Prologo. Slavkov u Brna è una cittadina dell’odierna Repubblica Ceca. Probabilmente è un posto come tanti altri sparsi per il mondo, senza niente di eccezionale tranne per chi ci vive o per chi ci è vissuto. Per molti anni, per secoli, il tempo è trascorso apparentemente placido, tra i suoi alti e bassi. Il resto del mondo non è sembrato curarsi della sua esistenza. Poi un giorno, precisamente il 2 dicembre del 1805, le truppe di tre grossi eserciti si sono incontrate e scontrate proprio su quel territorio. E la cittadina in questione, da quel preciso momento, è rimasta per sempre nella storia del mondo e nella memoria degli uomini. Quel luogo si chiama anche Austerlitz e lo scontro armato che ha ospitato è definito dagli storici la battaglia dei tre Imperatori, che appunto erano: Napoleone Bonaparte, imperatore dei francesi; Alessandro I, zar di Russia; Francesco II d’Asburgo-Lorena, imperatore d’Austria.
Parlando di calcio, la battaglia dei tre Imperatori è il quarto di finale del Mondiale ’82 che raccoglie in unico girone l’Italia, il Brasile e l’Argentina, e che designerà una delle quattro semifinaliste del torneo. È passato alla storia come il girone della morte per antonomasia. Assieme le tre squadre totalizzano sei titoli mondiali, su appena undici campionati sin lì disputati. L’Argentina è campione del Mondo in carica; nello stesso Mondiale del ’78, Italia e Brasile sono entrate tra le prime quattro. È possibile – opinabile quanto si vuole, ma possibile – che ciascuna delle tre nazionali schieri in Spagna, quell’anno, la propria squadra più forte di sempre.
Teatro della sfida è il Sarria, l’impianto che prende il nome dall’omonimo quartiere nella zona settentrionale della capitale catalana. È stato costruito nel lontano ’23 e di solito vi gioca l’Espanyol, la seconda formazione cittadina. Uno stadio non troppo grande – capienza di circa quarantaquattromila persone – e privo di particolari pregi, con le tribune addossate al campo e quasi senza copertura; uno stadio all’epoca pressoché sconosciuto, ma che nessun autentico appassionato del gioco, dopo il Mondiale, potrà mai più scordare.
Barcellona, Mondiale di Spagna, 29 giugno – 5 luglio 1982. I sette giorni che sconvolsero il calcio.

Il primo atto della trilogia è Italia – Argentina. Terzo incontro consecutivo fra le due nazionali alla fase finale della Coppa – la sfida sta diventando una piccola epopea – ma qui in Spagna, a differenza dei due precedenti, la posta in palio è più alta.
La seleccion, in qualità di squadra detentrice del titolo, ha inaugurato il torneo il 13 giugno, al Camp Nou di Barcellona, ed è stata immediatamente una sgradevole sorpresa per i sudamericani. Sorpresa fino ad un certo punto, c’è da dire, perché hanno trovato di fronte la formazione vice-campione d’Europa, il Belgio. La nazionale guidata da Thys è una formazione arcigna come sempre, ma tutt’altro che priva di talento: Pfaff in porta; Gerets in difesa; un ottimo centrocampo composto da Vercauteren, Coeck e Ceulemans. Durante la prima frazione di gioco, la difesa argentina evidenzia preoccupanti buchi che consentono agli avversari di giostrare pericolose azioni offensive nel cuore dell’area di rigore. Il definitivo uno a zero per i belgi viene marcato nel secondo tempo: un lancio dalla trequarti libera Vanderbergh direttamente di fronte a Fillol, la cui uscita è vana. Lo svantaggio scuote l’Argentina. Maradona, molto frenato nel gioco dalla posizione di Coeck davanti alla propria difesa, timbra la traversa su punizione, poi la palla finisce sulla linea, Kempes tenta la deviazione sotto misura ma Pfaff è pronto a opporsi. Ci prova anche Valdano, di testa, ma è di nuovo l’estremo difensore belga a respingere. Tutto inutile – il Belgio sfiora addirittura il raddoppio con Ceulemans. L’Argentina deve aprire il torneo con una sconfitta.
