Al quarantottesimo minuto dell’ottavo di finale contro l’Argentina, la nazionale francese va sotto nel punteggio, inaspettatamente e per la prima volta (e alla fine dei conti, l’unica) in tutto il torneo. La partita si gioca a Kazan, il trenta giugno 2018, e vede uno di fronte all’altro i seguenti schieramenti: Francia: Lloris – Pavard, Varane, Umtiti, Hernandez – Pogba, Kanté, Matuidi – Mbappé, Griezmann, Giroud; Argentina: Armani – Mercado, Otamendi, Rojo, Tagliafico – Perez, Mascherano, Banega – Pavon, Messi, Di Maria. Insieme a Belgio – Brasile, questa è la partita più divertente di tutto il campionato.
I francesi partono alla grande: otto minuti di gioco e Griezmann timbra la traversa su punizione. Passano pochi minuti e si assiste a una fantastica azione di Mbappé che parte dalla propria trequarti, semina Mascherano e ancora supera in velocità Rojo che lo stende appena entra in area argentina. È calcio di rigore che Griezmann realizza – uno a zero per la Francia. Poi Pogba serve Mbappé al limite dell’area avversaria ed è nuovamente steso: punizione calciata da Pogba, fuori. Gli argentini mantengono il possesso della palla ma sono messi in seria difficoltà dalle ripartenze francesi, tanto da contare al termine della prima frazione già tre ammoniti (a zero). Piano piano però le azioni dei bleus diventano meno intense e pericolose. Al minuto quarantuno un gran tiro da almeno trenta metri scagliato da Di Maria si infila nella rete francese: uno a uno, con l’argentino che esulta facendo il segno degli attributi. Angel Di Maria è il vero trascinatore della seleccion in questi anni.
Se il primo tempo è stato intenso, la ripresa porterà in dote una valanga di emozioni. Si gioca da tre minuti e attacca l’Argentina: Messi esegue un tiro, o un passaggio in mezzo, sulla cui traiettoria si trova Mercado che tocca la sfera, probabilmente senza intenzione perché pare ritrarsi, ma in tal modo spiazza Lloris. Palla in rete, due a uno per l’Argentina. A sorpresa è tutto ribaltato.
La spedizione argentina in Russia è stata sinora a dir poco problematica, e sin dalla partita di esordio che l’ha vista opposta alla matricola Islanda, squadra-rivelazione dei precedenti Europei durante i quali ha raggiunto i quarti di finale. Nell’occasione l’Argentina passa in vantaggio con una pregevole esecuzione in area a firma Aguero, ma viene raggiunta quasi subito dagli islandesi grazie al gol di Finnbogason, con la sfera che balla troppo in area. La difesa argentina palesa eccessivi limiti; Messi ci prova con tiri da fuori ma non incide a fondo e sbaglia anche un rigore a metà ripresa, per cui il risultato rimane uno a uno. Segue poi, per gli argentini, il crollo nel secondo incontro e la qualificazione afferrata solo sul finire della terza gara. Alla vigilia della fase a eliminazione diretta il ct Sampaoli è alla disperata ricerca di certezze: cambia formazione per la quarta volta, schiera Messi falso nove e qualcosa indovina poiché la sua squadra offre contro la Francia la migliore prestazione del torneo, però non è sufficiente.
La capacità della selezione francese di reagire all’inatteso e immeritato svantaggio rappresenta un passaggio fondamentale nella storia del campionato. A meno di dieci minuti dal gol argentino, la palla giunge a Pavard, fuori area un po’ spostato sulla destra, il cui fantastico tiro di esterno destro al volo vale il due a due e sarà votato quale gol del torneo. Poi il dirompente uno-due francese siglato da Mbappé in quattro minuti, dal sessantaquattresimo al sessantottesimo, asfalta gli argentini e la loro difesa oggi allo sbando. Il primo gol risolve una prolungata azione francese in area avversaria; il secondo è il frutto di una notevole ripartenza, un’azione collettiva che in pochi scambi conduce la palla da Lloris a Mbappé da solo di fronte al portiere avversario. Aguero, entrato a metà ripresa al posto di Perez, accorcia di testa al secondo minuto di recupero; l’Argentina chiude con pregevole orgoglio e ci prova fino all’ultimo istante, quando una deviazione di Meza termina fuori di poco, ma il loro Mondiale resta una delusione. Vince quattro a tre la Francia, con merito, e batte l’albiceleste ai Mondiali per la prima volta dopo due sconfitte (1930 e 1978). Partita incredibile, Mbappé stratosferico.
