La federazione internazionale assegna l’organizzazione dei Mondiali alla Spagna nel lontano 1966, ma il paese che, sedici anni dopo, ospita la manifestazione è molto cambiato. Il 1975 ha finalmente visto la fine della dittatura fascista e la Spagna ha poi attraversato un tormentato passaggio storico costellato da terrorismo, lotte operaie e repressione. L’anno prima del Mondiale il sussulto autoritario di una frangia delle forze armate ha prodotto un tentato colpo di Stato, bloccato sul nascere. Nell’ottobre del 1982 le elezioni politiche porteranno al potere i socialisti di Felipe Gonzales, decretando come definitivamente conclusa la transizione verso un regime democratico-liberale di stampo occidentale.
Nel frattempo, però, tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli anni ottanta, il popolo spagnolo si risveglia e dà vita all’esperienza della movida. Sviluppato innanzitutto a Madrid e poi diffuso nel resto del paese, la movida è innanzitutto un’espressione di carattere culturale che accomuna svariate esperienze artistiche; ma è altresì la voglia di riprendersi le strade da parte milioni di persone, soprattutto di notte. Il Concierto de Primavera, organizzato a Madrid il 23 maggio del 1981, sarà il simbolo di questo periodo storico.
Quindi, in quella Spagna in pieno movimento, si disputa la Coppa del Mondo – anno 1982. Le partite sono giocate un po’ in tutto il paese. Nella prima fase a giorni, salvo l’incontro inaugurale ospitato dal Camp Nou di Barcellona, si privilegiano i centri minori e medi: Vigo, La Coruna, Gijon, Oviedo, Elche, Alicante, Bilbao, Valladolid, Valencia, Saragozza, Siviglia e Malaga. L’idea è quella di concentrare le partite di ogni girone presso due città non troppo distanti tra di loro, al fine di evitare lunghi spostamenti. La seconda fase invece si gioca nelle due principali metropoli spagnole – Barcellona e Madrid – salvo una delle due semifinali in programma a Siviglia. La formula escogitata per questo Mondiale è originale, ma non verrà ripetuta in futuro. Le prime due di ogni girone passano al turno successivo; a quel punto, ci sono quattro gironcini all’italiana, formati da tre formazioni ciascuno. Chi vine il gironcino, gioca le semifinali a eliminazione diretta, e poi c’è la finale.
La mascotte della manifestazione è un’arancia (naranjito) con le mani, le braccia, il viso e in divisa da calciatore, è simpatica e sicuramente migliore di molte altre sue colleghe viste nel corso degli anni. Il disegno del poster è affidato a uno storico e anziano artista spagnolo, Joan Mirò. Dopo l’Argentina, per la seconda volta consecutiva il Mondiale parla spagnolo (ce ne sarà una terza, in Messico, quattro anni dopo); da allora diventa il Mundial.
La Coppa del Mondo FIFA del 1982 raccoglie diverse pretendenti al titolo. Prima di tutte, la principale squadra favorita è il Brasile. Seguono l’Argentina campione in carica e la Germania Ovest, due anni prima vincitrice del titolo europeo. C’è da considerare anche la rinnovata Unione Sovietica, e poi attenzione alle mire dell’Inghilterra. Possibili outsiders: Francia, Belgio, e anche l’Italia. E fra le favorite, più per il fattore campo che per reale valore tecnico, vi è altresì la nazionale spagnola.
Le furie rosse non hanno mai mostrato grandi prestazioni nel corso dei campionati mondiali. Si ricorda un unico ingresso tra le prime quattro, avvenuto nel 1950. C’è stata poi una selezione molto valida nell’edizione 1934, forse la migliore Spagna di sempre, almeno sino a quel momento, guidata dal mitico portiere Zamora. Venne sconfitta nei quarti di finale dall’Italia futura campione, nel corso di due partite, poiché la prima si era conclusa in parità, aspre e combattute.
Il calcio spagnolo vive nei primi anni ottanta un periodo molto particolare, si può dire unico. Il tradizionale dominio delle formazioni della capitale (Real, in parte Atletico) e del Barcellona, è interrotto dalle squadre basche e per ben quattro anni. Nel 1981 la Real Sociedad conquista a Liga durante l’ultimo minuto dell’ultima giornata, pareggiando due a due sul campo dello Sporting Gijon, a discapito del Real Madrid. Quel Real è allenato da Vujadin Boskov e schiera in campo il tedesco Stilieke e Vincente Del Bosque, futuro grandissimo allenatore. Da tre anni di fila il Real è campione di Spagna. Nello stesso 1981 raggiunge la finale di Coppa dei Campioni ma è sconfitto dal Liverpool, a Parigi, per uno zero. Nel 1982 la Real Sociedad riconquista il titolo di campione di Spagna e nel 1983 gioca la semifinale di Coppa dei Campioni contro l’Amburgo. Seguiranno poi nell’albo d’oro della Liga due vittorie consecutive dell’Athletic Bilbao, condotto da Javier Clemente.
