Poco prima dell’ultima, decisiva sfida del girone di qualificazione mondiale, prevista il 9 ottobre 2017 contro l’Ucraina, la nazionale croata cambia allenatore. Gli esiti degli incontri precedenti sono stati infatti poco soddisfacenti: da giugno in qua la Croazia è stata sconfitta in Islanda, poi ha superato il Kosovo (nazionale impegnata per la prima volta in una competizione internazionale), ha perso in Turchia e ha conseguito infine un deludente pareggio interno con la Finlandia. L’approdo in Russia è messo in discussione e così il ct Cacic lascia il posto a Zlatko Dalic. Costui in carriera ha allenato in Croazia e in Albania, senza conseguire particolari onori, e poi negli ultimi anni ha trovato lavoro in Arabia; l’incarico dovrebbe essere a tempo, sino a qualificazione raggiunta, ma i risultati lo premiano e ancora adesso Dalic siede sulla panchina della nazionale croata.
Quindi prima dell’ultimo turno l’Islanda ha diciannove punti e, dopo aver sconfitto il Kosovo, conquista il diritto di andare direttamente ai Mondiali, diventando oltre tutto, con poco più di trecentocinquantamila abitanti, la nazione più piccola di sempre ad aver raggiunto l’obiettivo. Croazia e Ucraina sono appaiate a diciassette punti. I croati riescono a imporsi due a zero allo Stadio Olimpico di Kiev (doppietta di Kramaric), poi superano agevolmente la Grecia nella sfida di spareggio (quattro a uno in casa, pareggio fuori) e finalmente si qualificano per la Coppa del Mondo in Russia. Non forniscono risultati di rilievo le amichevoli giocate dalla Croazia nella prima metà del 2018: sconfitte per due a zero rimediate sia dal Perù che dal Brasile, vittorie su Messico e Senegal.
La Croazia ha perso la gara di esordio nel corso degli ultimi tre Mondiali ai quali ha partecipato, ovvero 2002, 2006 e 2014, contro Messico e due volte Brasile. La Croazia non supera il primo turno dalla storica partecipazione del 1998, nella quale arrivò sino alle semifinali – ma qui in Russia la musica sarà completamente diversa. Primo incontro del torneo e due a zero rifilato alla Nigeria nel corso di una sfida vinta dai croati con autorevolezza e arricchita da diverse palle-gol. Le reti: la prima è un’autorete di Etebo; la seconda su rigore segnato da Modric e fischiato per fallo di Ekong su Mandzukic, avendo il nigeriano impedito all’avversario di saltare. A margine della partita accade anche un fatto insolito: l’attaccante croato Kalinic, in panchina probabilmente contro voglia e sollecitato dal suo tecnico a entrare in campo, rifiuta di farlo adducendo un problema fisico. Dalic lo rimanda a casa e necessariamente qualche rimpianto per il suo comportamento Kalinic dovrà pur averlo.
Per la seconda sfida del girone i croati sono chiamati a dimostrare il loro autentico valore contro un avversario di alto rango, l’Argentina. Nell’ambito di una partita nel complesso davvero gradevole, il primo tempo è contraddistinto dall’equilibrio e si chiude a reti bianche, benché alcune lacune difensive abbiano aperto il varco ad un paio di grosse occasioni, per entrambe le compagini: fra i sudamericani Perez tira fuori a porta sguarnita; Mandzukic, lasciato solo a colpire di testa praticamente di fronte al portiere, indirizza anch’egli la sfera fuori dai pali.
Poco dopo l’avvio della ripresa, la selezione europea va in vantaggio con Rebic grazie a un terribile errore del portiere argentino Caballero che di fatto porge gentilmente all’avversario la palla da spedire in rete. Il gol croato spacca la partita. Meza avrebbe sui piedi la palla del pareggio e la spreca tirando addosso a Subasic, ma è la Croazia che progressivamente cresce e domina a centrocampo, infilando altri due gol con Modric (tiro da fuori area) e Rakitic (nel recupero, dopo aver colto anche un incrocio dei pali su punizione nei precedenti minuti). Lovren in difesa e Mandzukic, utilissimo davanti, meritano la citazione; dove la Croazia ha davvero incantato è nella zona mediana, con il lavoro di Rakitic, i recuperi di Brozovic e una prestazione assolutamente mostruosa di Modric. Fra gli argentini, il cui tracollo per tre a zero rappresenta un pesante macigno sulle ambizioni iridate, è da segnalare l’eclissi di Messi, come spesso gli accade nelle partite importanti della seleccion. Una straordinaria Croazia si presenta allora al mondo come una potenza calcistica, dai più sinora misconosciuta, benché il talento diffuso non consenta di designarla quale vera e propria sorpresa.