Altro turno e altra sudamericana che attende i francesi nei quarti di finale. L’Uruguay di Tabarez, che si presenta in panchina appoggiato a una stampella a causa della malattia, è una squadra dotata di esperienza e composta tra i titolari da diversi reduci dell’ottimo Mondiale edizione 2010: Muslera, Caceres, Godin, Suarez e Cavani, quest’ultimo a trascinare la squadra più del compagno d’attacco. Fra le nuove leve si nota il ventunenne Bentancur a metà campo. La celeste è schierata con il 4-4-2, il centrocampo a rombo e due punte, unica selezione del torneo con la Polonia a scegliere l’assetto a due davanti mentre quasi tutte le altre squadre adottano un modulo a punta unica (o a due ma con la seconda atipica, come il caso dell’Inghilterra). Non accreditata fra le favorite alla viglia, la selezione uruguaiana va oltre le previsioni entrando fra le prime otto al mondo. Dopo l’esordio vittorioso di stretta misura sull’Egitto, è sufficiente un altro uno a zero ai danni dell’Arabia Saudita per ottenere il passaggio del turno: il portiere avversario esce a vuoto, la palla arriva a Suarez che a pochi metri dalla porta sguarnita insacca. E poi l’Uruguay rifila un perentorio tre a zero alla nazionale russa: Suarez su punizione, autorete, tap-in di Cavani.
La celeste si presenta così agli ottavi di finale con tre vittorie su tre e zero gol al passivo ed è attesa ora da un’impegnativa sfida al cospetto dei campioni d’Europa del Portogallo. Al sesto minuto di gioco Cavani apre sul lato opposto, a sinistra, per Suarez; questi crossa in area per lo stesso Cavani, il quale – con splendida coordinazione e velocità di esecuzione – colpisce di testa una palla difficile che sembra scavalcarlo, e mette in rete il gol del vantaggio. Nella ripresa il Portogallo spinge e perviene al pareggio su calcio d’angolo con un colpo di testa di Pepe di fronte a Godin che, sin lì implacabile, nell’occasione perde il tempo per saltare. Ma poco dopo ecco il nuovo gol dell’Uruguay per il definitivo due a uno: passaggio di Bentancur per Cavani, grande invenzione dell’attaccante e conclusione imparabile. Cavani oggi è stato l’autentico mattatore dell’incontro… ma si fa male e a un quarto d’ora dalla fine esce dal terreno di gioco.
Accade quindi che nello stesso giorno, con le eliminazioni di Argentina e Portogallo, lascino il campionato del Mondo le due celebrate superstar del calcio internazionale, ovvero Messi e Cristiano Ronaldo. Entrambi al quarto Mondiale consecutivo, nessuno dei due è mai riuscito a segnare nella fase a eliminazione diretta, ora come in precedenza. In un contesto di livellamento sempre più marcato, il collettivo assume un peso maggiore a discapito del talento singolo.
Francia – Uruguay è stata la finale del Mondiale under-20 2013, vinta dagli europei ai calci di rigore; diversi reduci di quell’esperienza sono fra i convocati alla Coppa del Mondo edizione 2018: tra i francesi Areola, Umtiti, Pogba, Thauvin; fra gli uruguagi Gaston Silva, Varela, Gimenez, Laxalt, De Arrascaeta. Non ha recuperato Cavani ed è davvero pesante l’assenza dell’attaccante, sostituito in campo da Stuani e rimpianto parecchio. Tra i francesi manca Matuidi per squalifica, al suo posto gioca Tolisso. Prima bloccata e noiosa, la partita si accende improvvisamente sul finire della prima frazione: a cinque dall’intervallo Griezmann calcia una punizione, arriva da dietro Varane che impatta molto bene sulla sfera e porta in vantaggio la Francia. Pochi istanti e si concretizza una situazione analoga dalla parte opposta del campo: punizione di Torreira, colpo di testa di Caceres e grandiosa parata bassa di Lloris, il suo intervento più bello e difficile nel torneo; la palla carambola poi sui piedi di Godin che da due passi, con Lloris in uscita disperata, calcia fuori.
