La splendida contesa fra le nazionali di Italia e Francia, che ha chiuso l’ultimo Mondiale con tutto il suo carico di pathos, pare non avere sosta. Sorteggiate nello stesso girone di qualificazione per gli Europei previsti nel 2008, le due selezioni scendono in campo ad appena due mesi dalla finale di Berlino. Si gioca in uno Stade de France tutto esaurito, gli azzurri sono ancora evidentemente con la pancia piena e l’occasione per i bleus di prendersi una piccola, immediata rivincita, è troppo ghiotta: avvio vibrante dei francesi che dopo poco più di un quarto d’ora sono già avanti due a zero (Govou, Henry), accorcia Gilardino, poi chiude ancora Govou nella ripresa per il definitivo tre a uno. L’incontro di ritorno in programma a Milano è uno zero a zero poco emozionante. Si qualificano entrambe per la rassegna continentale, ma passa come prima l’Italia, in rimonta.
Senza chiedersi troppo attraverso quali insulsi criteri l’Uefa abbia determinato la griglia di partenza della propria competizione, la squadra campione del Mondo e quella vice-campione si trovano nuovamente una di fronte all’altra già nel girone della prima fase a Euro 2008. È la terza partita del girone, quella decisiva poiché entrambe sono reduci da una sconfitta e un pareggio: l’Italia domina i francesi – ridotti in dieci per buona parte dell’incontro – e chiude due a zero grazie ai gol di Pirlo e De Rossi.
Ma in realtà si sta assistendo ad un’illusione. La convinzione che italiani e francesi siano ancora in grado di giocarsi i principali tornei internazionali viene minata non solo, o non tanto, dall’esito di quegli Europei, bensì dai magri risultati ottenuti dalle due compagini a Sudafrica 2010. È la conferma, forse intuita da alcuni ma taciuta dai più, che la Coppa del 2006 ha rappresentato per entrambe l’ultima grande recita di una prodigiosa generazione calcistica. La Francia saprà ricostruire una nuova nazionale, evidenziandone le potenzialità già nel buon Mondiale disputato quattro anni dopo quello africano, e andando in crescendo. L’Italia no – o più correttamente, non nello stesso lasso di tempo -, e nonostante la presenza in rosa di uomini come Buffon e Pirlo, ancora ad alti livelli, ma qui in Sudafrica per gran parte del tempo solo spettatori.
Superata nel girone di qualificazione dalla Serbia, la selezione francese ancora guidata da Domenech deve passare dallo spareggio per approdare al Mondiale. La attende l’Eire allenata da Trapattoni, a sua volta giunta seconda in un girone di qualificazione vinto con facilità da un’Italia imbattuta. Siamo nel novembre 2009 e la partita di andata a Dublino è vinta dalla Francia uno a zero grazie a un tiro di Anelka deviato da un avversario e così terminato a fil di palo. Sembra una pratica agevole per i bleus ma al ritorno, a Parigi, l’Irlanda pareggia il conto nel primo tempo con un gol di Robbie Keane su assist di Duff. I francesi non sono in serata e in alcuni frangenti rischiano il crollo. La partita si allunga ai supplementari. Sul finire del primo tempo i francesi battono un calcio di punizione nella metà campo irlandese: la palla calciata da Malouda arriva in un’area affollata, sulla sinistra, dove Henry, per evitare che esca sul fondo, la aggiusta velocemente un paio di volte con la mano; poi passa in mezzo a Gallas che quasi sulla linea mette in rete di testa. Gli irlandesi corrono verso l’arbitro lamentando il fallo, Trapattoni sbraita (a ragione) dalla panchina, ma lo svedese Hansson convalida il gol mimando di aver visto un tocco di petto. Uno a uno e la Francia va ai Mondiali.
