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Spagna, 1982
V. La battaglia dei tre Imperatori
(parte seconda)

Arthur Antunes Coimbra, meglio conosciuto dal mondo come Zico, è uno dei giocatori più attesi in Spagna. Atleta dalla costituzione fisica non molto robusta (un altro suo soprannome è Galinho, il galletto) e di statura media, gioca a centrocampo o in attacco con eguale profitto. È uno dei migliori interpreti del gioco di sempre. Bravo con entrambi i piedi, dotato di visione di gioco, di straordinarie doti di marcatore – segna 48 reti in nazionale –, Zico è altresì in grado di realizzare fantastiche punizioni. Il tifo brasiliano lo esalta come l’erede di Pelé.

Nel Flamengo indossa il numero dieci. Con la squadra di Rio de Janeiro conquista tre titoli in tre settimane, nel 1981. Vince infatti la Coppa Libertadores sconfiggendo in finale i cileni del Corbeloa, e Zico è decisivo nella partita di spareggio. Poi il Flamengo si aggiudica il campionato carioca. Vola quindi a Tokyo per disputare la Coppa Intercontinentale, una competizione che sta riprendendo vigore dopo un decennio di crisi e che dall’anno precedente si gioca in un’unica partita nella capitale giapponese. Il Flamengo travolge il Liverpool campione d’Europa per tre a zero. Sempre nel 1981 Zico guida la propria nazionale in una tournée europea molto apprezzata. La leggenda del Pelé bianco ormai è ben radicata, ma in ogni caso Zico gioca ad alti livelli da tempo, già nel 1978 è stato protagonista del Mondiale argentino. La Coppa del 1982 dovrà essere la sua autentica consacrazione.

Un anno dopo il campionato del Mondo, Zico, non più giovanissimo per i canoni dell’epoca, lascerà il Brasile come molte altre stelle sudamericane per approdare in Europa. La meta è l’Italia, ma a sorpresa il club del quale veste la maglia è l’Udinese – di certo non una squadra di primo piano. La prima stagione in un torneo difficile come quello italiano è di altissimo livello, chiusa con diciannove reti all’attivo (secondo solo a Platini nella classifica marcatori); la seconda stagione non è la stessa cosa. Zico torna in Brasile, ancora al Flamengo, e viene poi convocato per i Mondiali del 1986, nonostante gli acciacchi fisici comincino a farsi sentire. Gioca pochi scampoli di partita in quel torneo, partendo sempre dalla panchina; nei quarti di finale il suo sogno di diventare campione del Mondo si infrange ai calci di rigore, contro i francesi. Proprio Zico sbaglia un tiro dal dischetto durante i tempi regolamentari, la cui realizzazione, probabilmente, avrebbe consegnato ai brasiliani la qualificazione in semifinale.

Il grande Zico chiude la carriera nel campionato giapponese. È uno dei primi giocatori di alto livello a solcare i campi del Giappone, e assume un ruolo importante nel processo di crescita del movimento calcistico locale. Diventa poi allenatore, gira il mondo, in generale senza raccogliere particolari successi, salvo un’ottima esperienza come ct proprio del Giappone: qualificazione alla fase finale dei Mondiali 2006 e titolo asiatico, due anni prima.

Paulo Roberto Falcao è un brasiliano atipico. In campo sembra più un europeo, sia per l’aspetto che per il gioco. Opera a centrocampo; è un giocatore duttile, molto intelligente, in grado di gestire in modo agevole entrambe le fasi, provvisto di grande tecnica ed eleganza senza eccessivi fronzoli. Ha saltato i Mondiali del 1978, benché fosse già all’epoca uno dei giocatori brasiliani più in vista, ma non manca l’appuntamento con la Coppa dell’Ottantadue.

Con l’Internacional di Porto Alegre, Falcao si aggiudica il campionato nazionale per tre volte (’75, ’76 e ’79). Il primo dei titoli arriva nel corso di una finale giocata all’Estadio Beira-Rio di Porto Alegre contro il forte Cruzeiro. Il gol decisivo, marcato dal grande difensore cileno Figueroa, è rimasto celebre: su calcio d’angolo, Figueroa svetta di testa e infila in rete, proprio nell’attimo in cui il cielo coperto di nubi si apre e un raggio di sole lo colpisce direttamente. Diventa così il gol illuminato. Nel 1980 l’Internacional sfiora anche la Copa Libertadores ma è sconfitta in finale dal Nacional di Montevideo. Lo stesso anno Falcao è uno dei primi stranieri ad approdare in Italia dopo la riapertura delle frontiere. Gioca alcune grandi stagioni nella Roma; è protagonista in particolare del titolo italiano conquistato nel 1983. I tifosi giallorossi lo amano e lo definiscono l’ottavo re di Roma. Una volta appese le scarpette al chiodo, Falcao prende la strada della panchina. Guida anche la nazionale brasiliana, tra il ’90 e il ’91, senza lasciare il segno.