Passa un quarto d’ora nel secondo tempo e Griezmann tenta la conclusione a giro da fuori area, spostato sulla sinistra: con l’effetto la palla subisce una piccola deviazione, Muslera è sulla traiettoria e sembra una presa abbastanza comoda per il portiere che tocca la sfera ma la spedisce in rete. L’errore è molto grave (e non è il primo al Mondiale per i portieri). Griezmann, particolarmente affezionato al paese sudamericano, non esulta, mentre la regia internazionale mostra un piccolo biondo tifoso uruguagio che piange disperato, forse conscio di quanto sarebbe complicato sperare di recuperare due gol a questa Francia solida ed efficace – tra l’altro con una compagine uruguaiana oggi nel complesso sotto tono e priva del proprio uomo più in forma. Dieci minuti dopo Tolisso sfiora la traversa dal limite e poi non succede tanto altro. C’è un accenno di rissa in campo, conseguenza di un colpo di tacco di Mbappé e di un fallo di reazione di Rodriguez sullo stesso Mbappé, presunto reo di un comportamento ritenuto irrisorio da parte degli uruguagi. A due dalla fine Gimenez corre sul campo piangendo. Tra i francesi si segnala una grande prestazione di Kanté, come d’altra parte in quasi tutto il resto del torneo, e ovviamente di Griezmann, l’uomo dell’incontro. Per l’Uruguay è fine di un ciclo? Probabile. Tabarez lascerà la guida tecnica della celeste a fine 2021, dopo una serie di risultati poco soddisfacenti nel corso del girone di qualificazione mondiale, alla fine comunque raggiunta.
Una Francia in evidente e decisa crescita, sempre più conscia della propria forza, ha eliminato una bella fetta di America Latina (incluso l’esito della fase a gironi). L’affermazione sugli argentini ha evidenziato, fra le altre cose, come i bleus dispongano di ampi mezzi per gestire ogni tipo di situazione; la vittoria con gli uruguaiani è la prova di una diffusa sicurezza nel tessere con calma la propria trama. Con l’approdo in semifinale ora i termini del confronto si spostano sul versante europeo.

Riavviare i motori oltrepassando la dolorosa sconfitta casalinga nella finale europea 2016 è l’imperativo della selezione francese del 2018 e anche il dubbio di fondo che l’accompagna in Russia. Il talento c’è, pare anche a profusione scorrendo l’elenco dei convocati nonché la lista degli assenti, e considerando altresì come nell’anno mondiale soltanto il Brasile esporti nel mondo più giocatori professionisti della Francia (ma con una popolazione quattro volte superiore)1)David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019. Serve però che venga amalgamato, questo talento.
Dopo la sconfitta europea, la Francia supera tre a uno l’Italia in trasferta, risultato che ripeterà a Nizza poco prima dell’esordio mondiale. Vince poi un girone di qualificazione non facile davanti a Svezia, Olanda e Bulgaria, nonostante la sconfitta patita in casa degli svedesi nei minuti di recupero a causa di un errore di Lloris, e un clamoroso zero a zero casalingo contro il Lussemburgo; ma brilla il quattro a zero rifilato all’Olanda. In mezzo alle qualificazioni sono da annotare una sconfitta per mano della Spagna e una vittoria sull’Inghilterra, amichevoli entrambe giocate a Parigi. Restano altalenanti gli esiti delle sette amichevoli pre-mondiali disputate dalla Francia: sconfitta rimediata dalla Colombia allo Stade de France per tre a due, dopo un vantaggio parziale di due a zero; pareggi con Germania e Stati Uniti; affermazioni su Galles, Russia, Irlanda e come detto Italia (salvo i padroni di casa, sono tutte però squadre non qualificate al Mondiale).