Nei giorni seguenti si parla moltissimo dell’episodio – che con ogni probabilità ha dato un buon contributo al processo di utilizzo dei filmati nel corso delle partite. La federazione irlandese e anche il primo ministro chiedono la ripetizione dell’incontro, oppure la qualificazione straordinaria dell’Eire come trentatreesima squadra; per non creare un clamoroso e ingestibile precedente, la FIFA inevitabilmente rifiuta: la partita è stata conclusa, il risultato omologato e le decisioni dell’arbitro assunte sul terreno di gioco non sono in alcun modo appellabili. Henry ammette pubblicamente il fallo e paventa addirittura l’abbandono della nazionale a causa delle polemiche, criticando nel contempo la sua federazione per la mancanza di supporto una volta entrato nell’occhio del ciclone. E viste non solo le premesse ma soprattutto gli esiti, forse era davvero meglio che la Francia avesse saltato quell’edizione del Mondiale…
Il girone dei francesi in Sudafrica è tutt’altro che agevole, considerando al riguardo che la squadra meno quotata del gruppo è rappresentata dai padroni di casa. Sono proprio i sudafricani ad inaugurare il torneo l’undici giugno del 2010, incrociando a Johannesburg la selezione messicana: si gioca al Soccer City Stadium, impianto ampiamente ristrutturato per il Mondiale e soprannominato Calabash perché nella forma esterna ricorda – volutamente – la tipica pentola africana così chiamata. Ospiterà anche la finale e lo storico quarto tra Uruguay e Ghana. In questo incontro inaugurale gli episodi salienti accadono nella ripresa: vantaggio sudafricano con Tshalabala, nato lì vicino, nella popolare township di Soweto, pareggio messicano a dieci dal termine grazie a Rafa Marquez, beatamente lasciato solo dai difensori avversari in piena area di rigore. Sul finire del tempo i sudafricani, allenati dal brasiliano Parreira, colgono anche un palo. Si risolve in un pareggio anche l’altro incontro che vede opposte Francia e Uruguay. In campo non accade tantissimo ma si ammira fra i sudamericani un Forlan davvero in magnifica condizione; in ogni caso lo zero a zero può andare bene a entrambe, siccome lascia tutte le formazioni ferme a un punto.
È l’Uruguay a compiere il primo serio balzo verso gli ottavi di finale battendo il Sudafrica tre a zero nella seconda giornata del girone. Nel primo tempo Forlan realizza un gran gol con un tiro da lontano; nella ripresa viene espulso il portiere africano Khune per fallo su Suarez solo davanti alla porta, e Forlan calcia in rete il relativo rigore; nel recupero segna Pererira su assist di Suarez, che sta iniziando a mostrare tutto il suo valore al mondo del calcio.
Messico – Francia è invece il passaggio chiave nel Mondiale dei bleus. Sin dall’avvio i francesi rischiano a più riprese lo svantaggio al cospetto di un Messico vivace e fisicamente in forma, capace di presentarsi spesso al tiro ma un po’ carente nella mira al momento decisivo. Nel secondo tempo Domenech lascia Anelka in panchina e manda in campo Gignac. Anelka doveva essere uno dei protagonisti della selezione francese, dopo aver preso il posto da titolare di Henry poco prima dell’avvio del torneo; è un attaccante piuttosto noto in quegli anni, di sicuro talento, ma vagamente incostante e che comunque ha sempre un po’ lasciato a desiderare, viste le premesse. È in forza al Chelsea, dove un anno prima della Coppa ha vissuto la sua stagione migliore cogliendo il titolo di capocannoniere in Premier League, e in precedenza è stato anche all’Arsenal e al Real Madrid. Anelka ha un carattere non semplice che è stato probabilmente tratteggiato bene da Del Bosque quando lo ha definito un ragazzo confuso, che vive in un mondo suo1)Daniele Manusia, Incomprensibile Anelka, l’Ultimo Uomo. Ad ogni modo nel secondo tempo la nazionale francese va a picco: segna Hernandez, lanciato da Rafa Marquez con trenta metri di campo libero di fronte; raddoppia Blanco su rigore – entrambi i marcatori sono provenienti dalla panchina. Il due a zero finale costituisce la prima vittoria di sempre che il Messico riesce a ottenere sulla Francia.
