagonista gli Orlando Pirates il club di Soweto, ovvero la popolare township nera di Johannesburg teatro della rivolta del 1976 contro il regime razzista, e non molto lontano dallo stesso Soccer City. Ma la formazione più titolata è ancora un’altra, il Mamelodi Sundowns di Tshwane, cioè Pretoria, quindi non lontano da Johannesburg. La selezione sudafricana del 2010 si imbatte in un girone senza dubbio proibitivo, però il valore della squadra è limitato e lo sottolinea il mancato accesso alla Coppa d’Africa giocata a inizio anno – particolare curioso, il Sudafrica qualificato di diritto come paese organizzatore, partecipa lo stesso alle qualificazioni mondiali perché valevoli anche per disputare il torneo continentale. Il momento d’oro del calcio sudafricano, gli anni del titolo africano e della qualificazione a due Mondiali consecutivi, è già passato più di un decennio prima.
Negli ultimi vent’anni l’Africa ha cominciato a sfornare talenti calcistici di valore assoluto con una certa regolarità e tre di questi, tre attaccanti, sono stati in grado di raggiungere i vertici del calcio internazionale per la prima volta nella storia. George Weah appartiene al ristretto novero di grandi calciatori che non hanno mai partecipato a un Mondiale, sfiorato soltanto nel 2002 con la sua nazionale, la Liberia, mentre in patria infuriava la guerra civile (per di più la seconda esplosa nel giro di pochi anni). Nel disastrato paese africano le spese per organizzare e allestire le partite della nazionale venivano spesso finanziate direttamente dallo stesso Weah2)Charlie Carmichael, George Weah: the Milan diaries, Calcio II magazine – These Football Times. Gioca nel Monaco, nel Paris Saint-Germain, nel Milan, e a metà dei Novanta raggiunge il uso apice; ha fisico e classe, senso del gol, capacità di arretrare e di contribuire alla manovra. Nato in una baraccopoli di Monrovia, Clara Town, Weah è costantemente impegnato nella vita politica e sociale liberiana, sino a diventare prima senatore e poi, nel gennaio 2018, venticinquesimo presidente della Liberia, la repubblica fondata da ex schiavi afroamericani a metà dell’Ottocento.
Analogo interesse alla realtà e ai drammi della propria terra di origine è uno dei tratti distintivi dall’ivoriano Didier Drogba. Nell’ottobre 2005, al termine di una partita contro il Sudan che garantisce alla Costa d’Avorio l’accesso ai Mondiali, il momento di gioia nazionale si trasforma nell’occasione per lanciare un messaggio di pacificazione ad un popolo sconvolto dalla guerra civile: ancora negli spogliatoi Drogba legge di fronte alle telecamere un commovente appello con il quale la selezione ivoriana chiede di deporre le armi e poi si inginocchia assieme a tutti i suoi compagni a implorare la fine delle ostilità, lui del sud abbracciato a Kolo Touré del nord, ovvero le due zone in lotta. L’impatto è enorme, seguiranno degli accordi di pace seppur non sempre rispettati (per cui il conflitto avrà gli ultimi pesanti strascichi a fine 2010). E ancora, nel 2007, Drogba insiste e ottiene di far giocare la squadra ivoriana a Bouaké, roccaforte ribelle del nord durante la guerra, come gesto di riconciliazione e unità nazionale.
“Ai suoi massimi, Didier Drogba era un forza della natura: tutto potenza ed energia, fisicità e spinta instancabile”3)Aidan Williams, A-Z of the 2000s: Didier Drogba, These Football Times. Dopo una lunga gavetta esplode in Francia, poi Mourinho lo vuole al Chelsea: nella squadra londinese colleziona quattro Premier League e quattro Coppe d’Inghilterra, suggellando il percorso con la Coppa dei Campioni edizione 2012 vinta da protagonista, a trentaquattro anni di età. In nazionale Drogba mette a segno sessantacinque reti in 105 presenze, ma raccoglie poche soddisfazioni: sbaglia il suo tiro nei penalty shootout che decidono la finale di Coppa d’Africa del 2006, sbaglia un rigore al settantesimo nella finale del 2012; quando finalmente la Costa d’Avorio conquista il titolo africano, lui ha già mollato da un anno.
