In Russia, anno 2018, la nazionale belga porta la sua migliore generazione calcistica di sempre. Pochi ma sufficienti dati per suffragare questo assunto: i primi sei uomini della classifica di presenze all time del Belgio sono lì presenti, e si tratta di Vertonghen, Witsel, Alderweireld, Hazard, Mertens, Lukaku, mentre Courtois è ottavo; fra questi, Lukaku e Hazard sono i due migliori marcatori di sempre, De Bruyne è nella top ten. Eccoli i gioielli vestiti di rosso.
Kevin De Bruyne è un centrocampista offensivo dalla tecnica indiscutibile, prodigioso nei passaggi e negli assist, poco appariscente ed efficace. “De Bruyne, soprattutto nelle situazioni in cui riceve il pallone poco oltre la linea di metà campo, mentre gli esterni offensivi attaccano lo spazio alle spalle della linea difensiva, è l’equivalente calcistico del quarterback Nfl che al momento dello snap ha pochi decimi di secondo per decidere quale corsa premiare”1)Claudio Pellecchia, Kevin De Bruyne, l’arte dell’assist, Rivista Undici. Non eccelle però nel ruolo di leader. Particolarmente a suo agio nel Manchester City di Guardiola, che ricambia esplicitamente il suo amore, il meglio di sé lo ha sempre espresso nei club piuttosto che in nazionale. La sua importanza per il Belgio è comunque inevitabile. Molto ammirato dalla stampa specialistica, a chi scrive però lascia spesso la vaga impressione di essere un giocatore in qualche misura sopravvalutato.
È un gran torneo quello che porta a termine Eden Hazard, costellato da tre reti, due assist e la nomina di man of the match ricevuta al culmine di tre incontri mondiali. Il capitano della selezione Hazard è il principale artefice delle fortune belghe in Russia, un passetto avanti su Lukaku, Courtois e De Bruyne, nell’ordine. Gioca il suo calcio migliore negli anni del Chelsea, che lascia nel 2019 per il Real Madrid; lì si perde sin quasi a scomparire, complice una serie malefica di infortuni. Hazard è un attaccante tecnico, veloce, creativo, che segna un buon numero di gol e che incanta con i dribbling, favorito anche dal suo baricentro basso.
Migliora con il tempo Romelu Lukaku, centravanti dalla grande stazza, potente, forte di testa, che segna e difende la sfera, e che comunque è anche provvisto di buona tecnica. Al Mondiale fornisce un assist e segna quattro gol dei sessantotto sino a oggi messi a segno con i diavoli rossi – ma questi quattro gol sono marcati tutti nelle prime due partite. Gira diverse squadre: durante la Coppa è al Manchester United, dopo un anno passerà all’Inter, poi al Chelsea. Lukaku proviene da un sobborgo povero di Anversa, nel quale trascorre un’infanzia colma di ristrettezze e difficoltà; la scalata per il riscatto sociale lo porta dal ghetto ai vertici del calcio mondiale. “La lezione è una sola, non bisogna mai scherzare con chi ha lottato tra miseria e povertà sconfiggendo la fame”2)Adriano Seu, Le confessioni di Lukaku, il ragazzo che ha dribblato fame e miseria per portare in alto il Belgio, La Gazzetta dello Sport, questo è il codice di Lukaku.
Courtois è il miglior portiere del torneo e a fine anno sarà eletto miglior portiere in assoluto del calcio mondiale. Ha difeso per anni la porta dell’Atletico, durante il campionato mondiale gioca nel Chelsea e si appresta a tornare a Madrid, ma su sponda Real. Witsel si conferma come l’utile uomo d’ordine a centrocampo: nella stagione prima del Mondiale ha preso la strada per la Cina e pare così avviato a un precoce, per quanto lauto, tramonto calcistico, ma a breve tornerà in Europa. Vertonghen e Alderweireld, tanti anni assieme al Tottenham Hotspur, ricoprono ruoli difensivi. Mertens è un attaccante veloce, tecnico, capace di segnare e di fornire assist, dotato di ottima fantasia; nel 2018 è nel mezzo delle sue migliori stagioni.