È poi vinta anche l’ultima ininfluente partita del girone contro l’Islanda, per due a uno; i gol sono tutti marcati nella ripresa: vantaggio croato a opera di Badelj, pari dell’Islanda con Sigurdsson su rigore, gol vittoria di Perisic allo scadere. Sette gol fatti, uno subito, passaggio del turno a punteggio pieno: questa Croazia pensa di essere più forte di quella del ’98? Già all’Europeo di due anni prima la formazione croata era sembrata una squadra di indiscusso valore e capace di puntare al titolo. Aveva disputato un bel girone della prima fase ma era caduta subito agli ottavi, contro il Portogallo, e in un modo paradossale, quasi assurdo: stavano dominando i tempi supplementari i croati e poco prima del fischio finale colsero un palo con un colpo di testa di Perisic, e poi nell’azione successiva di contropiede presero il gol di Quaresma; nei pochi istanti di gioco residuo, i giocatori croati riuscirono addirittura a sfiorare il pareggio, ma invano. Gli Europei restano un torneo poco nelle corde dei croati.
Dalic ha le idee piuttosto chiare su come schierare la sua squadra dalle evidenti potenzialità e dotata di un notevole bagaglio di tecnica ed esperienza. Cambiano poco gli uomini mandati in campo e il 4-2-3-1 croato viene proposto per tutto il torneo, pur con qualche variazione nel percorso: contro la Russia Kramaric è inserito al centro della linea a tre, con Rakitic e Modric arretrati; contro l’Inghilterra gioca Brozovic come mediano, mentre Modric assume il ruolo di regista. In difesa è efficace la coppia di centrali composta da Vida e Lovren (questi è in forza al Liverpool), ma non è il reparto arretrato – a fine torneo gravato da nove gol al passivo – il tassello migliore della formazione. Gli elementi chiave si incontrano da metà campo in su e si chiamano Rakitic, Modric, Perisic e Mandzukic, elencati in ordine di posizione in campo, dal basso all’alto.
Luka Modric vive un’infanzia travagliata nel pieno della guerra civile che insanguina l’ex Jugoslavia: il nonno è ucciso da miliziani serbi; la famiglia è sfollata e il piccolo Luka trascorre diversi anni come rifugiato di guerra, a Zara, e impara a giocare a pallone nei parcheggi degli alberghi adattati a campi profughi in cui è costretto a vivere. I primi approcci da professionista lo vedono impiegato nel ruolo di centrocampista avanzato, poi col tempo arretra il raggio d’azione ma rimane comunque duttile, come dimostra il suo impiego in nazionale. Si fa notare con la maglia del Tottenham, dal 2012 è al Real Madrid – titolare fisso – con il quale vince tutto. Detiene il record di presenze con la maglia croata ed è eletto miglior giocatore del Mondiale di Russia: “con la sua straordinaria tecnica e consapevolezza tattica, Modric ha dettato il ritmo delle partite, ha difeso, ha attaccato e ha persino segnato gol”1)Tournament observation, 2018 FIFA World Cup Russia – Techinical report and Statistics. Magro e all’apparenza esile, ben lontano dai canoni del calciatore muscoloso, Modric è un giocatore preciso, pulito, in grado di mostrare ottimi passaggi e un’intelligenza tattica non comune – insomma, il tipico uomo d’ordine fondamentale in una squadra. È stato altresì tratteggiato come un specie a sé di centrocampista, ovvero un portatore di palla con gli sprazzi del regista2)Jonathan Wilson, The Question: what does the changing role of holding midfielders tell us?, The Guardian. In quegli anni Modric è l’autentico deus ex machina della squadra croata e nel Mondiale russo esprime in toto la sua classe che lo iscrive di diritto al gruppo dei migliori calciatori al mondo.