Samuel E’too è il miglior calciatore camerunense di sempre. Giovanissimo gioca ai Mondiali e fra i professionisti in Europa e per quanto già forte, migliora con il tempo come il vino buono. Conquista una prima Champions nel 2006; tra il 2008 e il 2010 – e con due maglie diverse, Barcellona e Inter – vince tutto e da titolare inamovibile. Quattro partecipazioni ai Mondiali, due volte campione d’Africa, campione olimpico, quattro volte miglior calciatore africano, dal 2003 al 2005 e nell’anno del Mondiale sudafricano; veloce, imprevedibile, versatile, E’too è stato l’autore di una carriera completa, prodigiosa e al momento ineguagliata fra i giocatori africani.
Trascorsi due decenni dalle allora sorprendenti imprese del Camerun nel corso del Mondiale ’90, il calcio africano ha compiuto indubitabili e decisi passi in avanti, frammisti a errori, contraddizioni, autentici drammi, nel più puro stile del continente. La storia dell’Africa del periodo è stata una storia di crescita economica e progressi, alternati alle guerre civili – sono citate sopra appena un paio fra le tante –, all’inenarrabile carneficina della Seconda guerra del Congo, all’effetto devastante dell’AIDS che infetta e uccide milioni soprattutto nell’Africa subsahariana, alla fuga di massa verso l’Europa o altre parti del mondo meno turbolente. Il calcio africano cresce e si avvita in questo ambiente.
È il 9 maggio 2001 e all’Accra Sport Stadium, in Ghana, si gioca la sentita sfida tra Hearts of Oak e Asante Kotoko. Verso la fine dell’incontro alcuni tifosi del Kotoko iniziano a lanciare oggetti in campo, quindi la polizia reagisce in modo eccessivo e indiscriminato, sparando lacrimogeni e proiettili di gomma; la folla fugge ma trova le uscite dello stadio sbarrate, il bilancio dei disordini è pesante, centoventisei morti. Il tragico evento è solo l’ennesimo episodio di violenza che affianca il calcio in Africa, seppur il più sanguinoso in termini di vittime.
Durante la Coppa d’Africa dell’anno mondiale programmata in Angola, il bus che trasporta la selezione togolese è assaltato a colpi di mitragliatrice da guerriglieri separatisti al confine tra il Congo e il paese organizzatore: muoiono l’autista, due membri dello staff, si contano diversi feriti anche fra i giocatori, e ovviamente il Togo si ritira dalla competizione. Particolarmente tragica risulta la Coppa d’Africa per la nazionale del Togo che solo tre anni prima, dopo una partita di qualificazione, aveva perso diversi membri della propria delegazione nell’esplosione di un elicottero che li trasportava.
Talvolta giungono di notizie di fatti meno tristi, tuttavia in sé piuttosto allarmanti. L’ex portiere camerunense N’Kono è in Mali per la Coppa d’Africa nell’anno 2002, al seguito della sua nazionale. Poco prima della semifinale contro la squadra di casa – per la cronaca, vincerà il Camerun tre a zero – N’Kono è visto a bordo campo mentre lascia cedere qualcosa a terra; allora i locali si allarmano, sospettano sia in corso un sortilegio e pertanto richiedono l’intervento delle forze dell’ordine che bloccano N’Kono e lo portano via in stato di arresto: l’accusa, stramba quanto inquietante, è di magia nera.