Nel calcio del ventunesimo secolo, la produzione di fuoriclasse in serie di norma non avviene per caso, ma è il frutto di un’efficace programmazione che, per l’appunto, è stata realizzata anche nell’ambito del calcio belga. I giovani diavoli rossi si sono messi in mostra per il prima volta nel corso delle Olimpiadi di Pechino del 2008. Dopo un buon Mondiale nel 2014 – ma erano ancora acerbi -, gli Europei edizione 2016 si risolvono però in una cocente delusione per il Belgio: una squadra che all’apparenza avrebbe potuto puntare al titolo viene sconfitta dall’Italia nel girone della prima fase e dal Galles nei quarti di finale. Paga il conto il ct Wilmots, sostituito subito dopo il torneo continentale da Roberto Martinez. Spagnolo, influenzato dalla lezione di Cruyff, il suo unico vero successo messo in bacheca (ma a dirla tutta storico) è rappresentato dalla FA Cup, la competizione più antica del mondo, vinta nel 2013 alla guida del Wigan Athletic, un piccolo club dell’area urbana di Manchester che in precedenza non aveva mai vinto alcunché.
Spesso al vertice in questi anni del ranking Fifa, per quel conta, il Belgio approda alla fase finale della Coppa tra le favorite e al culmine di una lunga serie di partite positive, avendo perso l’ultima nel settembre 2016 appena dopo gli Europei. Il girone di qualificazione è dominato con quarantatré gol all’attivo in dieci incontri. Nei tre mesi che precedono il Mondiale, il Belgio registra facili vittorie su Arabia Saudita, Egitto e Costa Rica, mentre finisce zero a zero l’unico impegno di autentico peso, contro il Portogallo.
Questo Belgio ribalta la tradizionale immagine di squadra tendenzialmente rude e coperta, trovando la propria ragione d’essere in un gioco offensivo, frammisto ad abili ripartenze. I belgi marcano il record di gol segnati nel torneo, sedici, ed eguagliano il risultato della Francia edizione ’82 e dell’Italia ’06 per numero complessivo di giocatori andati a segno. È un sintomo di forza che si accompagna all’ampia e valida scelta della quale il ct può usufruire fra i convocati. Analizzando lo schieramento belga, emerge come uno dei tratti caratteristici sia la difesa a tre, composta da Alderweireld, Boyata e poi Kompany, Vertonghen, ma non è questo il reparto chiave. Dalla partita dei quarti Witsel e Fellaini assumono il controllo della zona centrale del campo, settore nel quale durante il torneo si alternano Meunier, Chadli, Dembele e Carrasco. Fellaini è un giocatore molto versatile, poco continuo ma davvero efficace nei momenti buoni, forte di testa e dall’aspetto buffo, alto, con i capelli afro in stile anni settanta. De Bruyne è schierato tra centrocampo e attacco; davanti, oltre agli uomini già citati, gioca spesso Mertens, che poi perde il posto da titolare. La scelta decisiva per lo schieramento belga avviene nella fase a eliminazione diretta e modifica radicalmente un assetto che pareva ormai deciso: Kompany entra difesa, Mertens e Carrasco passano alla panchina, De Bruyne slitta in attacco e Fellaini viene inserito a metà campo, come detto al fianco di Witsel, con Chadli o Dembele o Meunier sulle fasce. Il progetto dà i suoi frutti, ma forse è troppo tardi per oliarne i meccanismi.
Un paese spesso additato come mera espressione geografica, come aggregato fittizio di tutto ciò che nell’area non è olandese, francese o tedesco, per di più spaccato nettamente in due tra fiamminghi e francofoni, individua nella propria nazionale di calcio un fattore di reale unità come dimostrato dalla festosa accoglienza tributata al ritorno dal campionato. Un entusiasmo, tra l’altro, generato da una squadra davvero multietnica, alla faccia di ogni nazionalismo da piccola quanto immaginaria patria. Le righe che seguono costituiscono allora la storia del vincente percorso belga al Mondiale di Russia e di quanto i diavoli rossi arrivino a un passo dal conquistare il cielo, come mai riuscito prima, e chissà se un’occasione del genere potrà ripresentarsi di nuovo.
Sono belle le magliette che indossano i giocatori belgi nella prima gara, come nel resto del torneo, provviste di rombi stilizzati sul petto con i colori della bandiera che ricordano una vecchia casacca dei diavoli rossi, ancora migliore. L’esordio mondiale coincide con l’esordio assoluto di Panama in Coppa: la partita la fa il Belgio, Panama regge un tempo e poi capitola, benché sul parziale di uno a zero i centroamericani costruiscano con Muerillo una grossa occasione per il pareggio, neutralizzata dall’intervento in uscita di Courtois e dal tackle di Vertonghen. Il gol del vantaggio, opera di Mertens, è un gran tiro al volo a scavalcare il portiere avversario, scagliato quasi dall’angolo destro dell’area di area rigore. Poi il definitivo tre a zero è fissato dalla doppietta di Lukaku: la prima rete è marcata di testa su ottimo assist di esterno di De Bruyne; sulla seconda, Lukaku è liberato davanti al portiere da Hazard.