Altro centrocampista brasiliano è Toninho Cerezo – compagno di squadra di Falcao alla Roma. Cerezo è uno splendido interprete del ruolo: magro, dinoccolato, bravo in ogni fase, presente in tutte le zone del campo e dotato di grande sagacia calcistica. È un faticatore, ma di classe. Cerezo è protagonista di una lunga e valida carriera. Cresce nell’Atletico Mineiro e disputa i Mondiali del 1978 come titolare. In Italia, dopo l’esperienza in giallorosso, gioca per la Sampdoria. Con la squadra genovese conquista la Coppa delle Coppe del ’90 e nella stagione seguente lo storico primo scudetto blucerchiato. Perde però la finale di Coppa dei Campioni nel 1992 (così come era successo con la Roma, otto anni prima). La sua carriera sembra terminata per limiti di età, ma così non è. Torna in patria, al San Paolo, dove amministra il centrocampo paulista verso la vittoria in Libertadores e in due Coppe Intercontinentali.

Con Junior prosegue poi l’importante tradizione degli esterni difensivi brasiliani di pregio. È un calciatore tecnicamente ottimo, tanto che giocherà a centrocampo la parte finale della carriera. Opera sulla fascia sinistra. Condivide con Zico i successi del Flamengo, la squadra campione del Brasile nell’anno del Mondiale. Nella stesso club come in nazionale, ma sulla fascia opposta a quella di Junior, gioca un giovane e interessante difensore, Leandro. Anche Junior viene a giocare in Italia nel corso degli anni ottanta, a Torino, sponda granata.

Eder invece è un attaccante, un’ala sinistra. Inizia la carriera da professionista nel Gremio di Porto Alegre allenato da Santana, poi passa all’Atletico Mineiro. Ha un gran sinistro, un potente tiro da fuori ed è molto pericoloso su punizione. Caratteristica è la sua capacità di far curvare la palla in entrambe le direzioni, a destra o a sinistra. Altresì caratteristica è la sua scarsa disciplina. Fumatore incallito, ma poi smette; salta i Mondiali argentini poiché una notte di maggio gli sparano addosso, e lo colpiscono al braccio, per aver corteggiato una ragazza accompagnata1)Giuseppe Ottomano, Eder: il piede sinistro di Dio, Storie di Calcio. Una maggiore oculatezza nella scelta delle possibili conquiste femminile gli consente di giocare i Mondiali del 1982, durante i quali è in gran forma. Termina la carriera in nazionale nell’aprile 1986, dunque prima della Coppa in Messico: durante un amichevole contro il Perù stende con un pugno un avversario.

In verdeoro c’è anche Socrates, del Corinthians: grandioso regista, anche medico e attivista politico, personaggio di intelligenza e spessore quasi unici – si dirà di lui in un’altra parte dell’opera.

Gli uomini appena citati rappresentano le varie punte di diamante del Brasile a Spagna ’82. È una formazione straordinaria. Ancora oggi viene paragonata alla squadra del 1970 come massimo esempio di nazionale prodotta dal paese sudamericano ai Mondiali. Il Brasile dell’Ottantadue esprime un gioco bello e vincente – il gioco di un pais tropical, abencoado por Deus e bonito por natureza. È un calcio elaborato, fatto di tecnica e passaggi ripetuti, ma al contempo denota velocità di esecuzione, corsa, dribbling. Un calcio parente stretto del samba, o della bossa-nova se si preferisce, e della gioia di vivere, da vedere e da mostrare in campo. I giocatori stessi ne interpretano l’anima, cantando e suonando mentre, prima degli incontri, raggiungono in autobus gli stadi del torneo.