La Spagna dei Mondiali ’82 non annovera tra le proprie fila particolari stelle. In panchina siede Santamaria, uruguaiano di origine ma naturalizzato spagnolo, difensore del grande Real Madrid anni cinquanta e sessanta. Ci sono comunque dei validi giocatori in diverse zone del campo: il portiere Arconada della Real Sociedad; i difensori Camacho (bandiera del Real Madrid) e Gordillo; l’attaccante Juanito. Quest’ultimo, idolo dei tifosi madridisti e protagonista nel complesso di una carriera calcistica pregevole, è ricordato però altresì per un episodio non troppo edificante. Semifinale di Coppa dei Campioni 1987, partita di ritorno, Real – Bayern Monaco: Juanito scalcia sulla schiena Lothar Mattheus, già a terra, e non contento gli molla un altro calcio, questa volta in faccia. Prende quattro anni di squalifica che chiude di fatto la sua carriera agonistica, per altro già avviata verso l’epilogo. Morirà pochi anni dopo Juanito, nel 1992, a causa di un incidente automobilistico mentre rincasa dopo aver assistito ad un incontro del suo Real Madrid.
Nel pesante caldo estivo di Valencia, la nazionale spagnola esordisce al Mondiale. La preparazione è avvenuta in altura, al freddo, e lo sbalzo di temperatura non aiuta molto. L’avversario è l’Honduras ed è naturalmente visto come una vittima sacrificale dall’entusiasta tifo sugli spalti. Invece, dopo aver salvato un gol sulla linea, nel corso del primo tempo la formazione centroamericana passa in vantaggio con Zelaya. La Spagna attacca di continuo, rischia anche il due a zero, ma perviene al pareggio nella ripresa grazie a un rigore trasformato da Lopez-Ufarte. Uno a uno con l’Honduras – non è pertanto un inizio molto confortante.
Il secondo incontro dei padroni di casa è decisivo e li vede opposti alla Jugoslavia, una nazionale per tradizione temibile ma che attraversa una fase storica abbastanza negativa. La Spagna schiera questa formazione: Arconada; Camacho, Gordillo, Tendillo, Alexanco; Alonso, Zamora, Sanchez; Juanito, Satrustegui, Lopez-Ufarte. Gli slavi passano subito in vantaggio. Poi l’arbitro fischia un rigore inesistente a favore della Spagna – il fallo su Alonso è infatti avvenuto fuori area. Alonso è un centrocampista della Real Sociedad e gioca un ottimo Mondiale; suo figlio, Xabi Alonso, farà anche meglio del padre, vincendo tutto con la nazionale spagnola. Ad ogni modo sul dischetto si presenta Juanito: tira, sbaglia, ma l’arbitro fa ripetere causa l’ingresso anticipato di giocatori in area; secondo tiro, rete. La Spagna poi nel secondo tempo conquista la vittoria grazie al gol di Saura.
Gli spagnoli giocano l’ultima partita del girone conoscendo già il risultato delle altre due avversarie grazie alla formula poco sportiva che – come già visto nel caso dell’Algeria – viene adottata in questa prima fase. Quindi, nella sfida con l’Irlanda del Nord, la Spagna ha diversi risultati a disposizione, anche un’eventuale sconfitta. Infatti perde uno a zero, ma passa comunque il turno senza molta gloria davanti alla Jugoslavia (in virtù del maggior numero di gol segnati) e dietro i nordirlandesi. La aspetta un girone decisamente impegnativo e al contempo affascinante formato, oltre ai padroni di casa, dalla Germania Occidentale e dall’Inghilterra.

Il calcio inglese di quegli anni si caratterizza per gli straordinari risultati delle sue squadre di club sullo scacchiere europeo. Dal 1977 al 1985 le formazioni provenienti da oltremanica raggiungono la finale di Coppa dei Campioni otto volte su nove, vincendo il trofeo in ben sette occasioni. Il 1982 conclude un filotto di sei vittorie consecutive – un dominio mai visto e mai più replicato. Le squadre inglesi paiono imbattibili e, fra di loro, emerge soprattutto l’epopea del Liverpool.
