Il Mondiale argentino ha restituito una nazionale italiana capace di essere protagonista a livello internazionale e forte di una pregevole nidiata di giovani talenti. Il quadriennio che precede la Coppa del 1982, seppur tra alti e bassi, essenzialmente conferma l’ottimo livello raggiunto dagli azzurri. Quasi nessuno, però, (e togliamo pure il quasi) è consapevole di questo, e in generale la forza dell’Italia è scarsamente riconosciuta. Senza apparenti motivi.
Nell’anno 1979 l’Italia ottiene una serie di risultati brillanti, in amichevole: convincente tre a zero sui vice-campioni del Mondo olandesi; prestigioso pareggio con l’Argentina; vittorie nei confronti di Svezia e Svizzera. In mezzo, però, c’è una pesante battuta d’arresto patita in terra jugoslava (4 a 1). Nei primi mesi del 1980 si registrano due nuove affermazioni, su Romania e Uruguay, e un pareggio contro la nazionale polacca.
In quel periodo, l’evidente obiettivo è rappresentato dai campionati europei, che proprio l’Italia ospita dodici anni dopo l’edizione casalinga, e vincente, del 1968. Sono i primi Europei a otto squadre; l’Italia è qualificata di dritto quale nazione ospitante. La nazionale italiana punta ovviamente al titolo e avrebbe tutte le credenziali in regola per raggiungerlo, ma pochi mesi prima del calcio di inizio accade qualcosa. Il 23 marzo 1980 le forze dell’ordine irrompono direttamente negli spogliatoi degli stadi italiani dopo le partite domenicali. Viene alla luce una rete di scommesse clandestine e illegali che travolge diverse formazioni di club e molti giocatori di primo piano, coinvolti direttamente negli illeciti. Fra questi, i due migliori attaccanti italiani del periodo: Bruno Giordano e Paolo Rossi, che vengono squalificati per un lungo periodo. L’attacco azzurro è azzoppato. I campionati europei dell’Ottanta si aprono in un clima di nervosismo, mentre un vago disgusto serpeggia fra gli appassionati italiani, piuttosto freddi per tutto il corso del torneo.
Le difficoltà offensive degli azzurri emergono con tutta evidenza durante la manifestazione. Salvo l’inutile finale per il terzo posto, l’Italia segna solo un gol, con Tardelli, nella vittoria per uno a zero conseguita ai danni della forte Inghilterra allo Stadio Comunale di Torino. D’altro lato, però, il rammarico per una nazionale che avrebbe potuto sfruttare meglio il fattore campo, sino all’eventuale conquista del titolo, è aumentato da un dato: la rete italiana rimane sempre inviolata. La partita decisiva per l’accesso in finale vede l’Italia opposta i belgi, ai quali è sufficiente un pareggio. Si gioca all‘Olimpico di Roma (e permettete di sottolineare, guardando le immagini di repertorio, la bellezza di questo stadio quando era ancora scoperto, con le tribune chiare, la vista del cielo e delle colline attorno, gli alberi, il verde). Il Belgio mette in campo un gioco rude ma efficace; i tentativi italiani si infrangono sulle parate di Pfaff e su di un rigore a favore – netto fallo di mano del difensore belga – non concesso; termina così zero a zero.
Sempre nel 1980 si produce un altro evento che stravolgerà il calcio italiano negli anni successivi e sarà in grado di proiettare in breve tempo la Serie A ai vertici del calcio internazionale. Questo evento è l’apertura delle frontiere: dopo circa un quindicennio viene infatti concesso ai club italiani di ingaggiare giocatori stranieri. In un primo momento è consentito l’impiego soltanto di uno straniero per formazione, ma presto il limite verrà innalzato a due.