Direttore d’orchestra – Tele Santana. In Brasile è stato un tecnico davvero riverito e ammirato, sinonimo di lealtà e correttezza. Quando è morto, nel 2006, l’allora presidente brasiliano Lula gli ha dedicato queste parole: “Tele si è caratterizzato per difendere un calcio praticato con arte, tecnica e rispetto per l’avversario. E questo calcio-arte resterà vivo, come esempio per le prossime generazioni2)Luis Miguel Hinojal, Eterno Tele, Revista Libero n. 17. Da giovane Santana ha giocato per molti anni nella Fluminense. Come allenatore gira diverse squadre. Vince un titolo brasiliano con l’Atletico Mineiro nel ’71, ma soprattutto costruisce un mirabile San Paolo due volte campione del Sudamerica e due volte vincitore della Intercontinentale nella prima metà dei Novanta, quando la sua esperienza quale tecnico sembrava ormai destinata a esaurirsi. Grande cruccio di Santana sono stati i campionati del Mondo: in due occasioni sulla panchina verdeoro (’82 e ’86), e in entrambi in casi il percorso si interrompe ai quarti di finale. Il suo gioco è stato sempre caratterizzato in senso brillante e spiccatamente offensivo: qualcosa di diverso rispetto al Brasile utilitarista e muscolare visto diverse volte negli ultimi anni.

Tele Santana mette in campo i brasiliani con un atipico e variabile 4-2-2-2. Più che altro, è la capacità dei singoli interpreti, dei fuoriclasse, a reggere le trame di gioco. Sopperisce insomma all’insufficiente copertura dello spazio – cioè a una disposizione tattica all’apparenza squilibrata – con il talento. O almeno ci prova, perché il calcio non è samba.

Reparto decisivo, fonte del gioco e della fantasia, è quello centrale, con: Cerezo e Falcao un po’ più arretrati; Zico e Socrates un po’ più avanzati. Portentoso. Importanti sono altresì le sortite offensive dei terzini. Qualcosa invece si perde nel portiere e nel partner di Eder in attacco, forse anche nei centrali difensivi. I racconti su quella squadra probabilmente ampliano questi difetti, in quanto vengono confrontati con gli indubbi e notevoli pregi. In particolare, si è spesso parlato del limite rappresentato da Serginho nel ruolo di punta – che in realtà di reti in Brasile ne segnava parecchie. Viene preferito a Roberto Dinamite, ottimo sui campi argentini di quattro anni prima ma ora in panchina. Inoltre un giovane ed emergente Careca non può essere convocato, causa infortunio. Ma con scelte diverse non sarebbe cambiato poi molto, nel bene e nel male.

Nel primi mesi del 1982 la selecao gioca sei partite, tutte in casa: sconfigge le due Germanie e il Portogallo, pareggia con Cecoslovacchia e Svizzera, e poi, prima di volare in terra iberica per il Mondiale, sommerge sette a zero una malcapitata Irlanda. In due anni e mezzo ha messo assieme 22 vittorie, 6 pareggi e appena 2 sconfitte. Il Brasile ha notevolmente impressionato gli appassionati nel corso di una tournée europea organizzata nella primavera del 1981, durante la quale si è imposto a domicilio in Inghilterra, Francia e Germania Ovest. Gli inglesi, rimaneggiati da diverse assenze a causa delle incombenti finali delle coppe europee, sono sconfitti uno a zero. La Francia tre a uno, e il terzo gol brasiliano è un divertente capolavoro: azione centrale in velocità, pallonetto di Zico sul difensore, sfera a Socrates, pallonetto sul portiere, rete. L’incontro più impegnativo, contro i campioni continentali tedeschi, termina due a uno per i sudamericani grazie in particolare a Valdir Peres. A dieci dal termine il portiere brasiliano para un rigore allo specialista Paul Breitner; l’arbitro fa ripetere, tiro verso l’altro angolo, e nuova respinta. Non è poi così male, Valdir Peres.

L’ultima sconfitta brasiliana risale al gennaio 1981, contro l’Uruguay. Ovviamente il Brasile ha dominato il proprio girone di qualificazione al Mondiale: quattro vittorie su quattro, undici gol fatti e due subiti. E la selecao arriva in Spagna.

Il Brasile gioca la sua prima partita del Mondiale il 14 giugno alle nove di sera, a Siviglia, nell’opprimente caldo estivo dell’Andalusia. L’avversario è l’Unione Sovietica. C’è già stato in passato un Brasile – URSS ai Mondiali, precisamente nel 1958, campionato del Mondo di Svezia. Quella partita è stata una pietra miliare del calcio brasiliano e non solo, in quanto ha visto in campo la prima rappresentazione completa della squadra in grado di vincere il titolo iridato in quel torneo e in quello successivo. È stato l’esordio ai Mondiali di Garrincha e Pelé – e se Pelé sarebbe passato alla storia come o Rei, il soprannome di Garrincha esprimeva qualcosa di ancora più elevato: Alegria do povo, la gioia del popolo. Per la cronaca, vinse il Brasile due a zero, disputando i primi tre minuti più esaltanti della storia del gioco, conditi da due pali e un gol. E contro un avversario di tutto rispetto. Nella squadra sovietica dell’epoca giocavano elementi quali Jascin in porta, Netto in regia, Ivanov e Simonyan in attacco.

