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Spagna, 1982
VII. La Polonia e Paolo Rossi

Polonia – Unione Sovietica (Barcellona, Camp Nou, 4 luglio 1982) è la partita decisiva per designare una delle quattro semifinaliste del Mondiale. Non solo, è una sfida che allarga i propri orizzonti oltre il campo di calcio. La Polonia socialista vive un periodo a dir poco turbolento: proteste operaie si sono succedute, a ondate, durante tutto il decennio precedente; la critica verso il regime è ben radicata nella società, resa evidente anche da un afflusso di massa al cospetto di Karol Wojtyla, il papa polacco, in visita in patria nel ’79. Nel 1980 scoppia una nuova protesta operaia con epicentro a Danzica, presso i cantieri navali Lenin. Alle porte dei cantieri viene esposta un’immagine della Madonna – gli operai di Torino, in sciopero negli stessi mesi alla FIAT-Mirafiori, quale simbolica risposta alzeranno ai cancelli una grande effige di Karl Marx. Poi la mobilitazione si allarga a tutto il paese. Viene fondato un sindacato, Solidarnosc (Solidarietà), la prima stabile organizzazione operaia libera del blocco orientale, che in breve tempo raggiunge quasi dieci milioni di iscritti. Dalle questioni lavorative si passa immediatamente a rivendicare diritti di libertà e democrazia, e il governo deve cedere, almeno per prendere tempo.

Inevitabilmente, il clima di insubordinazione generalizzato investe anche il calcio. C’è un episodio molto noto, almeno in Polonia, e passato alla storia come l’incidente dell’aeroporto di Okecie (lo scalo aereo di Varsavia). È il 28 novembre 1980 e la nazionale polacca è in partenza per l’Italia, dove preparerà la partita di qualificazione mondiale contro Malta. Młynarczyk, portiere della squadra, nel corso della notte precedente si è attardato fuori dall’albergo e pertanto la federazione decide di lasciarlo a casa. Alcuni giocatori non accettano la decisione: lo portano all’aeroporto e lì inscenano un duro scontro con i dirigenti. Młynarczyk è aggregato alla squadra ma la polemica monta, aizzata anche da un incontro di tutta la nazionale con il papa, a Roma, non autorizzato dai vertici. La visita in Vaticano è stata gestita da Terlecki, un giocatore della nazionale laureato in storia che, in rotta con il regime al potere, da anni sta tentando di organizzare in forma autonoma i calciatori polacchi. Al ritorno in patria lo stesso Terlecki, così come Młynarczyk, Boniek e Żmuda, sono squalificati per diversi mesi a causa della rivolta dell’aeroporto. Le squalifiche saranno presto ampiamente ridotte, ma chi ci rimette il posto è il ct Kulesza, dimessosi per protesta con la federazione calcistica polacca e sostituito da Antoni Piechniczek. Quest’ultimo sarà l’allenatore della nazionale biancorossa in Spagna.

Ma la situazione di instabilità politica e sociale in Polonia non può andare avanti ancora per molto tempo. C’è la guerra fredda e c’è il Patto di Varsavia. L’Unione Sovietica minaccia l’intervento armato sul territorio polacco, così come ha fatto tredici anni prima a Praga. Per evitare una bagno di sangue, siamo intanto a fine ’81, il generale e ministro della difesa Wojciech Jaruszelki guida un colpo di Stato: viene promulgata la legge marziale e l’attività di Solidarnosc è sospesa (l’organizzazione sarà poi soppressa nell’autunno del 1982). Il leader del sindacato Lech Walesa è arrestato; qualche settimana dopo i Mondiali di Spagna verrà rimesso in libertà e di lì a breve gli sarà assegnato il Nobel per la pace. Nonostante il clima fortemente repressivo, le proteste in Polonia non si placano. L’eco giunge sino ai campionati del Mondo, durante i quali esuli politici polacchi espongono in diverse occasioni striscioni negli stadi a sostegno di Solidarnosc.

Quindi è Polonia – URSS, ai Mondiali, con gli eventi di quei mesi ancora caldi e ben impressi nelle menti di tutti. Per tale ragione Boniek carica a dovere la propria squadra negli spogliatoi, con parole semplici e nel contempo perentorie: “Signori, è arrivato il momento. Ora o mai più1)Aitor Lagunas, 25 meses que lo cambiaron todo, Panenka n. 36.