Per giocare il Mondiale spagnolo, la nazionale italiana deve affrontare un girone di qualificazione che comprende Jugoslavia, Danimarca, Grecia e Lussemburgo. Passano le prime due. L’Italia chiude la pratica quasi subito, in maniera brillante e autorevole, con quattro vittorie su quattro e zero reti al passivo. Sconfigge il Lussemburgo, poi la Danimarca per due a zero con doppietta di Graziani. È quindi il turno della Jugoslavia, superata anch’essa due a zero a Torino grazia a un rigore di Cabrini e uno splendido pallonetto di Conti – che assieme all’attaccante Altobelli rappresenta la principale novità del momento. Il 1980 si chiude con la vittoria sulla Grecia, in trasferta. Poi però qualcosa si inceppa. Le partite di ritorno del girone di qualificazione denotano un vistoso calo nel gioco e nei risultati. L’Italia perde in Danimarca tre a uno, pareggia contro Jugoslavia e Grecia – il risultato che garantisce la qualificazione –, sconfigge di misura il Lussemburgo. Le critiche nei confronti di Bearzot aumentano. Il commissario tecnico perde inoltre per strada un pezzo fondamentale della formazione, Bettega, causa il grave infortunio subito in una partita di coppa contro l’Anderlecht. L’attaccante non riuscirà a recuperare in tempo per la fase finale del Mondiale.
Le amichevoli pre-mondiale non riescono a invertire la tendenza negativa, anzi. L’Italia perde abbastanza nettamente (due a zero) in Francia. Perde inoltre contro la non eccelsa Germania Est a Lipsia e pareggia uno a uno contro la Svizzera. In queste ultime due partite ci sono però, rispettivamente, un paio di importanti novità: l’esordio del giovane difensore dell’Inter Giuseppe Bergomi e il ritorno in nazionale di Paolo Rossi. L’ultima amichevole non ufficiale prima dell’esordio mondiale, già in terra di Spagna, è uno striminzito uno a zero conseguito nei confronti di una neopromossa del campionato portoghese, il Braga. Le polemiche e le critiche verso la squadra, anche all’interno della stessa federazione, si sprecano.
La prima fase del campionato del Mondo ’82 vede la nazionale italiana impegnata in un girone giudicato, in modo impreciso e sbrigativo, facile. La stessa valutazione è rimasta a posteriori, chissà poi perché. In realtà il girone è tutt’altro che semplice. C’è il Camerun, avviato verso un decennio calcistico di ottima fattura; c’è il Perù, protagonista da circa dodici anni a livello continentale e mondiale di ottimi risultati; c’è la Polonia, di lì a breve tra le prima quattro al mondo. Proprio con i polacchi l’Italia fa il suo esordio nella Coppa del 1982.
Siamo a Vigo, in Galizia, ed è il tardo pomeriggio del 14 giugno. La partita finisce zero a zero ma l’Italia, che mostra una prestazione di tutto rispetto e come tale sorprendente, meriterebbe la vittoria. Il primo tempo è decisamente di marca italiana: azioni interessanti, controllo del gioco e due gol sfiorati con Graziani e Rossi. Nella ripresa l’Italia cala e nel contempo migliora la Polonia, ma in generale il livello tecnico dell’incontro si abbassa parecchio. C’è però una fiammata della nazionale azzurra: su corner, Collovati colpisce di testa ma, sulla linea di porta, la palla è rinviata; interviene Tardelli che tira da fuori e prende la traversa.
Italia – Perù si gioca quattro giorni dopo, sempre a Vigo. Al diciottesimo minuto l’Italia passa in vantaggio grazie a un capolavoro di Conti, che riceve palla dal limite dell’area, scarta un avversario con una finta e insacca a fil di palo. Gioca bene, la nazionale italiana, e sfiora il raddoppio con Antognoni e soprattutto con Scirea, solo in area di rigore ma impreciso. Il secondo tempo invece rappresenta senza dubbio la peggior prestazione dell’Italia nel corso del torneo. I peruviani premono, sbagliano un gol con Larosa a porta vuota, mettono in seria difficoltà gli avversari. L’incontro termina con un giusto uno a uno grazie ad un tiro di Diaz deviato in rete da Collovati.
Terzo incontro e terzo pareggio, uno a uno, contro il Camerun (di cui si è detto). Il risultato consente agli azzurri di passare al turno successivo grazie alla migliore differenza reti rispetto agli africani stessi.
L’Italia ha giocato un girone eliminatorio nel complesso non così terribile, e tale giudizio può valere sia per il gioco mostrato, sia per il valore degli avversari incontrati. È difficile esaltarsi, senza dubbio, tanto meno pronosticare la conquista del titolo, ma critiche eccessive sarebbero ingenerose. E invece le critiche della stampa, mai realmente spente da mesi a questa parte, ora sbocciano come fiori a primavera. Si moltiplicano, si estendono oltre il dato tecnico o i risultati in sé, e invadono un po’ tutti i campi. C’è una polemica sui premi promessi ai giocatori che raggiunge addirittura il dibattito parlamentare; un articolo, seppur involontariamente, insinua l’esistenza di un rapporto omosessuale tra Rossi e Cabrini; si denunciano le spese facili delle mogli dei nazionali; Bearzot, da sempre il bersaglio preferito dei giornalisti, viene raffigurato dai peggiori quasi come un minus habens.