Chi sedeva sulla panchina francese due anni prima, e siede ancora adesso, è Didier Deschamps, il capitano della Francia campione del Mondo nel 1998. Dopo buoni trascorsi come allenatore di club (finale di Champions League nel 2003 con il Monaco; Ligue del 2010 con l’Olympique Marsiglia), raggiunge già nel 2012 il posto di commissario tecnico. Sarà l’allenatore dei francesi per davvero molto tempo e – oltre a quanto già ottenuto come giocatore – continuerà a scrivere la storia della sua nazionale, nonostante perplessità variamente diffuse in patria, corroborate dal mancato titolo europeo. Deschamps è un tecnico poco interessato allo spettacolo in campo. Ricorda Lippi per la flessibilità e l’abilità di adattare la squadra al momento; ricorda Jacquet per la capacità di adottare le scelte migliori fra gli uomini (dice Deschamps: “Quello che scegli è il miglior gruppo per andare il più lontano possibile insieme. L’aspetto calcistico non è l’unico che consideri. Devono ovviamente essere giocatori forti, ma ci sono altri criteri come il carattere, la loro predisposizione a vivere insieme ad altre persone, ad andare d’accordo con i compagni”2)Amy Lawrence, Didier Deschamps: ‘The biggest victories can lead to the greatest foolishness’, The Guardian; ricorda entrambi – che lo hanno allenato – per l’importanza assegnata al collettivo e la sagacia nel creare coesione, obiettivi comuni, spirito di gruppo.
Durante il percorso che lo ha condotto al Mondiale, Deschamps non ha mostrato remore nel lasciare indietro alcuni pezzi grossi del calcio francese, ma potenziali teste calde, come Nasri, Menez e Ben Arfa, tra l’altro famosi come classe ’87 dopo la vittoria nell’Europeo under-17 del 2004. Fa parecchio rumore la mancata convocazione di Benzema, maturata in seguito all’emergere di uno scandalo per un ricatto a sfondo sessuale perpetrato ai danni del collega Valbuena; considerato fra i migliori attaccanti del periodo, Benzema tornerà in nazionale soltanto nel 2021 dopo un bando di quasi sei anni. In questo modo Deschamps tiene saldamente in mano un ambiente, quello della nazionale francese, non sempre facile da gestire: litigioso, frazionato in clan, pieno di primedonne – difetti emersi soprattutto negli anni che hanno preceduto il suo incarico.
La prima sfida vede la Francia affrontare i campioni d’Asia dell’Australia, giunti al Mondiale tramite un lungo tragitto di incontri. Un primo spareggio, di ambito asiatico, prevede per gli australiani la sfida alla piacevole sorpresa Siria, il paese devastato dalla guerra civile. I siriani mettono tutto il loro impegno per una qualificazione inimmaginabile: all’andata casalinga, giocata però in Malaysia per ragioni di sicurezza, l’incontro finisce uno a uno; il risultato è lo stesso nel corso del ritorno a Sidney quando, a dieci minuti dai tiri di rigore, Cahill marca il gol decisivo. Gli australiani poi scendono in campo nel loro sesto play-off intercontinentale (il bilancio è ora in pareggio): l’avversario è l’Honduras, regolato tre a uno in casa dopo il pareggio dell’andata.
L’Australia si dimostra una compagine rocciosa contro la quale la Francia fa fatica a creare occasioni da rete, almeno nella prima frazione di gioco. Nella ripresa gli europei sbloccano il risultato su rigore – storico poiché è il primo assegnato assegnato tramite una verifica alla moviola su richiamo del Var – fischiato per fallo di Risdon su Griezmann e realizzato dallo stesso Griezmann. Pareggia immediatamente l’Australia con Jedinak sempre su rigore regalato dai francesi con un fallo di mano di Umtiti. Il gol decisivo è marcato a dieci dal termine da Pogba grazie a una conclusione, deviata, che finalizza una bella penetrazione centrale condotta da Mbappé, Pogba e Giroud.