I sovietici sono costretti a vincere per passare il turno, mentre ai polacchi basta il pareggio. L’URSS ha disputato un ottimo girone di qualificazione al Mondiale: imbattuta, venti gol all’attivo e solo due al passivo. Poi in Spagna sono state luci e ombre. Nella partita decisiva della prima fase, contro la Scozia, ha chiuso con un sofferto due a due. Nel gironcino dei quarti ha appena sconfitto il Belgio per uno a zero, senza impressionare – un Belgio comunque demoralizzato dai tre gol già incassati dalla Polonia.

Grandi premesse, ma sul rettangolo verde accade alla fine ben poco e lo spettacolo latita. Nella prima frazione i sovietici fanno la partita, ma senza creare troppo: ci sono occasioni di testa a favore di Bessonov, in seguito a punizione, e di Sulakvelidze, nulla di più. La Polonia si attesta sulla difensiva. Nella ripresa la formazione polacca gioca meglio e si affaccia nell’area avversaria, prima con azioni in contropiede, poi anche manovrate. Boniek è protagonista di una bella azione personale, il cui tiro finale è intercettato da Dassaev, portiere sovietico. Si vede anche una conclusione pericolosa di Ciolek, su assist del solito Boniek. Nel finale Smolarek ha l’occasione migliore, ma la sua conclusione è deviata da Dassaev.

Lo zero a zero finale consegna alla Polonia l’ingresso nelle semifinali del torneo mondiale, ma la nazionale polacca dovrà fare a mano del suo miglior giocatore, ovviamente Zibigniew Boniek, ammonito nei minuti finali e di conseguenza squalificato. Un’assenza molto pesante.

La nazionale polacca torna così fra le primi quattro squadre di calcio del mondo, obiettivo già raggiunto nel 1974, però non si può dire che questa squadra sia paragonabile a quella di otto anni prima. Non c’è nel complesso lo stesso livello di talento e lo stesso gioco. Ad ogni modo, sono presenti alcuni singoli giocatori di indubbio valore. Zmuda ad esempio, difensore centrale già in campo in Germania Ovest otto anni prima – in totale giocherà ventuno partite nel corso di quattro Mondiali di fila. In attacco giocano Lato, capocannoniere nel torneo del ’74 e autore in Spagna di un torneo senza dubbio pregevole, in particolare come uomo-assist, e Smolarek.

Ma il vero protagonista della Polonia ai Mondiali del 1982 è Zibì Boniek. È un centrocampista offensivo, all’occorrenza anche un attaccante, già in campo con la propria nazionale nei Mondiali di quattro anni prima. Milita nel Widzew Lodz e vince due titoli nazionali, nel 1980 e nel 1981. Dopo il campionato del Mondo passa alla Juventus, ventiseienne, ancora piuttosto giovane considerando che all’epoca i giocatori del blocco dell’est ricevevano l’assenso a trasferirsi nei ricchi campionati occidentali soltanto a trent’anni. Nella Juve è protagonista di stagioni molto importanti e dopo tre anni passa alla Roma.

La Polonia scende in campo con una sorta di abbottonato 5-3-2, pur avendo iniziato il torneo con un centrocampista in più e un difensore in meno. La svolta nasce nel secondo incontro: Jalocha, un centrocampista, si infortuna e viene sostituito da Dziuba, un difensore. Ecco la formazione che ha affrontato l’Unione Sovietica: Mlynarczyc; Dziuba, Kupcewicz, Janas, Zmuda, Majewski; Matysik, Buncol, Boniek; Smolarek, Lato.

Il meglio di sé, durante il campionato, la Polonia riesce a darlo nel corso delle due partite centrali giocate contro Perù e Belgio. La sfida ai sudamericani è il terzo incontro del girone della prima fase – la Polonia ha pareggiato le prime due contro Italia e Camerun. Nel primo tempo le due formazioni fanno incetta di legni: il Perù colpisce il palo su punizione di Diaz, poi la palla rimbalza sul braccio del portiere ed esce; la Polonia coglie una traversa con Boniek e un incrocio dei pali con Matysik. È invece una costante del torneo che la Polonia giochi meglio il secondo tempo. La difesa del Perù, impegnata a più riprese, va completamente in barca e combina disastri. Alla fine conta cinque reti al passivo, siglate da: Smolarek, Lato, Boniek, Buncol e Ciolek.