L’URSS del 1982 è una nazionale che sta tentando di risalire la china dopo un decennio di appannamento. È formata essenzialmente da due blocchi: quello della Dinamo Kiev, il club sovietico più forte tra i Settanta e gli Ottanta, e quello della Dinamo Tbilisi, vincitrice della Coppa delle Coppe nel 1981. Ha in Oleg Blochin, attaccante, il giocatore più noto e di valore.

I sudamericani sostituiscono Cerezo, indisponibile per squalifica, con Dirceu, e schierano per l’unica volta nel torneo un tradizionale 4–2–4. Inizia bene il Brasile, e impegna la difesa avversaria liberando al tiro Zico, Junior e Serginho dal limite dell’area. Però è l’Unione Sovietica che a sorpresa, come spesso accade nel calcio, va in vantaggio. La conclusione dalla distanza di Bal non è irresistibile, ma la palla sfugge dalle mani di Valdir Peres ed entra in porta. I verdeoro ricominciano a macinare calcio ma solo a un quarto d’ora dal termine pervengono al pareggio grazie a una magia di Socrates, che riceve palla, scarta due avversari e infila sotto la traversa. Dagli spalti proviene l’incessante suono dei tamburi e dei canti dei tifosi brasiliani. La loro presenza rumorosa e festosa nelle città spagnole sarà una costante al seguito della nazionale, come mostra il bel film ufficiale sul Mondiale (G’Olé!, per la regia di Tom Clegg). Nei minuti restanti, il Brasile preme alla ricerca della vittoria, e la ottiene: Paulo Isidoro, dalla fascia, passa al centro; Falcao finta e il pallone giunge a Eder, il quale lascia partire uno straordinario esterno che manda la palla a fil di palo.

Contro la Scozia, per il secondo incontro del girone della prima fase, il Brasile schiera la squadra titolare che non cambierà più sino alla fine. Vediamola: Valdir Peres in porta; Leandro, Oscar, Luizinho e Junior costituiscono la linea difensiva; poi abbiamo Toninho Cerezo e Falcao; più avanti, Socrates e Zico, mentre in attacco giocano Eder e Serginho. Anche contro la Scozia la squadra brasiliana va in svantaggio – il gioco dei sudamericani lascia ogni tanto dei preoccupanti spazi nella retroguardia. Ma sino a quando riescono agevolmente a ribaltare il risultato, pare un problema di poca importanza. Nel primo tempo Zico pareggia su calcio di punizione, disegnando una parabola che si abbassa all’ultimo momento e termina nell’angolino tra palo e traversa. Poi nel secondo tempo i brasiliani giocano un calcio spettacolare, fanno girare la palla e arrivano con facilità irrisoria in zona gol. Oscar di testa su calcio d’angolo, Eder con un pallonetto delizioso e Falcao grazie a un rasoterra da fuori area, fissano il definitivo quattro a uno.

L’ultima partita è Brasile – Nuova Zelanda. Sono altri quattro gol, due dei quali realizzati da uno straripante Zico. Con dieci gol realizzati, un gioco scintillante, in crescita, e tanto entusiasmo attorno, il Brasile si presenta al girone dei quarti di finale. Il 2 luglio 1982, al Sarria di Barcellona, è in programma la sfida contro la nazionale argentina.

Maradona e Junior, nella sfida del Sarria - tsxdzx.com
Maradona e Junior nella sfida del Sarria – tsxdzx.com

È il terzo incrocio consecutivo ai Mondiali tra i due colossi latinoamericani. Nel ’74 ha vinto il Brasile, nel ’78 hanno pareggiato, ma gli argentini hanno guadagnato l’accesso alla finale – non senza polemiche. L’Argentina è reduce dalla cocente sconfitta patita contro l’Italia; è già all’ultima spiaggia, quindi, e deve assolutamente vincere, magari con ampio scarto, per sperare ancora nel passaggio del turno. La nazionale brasiliana, da parte sua, ha quale compito esclusivo la necessità di confermarsi una volta di più come grande favorita per la conquista della Coppa.

Il Brasile scende in campo in formazione tipo. Nell’Argentina ci sono alcuni cambi: Gallego è squalificato, Barbas e Calderon operano a centrocampo; Kempes è spostato in attacco, ma verrà sostituito da Diaz all’intervallo, chiudendo così in maniera triste e anonima la sua esperienza ai Mondiali.