La Francia si è imposta per due a uno ma la prestazione contro gli australiani non ha convinto per nulla; la manovra francese è stata poco fluida, la costruzione incerta, i ruoli inappropriati. Questo avvio tentennante induce Deschamps a cambiare, da subito: inserisce nell’undici titolare Matuidi e Giroud al posto di Tolisso e Dembélé, e opera alcuno spostamenti fra gli uomini dalla metà in su. La squadra che scende in campo nella seconda gara, contro il Perù, è la stessa sopra elencata per la partita contro gli argentini, ed è la formazione che il ct francese di fatto proporrà in tutto il resto del torneo. Una mossa indovinata e di importanza basilare per le sorti dei francesi.
È allora un’altra Francia quella che mette sotto il Perù nel corso del primo tempo e crea occasioni sin dai primi minuti con Pogba (tiro da lontano), con Varane (di testa su calcio d’angolo) e con Griezmann; si affaccia comunque in avanti anche il Perù quando Guerrero, liberatosi davanti a Lloris, spreca l’occasione tirando addosso al portiere. Dopo la mezzora Pogba, in forma strepitosa, lancia Mbappé che da solo tenta un improbabile colpo di tacco, ma dopo pochi minuti recupera il misfatto: è ancora Pogba a rubare palla sulla trequarti e a scaricare per Giroud, la cui conclusione viene intercettata in scivolata da Rodriguez; sul rimpallo la sfera arriva a Mbappé, pronto di fronte alla porta, che deve solo spingerla dentro. Al culmine di una bella azione i francesi vanno poi vicino al raddoppio con una doppia conclusione di Hernandez, la prima parata e la seconda fuori. In questa prima frazione, giocata ottimamente, è nata la Francia del Mondiale 2018.
Reduci da una sconfitta all’esordio e pertanto quasi spacciati, i peruviani controllano il gioco nella ripresa e dopo soli cinque minuti prendono l’incrocio dei pali con un tiro da fuori area tentato da Aquino; ma è l’unica vera occasione da rete che riescono a creare e la Francia si aggiudica l’incontro senza problemi. Passano quindi il turno in anticipo, i bleus. Per l’ultimo incontro Deschamps non ha timori a lasciare più della metà dei titolari, come visto appena individuati, in panchina e a mischiare quindi le carte. A Francia e Danimarca andrebbe bene un pareggio (rispettivamente per aggiudicarsi il primo posto e la qualificazione) e pari sarà, per quanto alla fine le due selezioni si sarebbero qualificate con qualsiasi risultato. Provano comunque ad andare a rete le due squadre, soprattutto quella francese e con i giocatori che sostituiscono i titolari, nella fattispecie Dembélé e Fekir. Termina zero a zero e sarà l’unico pareggio a reti inviolate di tutto il torneo, un dato importante.
Torna a casa il Perù, un’altra sudamericana – la prima della serie – fatta fuori dalla Francia. La delusione è grossa per i peruviani, giunti in Russia con altre ambizioni, tra l’altro legittime se si considera che da lì a un anno avrebbero giocato la finale del Sudamericano. Ma in due partite i peruviani non hanno marcato nemmeno un gol; vincono l’ultima per due a zero sull’Australia e chi segna la seconda rete è Guerrero, la cui vicenda personale merita alcune righe. Paolo Guerrero (il nome è un omaggio a Paolo Rossi), trentaquattrenne capitano del Perù, l’unico Mondiale della sua carriera ha seriamente rischiato di non giocarlo in quanto, poche settimane prima del torneo, viene squalificato per presunto uso di cocaina: a propria difesa oppone la presenza di elementi analoghi a quelli della sostanza stupefacente nel mate di coca, cioè una bevanda tipica della sua terra, e a sostegno della tesi porta come prova le analisi effettuate su una mummia inca i cui esiti conducono alle stesse conclusioni (e siccome gli inca non sniffavano la cocaina, allora…). I capitani delle altre squadre del girone firmano un appello per consentirgli di partecipare al Mondiale; alla fine viene ammesso, in attesa di giudizio. Guerrero proviene da una famiglia di calciatori, è parente di Chumpitaz e un suo zio portiere, Josè Gonzalez, morì nella tragedia aerea dell’Alianza Lima. Il suo curriculum in Europa, con le maglie di Bayern e Amburgo, non è particolarmente eccelso, ma molto bene Guerrero ha sempre fatto con i colori della nazionale: record di gol (superato il mitico Cubillas), una finale e tre semifinali in Copa America, miglior marcatore del torneo nel 2011 e nel 2015. Ha anche segnato il gol decisivo nella Coppa del Mondo per club vinta dal Corinthians nel 2012, l’ultima affermazione di una sudamericana nella competizione.