La forza dei diavoli rossi è ribadita in forme ancora più evidenti nel secondo incontro del girone, durante il quale regolano cinque a due i nazionali tunisini. Ecco l’andamento della partita: vantaggio belga su rigore di Hazard e raddoppio di Lukaku su assist di Mertens, poi accorcia le distanze con Bronn la Tunisia, che chiude così il primo tempo con uno svantaggio minimo e sembra reggere il divario tecnico che la separa dall’avversario; nella ripresa però il Belgio dilaga in virtù delle reti di Lukaku (tocco sotto rete su assist di Meunier), Hazard e Batshuay, prima del gol finale tunisino di Khazri.
Belgio – Inghilterra, ultima sfida del girone a giochi già decisi, consente a Martinez di concedere un momento di riposo a diversi titolari schierando le seconde linee; in palio, oltre al prestigio, c’è soltanto una qualificazione al primo posto che lascia però intravvedere una fetta di tabellone probabilmente più impegnativa. Le due nazionali si incontreranno poco più avanti nel corso del campionato per la classica partita che non mette in palio niente. Qui si impone il Belgio, tutto sommato con merito e mostrando le potenzialità degli uomini di solito destinati alla panchina, registrando inoltre negli annali la prima affermazione sugli inglesi dal lontanissimo 1936. Nel primo tempo, piuttosto avaro di emozioni tanto che all’intervallo piove qualche fischio dagli spalti, i belgi vanno vicino al gol con i tentativi di Tielemans (parata di Pickford) e Batshuay (salvataggio sulla linea di Cahill). Il gol che decide l’incontro è marcato da Januzaj a inizio ripresa grazie a un pregevole sinistro a giro scoccato nell’area di rigore. Poi Rashford è solo davanti a Courtois, sembra calciare fuori ma in realtà è il portiere belga, con la punta delle dita, a compiere l’intervento decisivo. Il Belgio vince il girone e sfida il Giappone negli ottavi di finale.
Quella giapponese è una realtà consolidata del calcio internazionale: disputa il sesto campionato del Mondo di fila e nelle ultime cinque edizioni, inclusa la presente, ha sempre passato il primo turno, senza però mai riuscire ad andare oltre gli ottavi. Fra un anno sarà anche finalista in Coppa d’Asia, sconfitta dall’emergente Qatar. Senza particolari stelle ma fornita di solide credenziali (tredici convocati su ventitré militano nella principali leghe europee), il Giappone si presenta in Russia con un tecnico di casa, Nishino, che è stato però nominato solo due mesi prima del Mondiale a seguito del licenziamento del precedente responsabile, il bosniaco Halilhodzic: quest’ultimo ha pagato a scoppio ritardato una pesante sconfitta patita nel dicembre ’17 dalla Corea del Sud e mai realmente digerita da media e federazione nipponici.
E con il Giappone il gioco inizia a farsi davvero duro per i belgi al di là di ogni previsione formulata alla vigilia. Il primo tempo si chiude sullo zero a zero e nel complesso in sostanziale equilibrio: si assiste a un buon avvio degli asiatici, poi con il passare dei minuti i belgi crescono e assumono il controllo del centrocampo, creando occasioni da rete che non sfruttano, e nel finale sono di nuovo i giapponesi a rendersi pericolosi. Il secondo tempo è entusiasmante. Al quarantottesimo Haraguchi scappa a Vertonghen, entra in area e trafigge il portiere belga per l’uno a zero a favore del Giappone. Passano quattro minuti e un tiro di Inui dalla distanza, a mezza altezza, si infila in rete lambendo il palo. In mezzo, Hazard coglie il palo della porta avversaria; dopo il raddoppio giapponese, Lukaku di testa manda fuori di poco – ma si tratta di una possibilità sprecata.