La recente scuola calcistica croata è stata fucina di ottimi centrocampisti dalla pregevole tecnica quali Prosinecki e Boban, e a questi si aggiunge, oltre al citato Modric, Ivan Rakitic. Nato e cresciuto in Svizzera da genitori croati, gioca nelle giovanili del paese che lo ospita ma poi opta per i colori della nazione di origine; mostra il meglio di sé nella Liga spagnola con le maglie di Siviglia e Barcellona. Rakitic è un ambidestro, tecnicamente completo e forte in tutti i ruoli del centrocampo, quindi utile sia nel recuperare la sfera, sia nel riuscire a smistarla nel migliore dei modi.
Con tre gol e un assist nel torneo – al pari del compagno di quadra Mandzukic – Perisic rientra fra i protagonisti del Mondiale; Perisic è un’ala sinistra dal buon dribbling che ha segnato al momento trentadue reti in nazionale e, come presenze, ha raggiunto la tripla cifra. Si era già fatto notare dagli appassionati nel corso della Coppa in Brasile quattro anni prima. Campione d’Europa con il Bayern Monaco nel 2020, lo rimandano però all’Inter, confermando come Perisic appartenga a quel genere di giocatori che si esaltano soprattutto quando indossano la casacca del proprio paese.
Mario Mandzukic è ad oggi il secondo marcatore di sempre della nazionale croata con trentatré gol, dietro soltanto a Suker, e qui in Russia offre alla Croazia tutte le sue doti. Ovunque è stato, ha lasciato il segno: Bayern Monaco, Atletico Madrid, Juventus. Non segna tantissimo Mandzukic, ma è un giocatore di peso fondamentale nel reparto di attacco, poiché sa fare il pressing, sa difendere la sfera e sa sacrificarsi nel ritorno in copertura. E poi ha carattere, determinazione, resistenza fisica, e per questo è amato dalle tifoserie. Anch’egli durante durante la guerra ha dovuto lasciare la terra di origine ed ha vissuto con la famiglia in Germania, per poi essere rimandato indietro dopo cinque anni.
Si para a fronte dei croati una Danimarca in ripresa, nelle cui file spiccano il difensore Kjaer e i centrocampisti Eriksen, Delaney, Poulsen. In porta c’è un omone gioviale che si chiama Kasper Schmeichel ed è il degno figlio, per quanto non ancora alla pari, del grande Peter: il giovane Schmeichel gioca nel Leicester dove due anni prima del Mondiale ha vinto uno storico titolo inglese. La Danimarca sarà semifinalista nel corso dei successivi Europei, durante i quali Eriksen rischierà seriamente la vita in campo poiché colto da infarto e sarà salvato dal pronto intervento del compagno Kjaer e dei sanitari.
Danimarca – Perù è il primo incontro del girone di prima fase, con i sudamericani che tornano a giocare in Coppa del Mondo dopo trentasei anni, cioè dopo il loro periodo d’oro (1970 – 1982) durante il quale hanno disputato tre campionati su quattro e per due volte sono entrati fra le prime otto. Il primo torneo dopo quella serie fu mancato anche a causa di un gol dell’argentino Gareca, l’attuale tecnico dei peruviani. Nel primo tempo il Perù spreca la concreta possibilità di portarsi avanti sbagliando un rigore: fallo di Poulsen su Cueva, calcia lo stesso giocatore, alto; i peruviani sbagliano ulteriori palle-gol nella ripresa, ma in diversi frangenti è bravo il portiere danese, e poi subiscono il gol avversario marcato da Poulsen. Attraverso gli spazi che deve concedere il Perù, la Danimarca sfiora il raddoppio e chiude sull’uno a zero quella che risulterà la sfida decisiva per il passaggio alla fase successiva. Nel secondo turno la Danimarca si accontenta del pareggio contro l’Australia: passano in vantaggio gli europei con una bella azione conclusa a rete da Eriksen; subiscono il pari su calcio di rigore fischiato per fallo di mani di Poulsen (rivisto dall’arbitro al video) e segnato da Jedinak. Così ai danesi è sufficiente raccogliere un pari nell’ultima partita, opposti ai francesi.