Dopo pochi minuti dal fischio di avvio c’è una bella azione proprio di Kempes sulla sinistra: il cross è per Barbas, che dal centro dell’area, di testa, impegna Valdir Peres. Ma è un fuoco di paglia. Al dodicesimo minuto Eder calcia una punizione da oltre trenta metri. Scaglia una botta di una forza inaudita e la palla, velocissima, sbatte sulla traversa e rimbalza sulla linea, prima che accorra velocissimo Zico a buttarla in rete, anticipando in tal modo sia Serginho, sia il portiere Fillol. I difensori argentini, immobili, non possono far altro che guardare da lontano l’uno a zero per il Brasile.

La reazione argentina praticamente non c’è, al massimo produce dei velleitari tiri da fuori da parte di Calderon e Kempes. C’è invece un Brasile meraviglioso, in grado di presentarsi al tiro con grande facilità e naturalezza. Leandro pesca bene Falcao in area, che conclude oltre la traversa. Lo stesso Falcao, con una grande ripartenza sulla fascia destra, sfiora il raddoppio. Solo verso il termine l’albiceleste si desta e comincia a dare segni di vita. Su calcio d’angolo (attenti agli angoli, brasiliani), Passarella impatta bene di testa e costringe Valdir Peres a togliere la palla da sotto la traversa con un splendido intervento.

La ripresa è più combattuta. Inizia con un’efficace azione di Maradona, che fornisce un buon assist a Diaz, ma la conclusione è facile preda del portiere avversario. L’Argentina non ha altra scelta che lanciarsi in avanti. Scopre il fianco così ai contrattacchi brasiliani, in grado di avvicinarsi alla rete con due tentativi da parte di Eder e Cerezo, da fuori area. C’è un possibile fallo da rigore non fischiato su Maradona. Poi Diaz ha sui piedi l’occasione più nitida per raggiungere il pareggio: riceve palla piuttosto libero da Bertoni, al limite dell’area di rigore e in posizione centrale, però calcia fuori dai pali.

E allora è il Brasile a salire in cattedra. Cross dalla fascia di Leandro, pallone verso Zico, solissimo, a pochi metri dalla porta, colpisce al volo, fuori. Ma è solo il prologo al raddoppio brasiliano: una geniale apertura di Zico libera Falcao sulla destra, traversone morbido a scavalcare il portiere sulla testa di Serginho, il quale non deve fare altro che metterla dentro.

Sotto di due gol, Maradona è l’ultimo degli argentini a desistere. Scatta sulla sinistra e serve il pallone a Ramon Diaz, il cui rasoterra è ancora fuori, sebbene di poco. Di lì a breve la pietra tombale sul Mondiale argentino si materializza grazie a uno splendido assist centrale di Zico, in grado di mettere Junior, palla al piede, solo davanti a Fillol. Gol del tre a zero e divertente balletto del terzino brasiliano sulla linea di fondo, accompagnato da un bel sorriso di pura felicità.

A cinque minuti dal termine la frustrazione e l’amarezza giocano un brutto scherzo a Maradona. Un’entrata assassina sul basso ventre di Batista vale al Pibe de oro l’espulsione. Maradona, che ha fatto il possibile per tenere in piedi la sua squadra, abbandona il campo a testa bassa, ma sarà protagonista nelle successive tre edizioni del campionato del Mondo. C’è ancora tempo per una rete dell’Argentina, realizzata – finalmente – da Ramon Diaz.

Fischio finale, tre a uno per il Brasile e gran festa sulle tribune del Sarria. Basta un pareggio ai brasiliani, nell’ultimo incontro del gironcino contro l’Italia, per passare in semifinale. Zico e Falcao sono stati immensi, ma è il talento variamente assortito di tutti i giocatori che sprigiona un calcio gioioso, all’apparenza inarrivabile e invincibile. Il Brasile avanza più che mai verso titolo; a quel punto, realmente, si stenta a immaginare che qualcosa possa frapporsi tra i verdeoro e il quarto trionfo mondiale. Ma invece qualcosa, di lì a tre giorni, sta per accadere.

La formazione argentina abbandona senza gloria il sogno di un nuovo titolo mondiale al termine di un torneo decisamente al di sotto delle aspettative: il bilancio, per una squadra comunque di indubbio valore, è di tre sconfitte su cinque incontri. La disfatta con il Brasile chiude l’epoca di Menotti e apre il periodo di Carlos Bilardo alla guida della seleccion. Sarà un calcio completamente diverso dalla impostazione scelta dal predecessore, ma molto simile in termini di successi.

27 novembre 2018

References   [ + ]

1. Giuseppe Ottomano, Eder: il piede sinistro di Dio, Storie di Calcio
2. Luis Miguel Hinojal, Eterno Tele, Revista Libero n. 17