E allora anche la sfida di qualificazione fra Algeria ed Egitto per la Coppa del Mondo 2010 si trasforma in un nuovo capitolo delle tensioni, all’apparenza eccessive e immotivate, che periodicamente investono il calcio africano. Rivali calcistici – e non solo – da tempo4)Vedi infra Italia 1990: II. Leoni d’Africa – Leoni d’Inghilterra, algerini ed egiziani sono nello stesso girone e si giocano l’unico posto per il Mondiale con le meno quotate Zambia e Ruanda. A giugno 2009 l’Algeria supera in casa l’Egitto tre a uno, e fin qui tutto tranquillo. Al ritorno in programma al Cairo, però, la tensione è montata, complice la situazione di classifica con gli algerini davanti agli egiziani e un solo incontro da disputare, e scoppia quindi un pandemonio: prima dell’incontro il bus degli algerini è attaccato dai sostenitori avversari, tre giocatori e un membro dello staff sono feriti, ma gli egiziani sostengono sia solo una balla; ci sono scontri che seguono la partita – si parla di morti, non confermati -, atti di violenza nei due paesi e altresì nelle periferie delle metropoli francesi. Di fronte a una folla delirante e intimidatoria l’Egitto batte l’Algeria due a zero con il gol di Moteab siglato al novantacinquesimo, il che significa pari punti, pari gol fatti e pari gol subiti. Si rende necessario uno spareggio in terra neutrale: per sorteggio sceglie l’Egitto che indica il Sudan, per cui le due nazionali si incontrano il 18 novembre del 2009 a Omdurman, cioè sulla sponda opposta del Nilo rispetto alla capitale Khartoum. Attorno e dentro lo stadio ci sono quindicimila militari. Non si ripetono disordini e l’Algeria conquista l’accesso alla Coppa grazie a un gol di Yahia che in parte ricorda quello di van Basten nella finale europea del 1988, e grazie anche alle parate del suo estremo difensore Chaouchi.

Anche stavolta, come accade dal 1990, gli egiziani seguiranno la Coppa soltanto dalla televisione. Quale piccola vendetta, a inizio 2010 l’Egitto riuscirà a superare l’Algeria quattro a zero nella semifinale di Coppa d’Africa. La selezione egiziana infatti domina la massima competizione africana da tre edizioni consecutive, durante le quali batte in finale tutte le altre grandi del calcio continentale: nel 2006 organizza la competizione e sconfigge ai rigori la Costa d’Avorio dopo lo zero a zero dei centoventi minuti; nel 2008 sconfigge il Camerun uno a zero e con lo stesso risultato regola il Ghana nella finale due anni dopo. Ma sono affermazioni che perdono un po’ di valore se raffrontate alla protratta assenza dell’Egitto dai Mondiali.
Ai nastri di partenza di Sudafrica 2010 si incontrano sei africane: oltre ai padroni di casa, ci sono le nazionali di Algeria, Camerun, Costa d’Avorio, Ghana e Nigeria – tutte, salvo gli algerini, con tecnici provenienti da altri continenti. E con l’eccezione della selezione ghanese, il Mondiale africano risulta piuttosto indigesto per le africane.
La Costa d’Avorio si sta imponendo nel panorama calcistico e torna così al campionato del Mondo dopo soli quattro anni dall’esordio. Sono importanti i risultati di questa selezione raccolti anche in Coppa d’Africa: finale 2006; semifinale nel 2008, sconfitta sempre dall’Egitto ma nell’occasione piuttosto nettamente. Due anni dopo la Coppa del 2010, ecco presentarsi la grande occasione: la Costa d’Avorio approda in finale del torneo africano vincendo tutte le sfide e senza incassare un gol; di fronte ha la sorpresa Zambia, guidato da Hervé Renard, che in semifinale ha battuto il Ghana. La finale termina zero a zero e lo Zambia ottiene ai rigori un insperato e storico trionfo e proprio lì in Gabon, a Libreville, ovvero a poche centinaia di metri dal luogo in cui nel 1993 un incidente aereo aveva distrutto la nazionale zambiana. La Costa d’Avorio finalmente sconfiggerà il Ghana e conquisterà la Coppa d’Africa del 2015, ventitré anni dopo l’ultima vittoria, e stavolta con Renard seduto sulla panchina giusta.