L’ottavo di finale tutto europeo tra Croazia e Danimarca inizia con i botti: al primo minuto gol danese di Jorgensen su azione d’angolo; passano tre minuti e pareggia i conti Mandzukic con un gol da opportunista dell’area di rigore. Si tratta però di due realizzazioni abbastanza fortuite. La Danimarca è ben schierata mentre i croati sono sotto tono rispetto alle gare del girone, con Modric in serata negativa, o per lo meno lontano dalle vette toccate nei giorni precedenti. Morale della favola, la partita progressivamente diventa sempre più bloccata… sino agli istanti finali e ai tesissimi tiri dal dischetto.
A pochi istanti dalla fine dei tempi supplementari, Modric lancia Rebic (in gran spolvero oggi) verso la porta danese; la difesa è sbilanciata, Rebic salta il portiere ed è atterrato da dietro. Il rigore è netto ma a dirla tutta Rebic ha perso troppo tempo con la palla tra i piedi e avrebbe potuto calciare verso la porta vuota. Tira Modric e para il figlio di Schmeichel, con il padre che esulta dalla tribuna. I tiri di rigore finali si trasformano in una sfida diretta tra i due portieri, Schmeichel e Subasic, già protagonisti durante tutto l’incontro. Inizia la Danimarca, calcia Eriksen e Subasic respinge la sfera sul palo; calcia Badelj e Schmeichel para di piede. Segnano Kjaer e Kramaric (in questo caso Schmeichel si lamenta platealmente perché il croato avrebbe interrotto la rincorsa per eseguire una finta); segnano Krohn-Delhi e Modric, centrale il suo tiro, ma coraggioso dopo il pesante errore precedente. Para Subasic su Schone, para Schmeichel su Pivaric – l’equilibrio proprio non si sblocca. Ma Subasic para ancora di piede il tiro centrale di Jorgensen e ora tocca a Rakitic, che ha sui piedi la potenziale palla decisiva. E segna. Tre parate a due per Subasic, tre a due i rigori per la Croazia e passaggio ai quarti di finale.
È allora il momento della sfida ai padroni di casa della Russia. Intorno alla mezzora del primo tempo, mentre i croati stanno imponendo il loro gioco, ecco a sorpresa il vantaggio russo: bellissimo gol di Cheryshev, composto da dribbling e tiro spiovente da fuori area. La Croazia riesce però a raddrizzare subito una situazione difficile con il pari firmato di testa da Kramaric su assist di Mandzukic, in straordinaria crescita agonistica e autore sinora di un meraviglioso torneo. Nella ripresa Perisic coglie il palo interno, prima di essere sostituito da Brozovic; anche il ct russo prova a mischiare la carte, togliendo Cheryshev e Dzyuba e mandando in campo Smolov e Gazinsky. Il risultato non muta e si va ai supplementari.
Decimo minuto del primo tempo, calcio d’angolo per la Croazia, colpisce di testa Vida e spedisce in rete; sugli spalti la presidente croata Grabas-Kitarovic, molto vistosa con la sua criniera bionda e addosso la maglia della nazionale, esulta al nuovo vantaggio croato che ormai pare decisivo. Ma a cinque minuti dal fischio finale il pareggio russo di Fernandes, di testa, manda in visibilio tutto lo stadio e ferma sul due a due il punteggio. Per la quarta volta una partita di questo Mondiale viene decisa ai rigori, eguagliando così il record delle edizioni 1990, 2006 e 2014, ma qui soltanto cinque partite sono state prolungate ai supplementari. E i rigori premiano nuovamente la Croazia. Dopo i primi due tiri a testa, le squadre sono sull’uno a uno; va sulla palla Fernandes, protagonista del pareggio russo, ma calcia male, un rasoterra strozzato che termina fuori. Poi segnano Modric (il portiere russo tocca), Ignashevich, Vida, Kuzyayev; il rigore decisivo passa dai piedi di Rakitic, ancora una volta, e Rakitic non sbaglia.