È davvero difficile individuare un reparto della squadra francese che sia uscito indenne dalla sconfitta, ma nonostante ciò negli spogliatoi dei bleus è avvenuto pure di peggio rispetto al campo. Durante l’intervallo Anelka ha litigato pesantemente con l’allenatore e lo ha mandato affanculo, aggiungendo epiteti poco gentili nei confronti della madre dello stesso. Ecco il motivo della sostituzione, oltre a una prestazione palesemente scarsa. Nel dopo partita Anelka rifiuta di porgere le sue scuse a Domenech e genitrice, e quindi la federazione francese lo rimanda a casa; l’Equipe riporta tutta la vicenda in prima pagina. Il giorno seguente va in scena una protesta mai vista. Nel corso di una seduta pubblica, e quindi di fronte alla stampa, la selezione francese rifiuta di iniziare l’allenamento; Evra, il capitano, viene quasi alle mani con Robert Duverne, il preparatore atletico2)David Hytner, World Cup 2010: French revolt leaves Raymond Domenech high and dry, The Guardian – serve l’intervento del ct per dividerli – e poi tutti i giocatori si rifugiano sul bus della squadra. Qui preparano un comunicato nel quale esprimono il loro umore: Anelka è stato espulso senza ascoltare preventivamente i giocatori ma soltanto sulla base delle ricostruzioni dei giornalisti; inoltre qualcuno dello staff tecnico è il responsabile della fuga di notizie verso i media. Quindi è il tecnico Domenech a presentarsi di fronte ai microfoni per leggere il comunicato dei suoi giocatori – e lo fa con stile invidiabile vista la situazione, non c’è niente da dire – prima che la nazionale ritorni in albergo. È evidente come Domenech abbia perso in toto il controllo della squadra. E forse anche da parecchio tempo: già alla vigilia della gara di esordio, durante un allenamento, Evra aveva dovuto trattenere Malouda dallo scagliarsi contro il tecnico3)Dan Davis, The mutiny of les bleus: how France capitulated at the 2010 World Cup, These Football Times ; si è scritto altresì di un ammutinamento guidato da Henry nel settembre precedente, prima di una partita contro la Romania valida per le qualificazioni mondiali.
La Francia è parecchio in bilico ma non ancora matematicamente fuori, i giocatori riprendono ad allenarsi, ma ormai compongono una truppa chiaramente allo sbando. Nel terzo incontro, dopo venti minuti il Sudafrica è già vantaggio grazie alla rete di testa di Khumalo. Passano cinque minuti e la Francia resta in dieci a causa dell’espulsione di Gourcuff, reo di una gomitata sul volto del sudafricano Sibaya: Gourcuff doveva essere lo Zidane di questa nazionale, ma si manterrà – qui come nel futuro – piuttosto distante dalle gesta del suo predecessore. Sul cartellino rosso Domemech ha le mani sul volto, la selezione francese si è sciolta come neve al sole e prima dell’intervallo il Sudafrica raddoppia con Mphela.
Dall’altra parte un Uruguay in costante crescita, che saprà chiudere il girone in testa e senza gol al passivo, sta battendo il Messico con un gol di Suarez. Per passare al turno successivo, la selezione sudafricana dovrebbe sperare in un passivo peggiore del Messico – ma finirà uno a zero per gli uruguaiani – oppure vincere la propria partita per quattro a zero. Di fronte a questa Francia e con un uomo in più in campo, l’impresa non pare impossibile, e il Sudafrica nel secondo tempo ci prova davvero: su assist di Tshabalala, Mphela fallisce una grossa opportunità davanti al portiere francese Lloris; poi è ancora Lloris ha salvare i suoi dalla probabile umiliazione con una bella parata su tiro da fuori sempre di Mphela. È però Malouda a gelare le speranze sudafricane quando insacca il primo e unico gol francese della manifestazione. Prima della fine Tshabalala, probabilmente il migliore dei suoi nel torneo, ha un’altra occasione ma la rete è negata nuovamente da un’efficace intervento di Lloris. Finisce due a uno e agli ottavi di finale passa il Messico. La partita rappresenta anche l’ultima e triste presenza con la maglia blu della nazionale di Thierry Henry, poi molto criticato in patria per non aver esercitato la sua influenza e la sua esperienza nel tentare di frenare la ribellione dei compagni di squadra.