Non tutti i giornalisti si comportano in tal modo, non tutti con la stessa sgradevole violenza, ma sono in tanti a farlo. Il clima fra la squadra e i giornalisti al seguito diventa molto teso. I giocatori della nazionale prendono a questo punto una clamorosa decisione: il silenzio stampa. D’ora in avanti parlerà solo il capitano, Zoff – già di per sé uno non molto ciarliero –, e la decisione viene mantenuta sino al termine del torneo. Nelle partite successive non mancheranno insulti dei giocatori, dal campo, verso la tribuna stampa.
Il silenzio stampa dei Mondiali ’82 è una svolta nella storia del giornalismo sportivo italiano. Troppo grande è stato lo scarto tra il tono delle invettive della stampa e il risultato sportivo ottenuto alla fine dalla nazionale, ovviamente amplificato dalla presa di posizione dei giocatori. Quella che il giornalista Italo Cucci, uno delle poche penne sempre a difesa di Bearzot, ha definito “la più clamorosa Caporetto della stampa sportiva italiana”, ha di fatto chiuso un’epoca. Termina così, o per lo meno si riduce, un atteggiamento verso la nazionale improntato alla polemica fine a se stessa e vuota, alla critica preventiva, alla ricerca della sensazione. Il giornalismo calcistico ne trarrà quindi giovamento in termini di rispetto, e in generale, di professionalità.
Nonostante la bufera che infuria, la squadra però è unita, silenziosamente sicura di sé e delle proprie possibilità, anche se probabilmente non le ha chiare sino in fondo. L’Italia non esprime un brutto calcio, no. Crea molte occasioni da rete e la fase difensiva è comunque una garanzia; il centrocampo cresce progressivamente; l’attacco invece lascia qualche dubbio. C’è poi un particolare da non trascurare: l’Italia ha giocato il girone di qualificazione nel nord-ovest della Spagna, al fresco, lontano così dal gran caldo che opprime il resto delle penisola iberica. È un fattore che avrà il suo peso nel prosieguo del torneo, a tutto vantaggio della tenuta fisica degli azzurri.
Quando la nazionale italiana giunge ai quarti di finale del Mondiale spagnolo, la vittoria su di un campo di gioco è un ricordo un po’ appannato: l’ultima affermazione risale infatti a fine ’81, uno a zero sul Lussemburgo. L’Italia affronta le ultime quattro partite del torneo, fa proprio il risultato, e poi torna nuovamente alla vittoria soltanto nell’ottobre ’83 (contro la Grecia). Ma sono quattro partite che segnano la storia del gioco. La prima è la vittoria sull’Argentina, nella quale è esplosa a sorpresa tutta la forza degli azzurri. La seconda – è questa.

Il pomeriggio del 5 luglio 1982 sullo Stadio Sarria brilla una luce fortissima. Gli spalti sono gremiti probabilmente ben oltre la capienza dell’impianto; c’è un rumore assordante e continuo, colori, striscioni, un’infinità di bandiere, un’anarchia straripante, e fa ovviamente molto caldo. Alcuni si godono l’incontro anche dai balconi dei palazzi che si affacciano sul campo. Alle ore 17 e 15 scendono in campo le nazionali italiana e brasiliana, al gran completo, con le seguenti formazioni. Italia: Zoff (capitano); Gentile, Scirea, Collovati, Cabrini; Conti, Oriali, Tardelli; Antognoni; Rossi, Graziani. Brasile: Valdir Peres; Leandro, Oscar, Luizinho, Junior; Toninho Cerezo, Falcao; Socrates (capitano), Zico; Eder, Serginho. Arbitra uno dei migliori fischietti al mondo, l’israeliano Klein. I guardalinee sono un bulgaro (Dotchev) e uno di Honk Kong (Sun). Sul terreno di gioco ci sono cinque titoli mondiali.