Contro il Belgio, nel girone a tre dei quarti di finale, la squadra polacca non parte favorita. I belgi sono i vice-campioni d’Europa e nella prima fase hanno battuto l’Argentina. Ma al Camp Nou di Barcellona va in scena uno spettacolo di Boniek e un trionfo della Polonia. La partita termina tre a zero, con tripletta di Boniek variamente assortita: il primo è una splendida sassata da fuori area, defilato; il secondo è realizzato di testa a scavalcare il portiere; il terzo grazie a un dribbling sull’estremo difensore, seguito da comodo tocco in rete.

La Polonia in semifinale è una sorpresa per tifosi e addetti ai lavori, benché da un decennio la nazionale est europea sia sempre tra le prima otto squadre al mondo. Ha incassato sinora un solo un gol, ininfluente, contro il Perù. Ha però gonfiato la rete avversaria soltanto in due partite su cinque. È una squadra a trazione posteriore.

Boniek in Polonia-URSS - footballinussr.fmbb.ru
Boniek in Polonia-URSS – footballinussr.fmbb.ru

La prima semifinale del Mondiale spagnolo si gioca il giorno otto luglio, ore cinque e un quarto del pomeriggio, presso il principale stadio di Barcellona, cioè il Camp Nou. Nella Polonia lo squalificato Boniek è sostituito da Ciolek (a sua volta sostituito all’intervallo da Palasz). Nell’Italia manca Gentile, che ha rimediato due gialli nelle tremende battaglie in cui ha limitato Maradona e Zico, e pertanto è squalificato. Lo sostituisce il giovane (diciotto anni) Giuseppe Bergomi. L’Italia, reduce dalle affermazioni ottenute nei confronti di Argentina e Brasile, giunge in semifinale sulle ali dell’entusiasmo: è più in forma la selezione italiana, ed è più forte della Polonia, per altro priva del suo giocatore di gran lunga migliore. L’esito della partita che chiuderà il decennio d’oro del calcio polacco non sarà mai veramente in discussione.

Non appena l’arbitro fischia il via, c’è subito un azione veloce e pericolosa dell’Italia: Graziani apre per Rossi, che conclude e sfiora il palo. Già si capisce l’andazzo; quando premono, gli azzurri paiono in grado di arrivare sino in fondo. Ci prova Tardelli da fuori area, ma il portiere para. È il turno di Graziani, su invito di Rossi, e il tiro scoccato dal limite dell’area termina di poco alto. Poi, al minuto ventidue, Antognoni calcia una punizione sulla destra: interviene Rossi sotto porta e infila l’uno a zero.

Antognoni si fa male poco dopo e deve lasciare il campo. Prende il suo posto Marini, il quale ha un’ottima opportunità non concretizzata. Ancora, è da segnalare un tentativo di Cabrini da fuori area. Il dominio italiano è evidente; la Polonia invece è impalpabile, salvo qualche tiro da lontano. L’unica vera occasione polacca prende forma alla fine del primo tempo, quando una punizione calciata da Kupcewicz tocca il palo. La telecamera inquadra il giocatore polacco sconsolato – sembrano non crederci molto neanche loro.

La ripresa è bruttina. I polacchi sono molto fallosi, il gioco è spezzettato e poco avvincente, mentre l’Italia evita di spingere e tira il fiato. Buncol impegna Zoff di testa, ma oltre a questo la Polonia non produce molto. Alla metà della frazione, l’Italia chiude il discorso: Altobelli (appena entrato a rilevare Graziani) per Conti, imprendibile, sulla fascia sinistra; cross al bacio per l’ormai immancabile Paolo Rossi, che si inginocchia e mette in rete, di testa. I compagni corrono ad abbracciare Rossi nell’area piccola. Due a zero e Italia di nuovo in finale di Coppa del Mondo a dodici anni dall’ultima volta, in Messico, nel ’70.

A questo punto del Mondiale, Paolo Rossi ha segnato cinque gol in due partite. È in testa alla classifica dei marcatori ed è il simbolo della travolgente Italia, ora prima favorita per la conquista del titolo. Probabilmente, in quel momento è il più forte calciatore al mondo.

La storia di Paolo Rossi è anomala, condita di drammi e trionfi. Sembra una favola. È un calciatore non molto dotato fisicamente: è magrolino, privo di particolari muscoli, non è alto; ha insomma un fisico che potrebbe tranquillamente appartenere a un giovane e grazioso impiegato di un ente pubblico. D’accordo, è veloce, scattante, agile, ma più di tutto ha un innato senso del gol. È opportunista, gioca d’anticipo sull’avversario, d’astuzia. Uno di quei giocatori che trovano le risorse in luoghi inaccessibili ai comuni mortali.