Considerata come la più attesa fra le squadre africane, la Costa d’Avorio era già temibile nel 2006 ma nel 2010 è ulteriormente cresciuta, forte di un organico di prim’ordine capace in teoria di portarla parecchio avanti. Oltre a Drogba, gli ivoriani vantano un centrocampista centrale, a volte trequartista, dal fisico imponente, tecnicamente completo e di sicura classe: si chiama Yaya Touré, dal 2011 al 2014 è eletto come miglior giocatore d’Africa, milita nel Barcellona ma dopo il 2010 indosserà per tanti anni la maglia del Manchester City. Assieme al valido fratello Kolo Touré, difensore e capitano della selezione, raggiungeranno in totale 222 presenze in nazionale. Poi in attacco può contare su Kalou del Chelsea, e impressiona il giovane Gervinho. Però la selezione è afflitta dai problemi gestionali che sono ancora abbastanza consueti all’interno delle federazioni calcistiche africane. Il tecnico bosniaco Halilhodzic, da due anni sulla panchina ivoriana, viene esonerato a fine febbraio 2010 a causa dei risultati poco soddisfacenti ottenuti in Coppa d’Africa. Al suo posto è ingaggiato il francese Troussier, già allenatore della squadra sedici anni prima, ma dura solo un mese, e quindi è il turno di Sven-Goran Eriksson. In due mesi il pur esperto tecnico svedese dovrebbe imbastire la squadra – tra l’altro composta da uomini impegnati sino all’ultimo nelle leghe europee -, darle un senso e guidarla alla fase finale della Coppa del Mondo. Non funziona.
Per quanto sorteggiata in un girone obiettivamente difficile, la Costa d’Avorio delude poiché esce già al primo turno. La sfida con il Portogallo rappresenta una specie di spareggio, considerando la presenza nel raggruppamento del Brasile, e finisce a reti bianche. Non accade granché: nel complesso preme di più la Costa d’Avorio e Gervinho costituisce una continua spina nel fianco della difesa lusitana; l’occasione da rete migliore dell’incontro è un tiro di Cristiano Ronaldo che, al decimo minuto del primo tempo, tocca il palo ed esce. Drogba parte dalla panchina perché pochi giorni prima dell’esordio, in amichevole, si è infortunato a un braccio; entra in campo, gioca con un tutore speciale, e allo scadere ha la palla buona: l’ivoriano penetra in area sulla sinistra, giunge quasi prossimo al portiere e passa in mezzo anziché concludere a rete – ma in mezzo, dei suoi, non c’è nessuno. Il risultato di parità lascia qualche rimpianto in dote agli ivoriani che ora sono attesi dal Brasile.
In questo secondo incontro Drogba è schierato dall’inizio mentre a sorpresa Gervinho è lasciato in panchina ed entra in campo a risultato ormai compromesso. Al minuto venticinque Kakà libera in area Luis Fabiano che, defilato sulla destra, scaglia una fiondata dritta all’angolino della porta ivoriana. Raddoppia lo stesso Luis Fabiano con una pregevole azione personale nella quale salta tre uomini – due con un sombrero, l’altro con un colpo di petto – poi, non pago, completa il tutto sistemandosi in modo veloce e astuto la palla con l’avambraccio, prima di infilarla in rete. Il terzo gol, marcato da Elano, è frutto di un nuovo assist di Kakà e poco prima del fischio finale sempre Kakà viene ingiustamente espulso per aver allontanato da sé con il gomito Keita, il quale però simula vergognosamente un colpo in faccia. Drogba accorcia di testa su assist di Yaya Touré, finisce quindi tre a uno.
La vittoria sui nordcoreani per tre a zero nell’ultimo incontro non basta agli ivoriani perché dall’altra parte portoghesi e brasiliani hanno pareggiato (ma la Costa d’Avorio era pure gravata da una differenza reti nettamente peggiore rispetto a quella dei portoghesi). La Costa d’Avorio riuscirà a raggiungere anche la fase finale dei Mondiali del 2014, ma sarà ancora una volta, come nel 2010 e come quattro anni prima, eliminata durante la prima fase.