Al ritorno in Europa arrivano inevitabili le squalifiche per i capi della rivolta, ma nemmeno troppo dure: Evra starà lontano dalla nazionale per cinque partite, Ribery per tre, Toulalan per una soltanto. La federazione francese fa intendere che le responsabilità del clima avvelenato e infuocato in terra africana non sono da addebitare esclusivamente ai giocatori: Blanc sostituisce Domenech sulla panchina, era già previsto prima del torneo, ma forse con po’ di lungimiranza in più si poteva correre il rischio di anticipare la decisione prima del campionato. Chi invece non la passa liscia è Anelka, che becca diciotto giornate di squalifica e non vedrà mai più la maglia della nazionale.

Fuori al primo turno, come non avveniva da un’era, cioè dal 1974 (ma con il torneo a sedici squadre); fuori senza aver vinto nemmeno un incontro, come mai accaduto all’Italia in Coppa del Mondo: non c’è che dire, il Mondiale africano dei campioni in carica è un disastro e niente di più. Una debacle che passa attraverso il dibattito nazionale senza eccessivi strascichi polemici, forse per abitudine ai fallimenti o tutt’al più agli esiti modesti che seguono le affermazioni degli azzurri. Ma non siamo nel 1986 – quando per altro almeno agli ottavi di finale l’Italia ci arrivò. La realtà invece è decisamente più cupa: manca una nuova generazione di alto livello calcistico, e continuerà a mancare per diversi anni. Non si è ancora tentata un’analisi approfondita in merito all’improvvisa carenza talenti che in quel periodo ha caratterizzato il panorama italiano dopo decenni di vacche grasse, se non tracciando un semplice seppur valido parallelo con il più generale declino che investe il paese un po’ in tutti i frangenti. È allora di stimolo anche soltanto citare le concordi argomentazioni – seppur troppo trancianti – espresse, in contesti differenti, da due campioni del 2006, cioè Gattuso4)Massimo Rota, Franco Dassisti, Il mondiale è un’altra cosa. La coppa del mondo raccontata dagli azzurri, Bompiani, 2014 e Buffon5)Lucas Duvernet-Coppola, Stephane Regy, “Ce que je prefere chez moi, c’est que je sais que j’ai peur”, intervista a Buffon, So Foot n. 135: la loro è stata l’ultima generazione italiana ad aver imparato il calcio nelle piazze, nei cortili, negli oratori; poi i giovani italiani hanno cominciato a trascorre troppo tempo chiusi in casa davanti a un video.
Dopo gli Europei la selezione italiana è tornata nella mani di Lippi, dimessosi due anni prima con la Coppa del Mondo in tasca e sostituito da Donadoni. Nonostante un percorso positivo nelle qualificazioni, l’Italia mostra crepe evidenti già a un anno dal Mondiale, durante la Confederations Cup: batte gli Stati Uniti – una avversario sempre sottovalutato dagli addetti ai lavori -, ma poi è sconfitta a sorpresa dall’Egitto e travolta dal Brasile, e così non passa il girone. In Sudafrica i reduci del 2006 sono per buona parte ormai avanti con gli anni e i nuovi non sono all’altezza. Pirlo, la mente del centrocampo, ha un problema al polpaccio e gioca solo mezza partita; De Rossi da solo non basta. La difesa balla parecchio, l’attacco delude, e pure Lippi ci mette del suo nel cambiare continuamente modulo e uomini, soprattutto da metà in su, denotando un certo grado di confusione (l’esatto opposto della sicurezza mostrata in Germania quattro anni prima). Un dato rivelatore: tutti i selezionati provengono dal campionato italiano, da un numero esagerato di squadre (dieci), ma nessuno dall’Inter che da cinque stagioni conquista lo scudetto e quell’anno ha vinto tutto: lo sta però facendo con stranieri. È un altro segnale del forte declino del calcio italiano.