Con due vittorie su due ai rigori, la nazionale croata eguaglia il record dell’Argentina edizione ’90, ma soprattutto torna in una semifinale mondiale vent’anni dopo Francia ’98. Negli spogliatoi la presidente salta e canta assieme ai giocatori; la gioia incontenibile che esplode allo stadio e in tutta la società croata è il normale orgoglio di un paese di quattro milioni di abitanti, ricostituito come unità indipendente solo di recente, forte dei suoi successi sportivi in particolare grazie alla nazionale di calcio, e stretto attorno ai suoi magnifici alfieri. Sì, ma rimestando il fondo del barile c’è anche dell’altro. Desta impressione che al termine del quarto di finale, Vida e un membro dello staff urlino “Gloria all’Ucraina”, slogan delle frange ultra-nazionaliste ucraine avverse ai russi nella strisciante (all’epoca) guerra fra i due paesi. Emerge poi come negli spogliatoi i giocatori spesso intonino il coro “Za dom, braco, za slobodu, borimo se mi” che ricorda da vicino lo slogan dei fascisti croati durante la seconda guerra mondiale. Questa nazionale conserva dentro di sé un lato oscuro, un’ombra maligna e malsana espressa in un acceso nazionalismo, che ovviamente sfocia nella rivendicazione della sottomissione altrui, se non nel vero e proprio fascismo.
Ci sono dei precedenti sparsi in anni recenti. Nel 2012 due generali croati, attivi durante la guerra civile nell’ex Jugoslavia, sono assolti dal Tribunale penale internazionale; il giorno seguente Mandzukic celebra il fatto esultando verso i tifosi con il saluto romano. L’anno dopo, prima di una sfida valida per la qualificazione mondiale in programma a Zagabria, il giocatore croato Simunic incita il pubblico con slogan sempre figli di quel passato collaborazionista e filo-nazista3)David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019. Nel 2015 a Spalato, durante Croazia – Italia valida per le qualificazioni all’europeo – tra l’altro giocata a porte chiuse a causa dei cori razzisti urlati dai tifosi croati durante il precedente incontro –, sul prato dello stadio compare il profilo di un’enorme svastica.
Sembra che la Croazia non sia in grado di lasciare alle proprie spalle la storia recente con tutto il fardello di odio che necessariamente si porta dietro; invece le affermazioni calcistiche spesso diventano la strada più comoda per ribadire quel passato, in forma esplicita: è il vizio diffuso – che non hanno in esclusiva, come visto – di interpretare il calcio come una prosecuzione di una guerra di indipendenza nazionale, o anche solo come la riproposizione meccanica e acritica degli eventi storici. Molti di questi uomini, è vero, conservano dentro di sé le cicatrici di quanto accaduto durante la guerra: oltre ai casi già citati, anche Lovren fu costretto a lasciare d’improvviso il suo villaggio natale in Bosnia, poi raso al suolo, e a rifugiarsi con la famiglia in Germania, per poi essere rimandato indietro e vivendo in tal modo un’infanzia da autentico sradicato4)Aldo Cazzullo, Nazionalismo e voglia di vincere, la piccola Croazia si è presa il pallone, Corriere della Sera. Nessuno chiede loro di avviare in prima persona un processo di riconciliazione, o di diventare pacifisti, ma continuare in eterno a soffiare sul fuoco dell’odio etnico e nazionalista pare vagamente criminale, tendenzialmente pericoloso e in ultima istanza francamente ridicolo.
Però non mancano in quei giorni alcuni sprazzi di luce, che forse annunciano il prossimo sereno, o per lo meno rendono l’aria più respirabile. Novak Djokovic dichiara pubblicamente che tiferà per i croati in finale, attirandosi le ire dei fanatici della sua terra, la Serbia. Gli risponde a tono il ct Dalic, appoggiato da Rakitic: siamo felici che Djokovic abbia detto di stare dalla nostra parte in questa finale, noi stiamo dalla sua mentre gioca a Wimbledon. Per la cronaca Djokovic avrebbe vinto il torneo di Wimbledon il giorno stesso della finale mondiale.