Esce durante la fase a gironi anche il Camerun, e quasi senza colpo ferire, con tre sconfitte su tre partite. Stesso destino attende la Nigeria che almeno un pareggio lo ottiene, ma getta al vento le sue possibilità nella seconda sfida che la vede opposta alla Grecia: nel primo tempo, con i suoi avanti di un gol, il nigeriano Kaita sferra un inutile calcio a gioco fermo verso Torosidis e viene giocoforza espulso – forse non l’ha neanche preso, il greco, ma il gesto è stato inequivocabile; dieci minuti dopo la Grecia perviene al pareggio grazie a una decisiva deviazione di un giocatore nigeriano, e poi nella ripresa lo stesso Torosidis marca il gol della vittoria su errore del portiere avversario. È la prima vittoria in Coppa del Mondo della Grecia, ancora allenata dall’anziano Reaghel, ma entrambe le selezioni, al termine del girone, vanno fuori.
A riscattare l’onore calcistico di un intero continente pazzo del gioco ci pensano le stelle nere del Ghana, ancora una volta – come quattro anni prima nel Mondiale tedesco – le uniche a brillare tra le africane al di là delle colonne d’Ercole rappresentate dalla fase a gironi. Conferma l’alto livello raggiunto dal calcio ghanese il fatto che la selezione superi un girone difficile composto da due europee e dall’Australia, la sorpresa dello scorso torneo. Un girone che si rivelerà combattuto e divertente.
Terzo ai Mondiali under-17 del 1999, finalista ai Mondiali under-20 due anni dopo con una squadra che annoverava tra le proprie fila Essien, Paintsil, Muntari, Boateng, il Ghana ha preparato da tempo le sue fortune calcistiche. In tale frangente riveste un ruolo di primo piano l’Academy del club ghanese Liberty Professionals, fondata nel 1996, un’autentica fucina di talenti. E nel 2009 arriva il titolo di campione del Mondo giovanile, dopo aver battuto in finale il Brasile ai rigori. In Sudafrica manca Essien, colonna del centrocampo del Chelsea; in compenso ci sono altri efficaci centrali di metà campo quali Annan e Boateng. In avanti iscrive il proprio nome fra i migliori attaccanti del campionato Asamoah Gyan, uno dei frutti dell’Academy, punto di riferimento unico per le azioni offensive della nazionale e capace di raggiungere in carriera il record di presenze e di gol con la maglia del Ghana. Una altro attaccante che si distingue al Mondiali è Andrè Ayew, che è il figlio di Abedi, detto non a caso Abedi Pelè: costui è stato un centrocampista offensivo che come fama ha preceduto nel tempo gli altri tre grandi africani di cui sopra, risultando per tre volte di fila il miglior giocatore del continente (’91, ’92, ’93, anni in cui milita nell’Olympique Marsiglia); è il miglior calciatore ghanese di sempre.
All’esordio la selezione ghanese è attesa dalla Serbia, ovvero il paese del suo allenatore, Rajevac. Gyan è il mattatore dell’incontro e combina tutto nel secondo tempo: prende il palo di testa; determina l’espulsione di Lukovic per doppia ammonizione; a cinque dal termine Kuzmanovic tocca di mano in area, Gyan va sul dischetto e segna, e poi colpisce di nuovo il palo su azione di contropiede. La vittoria del Ghana per uno a zero è importantissima ai fini della qualificazione. Nell’altra sfida del girone, la Germania schianta quattro a zero un’Australia rimasta per quasi un tempo intero in dieci, causa espulsione di Chaill: segnano Podolski, Klose, Muller (una realizzazione di pregevole tecnica, poiché manda a vuoto il difensore, arretra, si avvita e riesce a concludere mettendo la sfera rasoterra all’angolino basso) e poi chiude Cacau.