Il primo avversario dell’Italia è un cliente scomodo, il Paraguay. Sulla panchina dei sudamericani siede l’argentino Gerardo Martino, che poi allenerà il Barcellona per un anno e la selezione del suo paese di origine per due, raggiungendo due finali di Copa America ma perdendole entrambe (e fanno tre con quella persa alla guida dei paraguaiani nel 2011). Al Mondiale brillano le prestazioni del portiere Villar, del difensore centrale Alcaraz, del centrocampista Vera; ma il Paraguay presenta nel complesso una formazione valida, se aggiungiamo al lotto l’esterno destro di difesa Bonet, il centrale difensivo Da Silva, il centrocampista Riveros, e in attacco Santa Cruz – al suo terzo campionato – e Valdez. Manca Salvador Cabanas, attaccante, protagonista delle qualificazioni e molto apprezzato dal ct Martino: la notte del 25 gennaio 2010 è in un locale di Città del Messico, dove vive poiché milita nel Club America, quando un guappo di un cartello della droga gli spara alla testa, in seguito a un alterco. Sopravvive, si riprende, ma di fatto la sua carriera calcistica termina lì.
È il Paraguay a portarsi in vantaggio verso al fine del primo tempo con un colpo di testa di Alcaraz che corregge a rete una punizione dalla trequarti. Nell’intervallo un’altra tegola pesante si abbatte sull’Italia poiché Buffon lamenta un problema al nervo sciatico e lascia la difesa della porta azzurra a Marchetti: rivedrà il Mondiale solo quattro anni più tardi. Nel secondo tempo Vera sfiora il raddoppio, poi l’Italia pareggia: calcio d’angolo, il portiere paraguaiano sbaglia l’uscita, De Rossi tocca in rete. Gli azzurri chiudono in attacco, Montolivo impegna da lontano Villar che stavolta è attento, finisce uno a uno.
Torna al Mondiale dopo quasi trent’anni la Nuova Zelanda, grazie alla vittoria nello spareggio intercontinentale con la quinta classificata del raggruppamento asiatico, il Bahrein. All’esordio gli oceanici strappano un pareggio all’ultimo munto contro la selezione slovacca, per cui non sono così male, qualche pregio lo hanno in serbo: la Nuova Zelanda chiuderà infatti il torneo senza sconfitte e curiosamente sarà l’unica squadra imbattuta in tutto il campionato. È poi una delle poche formazioni ad adottare la difesa a tre in una competizione in cui quasi tutte le formazioni giocano con la difesa a quattro.
L’Italia affronta i neozelandesi nel secondo incontro del girone e va sorprendentemente sotto dopo pochi minuti per il gol di Smeltz. Allora gli azzurri si gettano in avanti, creano parecchie occasioni e giungono con merito al pareggio su rigore trasformato da Iaquinta. A questo punto la strada per gli italiani pare spianata, al cospetto di un avversario giudicato in modo unanime come inferiore; ma gli attacchi portati avanti nel resto dell’incontro sono confusi, scomposti, e altresì è molto bravo il portiere neozelandese Paston, in particolare sulle conclusioni di Montolivo e Camoranesi verso la fine. Poi al minuto ottantadue Woods salta netto Cannavaro, conclude rasoterra e lambisce il palo lontano, sfiorando un gol probabilmente storico. Termina con un imprevisto uno a uno. Il Paraguay intanto ha superato gli slovacchi per due a zero con un gol per tempo (Vera e Riveros i marcatori) in un incontro mai in discussione, passa avanti in classifica e dimostra in prospettiva di essere una selezione in grado di competere contro chiunque. La Slovacchia non pare dunque irresistibile; ma l’Italia sta peggiorando a vista d’occhio, il pareggio è uno smacco e non aver battuto i neozelandesi toglie con ogni probabilità a tutto l’ambiente le certezze residue.