In antitesi rispetto alle due edizioni precedenti, il Mondiale del 2018 viene descritto come un torneo che torna a premiare il gioco di rimessa e verticale: ne fanno le spese infatti le squadre di manovra come Germania, Spagna, Argentina (in parte anche il Brasile, sconfitto dalle ripartenze del Belgio nonostante quest’ultima sia una formazione che solitamente tende a gestire il gioco). Maggiore artefice, e beneficiaria, di questa interpretazione del gioco sembra essere la nazionale francese. Senza voler trarre eccessive conclusioni, la Francia è una squadra che tendenzialmente non privilegia il possesso palla: nella fase a eliminazione diretta tiene palla più o meno per il 40% del tempo effettivo, salvo l’incontro con l’Uruguay nel quale ribalta esattamente la percentuale; a fine torneo chiude con un possesso medio della sfera al 48%. Ma più di tutto, la squadra francese dimostra una spiccata capacità nello sfruttare un numero limitato di conclusioni per realizzare reti, poiché detiene la media di un gol ogni sei tiri (solo i russi sono riusciti a far meglio, un gol su quattro tiri e mezzo) e mette a segno un gol ogni due tiri in porta. L’esatto opposto della formazione tedesca, che per infilare la rete ci prova in media trentasei volte. E inoltre la Francia è fra le squadre che corrono meno, altro elemento da non sottovalutare.
Il tratto distintivo di questa Francia è un sapiente uso delle ripartenze, caratterizzate da velocità e precisione nei devastanti attacchi in campo aperto. Lo riconoscerà in modo esplicito Sampaoli al termine della partita persa negli ottavi: “Abbiamo giocato contro una squadra davvero molto, molto forte nelle transizioni”3)Simone Torricini, Le contraddizioni della Francia, Rivista Undici. È una squadra equilibrata e solida in tutti i reparti che difende bassa e compatta, schierata in campo con un 4-3-3 malleabile e poco rigido, tanto che è possibile definirlo altresì come 4-2-3-1 senza timor di errore. I gol sono diffusi. Una volta individuati i titolari, la squadra procede senza modifiche trovando sì, quando chiamati in causa, un buon supporto dagli uomini destinati alla panchina, ma nessuno di questi ha un influsso rilevante sulle sorti francesi.
Portiere e capitano dei bleus, Lloris è un interprete del ruolo non straordinario ma affidabile, bravo anche con la palla nei piedi, che conta ad oggi centotrentasette presenze in nazionale, secondo di sempre. Prima al Lione e poi al Tottenham, con la pecca però di non aver mai vinto un campionato nazionale. Di sicuro rilievo è la forza della difesa francese, composta da giocatori molto giovani che insieme, in questo campionato del Mondo, riescono ad andare oltre le loro stesse prestazioni mostrate a livello di club nelle stagioni successive. In nazionale finora hanno reso di più. Il discorso non vale però per Varane, sicuro leader del reparto arretrato dove compone una validissima coppia centrale assieme ad Umtiti, coppia importante anche sul versante realizzativo; appena venticinquenne, guida la difesa del Real Madrid, mentre nel 2021 passerà in Premier al Manchester United. Varane conferma in Russia di essere uno dei più forti difensori in circolazione. Umtiti nasce nel Lione e poi passa al Barcellona; esplode al Mondiale, segna un gol molto importante, ma ha un calo repentino e inaspettato negli anni a seguire, tanto da perdere la convocazione in nazionale già nel 2019.