Sembra un girone di prima fase dal destino segnato, ma in realtà è un gruppo di squadre più equilibrato di quanto si pensi e infatti tutto si ribalta nel corso del secondo turno. Serbia – Germania esprime il proprio momento decisivo sul finire del primo tempo: al trentasettesimo è espulso Klose per doppia ammonizione, un minuto dopo segnano i serbi con Jovanovic. Seppur in dieci la Germania attacca lo stesso e prima dell’intervallo un tiro di Khedira coglie la traversa. Nella ripresa avanza ancora la Germania e Podolski manda fuori la sfera, di un niente, in ben due occasioni. Poi i tedeschi guadagnano un calcio di rigore fischiato per un nuovo fallo di mano serbo in area, stavolta per colpa di Vidic, che milita nel Manchester United – i serbi schierano una gran bella difesa composta da Kolarov, Vidic, Ivanovic, Subotic. Il rigore è calciato da Podolski, il quale evidentemente non è in una delle migliori giornate dalla carriera, e pertanto il portiere serbo Stojkovic para il tiro. Infine è la Serbia a sfiorare il raddoppio con due azioni costruire sull’asse Krasic – Zigic, ma in un caso la palla sbatte sul palo, nell’altro vola poco oltre la traversa tedesca.
Invece il Ghana non va oltre il pari contro l’Australia, passata in vantaggio dopo pochi minuti di gioco e all’apparenza padrona del campo. Però a metà del primo tempo Kewell, sulla linea di porta australiana, respinge un tiro ghanese con il braccio un po’ troppo largo, rimediando così espulsione e rigore per gli avversari. I ghanesi non sanno di vivere una semplice anteprima di quanto avverrà di lì a pochi giorni, in circostanze ben più drammatiche. Gyan va sul dischetto, segna, e il parziale di uno a uno regge sino al termine.
Pertanto il Ghana con quattro punti precede Serbia e Germania, appaiate a tre punti, e l’Australia che chiude la classifica con un punto. La sfida fra Germania e Ghana offre innanzitutto l’inedito incrocio in campo di due calciatori fratelli ma con addosso le maglie di nazionali diverse. Si tratta di Jerome e Kevin-Prince Boateng, nati dallo stesso padre di origine ghaniana e da due diverse madri tedesche, e cresciuti entrambi in Germania; ma il Boateng ghanese, Kevin-Prince, dopo aver giocato diverse partite con le giovanili tedesche ha scelto la nazionale africana ed è anche il responsabile del fallo su Ballack durante la finale di Coppa d’Inghilterra che è costato al regista tedesco la presenza al Mondiale sudafricano. Sul terreno di gioco le squadre mostrano di equivalersi, lottano, si propongono in avanti. Nel primo tempo Ozil spreca una grossa occasione tirando addosso al portiere, mentre Lahm salva sulla linea un pallone indirizzato di testa da Gyan che aveva ormai superato l’estremo tedesco Neuer. Nella ripresa Asamoah, una volta davanti al portiere, replica quanto fatto in precedenza da Ozil, il quale però al sessantesimo porta in vantaggio i suoi con un gran tiro scoccato poco fuori dall’area. Ayew avrebbe sui piedi la palla del pareggio ma Lahm in scivolata opera una deviazione decisiva. Vince la Germania uno a zero. La Serbia, che alla viglia dell’ultimo turno pareva la naturale favorita al superamento del girone in virtù dell’incontro sulla carta più abbordabile, invece perde due a uno a fronte di una rinata selezione australiana che nell’occasione riesce finalmente a chiudere un incontro in undici uomini. Entrambe comunque tornano a casa, poiché il Ghana, secondo dietro ai tedeschi, ha gli stessi punti dell’Australia ma una differenza reti migliore. Negli ottavi di finale il Ghana affronterà gli Stati Uniti d’America.