Sotto per due a zero, prossimo ad abbandonare in modo fallimentare il Mondiale, a metà della ripresa Martinez ha l’intuizione fondamentale del torneo belga: fuori Carrasco e Mertens, in campo Chadli e Fellaini. Minuto sessantanove: dopo un’insistita azione belga in area giapponese, Vertonghen, defilato sulla sinistra, colpisce di testa e indirizza verso la porta anziché nel mezzo (ma sembra davvero intenzionale e molto preciso): la palla scavalca il portiere ed entra in rete. Minuto settantaquattro, cross di Hazard, colpo di testa di Fellaini, rete. Due a due – grande recupero belga e in una manciata di minuti, così come accaduto con i gol giapponesi. A dieci dal termine Nishino richiama in panchina Shibasaki e Haraguchi e al loro posto inserisce Yamaguchi e il veterano Honda; quest’ultimo poco dopo ha un grande occasione per segnare ma viene murato da Kompany. Dalla parte opposta c’è una doppia parata di Kawashima sui colpi di testa di Chadli e Lukaku.
All’ultimo minuto di recupero il Giappone batte un calcio d’angolo che viene bloccato al volo da Courtois. La squadra giapponese commette l’imperdonabile errore di lasciarsi trovare scoperta. Il portiere cede subito la sfera a De Bruyne sulla propria trequarti, il quale scatta in avanti palla al piede indisturbato, entra nella metà campo avversaria e apre sulla destra per Meunier che ha campo libero; palla bassa di prima in mezzo all’area, velo meraviglioso e geniale di Lukaku, marcato, con la sfera che arriva poco oltre a Chadli che, libero davanti a portiere, conclude e mette in rete. È il gol-vittoria del Belgio! Dirompente, fantastica azione belga nell’ultimo momento disponibile prima dei tempi supplementari, per un tre a due che pareva impossibile solo mezzora prima e che vale i quarti di finale contro il Brasile. Prova di forza e di carattere dei diavoli rossi nell’affrontare uno di quei tradizionali ostacoli dei campionati mondiali che, una volta superati, schiudono spiragli di gloria. Qui viene inoltre sottolineata ancora una volta, come nel resto del torneo e come nei campionati precedenti, la fondamentale importanza degli ultimi istanti di gioco. Resta lo scoglio ottavi di finale per i giapponesi, terribilmente delusi dall’esito dell’incontro.

Allora Brasile, si è detto. Allena Tite, già sulla panchina del Corinthians nella trionfale stagione 2012; nel torneo iridato offrono ottime prestazioni Thiago Silva in difesa e Coutinho, esterno di sinistra; delude invece Neymar, salvo circostanziati momenti di splendore. L’elemento che garantisce equilibrio alla squadra è Casemiro, centrocampista e recuperatore di palloni del Real Madrid, e poi la selecao dispone anche di un valido portiere, Alisson, che dopo il Mondiale passerà al Liverpool ed esploderà sino ai vertici assoluti.
Questo Brasile è una formazione di talento e sostanza: domina il girone sudamericano di qualificazione perdendo una sola partita su diciotto, la prima, contro il Cile bi-campione continentale in carica e ancora, all’apparenza, nel ruolo di nuovo padrone del calcio latinoamericano prima della sorprendente eliminazione (e i brasiliani si vendicheranno nell’ultima partita del girone); rifila batoste per tre a zero all’Argentina e per quattro a uno all’Uruguay, per di più a Montevideo. Ma è onestamente difficile puntare troppo in alto a distanza di appena un Mondiale dal minierazo. Nelle due Coppe America successive al Mondiale casalingo, il Brasile è stato eliminato ai quarti di finale (nel 2015) e addirittura nel girone della prima fase l’anno dopo, quando è riuscito a superare solo Haiti, ha pareggiato con l’Ecuador e perso con il Perù. Viste le premesse, l’esito del Mondiale russo non è assolutamente disprezzabile, tutt’altro. Il Brasile dimostrerà evidenti progressi anche nella Copa America del 2019, che organizza e vince. Il Cile e l’Argentina, dominatori delle ultime due edizioni, sono eliminati in semifinale da Brasile e Perù, poi in finale i verdeoro si impongono per tre a uno.