I campioni in carica, però, sono tutt’altro che finiti e dominano le due seguenti gare. Con l’Ungheria è un perentorio quattro a uno marcato da una doppietta di Maradona. Il secondo gol del numero dieci argentino è un gran tiro da sinistra nell’angolino basso a fil di palo, dopo una bella azione orchestrata con Kempes. I sudamericani chiudono poi il girone battendo due a zero El Salvador. Passa come seconda l’albiceleste, dietro il Belgio. Qualche certezza si è persa per strada, ma l’intento di bissare il titolo conquistato in casa quattro anni prima resta pressoché intatto. L’Argentina era e rimane una formazione temibilissima.
Squadra che vince non si cambia, potremmo dire, parlando della nazionale argentina in terra spagnola. Rispetto al 1978, portiere, difesa e centrocampo titolari sono esattamente gli stessi. Lo schieramento in campo proposto da Menotti rimane il collaudato 4-3-3 votato all’attacco e al controllo del gioco. Kempes parte sempre da dietro rispetto agli attaccanti, svaria e si spinge in avanti, ma non è più al livello esplosivo del campionato precedente. In compenso, il leader della difesa Passarella è cresciuto ulteriormente. In attacco, sulle fasce agiscono Bertoni (in ottima forma) e Diaz. Validi rincalzi sono il centrocampisti Calderon e la punta Valdano. La grande novità è il giovane attaccante centrale, con licenza di muoversi a piacimento, ovvero Diego Armando Maradona.
Il Pibe de oro è già considerato un fuoriclasse a livello internazionale. Il suo talento cristallino e inarrestabile si è rivelato al mondo tre anni prima, nel corso dei Mondiali under-20 disputati in Giappone. È un torneo chiave per il calcio argentino di quegli anni. L’albiceleste scopre di possedere tra le proprie fila tutta una serie di promettenti giocatori: Maradona in primis, ma anche Calderon, Diaz, Barbas. L’Argentina vince il torneo – tre a uno in finale sull’Unione Sovietica – confermando così a livello giovanile il successo appena conquistato dalla nazionale maggiore.
Altri eventi segnano il 1979 della seleccion. Quell’anno si svolge l’ultimo incontro tra le nazionali italiana e argentina prima del Mondiale spagnolo, il 26 maggio, allo Stadio Olimpico di Roma. La partita è piacevole e le due formazioni, entrambe di grande pregio e livello tecnico, pareggiano due a due. L’Argentina si porta in vantaggio con Valencia. Poi c’è un fantastico gol di Causio: riceve una rimessa laterale, supera il difensore con un pallonetto e sempre al volo scaglia un sinistro all’incrocio. Rossi porta in vantaggio l’Italia e infine Passarella fissa il risultato finale su rigore abbastanza generoso.
Sempre nel 1979 si gioca la Coppa America, nella quale l’Argentina si presenta con una squadra sperimentale e colma di giovani, fra i quali c’è Maradona. Esce subito dalla competizione, perdendo le prime due partite del girone eliminatorio contro Bolivia (nell’altura di La Paz) e Brasile. È un torneo anomalo, la Coppa America del ’79. Paraguay e Cile si giocano il titolo dopo aver eliminato in semifinale rispettivamente Brasile e Perù. La nazionali paraguayana e cilena non vivono quel che si può esattamente definire un periodo d’oro. Basti dire che il Paraguay da circa vent’anni manca la qualificazione per la fase finale dei Mondiali (ci tornerà nel 1986). Dal canto suo il Cile, assente nel 1978, gioca un Mondiale anonimo in Spagna, per poi presentarsi di nuovo all’ultimo atto della Coppa del Mondo soltanto nel 1998. Ad ogni modo il Paraguay è campione dell’America Latina al termine di una serie di tre partite. Il terzo incontro, valevole come spareggio, è giocato a Buenos Aires di fronte a pochi intimi, finisce zero a zero dopo centoventi minuti e consegna il titolo ai biancorossi in virtù di una migliore differenza reti ottenuta nelle due precedenti partite. Si può immaginare che non sia stato troppo entusiasmante.
L’Argentina cresce con l’avvicinarsi del campionato del Mondo, quasi a voler ricordare con chi dovranno necessariamente fare i conti le altre aspiranti al titolo. Nel corso delle due stagioni calcistiche prima della Coppa, la nazionale biancoceleste perde una sola partita, contro la Polonia. Durante il 1982 affronta esclusivamente nazionali europee: raccoglie quattro pareggi nelle impegnative sfide che la vedono opposta a Cecoslovacchia (due volte), Germania Ovest e Unione Sovietica; poi batte le nazionali di Bulgaria e Romania.