Sudafrica 2010, in netta discontinuità con l’esperienza di quattro anni prima, registra sul campo sin dalle prime battute uno scarto ridotto fra le contendenti e una protratta incertezza nell’esito della maggior parte dei gironi di prima fase, che meritano pertanto un degno resoconto sul loro svolgimento. Non sfugge a questa legge il raggruppamento che include i prossimi avversari del Ghana, appunto gli USA, accompagnati da Inghilterra, Slovenia e dalla compagine africana non ancora posta sotto i riflettori, ovvero l’Algeria.
Sessant’anni dopo la storica e sbalorditiva vittoria degli americani sugli inglesi nel corso del Mondiale brasiliano, Inghilterra e Stati Uniti si ritrovano in una fase finale di Coppa del Mondo e questa volta finisce uno a uno: il vantaggio degli europei è siglato da Gerrard, poi un tiro innocuo di Dempesy si trasforma in gol grazie alla papera del portiere inglese Green. Dempsey non ha avuto una vita semplice prima di sfondare nel mondo del calcio, è cresciuto infatti in un trailer park, sorta di baraccopoli formate da camper dismessi o analoghi surrogati di abitazione, e diffuse un po’ in tutti gli USA; ha sofferto poi il lutto della perdita di un’amata sorella in giovane età, e il suo ricordo motiva Dempsey nella vita sportiva. Slovenia – Algeria è una partita che si decide negli ultimi venti minuti e viene letteralmente gettata al vento dalla squadra africana. L’algerino Ghezzal, entrato da un quarto d’ora in campo e già ammonito, compie un’inutile quanto plateale fallo di mano in area avversaria, prende il secondo giallo e lascia i suoi in dieci; poi Koren calcia da fuori, il portiere Chaouchi – artefice della qualificazione – è nettamente sulla palla ma gli sfugge, compiendo così l’ennesimo grave errore di un portiere in questa prima fase del torneo, e consentendo la vittoria degli sloveni.
Seconda giornata. Contro gli Usa, alla fine della prima frazione la Slovenia è avanti di due gol (Birsa, Ljubijankic), a punteggio pieno in classifica e con il vento in poppa; ma un’ora più tardi il punteggio dell’incontro è aggiornato sul due a due grazie alle reti statunitensi di Donovan e di Bradley, questa segnata a pochi minuti dal termine. I portieri di Inghilterra e Algeria schierati nel primo incontro pagano immediatamente le loro colpe e vengono sostituti per il resto del torneo da James e da M’Bolhi. Il risultato finale di Inghilterra e Algeria è zero a zero, il nuovo portiere algerino si difende bene, ma i nordafricani hanno un attacco sterile e non saranno in grado di segnare neanche un gol in tutto il torneo.
Alla viglia dell’ultima giornata tutte le squadre del girone sono ancora in corsa; la Slovenia con quattro punti è avanti, ma sbatte contro un’Inghilterra decisamente più efficace e intraprendente rispetto alle due prestazioni precedenti, capace di imporsi uno a zero con gol di Defoe, ma potenzialmente in grado di segnarne anche di più. Stati Uniti – Algeria è allora la partita che risolve questo intricato girone. Le due squadre si affrontano con pari vigore e intensità: nel primo tempo Djebbour per l’Algeria prende la traversa, mentre un gol di Dempsey è annullato per fuorigioco, ma in realtà era buono; ancora Dempsey, nella ripresa, tira sul palo, poi si ritrova la palla sui piedi e mezza porta algerina spalancata, ma spara fuori. Quando inizia il recupero post-novantesimo, gli Stati Uniti sono fuori, due punti dietro in classifica rispetto gli sloveni. In quei minuti si decide tutto: gli americani colgono gli algerini in contropiede, Donovan conduce l’azione e la palla giunge quindi in mezzo ad Altidore che conclude, para il portiere, riprende la sfera Donovan e la mette in rete. Una vittoria all’ultimo respiro che consegna agli USA non solo il passaggio del turno ma anche il primo posto del girone, davanti all’Inghilterra.