Ricordiamo, è la partita conclusiva del girone dei quarti di finale. Entrambe hanno appena sconfitto i campioni in carica, ma al Brasile, gran favorito per la conquista del titolo, basta un pari per passare in semifinale. L’Italia deve vincere.
Partiti. I sudamericani non rinunciano al loro solito pressing alto, ma c’è una buona Italia, che mostra una manovra fluida ed efficace. Pochi istanti dal via e Cabrini passa a Tardelli sulla sinistra, palla in mezzo a Rossi che svirgola da buona posizione. Il momento no di Rossi sembra continuare: zero reti in quattro incontri e prestazioni generalmente insufficienti. Ma Bearzot crede in lui e continua a schierarlo titolare. Prima dell’incontro gli ha detto di prenderli alle spalle con una frazione di secondo d’anticipo, soprattutto sul lato di Junior che fa la spola avanti e indietro, e rischia così di lasciare dei metri di spazio agli attaccanti1)Federico Buffa, Carlo Pizzigoni, Storie mondiali, Sperling & Kupfer Editori, 2014. E quindi: azione prolungata di Conti sulla fascia destra, poi lancio sulla fascia opposta per Cabrini; cross, spunta Rossi, solo, che infila di testa, mentre Junior lo insegue invano. Cinque minuti di gioco, uno a zero per l’Italia con gol di Rossi. Avvio shock.
Il ritmo di gioco è alto, i brasiliani sono spesso imprecisi, braccati dai tonici giocatori italiani e frenati dalla disposizione tattica avversaria. Gli azzurri gestiscono bene il gioco. Su contrattacco, Rossi difende la palla e apre di tacco per Graziani, il cui tiro però termina alto. I verdeoro però crescono e cominciano a rendersi pericolosi. Dopo un’azione confusa, condita da diversi rimpalli, Zico mette Serginho solo davanti a Zoff. L’errore dell’attaccante – palla fuori di lato – è clamoroso, e Zico rimprovera il compagno platealmente.
L’Italia arretra, si rintana, e il Brasile pareggia. Socrates parte dalla propria trequarti, triangola con Zico, avanza con classe e sicurezza, ed entra in area sulla destra. Tiro a fil di palo, nell’unico pertugio in cui la palla potrebbe passare, sbuffo del gesso sula linea di porta, rete. L’uno a uno del Brasile, al dodicesimo, è un capolavoro dell’accoppiata Socrates – Zico, ma Zoff prende gol sul palo interno e non è esente da responsabilità.
Gentile, in marcatura a uomo su Zico, commette fallo ed è ammonito per le proteste. Ora il Brasile è più sicuro di sé, benché l’Italia rimanga molto attenta in difesa. Questa sicurezza emerge anche nell’eccesso di passaggi orizzontali che la squadra sudamericana esegue in fase di impostazione – è una costante dall’inizio del torneo. In questo incontro, però, l’Italia pressa in diverse occasioni il portatore di palla nella metà campo avversaria. E l’ennesimo passaggio orizzontale nella propria trequarti, opera di Cerezo, riesce male. Rossi si avventa sulla palla come un falco, scaglia un tiro magistrale dal limite dell’area e porta di nuovo la nazionale azzurra in vantaggio. Zico stavolta si lamenta per l’errore con Cerezo, che pare piuttosto affranto. Due Italia, uno Brasile. Dal fischio di inizio sono trascorsi venticinque minuti pazzeschi.
Da lì alla fine del primo tempo i giocatori brasiliani sembrano gli unici a non rendersi bene conto di quello che sta accadendo. Paiono abulici e producono poco. C’è un bel colpo di testa di Socrates, ma centrale e facile preda di Zoff. Poi un tiro di Falcao rimpallato da Tardelli. Zico, lanciato da Socrates, viene strattonato da Gentile in area di rigore – e si ritrova la maglietta in pezzi, ma era in fuorigioco. Socrates, Zico – seppur limitato dal difensore azzurro – e Cerezo – nonostante il grave errore – tengono in piedi la baracca. Insufficiente il reparto arretrato. L’Italia mostra un vistoso calo, senza però correre rischi eccessivi, e chiude in vantaggio la prima frazione di gioco. La difesa è stata eccellente, assieme a Conti e ad un Paolo Rossi gigantesco.