Inizia la carriera ad alti livelli nella Juventus di metà anni settanta. Nella squadra bianconera non trova molto spazio e viene ceduto in comproprietà al Vicenza. Lì esplode. Nella stagione 1977/78 è capocannoniere della Serie A. Vola ai Mondiali argentini, conquista la maglia di titolare ed è protagonista di un ottimo torneo, impreziosito da tre reti.

Giunto il momento di sciogliere la comproprietà, a sorpresa il Vicenza supera l’offerta della Juve, per cui resta in Veneto ancora un anno; poi la squadra retrocede e Rossi è ceduto in prestito al Perugia. La carriera prosegue in provincia, quindi. Ma lì arriva la botta che rischia di stroncargli il futuro: Paolo Rossi è coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse. Lui si dichiara e si ritiene innocente, ma in ogni caso gli viene comminata una pesante squalifica e per due anni dovrà restare fuori dai campi di calcio. La mazzata è di quelle pesanti, in grado incidere in maniera decisiva, per di più nel pieno della sua carriera agonistica. Rossi salta gli Europei del 1980 e circa due stagioni di calcio da professionista.

Ritorna in campo alla fine del campionato 1981/82, con la maglia della Juventus, che lo ha acquistato circa un anno prima. Il dirigente dei torinesi Boniperti e l’allenatore Trapattoni credono ancora lui. Lo stesso vale per il ct della nazionale Bearzot, che lo convoca per i Mondiali e lo schiera titolare in tutte le partite. Il già magro Rossi è sotto peso, lento e non segna neanche per sbaglio. Approfitta della prima metà del torneo per riprendersi fisicamente. Dopo ogni partita chiusa con prestazioni piuttosto anonime, Bearzot gli dice: “Stai tranquillo e preparati per la prossima2)Paolo Rossi e il lieto fine di una favola spezzata, Storie di Calcio. E Rossi si prepara.

Esplode con il Brasile, firmando con il suo nome una partita che resterà per sempre negli annali del calcio. “Rossi segnò tre gol al Brasile, ci portò oltre il nostro limite. Ci insegnò quasi per caso a renderci conto della nostra bravura. In una parola e in un istante, rese tutto possibile3)Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai editore, 2009. Resta celebre la scritta sul tabellone del Sarria: Paolo Rossi hombre del partido. Con le sue prestazioni e i suoi sei gol a Spagna ’82 strabilia il mondo e diventa per tutti Pablito.

Le stagioni con la Juventus, tra il 1982 e il 1985, sono importanti per Rossi, per quanto non si trovi perfettamente a suo agio con la squadra e la tifoseria bianconera. In mezzo a tanti fuoriclasse, fatica un po’ a trovare un suo preciso ruolo. Non segna tanti gol, ma ne segna di importanti. È capocannoniere nella sfortunata Coppa dei Campioni 1982/83. L’anno dopo infila al Manchester United il gol decisivo per l’accesso in finale in Coppa delle Coppe. Vince anche il titolo nazionale. L’ultima stagione però è la più complicata, non all’altezza della sua fama e vissuta spesso in panchina. L’epilogo in bianconero coincide con la conquista del titolo europeo nel mezzo della tragedia dell’Heysel.

Rossi passa la Milan e poi al Verona, ma la sua carriera volge velocemente al termine. Le ginocchia sono fragili e malconce. Bearzot lo porta ai Mondiali messicani più per riconoscenza che per reale merito. Trascorre in panchina o in tribuna tutto il torneo.

Ma che importa, va bene così. Ha toccato il fondo con la squalifica per il calcio-scommesse, poi il cielo con il Mondiale spagnolo. È stato un grande attaccante Paolo Rossi, un uomo centrale nella storia del calcio azzurro e almeno per un po’ di anni, senza alcun dubbio, l’italiano più famoso del pianeta.

27 novembre 2018

immagine in evidenza: Semifinale, Rossi porta in vantaggio l’Italia – sportsnet.ca

References   [ + ]

1. Aitor Lagunas, 25 meses que lo cambiaron todo, Panenka n. 36
2. Paolo Rossi e il lieto fine di una favola spezzata, Storie di Calcio
3. Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai editore, 2009