Croazia – Inghilterra, semifinale della Coppa del Mondo Fifa 2018, si gioca allo Stadio Luzhniki di Mosca la sera dell’undici luglio. Inglesi in campo con: Pickford; Walker, Stones, Maguire; Trippier, Dele Alli, Henderson, Lingard, Young; Sterling, Kane. L’undici titolare croato è così composto: Subasic; Vrsaljko, Lovren, Vida, Strinic; Rakitic, Brozovic; Rebic, Modric, Perisic; Mandzukic. Il pronostico è in bilico. Forse la bilancia pende leggermente verso l’Inghilterra, un po’ per la tradizione, un po’ perché le due vittorie ai rigori hanno lasciato qualche nube sulla reale forza croata dopo un girone di prima fase dominato.
Quarto minuto di gioco, fallo di Modric su Delle Alli poco fuori dall’area di rigore: tira la punizione Trippier, Subasic parte un po’ tardi e la palla finisce in rete. Terzo svantaggio iniziale consecutivo per i croati, qui davvero a freddo e con gli inglesi che poi continuano a macinare gioco. Al tredicesimo, su calcio d’angolo (si noti il trenino inglese sulle battute dal corner, per evitare le marcature), Maguire colpisce di testa e manda fuori di poco. La Croazia soffre in copertura e intorno alla mezzora rischia di capitolare: Kane, messo davanti a Subasic palla al piede da Lingard, prima tira sul portiere e poi centra il palo. Grande opportunità mancata per l’Inghilterra che rischia di pesare parecchio sull’andamento dell’incontro. Sul ribaltamento del fronte, la Croazia mostra di essere ancora viva con Rebic che indirizza la palla in mezzo all’area, c’è l’anticipo decisivo di Stones e poi la conclusione ancora di Rebic fermata dal portiere inglese. Al minuto trentasei Lingard si libera al tiro dal limite dall’area ma conclude male; allo scadere Rakitic è sulla palla in area ma perde l’attimo buono per la conclusione a rete. Fischio di metà tempo, gli inglesi sono meritatamente avanti, i croati si sono ripresi soltanto nel finale.
La ripresa avvia una fase di gioco confusa e un po’ noiosa, condita da errori tecnici e dal tentativo inglese di controllare l’incontro senza troppi scossoni. Si contano i primi due ammoniti, Mandzukic da una parte e Walker dall’altra, e poi all’undicesimo ecco la prima azione da rete, inglese, di bella fattura: cross di prima di Trippier dalla destra, salva Lovren in anticipo su Kane. Ma poco prima della metà del tempo, il risveglio croato spacca in due la partita. Diciannovesimo, occasione croata con un tiro di Perisic respinto dal basso ventre di Walker. Ventiduesimo, cross di Vrsaljko dalla fascia destra, interviene Perisic in anticipo su Walker colpendo con l’esterno mancino, rete, uno a uno. La Croazia non si placa. Al ventiseiesimo un errore difensivo inglese manda al tiro ancora Perisic e la palla si stampa sul palo alla sinistra di Pickford; il rimbalzo favorisce Rebic il cui tiro, debole, termina fra le braccia del portiere. Un minuto dopo è Brozovic a provarci, spedendo oltre la traversa.
Un’Inghilterra in evidente sofferenza manda in campo Rashford per Sterling e prova ad alleggerire la pressione con una sortita offensiva conclusa da un tiro di Lingard, strozzato e senza esito. Ma negli ultimi dieci minuti rischiano ancora gli inglesi. Un errato disimpegno difensivo manda quasi in porta Perisic, sempre in agguato; Mandzukic in area di rigore stoppa la sfera, si gira e tira, obbligando Pickford alla respinta; Perisic – stasera autore di una prestazione fantastica – vede il portiere fuori dai pali e conclude a rete, alto. I tempi regolamentari si chiudono nel recupero con un tentativo inglese: calcio di punizione, testa di Kane, fuori. Non è una partita da ricordare quella della punta britannica, in linea con una tendenza al ribasso se si osserva l’intero percorso del campionato.