Ragionando sugli uomini che può assemblare in campo in quel 2010, la nazionale statunitense è probabilmente, e sino ad oggi, la migliore di sempre: Howard in porta; Bocanegra in difesa; Donovan, Michael Bradley e Dempsey a metà campo; Altidore in attacco. L’allenatore è Bob Bradley, il padre di Michael. In virtù del titolo di campioni nord e centroamericani ottenuto nel 2007, gli statunitensi partecipano alla Confederations Cup che si disputa in Sudafrica nel 2009. Due sconfitte iniziali non impediscono agli USA di approdare in semifinale e di battere a sorpresa la Spagna per due a zero grazie alla reti di Altidore e Dempsey, e poi ancora in finale di sfiorare l’impresa contro il Brasile. Il primo tempo della partita si chiude sul due a zero a favore degli Stati Uniti con le reti marcate da Dempsey e Donovan; nella ripresa Kakà sale in cattedra, e gli USA prima sono raggiunti da una doppietta di Luis Fabiano, poi superati dal gol decisivo di Lucio. Sempre nel 2009 gli USA sono ancora in finale di Gold Cup ma crollano cinque a zero al cospetto del Messico, lo storico rivale.
Ghana – Stati Uniti si gioca a Rustenburg. Nei Mondiali del 2006 i ghanesi hanno eliminato gli americani durante la fase a gironi, poi si incontreranno ancora nel 2014 dando così vita a un piccolo classico del calcio mondiale dell’epoca. Intanto, gli elevati quanto sorprendenti ascolti tv negli States per seguire le imprese della nazionale a stelle e strisce sono una spia evidente della crescita di interesse calcistico nel paese.
La partita. Al quinto minuto Boateng recupera palla a centro campo, galoppa, avanza, e al limite dell’area conclude basso, nell’angolino, regalando agli africani il gol del vantaggio. Gli americani non funzionano – Asamoah sfiora il raddoppio, con Howard che salva di piede la propria porta; già alla mezzora il ct degli USA inserisce Edu per Clark e all’intervallo toglie Findley e manda in campo Feilhaber. I cambi danno i loro frutti e gli USA pervengono al pareggio su rigore segnato da Donovan e fischiato a causa di un’entrata di Mensah su Dempsey. Adesso gli americani, che hanno ottenuto la terza rimonta nel corso del torneo, giocano meglio una ripresa speculare al primo tempo; Bradley ha un’occasione simile a quella occorsa a Mensah, conclude male e il portiere Kingson blocca. Un tempo a testa, si passa ai tempi supplementari, mentre la telecamera inquadra Bill Clinton e Mick Jagger a chiacchierare fianco a fianco in tribuna. Trascorrono soltanto tre giri di orologio e si decide la sorte dell’incontro: palla lanciata in avanti da Appiah – entrato nella ripresa al posto di Boateng -, Gyan è abilissimo a infilarsi tra Bocanegra e DeMerit, controllare di petto e infilare di sinistro in rete. Il risultato non cambia più sino al novantesimo, il Ghana vince due a uno e passa ai quarti di finale.
È così l’Africa ha trovato gli eroi del Mondiale di casa. Tutto un continente si appresta a tifare i nazionali ghanesi che hanno fatto l’impresa qualificandosi fra le prime otto squadre al mondo, la terza africana di sempre che ci riesce: l’obiettivo, lo scoglio mai toccato prima cioè l’approdo in semifinale, pare a portata di mano perché this time is for Africa. All’orizzonte si staglia una strepitosa partita.
18 dicembre 2021
References
1. | ↑ | Brizzi Riccardo, Sbetti Nicola, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930 – 2018), Le Monnier, 2018 |
2. | ↑ | Charlie Carmichael, George Weah: the Milan diaries, Calcio II magazine – These Football Times |
3. | ↑ | Aidan Williams, A-Z of the 2000s: Didier Drogba, These Football Times |
4. | ↑ | Vedi infra Italia 1990: II. Leoni d’Africa – Leoni d’Inghilterra |