I reds sono un club molto amato e radicato nella propria città. Nel corso degli anni sessanta consolidano le basi per i futuri successi internazionali grazie a Bill Shankly, storico allenatore della squadra. Da metà anni settanta l’eredità di Shankly è raccolta da Bob Paisley, per altro già da tempo all’interno della società. Paisley modifica in parte l’assetto tattico della squadra: non più attacchi intensi per vie centrali, bensì un calcio più ragionato, fatto di fraseggi, tecnica, aggiunti alla tradizionale forza atletica di scuola britannica. Difesa a zona e applicazione dei nuovi canoni derivanti dal calcio totale olandese, quindi, ma al contempo un particolare equilibrio tattico garantito da una sapiente copertura difensiva di matrice italiana. L’insieme è vincente e consegna al Liverpool quattro titoli continentali: nel ’77 e nel ’78, poi ancora nel 1981 (tre coppe per Paisley in panchina, un record all’epoca). L’ultima vittoria della serie è datata 1984, quando il Liverpool batte la Roma a domicilio grazie ai calci di rigore. La guida tecnica è passata ora a Fagan – sempre attraverso un meccanismo di successione interno – il quale porterà i reds anche alla finale europea del 1985. Lo stesso anno la seconda squadra di Liverpool, l’Everton, conquista la Coppa delle Coppe. Molti gli uomini che legano il proprio nome all’epopea vincente del Liverpool tra fine Settanta e inizio Ottanta. Fra questi, possiamo ricordare i giocatori che si succedono quale principale terminale offensivo: l’inglese Keegan, poi lo scozzese Dalgish e in seguito il gallese Rush. C’è un ottimo portiere, Clemence; in difesa troviamo Neal, esterno destro con attitudine al gol che colleziona tantissime presenze con la maglia rossa del Liverpool, e Alan Kennedy; a centrocampo Mc Dermott, Ray Kennedy e Graeme Souness, scozzese, nel ruolo di regista.
C’è poi l’epopea del Nottingham Forest – tutta da raccontare. Nel 1977 la formazione – i cui componenti sono chiamati i garibaldi dal rosso accesso delle maglie che indossano – gioca nella seconda serie. È la squadra di una cittadina del centro dell’Inghilterra, Nottingham, piuttosto anonima e, immagino, non troppo attraente, nota al mondo quasi esclusivamente per Robin Hood. Nella sua storia il Nottingham Forest non ha mai vinto un titolo inglese. Viene promossa nella massima serie e nella stessa stagione (1977/78) diventa campione d’Inghilterra, rimanendo imbattuta per quarantadue partite dal novembre ’77 al dicembre ’78. Gioca quindi la Coppa Campioni della stagione successiva: elimina i connazionali campioni in carica del Liverpool ai sedicesimi, il forte Colonia in semifinale e conquista il titolo battendo uno a zero il Malmoe in finale. L’anno dopo vince nuovamente la Coppa dei Campioni sconfiggendo in finale l’Amburgo di Keegan. Una vicenda a dir poco incredibile e probabilmente irripetibile. Elementi chiave della squadra sono il portiere Pete Shilton, l’attaccante Trevor Francis e una serie di caparbi scozzesi – come i centrocampisti McGovern e Robertson. Ma l’autentico artefice del miracolo Nottingham Forest è l’allenatore, Brian Clough, uno dei personaggi più eccentrici nella storia del calcio britannico. Clough non è uomo di grandi idee tattiche, ma ha un notevole carisma ed è un motivatore. Pare che invitasse i giocatori a rifornirsi debitamente di birra prima degli incontri importanti. “La chiave della preparazione è rilassarsi”1)77-82: Great Great Britain in So Foot, ha dichiarato. Tremendamente efficace. Nel corso della sua carriera, Clough manca più volte per un soffio la panchina della nazionale, a causa di screzi con la federazione dovuti al suo non facile carattere.