Il secondo tempo è giocato a viso aperto sin dall’inizio, senza respiro. Ogni azione è potenzialmente un gol. Appena partiti, Junior serve Falcao sulla sinistra, il cui diagonale si perde sul fondo di poco. Risponde l’Italia con un azione di Antognoni per Conti; l’ala destra salta un difensore ma conclude piuttosto male da posizione favorevole. Rossi reclama un rigore. Zico tira su calcio di punizione, alto. Oriali è implacabile nel recuperare palloni. Su contrattacco brasiliano, Zico libera Cerezo al centro, ma Zoff ha intuito e respinge. Ancora Cerezo, a pochi metri dalla porta: è libero, di testa, ma anziché concludere serve un assist a Serginho, il cui colpo di tacco è bloccato dal portiere azzurro. Ora il Brasile preme, ma proprio sull’azione seguente l’Italia ha un’enorme occasione per il tre a uno: Graziani controlla con grande efficacia sulla fascia sinistra e serve un’ottima palla a Rossi, solo, davanti a Valdir Peres. Rossi tira fuori.
Bearzot, occhiali scuri e salivazione azzerata, rumina in modo ossessivo. Santana è concentrato e impassibile. Sale l’urlo “Italia – Italia” dagli spalti. Al minuto ventitré, dopo le occasioni fallite e in virtù della spinta brasiliana, accade l’inevitabile. Azione di Junior e palla per Falcao, poco fuori dall’area di rigore. Lo scatto di Cerezo sulla sinistra e la finta del romanista disorientano completamente i difensori e li portano via; Falcao, non contrastato, può scoccare un tiro incrociato a fil di palo, imprendibile. C’è stata comunque una deviazione impercettibile di Bergomi, entrato alla fine del primo tempo per l’infortunato Collovati e finora impeccabile. Falcao corre verso la propria panchina a braccia aperte e sembra davvero fatta per i verdeoro. Nel Brasile entra Paulo Isidoro per Serginho. L’Italia appare tramortita, come un pugile alle corde. Una conclusione di Zico termina poco alta. C’è un errore di Bergomi sulla propria trequarti, Eder recupera la palla ma tergiversa e non serve Socrates, libero sulla sua destra. Disattenzione fatale.
Ad un certo punto, nel mezzo del gioco, la regia televisiva mostra un aquilone che volteggia sullo stadio. Da dove sia partito non si sa, e neanche dove finisca. È come un segno. Qui termina la storia e inizia il mito. Siamo alla mezzora di gioco della ripresa e l’Italia manovra sulla fascia sinistra. Attenzione, perché è proprio sulle corsie esterne che si decide questo incontro. Gli azzurri, sulle assi Cabrini – Graziani da una parte, Oriali – Conti dall’altra, si stanno dimostrando efficaci, e lo sono in copertura, ma altrettanto in fase propositiva. In questo frangente controlla la palla Antognoni: traversone in area, Cerezo di testa mette fuori sul fondo, angolo. Conti batte dalla bandierina e un difensore brasiliano rinvia di testa. Tardelli, dal limite, tira; Paolo Rossi è sulla traiettoria, non è marcato, si gira verso la porta e colpisce. Rete. Ancora, incredibile, rete!
I cronisti brasiliani restano zitti per un paio di secondi lunghi come ere. Martellini, telecronista italiano, urla addirittura “pareggio”. Tripletta di Paolo Rossi, l’Italia – inesorabile – è di nuovo in vantaggio. Poco dopo il gol Marini, subito in partita, prende il posto dell’acciaccato Tardelli. Il Brasile attacca alla disperata, senza però riuscire a creare molte occasioni; l’Italia opera in scioltezza e costruisce pericolosi contrattacchi. Ma gli ultimi minuti dell’incontro sono drammatici.
A tre dalla fine c’è una splendida azione italiana: Antognoni, grandioso, cresciuto tanto nel corso dell’incontro, per Rossi, a Oriali, ancora per Antognoni che segna. Il gol viene annullato per un fuorigioco inesistente. Al minuto quarantatré Eder calcia una punizione con palla defilata sulla sinistra: colpo di testa di Paulo Isidoro e prodigioso intervento di Zoff con pallone schiacciato e bloccato sulla linea di fondo – mentre alcuni brasiliani già levano le braccia al cielo. Nel recupero, Zoff in uscita anticipa un avversario su calcio d’angolo. Fischio finale. Tre a due per l’Italia che passa in semifinale.