In un reparto che denuncia l’unica assenza francese di peso causa infortunio, ovvero quella di Koscielny, gli uomini mandati in campo come titolari resteranno gli stessi dall’inizio alla fine del torneo, e la Francia chiuderà quattro incontri su sette con la rete inviolata. La difesa è completata da due terzini poco propensi, almeno in tale contesto, allo sganciamento offensivo e quindi piuttosto dediti ai compiti di copertura: si tratta di Pavard, a destra, interessante rivelazione del torneo, e di Hernandez a sinistra. La coppia di giovani calciatori appena ventiduenni sarà replicata sulle corsie esterne del Bayern Monaco, dall’anno seguente, ma non sempre i due otterranno il ruolo di titolari.
A centrocampo la Francia si giova della mobilità di Matuidi, del dinamismo di Kanté e della centralità tecnica e tattica di Pogba; giocano anche diversi spezzoni Tolisso e Nzonzi. Matuidi è un giocatore provvisto di gran corsa che di solito ama stazionare sulla parte sinistra del campo, ma è in grado di occupare molti ruoli e posizioni, un autentico uomo a tutto campo; fa incetta di campionati con le maglie del Paris Saint-Germain e della Juventus. Kanté esplode anagraficamente abbastanza tardi, ma diventa improvvisamente un protagonista inamovibile del calcio mondiale, nei club come in nazionale. La sua rampa di lancio consiste nel titolo inglese conquistato con il Leicester nel 2016, poi è una colonna del Chelsea, dove vince un campionato, una Coppa d’Inghilterra e una Champions League. Incontrista ma capace di abbassarsi fra i centrali per avviare l’azione – quindi dotato tecnicamente – Kanté è instancabile nel recupero dei palloni e nel contempo ottimo nel condurre le transizioni. Ovunque giochi è un lavoratore oscuro, anche per carattere, ma infinitamente prezioso.
Esplode invece precocemente Paul Pogba, come attesta la nomina a miglior giocatore dei Mondiali under-20 del 2013, e ancor di più l’elezione quale miglior giovane della Coppa del Mondo in Brasile l’anno successivo. In quattro stagioni alla Juventus mostra tutto il suo valore e il suo potenziale; poi nel 2016 torna – vi aveva giocato nelle giovanili – al Manchester United. Criticato ingiustamente agli Europei, risulta determinante ai Mondiali. Pogba è estroverso, propenso al ruolo di leader della squadra, ha carisma e carica i compagni in campo e fuori – vedere al riguardo il discorso con il quale motiva i bleus negli spogliatoi prima della finale. Ma conserva un carattere non semplice che diverse volte ne ha intralciato il cammino. Splendida tecnica da autentico fuoriclasse combinata a un fisico forte, Pogba è assolutamente completo (assist, gol, contrasti, posizione, anche fantasia), tanto da aver generato persino equivoci sulla sua esatta collocazione in campo.
È fra i migliori calciatori al mondo del decennio se non oltre. Paga però la scelta di essere tornato al Manchester United a causa degli errori che questa società, dalle casse così pingui e dal tifo diffuso globalmente, compie in quegli anni e che quindi generano inevitabili fallimenti stagione dopo stagione. Pogba paga però anche un vago accenno di indolenza misto a nervosismo che talvolta emerge nella sua carriera, alcuni passaggi a vuoto che lo accomunano ad un altro indiscusso protagonista suo coevo, Di Maria. Ecco, Pogba e Di Maria, soggetti calcistici complessi e dalle molteplici facce, cardini delle formazioni in cui hanno militato, rappresentano l’alter ego di Cristiano Ronaldo e Messi: altrettanto importanti di quest’ultimi, decisivi, quanto poco riconosciuti dalla lettura del calcio in voga che, sottoposta ai dettami dell’intrattenimento e del commercio, riesce a far emergere solo l’iperbole semplice e priva di riflessione. Ma entrambi sono fonte di ammirazione per chi vuole compiere un passo oltre il luogo comune imperante.