Nel 1982 è l’Aston Villa a conquistare il titolo europeo, grazie a una formazione priva di elementi di spicco ma solida in difesa che riesce a prevalere, in finale, sul più quotato Bayern Monaco di Rumenigge, Breitner e Dremmler. È inoltre da ricordare la vittoria in Coppa UEFA del sorprendente Ipswich Town nel 1981, squadra forte di un asse centrale formato dal difensore Butcher, dal centrocampista olandese Muhren (il più giovane Arnold, non Gerrie) e dall’attaccante Mariner. In panchina siede Bobby Robson, che di lì a breve sarebbe diventato commissario tecnico della nazionale inglese. È stato un allenatore molto stimato e amato in Inghilterra, paragonabile nello stile personale a Enzo Bearzot.
Le formazioni inglesi che in quegli anni iscrivono il proprio nome negli albi d’oro delle coppe europee provengono dalle zone centrali del paese. Sono città operaie, rosse – come le magliette delle squadre di calcio – segnate dalla forza delle unions (i sindacati) e dalle tradizioni di conflittualità politica. Si contrappongono così al nuovo potere conservatore e liberista britannico di Margaert Thatcher. “La società non esiste, esiste solo l’individuo” è la frase simbolo del premier, e negli anni ottanta il governo riuscirà a frenare la potenzialità della classe operaia, a imbrigliarla e ricacciarla indietro di anni. E nel contempo anche il ciclo vincente delle squadre britanniche si chiuderà. Avverrà in maniera drammatica nel 1985, nelle tragica notte dell’Heysel di Bruxelles, sconfitto in primo luogo dalla folle violenza dei propri hooligans.
Da dodici anni gli inglesi sono assenti alla fase finale dei Mondiali. L’ultima volta fu a Messico ’70, da campioni in carica. Ma date le premesse, è normale che la nazionale inglese si presenti a Spagna ’82 con legittime aspirazioni di vittoria, e anche con una splendida maglietta che ricorda molto quelle indossate dai tennisti dell’epoca. L’Inghilterra scende in campo per il primo incontro del girone eliminatorio alle cinque e un quarto di un afoso 16 giugno, contro la Francia, in una sfida ad alto contenuto tecnico. Teatro dell’incontro è il San Mames di Bilbao. I bianchi britannici schierano la formazione tipo. Shilton in porta. Butcher, Mills, Sansom e Thompson in difesa. Sulla mediana giocano Coppel, Rix e due giocatori di sicuro talento: Bryan Robson e Ray Wilkins, entrambi in forza al Manchester United. Completano la formazione gli attaccanti Francis e Mariner. Il tecnico è Ron Greenwood, una lunga e importante carriera alle spalle come allenatore del West Ham. Risponde la nazionale francese con: Ettori; Bossis, Tresor, Lopez, Battiston; Larios, Girard, Giresse; Platini; Rocheteau, Soler.
Appena partiti l’Inghilterra passa in vantaggio grazie a Robson, lasciato dai difensori francesi colpevolmente solo in area. Su azione di rimessa pareggia Soler, ma è l’Inghilterra che fa la partita e sostanzialmente la domina. Nella ripresa ancora Robson e Mariner fissano il definitivo tre a uno, mentre sugli spalti le intemperanze dei tifosi inglesi richiedono l’intervento delle forze dell’ordine.
È un avvio importante per gli inglesi, che di fatto già chiudono il discorso qualificazione e danno un preciso segnale di forza. La seconda partita, Inghilterra – Cecoslovacchia, è un altro meritato successo per i britannici: due a zero, gol di Francis su errata uscita del portiere avversario e autorete. Terza partita, e agevole vittoria uno a zero sul Kuwait, con il passaggio del turno già in cassaforte. L’Inghilterra è, assieme al Brasile, l’unica squadra a qualificarsi per i quarti di finale con tre vittorie su tre. Robson, Wilkins e Francis sono gli scudi. La nazionale inglese può puntare diritto al titolo mondiale.
I destini calcistici di Spagna e Inghilterra si incrociano allo Stadio Santiago Bernabeu di Madrid, lunedì 5 luglio 1982, nove della sera. È in ballo più che altro il futuro degli inglesi, perché quello degli spagnoli è già deciso. Infatti, nel girone a tre, le due squadre hanno entrambe affrontato in precedenza la Germania Ovest. L’Inghilterra ha chiuso l’incontro a reti bianche, e qualche rimpianto potrebbe anche averlo, stante l’atteggiamento prudente e un po’ arrendevole che ha mostrato in campo. La Spagna ha invece perso due a uno, senza recriminazioni, pur giocando forse la sua migliore partita del torneo. Quindi gli spagnoli sono fuori, mentre la nazionale inglese conosce in anticipo il risultato della diretta avversaria – in un girone a tre non è possibile alcuna contemporaneità. L’Inghilterra dovrebbe imporsi sulle furie rosse con un risultato migliore rispetto a quanto realizzato dai tedeschi, al fine di approdare in semifinale. Almeno in teoria gli inglesi potrebbero godere del vantaggio di affrontare una formazione già eliminata. Ma in campo la Spagna mostra impegno e sportività, anche perché di magre figure davanti ai propri tifosi ne ha già raccolte a sufficienza, e perciò non ha intenzione di abbandonare il Mundial senza onore.