Qualcosa però sta accadendo a livello extra-calcistico e inevitabilmente lascia degli strascichi nelle menti dei giocatori argentini. Proprio nel 1982 la sanguinaria giunta militare al potere in Argentina tenta disperatamente di ribaltare il fallimentare bilancio del proprio operato, giocando la carta del più accesso nazionalismo. Invade militarmente le isole Faakland, o Malvinas, un arcipelago sparso in mezzo all’Atlantico meridionale e controllato dalla Gran Bretagna. La guerra che ne segue si risolve in un disastro per le forze armate argentine. Durante la Coppa in Spagna, la maggior parte dei nazionali argentini può leggere le cronache del conflitto, per la prima volta libere dalla pesante cappa di menzogne filo-governative che le contraddistingue in patria. E per di più nella loro stessa lingua. Dirà Maradona: “Eravamo convinti che l’Argentina stesse vincendo la guerra, e come ogni autentico patriota ero lieto di tutto ciò. Ma in Spagna scoprimmo la verità. Fu un colpo davvero pesante per ciascuno di noi”1)David Goldblatt, The Ball is round, Penguin Books, 2007.

A Barcellona, martedì 29 giugno 1982, fa molto caldo, e lo stesso si può dire per l’Italia. Sono le cinque della sera quando entrano in campo Italia e Argentina. Schierano le formazioni titolari. Ovvero, da una parte: Zoff (capitano); Gentile, Collovati, Scirea, Cabrini; Conti, Oriali, Tardelli; Antognoni; Rossi, Graziani. Dall’altra: Fillol; Galvan, Olguin, Passarella (capitano), Tarantini; Gallego, Ardiles, Kempes; Bertoni, Maradona, Diaz. Dirige il gioco il romeno Rainea.
Prima dell’incontro, Menotti ha dichiarato che in campo la nazionale italiana mostra un gioco rimasto fermo a cinquant’anni fa2)Gianni Brera, Miracolo a Barcellona, Storie di calcio. Potrebbe andarci più cauto, il ct argentino, stante la sconfitta patita in casa quattro anni prima, e professare quindi un po’ più di umiltà. Però quel giorno quasi nessuno punterebbe una peseta sulla vittoria azzurra. L’Italia, reduce da tre pareggi nel girone della prima fase, all’apparenza naviga a vista in un mare – reale – di critiche e perplessità.
Anche se fa molto caldo, la lotta sul campo è serrata e l’incontro è intenso, colmo di aggressività e tensione. Nel primo tempo non accade tantissimo. L’Italia inizia bene con una gran punizione di Tardelli dalla distanza, che termina alta. Risponde l’Argentina, sempre nei minuti iniziali: tiro da fuori area di Diaz, ma Zoff alza sopra la traversa; semi-rovesciata di Maradona, alta. Le occasioni diminuiscono con il passare dei minuti. Gli argentini ci provano con tiri da fuori, senza creare grossi pericoli alla porta avversaria. C’è quindi una bella azione corale da parte dell’Italia, con Antognoni che serve Graziani sulla fascia sinistra, palla in mezzo per Rossi il quale, ostacolato da difensore e portiere, non trova la porta. Si vedono botte variamente assortite, proteste, sceneggiate. L’arbitro ammonisce cinque giocatori – un numero spropositato per l’epoca – e sono: Rossi, Kempes, Maradona, Ardiles e Gentile.
Ma nella ripresa l’incontro è meno rude e diventa di colpo avvincente, sorprendente. Soprattutto, si trasforma in una sfida davvero bellissima. L’atteggiamento guardingo tenuto sino a quel momento dall’Italia cambia da subito. La difesa anticipa regolarmente gli avanti avversari. La nazionale italiana controlla il gioco con il proprio centrocampo, in particolare grazie a Tardelli, Conti e Antognoni, che prendono il sopravvento e creano occasioni da rete. Conti serve una buona palla a Graziani, ma il tiro termina fuori. Grandissima botta da lontano di Tardelli che Fillol toglie da sotto la traversa e mette in angolo. Ci prova anche Oriali da fuori area. Al decimo il vantaggio italiano è realtà: grande contrattacco con sovrapposizioni continue per vie centrali, impostato da Conti, palla per Antognoni, scarico su Tardelli che entra in area e infila sulla sinistra Fillol.