Infine il reparto avanzato francese riunisce l’intelligenza e le doti di gestione di Griezmann, la vitalità irrefrenabile di Mbappé, il lavoro utile di Giroud. Compaiono poi in campo i sostituti Fekir e Dembélé. Diciannove anni e mezzo, proveniente dai problematici suburbi di Parigi come Kanté e Pogba, ma calcisticamente cresciuto al centro federale di Clairefontaine, Mbappé si laurea in Russia miglior giovane del torneo, mettendo a segno quattro gol e rappresentando uno dei fattori chiave del successo francese. Il suo Mondiale ricorda il Pelé del 1958, ma come caratteristiche è paragonabile a Ronaldo (il Fenomeno): velocità, dribbling, gol, e poi la forza e la gioia della gioventù applicate al pallone, e sempre con bel sorriso stampato sul volto. Chiude il torneo come potenziale dominatore del calcio futuro e chi vivrà vedrà; buca gli Europei successivi, ma è ancora così giovane… Nel 2017, a fronte dell’esborso di una cifra enorme da parte dei padroni qatarioti, ha lasciato il Monaco per approdare al Paris Saint-Germain e quindi tornare dalle parti di casa, benché presumibilmente domiciliato altrove rispetto all’infanzia. Mbappé è così entrato far parte, appunto nel PSG, di quella raccolta di pregiate figurine e nel contempo sorta di buco nero del talento calcistico, che infatti viene quasi sempre compresso, appannato, perché i fuoriclasse che giungono lì sembrano un po’ appiattarsi tra il via vai di campioni, gli agi di stipendi fuori misura e la bella vita parigina. Su Mbappé sospendo il giudizio. A suo favore testimoniano i tre titoli consecutivi di capocannoniere nel campionato francese (ma in condizioni di evidente vantaggio sulla concorrenza) e soprattutto la finale di Champions League raggiunta nel 2019/20, l’edizione anomala causa Covid-19.
Non soltanto alla fine del torneo è a secco come gol messi a segno, ma resta a zero anche nel computo dei tiri verso la porta, ed è un attaccante di ruolo; eppure l’impiego di Giroud come punta centrale della squadra francese rappresenta una della intuizioni fondamentali del ct Deschamps. Giroud aiuta l’intero attacco, che segna al posto suo, con generosità e sacrificio: trattenendo la sfera, alzando la squadra, spostando gli avversari. Per lo meno lontano dai campi di calcio russi, Giroud però sa anche segnare: in oltre cento partite in nazionale ha realizzato al momento quarantotto gol, secondo di tutti i tempi dietro al solo Henry.
Veleggia oltre le quaranta reti in nazionale anche Antoine Griezmann, il grande protagonista degli Europei 2016 con sei gol al suo attivo (doppietta ai tedeschi in semifinale), quindi miglior marcatore ed eletto altresì miglior giocatore del torneo. Gli anni fra i Mondiali ’14 e ’18 segnano il suo massimo, poi denuncia un periodo in calo da quando, nel 2019, ha lasciato l’Atletico Madrid per passare al Barcellona (per poi tornare all’Atletico tre stagioni dopo). Autore di quattro gol e due assist, Griezmann è l’autentico mattatore della nazionale francese in Russia. Il suo apporto va oltre i numeri citati. Giocatore dal tempismo eccezionale al servizio della squadra, è in grado di coprire tutti i ruoli in attacco e mostra una non comune intelligenza calcistica; giustamente definito“il giocatore più collettivo di una squadra abituata a pensarsi individualmente”4)Top XI: Russia 2018, l’Ultimo Uomo, Griezmann è l’arma in più, il cemento, il raccordo del talento di questa Francia.
7 maggio 2022
immagine in evidenza: Griezmann, Umtiti, Varane e Pogba
References
1. | ↑ | David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019 |
2. | ↑ | Amy Lawrence, Didier Deschamps: ‘The biggest victories can lead to the greatest foolishness’, The Guardian |
3. | ↑ | Simone Torricini, Le contraddizioni della Francia, Rivista Undici |
4. | ↑ | Top XI: Russia 2018, l’Ultimo Uomo |