Proprio a Madrid, ma nello Stadio Metropolitano ora scomparso, l’Inghilterra perse la sua prima partita internazionale contro una formazione non proveniente dalle isole britanniche (le così dette home nations, ovvero la culla del calcio moderno). Correva l’anno 1929 e l’avversaria era la nazionale spagnola. Non è di buon auspicio.
Nella Spagna gioca sin dal primo minuto Santillana, storico attaccante del Real Madrid e bestia nera dell’Inter. L’Inghilterra osa un modulo più spregiudicato composto da tre attaccanti, con Woodcock che si aggiunge a Francis e Mariner. Il primo tempo si apre con un’ottima occasione sui piedi di Alonso, che si libera bene al tiro in area ma calcia fuori. Poi è un monologo inglese, un forcing non esente da rischi in contropiede. Thompson tira da fuori area; Robson, di testa, manca di poco il bersaglio; Arconada respinge su Woodcock, e poi ancora su botte dalla distanza di Francis e di Robson. Resiste lo zero a zero. Il secondo tempo inizia come il primo: Alonso ha una grande possibilità per realizzare un gol, ma la spreca. Wilkins guida gli attacchi inglesi, un po’ meno incisivi rispetto la prima frazione. Poi Brooking ha l’occasione migliore, conclude all’interno dell’area, ma ancora Arconada si oppone con efficacia.
È il minuto sessantaquattro dell’incontro quando finalmente entra in campo per l’Inghilterra Kevin Keegan. I restanti minuti sino al novantesimo costituiranno la sua unica apparizione in Coppa del Mondo. Keegan è stato un fortissimo attaccante e la sua presenza ha segnato il calcio inglese ed europeo negli anni precedenti. Però ha mancato l’appuntamento con il Mondiale mentre era al vertice della propria carriera, ovvero la Coppa del ’78. Da due anni è tornato in Inghilterra, gioca nel Southampton dove ha disputato un’ultima notevole stagione, vincendo la classifica cannonieri nel campionato. Quindi è convocato per il Mondiale spagnolo, ma ha un cronico fastidio alla schiena e sinora non è stato utilizzato. È subentrato da pochi minuti quando Robson pennella un cross dalla fascia sinistra. La palla arriva a Keegan che è solo, nell’area piccola; colpisce di testa – e manda fuori. L’uno a zero non sarebbe stato sufficiente di per sé per il passaggio del turno, ma senza dubbio, a quel punto, avrebbe giovato parecchio alle ambizioni inglesi. Keegan ne è cosciente. Si dispera, rimane alcuni istanti in ginocchio sino a quando Mariner lo aiuta a rialzarsi, e probabilmente Keegan di quei ventisei minuti ne avrebbe fatto volentieri a meno. La partita termina zero a zero; non è una sconfitta come nel ’29, ma poco ci manca.
L’Inghilterra esce dal Mondiale imbattuta in cinque partite e con un solo gol al passivo, tra l’altro incassato all’esordio. Negli ultimi due incontri però, quelli decisivi, non è riuscita a segnare neanche una rete. In patria l’esperienza in terra di Spagna è accolta positivamente. Scrive il Times del sei luglio: “non dobbiamo vergognarci, tutt’altro… L’Inghilterra è stata una delle migliori compagini scese in campo durante questa competizione… La sua debolezza, oltre all’incapacità di finalizzare, è rappresentata dall’assenza di uno o due individualità eccezionali che ogni squadra deve possedere per provare a conquistare il mondo”. Sagge parole.
Nel 1982 Spagna e Inghilterra hanno posto la basi per oltre un decennio da protagoniste del calcio internazionale. Nelle successive manifestazioni saranno quasi sempre in grado di presentare squadre decisamente competitive, benché, in ultima istanza, saranno ancora anni avari di soddisfazioni.
27 novembre 2018
immagine in evidenza: Particolare del manifesto disegnato da Mirò – simoneborri61.blogspot.it
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