Nel campionato del Mondo 2018, il Brasile parte lento: pari con la Svizzera; zero a zero con la Costa Rica sino al novantesimo minuto, quando Coutinho – grazie a uno stop sbagliato di Gabriel Jesus che diventa un assist – e Neymar – su assist vero di Douglas Costa – regalano ai sudamericani il due a zero finale. I brasiliani hanno comunque meritato la vittoria, forti di un secondo tempo giocato all’attacco nel quale hanno creato diverse palle gol, inclusa una traversa colta di testa da Gabriel Jesus che è il centravanti della selecao ed è inserito con insistenza come titolare in ogni incontro, per quanto resti a secco di reti per l’intero torneo; ha invece giovato alla squadra l’ingresso in campo dopo l’intervallo di Douglas Costa, bravo ad aprire la difesa avversaria. Nella Costa Rica disputa una buona partita ancora una volta l’estremo difensore Navas, ma i centroamericani sono ben lontani dall’exploit di quattro anni fa e lasciano subito il torneo. Nel terzo incontro i brasiliani regolano due a zero al Serbia: i gol sono di Paulinho, lanciato splendidamente da Coutinho, e di Thiago Silva su calcio d’angolo.
Il Brasile è in crescita e lo ribadisce pienamente nella prima partita della fase a eliminazione diretta, giocata contro il Messico: la selecao impressiona con una prestazione di egregio livello, soprattutto nella ripresa durante la quale è la sola squadra in campo. La vittoria per due a zero consegna al Brasile l’accesso ai quarti di finale con un solo un gol al passivo, incassato nel corso della prima partita. I gol di questo ottavo: scatto di Willian sulla sinistra, cross, tocco sotto porta di Neymar – insieme allo stesso Willian oggi autentica spina nel fianco della retroguardia avversaria e artefice della sua miglior partita nel torneo; il raddoppio nasce da un assist di Neymar per Firmino, che devo solo spingerla dentro. Dopo l’ottima prestazione vincente contro i tedeschi, e la vittoria sui coreani, i messicani sono fragorosamente crollati rimediando due sconfitte di fila, condite da cinque gol presi a fronte di zero realizzati. Forse un’eccessiva esaltazione li ha mandati fuori giri. Molto peggio dei giapponesi, i messicani sono eliminati agli ottavi del Mondiale per la settima volta una in fila all’altra, nuova terribile conferma della maledizione del quinto partido – quello che non giocano – che non riescono proprio a staccarsi di dosso.
Nelle stesse occasioni in cui il Messico usciva ininterrottamente agli ottavi, il Brasile è approdato almeno ai quarti di finale, del Mondiale. In questa attesa ed equilibrata sfida con il Belgio, la formazione sudamericana si presenta in campo orfana di Casemiro, infortunato e rimpiazzato da Fernandinho, e l’assenza del centrocampista titolare sarà uno dei fattori in grado di spostare l’ago della bilancia della contesa. Ecco l’undici brasiliano: Alisson; Fagner, Thiago Silva, Miranda, Marcelo; Paulinho, Fernandinho, Coutinho; Willian, Gabriel Jesus, Neymar. Risponde il Belgio: Courtois; Alderweireld, Kompany, Vertonghen; Meunier, Witsel, Fellaini, Chadli; Lukaku, De Bruyne, Hazard. Il Belgio si schiera in campo nel nuovo assetto scovato a metà ripresa nella sfida precedente, ma arricchito da alcune particolarità: Lukaku funge da laterale d’attacco, De Bruyne da falso centravanti; Chadli è molto mobile sulla sinistra per tutta la fascia, mentre dalla parte opposta Meunier tende a tornare in copertura quasi come un quarto difensore. Sono le geniali trovate di Martinez, che pagano.
Dopo pochi minuti il Brasile sfiora il vantaggio con una deviazione quasi fortuita di coscia da parte di Thiago Silva – su calcio d’angolo, dopo una spizzata di Miranda – che spedisce la palla contro il palo. Entrambe le squadra attaccano a viso aperto e al minuto tredicesimo è il Belgio a passare avanti: calcio d’angolo battuto da Chadli, sfiora Kompany di testa, la palla carambola sul braccio di Fernandinho, mentre è in volo, e finisce in rete. Intorno a metà tempo ci prova Marcelo con un tiro parato da Courtois, ma sono i contrattacchi belgi a diventare sempre più pericolosi. Alla mezzora una ripartenza belga viene condotta da Lukaku che porta la palla avanti, la difende, poi scarica su De Bruyne – con gli opposti brasiliani un po’ incerti e passivi -, il quale tira e infila il pallone basso, all’angolo destro della porta difesa da Alisson. Tentativi di reazione brasiliana: su cross di Marcelo, colpo di testa di Gabriel Jesus, piuttosto solo, che termina fuori; tiro di Coutinho da lontano, respinto da Courtois in allungo sulla propria sinistra. Un Belgio essenziale, cinico e fantastico chiude la prima frazione in vantaggio due a zero.