Il gol subito dà la sveglia all’Argentina, che a questo punto comincia a fare la partita e schiaccia con forza l’Italia nella propria metà campo. Menotti inserisce Calderon e Valencia al posto di Diaz e Kempes, quest’ultimo molto deludente. L’Argentina è una bestia ferita e arrabbiata. I pericoli per la porta azzurra sono enormi. Bertoni colpisce di fatto da solo, di testa, a un paio di metri dalla porta, ma è centrale e Zoff blocca. C’è una punizione di Passarella deviata dal portiere azzurro in angolo; un altro calcio di punizione parte magistralmente dal piede di Maradona per stamparsi sulla faccia esterna del palo. Poi ancora Passarella impegna di testa Zoff, che si esibisce in un intervento straordinario.
Siamo quindi nel momento migliore dell’Argentina, nella fase in cui la seleccion produce il maggiore sforzo per recuperare lo svantaggio e sembra proprio vicina a riuscirci, quando accade questo. L’Italia manovra a centrocampo, gli argentini pressano con foga e molto alti. Tardelli passa a Graziani, che si libera sulla destra e lancia Rossi in mezzo. La difesa argentina è completamente in barca, sbilanciata, fuori posizione e altissima, tanto che Rossi fa venti metri da solo. Entra in area, arriva davanti al portiere e… gli tira addosso. Recupera però immediatamente la sfera Conti che porta a spasso Fillol fin sul fondo, finta e passa la palla indietro a Cabrini. Tiro a botta sicura, rete.
L’inaspettato raddoppio italiano fa a pezzi l’Argentina e chiude di fatto la partita. L’Italia sfiora il terzo gol, che manca per assenza di precisione. Conti ha sui piedi una grande occasione, ma spreca. Accorcia le distanze invece la formazione biancoceleste a pochi minuti dal termine: Passarella infila la porta su punizione, anticipando il fischio dell’arbitro, mentre l’Italia è ancora impegnata a posizionare la barriera – il gol pertanto non è regolare e dovrebbe essere annullato. Appena ricomincia il gioco, Gallego esprime tutta la frustrazione argentina rifilando un inutile calcione a Tardelli, sotto gli occhi dell’arbitro, che lo manda anzitempo negli spogliatoi. Prima del fischio finale gli azzurri hanno ancora tre nitide occasioni da rete con Antognoni, Altobelli (entrato per Rossi) e Conti.
Due a uno per l’Italia, ribaltati così i pronostici e sconfitta la nazionale campione del Mondo in carica. Splendida e inaspettata prestazione degli azzurri, che paiono una squadra rigenerata e soprattutto in ottima forma fisica. Ma le critiche precedenti erano evidentemente eccessive, frutto più di pregiudizi che di attente analisi.
Si è parlato spesso, quale chiave di lettura del successo italiano, dell’attenta e feroce marcatura a uomo che Gentile ha applicato su Maradona. Il campione argentino è stato in tal modo quasi annullato dall’incontro, ma non è la sola spiegazione. Oriali ha fortemente limitato Ardiles, cervello e fonte del gioco argentino. Il centrocampo italiano ha prevalso su quello avversario e la difesa degli argentini ha mostrato troppe fatali disattenzioni. Nel momento decisivo dell’incontro, quando i sudamericani hanno spinto per raggiungere il pareggio, l’Italia è stata abile a reggere – e in tale frangente un elemento fondamentale è stato Zoff. Ma nel contempo, gli italiani hanno come chiamato in avanti gli argentini, al fine di sfruttare gli spazi che inevitabilmente l’albiceleste avrebbe lasciato alle proprie spalle (tra l’altro, proprio la tattica adottata da Napoleone ad Austerlitz). In questi spazi l’Italia si è infilata per chiudere l’incontro e in tal modo, in quel preciso passaggio, l’ha vinto.
Sugli spalti gremiti sventolano i tricolori. Ci son però anche molti brasiliani in tribuna, e si notano facilmente, con le loro magliette verdeoro che spiccano tra la folla. Ai gol italiani esultano. Pensano che una volta eliminata l’Argentina, cioè la principale avversaria per il titolo, nulla possa impensierire la loro squadra, lanciata verso il traguardo finale. La battaglia dei tre Imperatori è appena iniziata.
27 novembre 2018
References
1. | ↑ | David Goldblatt, The Ball is round, Penguin Books, 2007 |
2. | ↑ | Gianni Brera, Miracolo a Barcellona, Storie di calcio |