Tecnicamente meno valida ma più divertente e avvincente dell’altra semifinale, soprattutto dopo il pareggio e soprattutto grazie alla Croazia, la partita prosegue con i tempi supplementari: sono i terzi di fila per i croati (in precedenza era accaduto solo all’Inghilterra nella Coppa del ’90), mentre gli inglesi li hanno giocati nella gara degli ottavi. L’overtime per forza di cose sfiancherà la finalista.
La selezione inglese inizia con Rose al posto di Young, poi più avanti Dier sostituisce Henderson. Dopo cinque minuti Strinic si fa male e Dalic manda in campo Pivaric per il primo cambio croato; Kramaric entra al posto dell’ammonito Rebic. L’Inghilterra è più intraprendente in questo avvio di supplementari e crea la sua migliore occasione dai primi quarantacinque minuti di gara: su calcio d’angolo Stones, libero, colpisce di testa e Vrsaljko, autore di una grande partita, salva il gol deviando di testa quasi sulla linea. Risponde la Croazia nei minuti di recupero: Perisic lancia in mezzo per Mandzukic, Pickford esce dai pali, l’attaccante riesce a toccare la palla ma il portiere devia di gamba sul fondo.
Il secondo supplementare decide la sfida. Due giri di orologio e una Croazia tornata in campo con il piglio giusto per chiuderla, sfiora il gol con Brozovic, lasciato libero al tiro ma impreciso nella mira. Terzo minuto: cross di Pivaric, Walker respinge e l’azione d’attacco all’apparenza è finita, tanto che si nota anche un gesto di stizza di Mandzukic sullo sfondo. Ma Perisic, girato di spalle, tocca di testa la sfera dal limite verso l’area; qui Mandzukic ha la geniale intuizione di scattare in avanti, lasciando sul posto i due difensori inglesi che lo circondando, Stones e Maguire: solo davanti a Pickford, Mandzukic infila in rete il gol del vantaggio croato. Nella seguente esultanza, i croati travolgono un fotografo a bordo campo, che poi abbracciano per scusarsi.
Southgate tenta la classica mossa della disperazione inserendo un attaccante per un difensore, Vardy per Walker (è il quarto cambio, consentito da questa edizione ma soltanto nei supplementari). La Croazia si copre, Corluka entra per Mandzukic, sul finire Badelj avvicenda Modric, la cui progressiva crescita nel corso dell’incontro ha accompagnato la crescita di tutta la squadra. Trippier si fa male, deve uscire; l’Inghilterra resta in dieci ed è come alzare bandiera bianca. In contropiede Kramaric avrebbe la palla buona per il terzo gol ma non passa a Perisic tutto solo in mezzo, bensì conclude fuori.
Vince la Croazia due a uno, con merito, mostrando una qualità di gioco comparabile a quella messa in campo contro l’Argentina: pare una squadra che si esalta al crescere della forza e delle potenzialità dell’avversario. La partita è stata idealmente spezzata in due, prima a vantaggio degli inglesi e poi con il passare del tempo – e nelle fasi decisive – sempre più nelle mani della compagine croata, che ha creato un notevole numero di occasioni da rete attraverso un’efficace spinta offensiva e un’organizzazione del gioco superiore. Prima finale mondiale per la Croazia, tredicesima selezione della storia a raggiungere l’ultimo atto della Coppa. La Croazia conferma di essere di gran lunga la migliore nazionale fra le eredi calcistiche dell’ex Jugoslavia e riporta una selezione dell’Est Europa – ed anche del mitico calcio danubiano – in una finale che mancava dal lontanissimo 1962. E sono anche più forti dei loro fratelli maggiori in campo nel 1998. Il titolo, per questo piccolo paese adagiato in mezzo all’Europa, sarebbe un evento impensabile.
7 maggio 2022
References
1. | ↑ | Tournament observation, 2018 FIFA World Cup Russia – Techinical report and Statistics |
2. | ↑ | Jonathan Wilson, The Question: what does the changing role of holding midfielders tell us?, The Guardian |
3. | ↑ | David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019 |
4. | ↑ | Aldo Cazzullo, Nazionalismo e voglia di vincere, la piccola Croazia si è presa il pallone, Corriere della Sera |