Slovacchia – Italia sarà fra le partite più divertenti del torneo. Unica squadra all’esordio mondiale in Sudafrica (ma è un esordio relativo, essendo stata parte della Cecoslovacchia), la nazionale slovacca schiera un buon centrocampo nel quale si alternano Hamsik del Napoli, Kucka e Weiss. Quest’ultimo ha vent’anni ed è figlio dell’allenatore, che si chiama Vladimir come lui. È una famiglia di calciatori: il padre ha giocato per la Cecoslovacchia a Italia ’90, il nonno – altro Vladimir, sai la fantasia – ha vinto la medaglia d’argento alle Olimpiadi del 1964; il terzo Vladimir Weiss pare promettere bene, in quell’anno è già al Manchester City, ma poi delude. Nella Slovacchia si segnala anche il difensore Skrtel del Liverpool e l’attaccante Vittek, che milita in una squadra turca di secondo piano, l’Ankaragucu, ma in nazionale dà il meglio di sé e al termine del Mondiale avrà messo a segno quattro gol.
Un’Italia inguardabile sin da subito va nuovamente in svantaggio durante il primo tempo, come nelle altre due partite: De Rossi perde malamente la sfera in ripartenza, assist di Kucka e rete di Vittek. Hamsik sta mettendo in difficoltà la squadra azzurra. L’ingresso di Quagliarella a metà partita vivacizza l’attacco azzurro, così come l’inserimento di Pirlo fra i centrocampisti dona all’Italia una parvenza di gioco. A metà della ripresa è lo stesso Quagliarella a segnare un gol probabilmente buono poiché la respinta di Skrtel avviene con la palla oltre la linea di porta, ma non è convalidato. Passano pochi minuti e Vittek raddoppia per gli slovacchi. A questo punto accade di tutto. Mancano dieci minuti alla fine quando Di Natale accorcia le distanze; poco dopo, pescato in fuorigioco di un niente, è annullato un gol di Quagliarella che avrebbe significato qualificazione (Paraguay e Nuova Zelanda sono infatti sullo zero a zero, all’Italia basterebbe anche solo un pareggio per andare agli ottavi). È lo scadere quando, su distrazione inclassificabile della retroguardia italiana, Kopunek riceve palla direttamente su rimessa laterale, entra in area indisturbato e segna il tre a uno. Poi Quagliarella nel recupero marca il tre a due e all’ultimo istante dell’incontro Pepe, dimenticato in area dagli avversari, ha la palla buona ma calcia al volo fuori fuori, suggello di un Mondiale maledetto. Una prestazione nel complesso insufficiente manda a casa gli ormai ex campioni del Mondo, ultimi in un girone che qualifica al turno successivo Paraguay e Slovacchia. Quel giorno chiudono con la maglia azzurra in modo inglorioso due colonne come Cannavaro e Gattuso.
E questo è stato il triste destino della nazionali francesi e italiana nel corso del Mondiale sudafricano, capaci in sei partite di non vincerne nemmeno una. Ma facendo un passo indietro, un possibile passaggio di consegne a vantaggio di altre due nazionali si sarebbe potuto già scorgere durante i citati campionati europei di due anni prima. Entrambe le squadre patiscono una netta sconfitta per mano dell’Olanda, che pare spedita ma poi si incaglia ai quarti di finale al cospetto della Russia del tecnico olandese Hiddink. L’Italia, menomata dalle assenze di Pirlo e Gattuso per squalifica, incrocia la Spagna ai quarti: finisce zero a zero e ai tiri di rigore si impongono gli iberici. Olandesi e spagnoli, ora è il vostro turno.
18 dicembre 2021
Immagine in evidenza: Domenech di fronte alla stampa – nytimes.com
References
1. | ↑ | Daniele Manusia, Incomprensibile Anelka, l’Ultimo Uomo |
2. | ↑ | David Hytner, World Cup 2010: French revolt leaves Raymond Domenech high and dry, The Guardian |
3. | ↑ | Dan Davis, The mutiny of les bleus: how France capitulated at the 2010 World Cup, These Football Times |
4. | ↑ | Massimo Rota, Franco Dassisti, Il mondiale è un’altra cosa. La coppa del mondo raccontata dagli azzurri, Bompiani, 2014 |
5. | ↑ | Lucas Duvernet-Coppola, Stephane Regy, “Ce que je prefere chez moi, c’est que je sais que j’ai peur”, intervista a Buffon, So Foot n. 135 |