Italia – Brasile del cinque luglio 1982 è probabilmente, ancora oggi, la più grande partita nell’intera storia dei Mondiali di calcio. Lo è per un sacco di ragioni: per la posta in gioco, il blasone delle due squadre, gli interpreti, il gioco; per la sua trama – l’alternarsi di emozioni sembra frutto di una volontà, di una regia – e ancora per l’ambiente, il clima. Impressiona ed emoziona a rivederla, nonostante gli anni trascorsi, e consiglio di farlo come si rivede un grande film. Non solo, ma quella partita è stata anche uno spartiacque nella storia del football.
“Fu il giorno dopo il quale non fu più possibile scegliere semplicemente i migliori giocatori e dire loro di giocare come sapevano fare”2)Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012. In sintesi, è il definitivo prevalere dell’organizzazione sul talento. Il sistema supera i fuoriclasse, la tattica precede lo spettacolo, l’equilibrio mette in secondo piano il bel gioco. Una certa innocenza è svanita. Guardate, non è la tradizionale contrapposizione catenaccio – calcio totale, o calcio difensivo versus calcio offensivo, che dir si voglia. È l’evoluzione del gioco, un nuovo livello di interpretazione indispensabile per vincere, ovvero: l’organizzazione che pone le basi e fortifica il talento. Volenti o nolenti, Brasile ’70 non capiterà mai più.
Ben oltre il fischio finale si vedono tifosi che continuano a saltare sugli spalti. La Gazzetta dello Sport dell’indomani titola a tutta pagina “Fantastico”. Paolo Rossi è un eroe nazionale. La conquista della Coppa, una chimera sino a pochi giorni prima, pare adesso a portata di mano degli azzurri. I brasiliani sono sconvolti. Dirà Dirceu (quel giorno in tribuna): “Qualcuno, anzi molti ci davano per favoriti. Questo ci ha pesato, anche perché avevamo perso la voglia di vincere, al contrario dell’Italia. Non avevamo più né la sicurezza dei forti, né la forza dei deboli. Eravamo qualcosa a metà strada e non è bastato”3)Emanuela Audisio, C’eravamo troppo amati senza calcio alla Pelé, la Repubblica. Zico ritiene che la vittoria dell’Italia abbia fatto male al calcio, ma è il comprensibile commento di un diretto interessato. In Brasile l’incontro passa alla storia come la tragedia del Sarria. Il giorno dopo un giornale apre con la foto di un bambino affranto sugli spalti dello stadio. Ma la selecao ha comunque offerto in campo una grande prestazione, all’interno di un grande Mondiale, non scordiamolo. Non a caso la formazione del 1982 è rimasta, assieme a quella del ’70, la più amata di sempre dai tifosi brasiliani.

Epilogo. La battaglia calcistica dei tre Imperatori è il girone dei quarti di finale tra Italia, Brasile e Argentina ai Mondiali ’82. Ma è anche un opera in tre atti. I tre movimenti di una sinfonia di Bach. La trasposizione calcistica della filosofia hegeliana: tesi, antitesi, sintesi. Un romanzo ottocentesco.
Oggi il Sarria non esiste più. Se andate a Barcellona, trovate al suo posto solo una targa ricordo e nient’altro. L’ultima partita ufficiale giocata all’Estadio Sarria si è disputata il 21 giugno del 1997. Pochi mesi dopo l’impianto è stato demolito e al suo posto sono stati edificati dei condomini e un parchetto. Il teatro delle gesta calcistiche appena narrate è quindi archeologia in potenza. Uno strato di storia l’ha ricoperto, e non sembra un caso: anche questo è mito che si aggiunge al mito. Pare che i tre Imperatori non abbiano mai smesso di giocare sul suo prato. È lì che dorme e sogna se stesso, l’Estadio Sarria di Barcellona – come Micene, come Olimpia, come ognuno di quei luoghi destinati a mille anni di solitudine prima di poter tornare al mondo in tutta la loro grazia.
27 novembre 2018
References
1. | ↑ | Federico Buffa, Carlo Pizzigoni, Storie mondiali, Sperling & Kupfer Editori, 2014 |
2. | ↑ | Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012 |
3. | ↑ | Emanuela Audisio, C’eravamo troppo amati senza calcio alla Pelé, la Repubblica |