Nella ripresa Willian lascia il posto a Firmino, poi dopo alcuni minuti di gioco Douglas Costa avvicenda Gabriel Jesus. Il Brasile spinge ma è molto lezioso nella fase offensiva, appesantita com’è da una fitta ed eccessiva rete di passaggi; il Belgio appare un po’ schiacciato nei primi quindici minuti, poi prende campo, inizia a rendersi pericoloso in contropiede e sfiora il tris con Hazard. Sul versante brasiliano si segnalano un possibile rigore per fallo di Kompany su Gabriel Jesus e un’azione personale di Douglas Costa, con tiro respinto dal portiere. Ma a un quarto d’ora dalla fine il Brasile, prossimo all’eliminazione, scatena tutta la sua potenza di fuoco.
Settantacinquesimo, cross di Coutinho e gol di testa insaccato da Renato Augusto, subentrato a Paulinho, con i difensori belgi però troppo statici. Dopo tre minuti una girata in area di Firmino sfiora l’incrocio dei pali. All’ottantesimo è ancora Renato Augusto a inserirsi in area in zona centrale e a sfiorare il palo sinistro difeso da Courtois. Poi grazie a un pregevole assist di Neymar, la palla buona è sui piedi di Firmino, che spreca. Il Belgio è alle corde; la grande spinta brasiliana ha permesso alla selecao di accorciare le distanze ma non di raggiungere il pareggio – poi però la pressione si esaurisce e la compagine europea respira. Il primo cambio belga avviene al minuto ottantatré quando Vermaelen prende il posto di Chadli – quindi con l’intento di coprirsi -, e poi Tielemans entra per Lukaku.
Terzo minuto di recupero: Douglas Costa avanza in dribbling e poi passa Neymar, posto alla lunetta dell’area di rigore; splendido tiro a girare dell’attaccante brasiliano diretto all’angolino tra i pali e prodigio assoluto di Courtois che vola ad alzare la palla sul fondo, compiendo così una parata eccezionale che vale la vittoria. Ricorda da vicino, non come dinamica ma come gesto atletico e ovviamente come importanza, la parata che fece Pfaff nel Mondiale 1986 all’ultimo minuto dei supplementari contro l’URSS. Sul corner seguente il colpo di testa di Firmino finisce placidamente a lato. Belgio – Brasile termina due a uno. Partita bellissima.
Courtois (man of the match) e Hazard (straordinario, nove dribbling tentati e riusciti, sette falli subiti) sono stati i migliori in campo, ma ottimo anche De Bruyne. Il Belgio non batteva il Brasile dal 1963 – si stanno prendendo parecchie rivincite, i diavoli rossi – e ci riesce portando a casa la vittoria forse più importante della sua storia calcistica. I brasiliani comunque non ne escono ridimensionati: il meglio della selecao è arrivato dalla panchina, a conferma che la formazione titolare, oltre alla forzata assenza di Casemiro, non è stata indovinata. Appropriate, sportive, e nel contempo auto-assolutorie, le parole di Tite a fine gara forniscono un’analisi corretta della partita e anche conforme al giudizio di chi scrive: “È stata una grande sfida fra due squadre dalle qualità tecniche incredibili. Benché adesso io senta tutto il dolore e l’amarezza del caso, vi dico che se amate il calcio dovete guardare questa partita perché ne trarrete piacere, soprattutto se non siete coinvolti dal lato emozionale. Triangolazioni, transizioni, salvataggi, che splendido incontro!”3)Jonathan Wilson, Shock and Bore, The Blizzard n. 30.
Il Belgio ha vinto cinque partite su cinque, sconfiggendo in pratica il mondo: le selezioni superate provengono da cinque differenti confederazioni, manca solo la marginale Oceania. Contro il Giappone ha oltrepassato il momento critico che l’aveva condotto a un passo dal baratro, poi ha battuto un forte Brasile. A cosa punta il Belgio? Al titolo mondiale. E chi si para ora davanti ai diavoli rossi? La Francia.
7 maggio 2022
References
1. | ↑ | Claudio Pellecchia, Kevin De Bruyne, l’arte dell’assist, Rivista Undici |
2. | ↑ | Adriano Seu, Le confessioni di Lukaku, il ragazzo che ha dribblato fame e miseria per portare in alto il Belgio, La Gazzetta dello Sport |
3. | ↑ | Jonathan Wilson, Shock and Bore, The Blizzard n. 30 |