C’è una sola selezione al Mondiale russo del 2018 interamente composta da giocatori che militano nel campionato di casa, è questa selezione è l’Inghilterra. Nonostante il fatto che la stagione appena conclusa registri in Premier League la presenza di calciatori stranieri per i due terzi del totale, evidentemente l’alto livello – sotto tutti i punti di vista – del campionato premia comunque la nazionale, poiché l’esito della spedizione inglese è da ritenersi senza alcun dubbio positivo. Il successo dei three lions è il risultato di una fruttuosa comunanza di intenti, parzialmente programmata, tra club professionistici e federazione.
I club inglesi hanno ormai raggiunto un’indiscussa prevalenza a livello internazionale. Dopo la finale persa nel 2018, il Liverpool diventa campione d’Europa l’anno successivo e la partita decisiva, giocata di fronte ai londinesi del Tottenham, diventa nient’altro che un affare interno. Nella Champions del 2021 il Chelsea condotto in campo da Jorginho e in panchina da Tuchel, ha la meglio sul Manchester City di Guardiola nel corso di un altro derby inglese. In Premier lavorano i migliori tecnici, coloro che imprimono in quegli anni il proprio marchio sul calcio inglese e contribuiscono al movimento complessivo: si parla fra gli altri di Conte, Klopp, Pochettino, oltre ai già citati Guardiola e Tuchel. A ciò va poi ad aggiungersi il peso di un importante piano di intervento concepito e realizzato dai potenti club locali assieme alla federazione, un intervento attivo dal 2012 chiamato Elite Player Performance Plan che essenzialmente si è posto quale obiettivo la costruzione di talenti locali.
Un altro programma destinato al successo, ma stavolta di competenza della sola federazione, è denominato England DNA1)Alfredo Giacobbe, Il Mondiale dell’Inghilterra, l’Ultimo Uomo e consiste nel tentativo di fornire a tutte le nazionali inglesi lo stessa schema e gli stessi principi di gioco nel solco dei canoni calcistici maggiormente in voga: recupero veloce della sfera e possesso palla (l’idea di base è già stata sperimentata positivamente altrove). Un anno prima del Mondiale iniziano a fioccare i primi importanti riscontri: l’Inghilterra è campione europea under-19, ma soprattutto campione mondiale under-17 (superata in finale la Spagna) e anche under-20 sul sorprendente Venezuela, dopo aver eliminato l’Italia in semifinale.
Dopo il fallimentare Mondiale 2014 e l’insipido Europeo 2016, una ricostruzione è però necessaria anche sul versante degli uomini e dei metodi che direttamente plasmano la selezione. L’Inghilterra è affidata alle cure di Gareth Southgate, tecnico dell’under-21, il quale avvia un processo di svecchiamento sia anagrafico che tecnico. Non trascurabile è anche la possibilità di pescare da un bacino di scelta sempre più multietnico. La selezione di Southgate è schierata con una difesa a tre che il tecnico inizia a sperimentare nelle amichevoli del 2017, mentre prima il reparto arretrato era composto da quattro uomini. L’impianto generale consiste in un 3-5-2 che si trasforma in 3-3-4 in fase offensiva, ma con l’interessante particolarità di liberare in avanti più che altro le due mezzali, un ruolo interpretato da giocatori decisamente aggressivi e soprattutto duttili e tecnici, che vanno così a formare una sorta di quadrilatero con le punte2)Fabio Barcellona, Come Guardiola e Pochettino hanno influenzato la Nazionale inglese, l’Ultimo Uomo. Durante il campionato del Mondo i titolari rimangono bene o male sempre gli stessi.
Intanto la porta inglese si giova di un guardiano di tutto rispetto, Pickford, una delle rivelazioni del torneo. Significativo è l’apporto della difesa, formata da un terzetto di giocatori abituati a giocare ad alti livelli e che saranno titolari fissi negli anni a venire: il veloce Walker del Manchester City; in mezzo Stones, sempre del City e autore di due reti al Mondiale; e poi Maguire, roccioso difensore anch’egli attivo a Manchester ma su sponda United e a segno con un gol in Russia.
Zona centrale del campo: qui nel mezzo staziona Henderson del Liverpool, un centrocampista molto versatile. Le due mezzali dai compiti come detto decisivi nell’undici inglese sono Lingard e Dele Alli, costui un giovane calciatore di ventidue anni di padre nigeriano e madre inglese, accomunati da un disinteresse per il figlio pari all’interesse per l’alcool3)David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019. Disputa un bel torneo Dele Alli – al pari dell’omologo Lingard – e sembra lanciato a rinverdire i fasti dei grandi centrocampisti inglesi degli ultimi anni come Scholes, Lampard e Gerrard; ma in poco tempo ha un repentino calo di rendimento, magari dovuto ai demoni del passato – verrebbe da dire -, che lo porterà a perdere la convocazione in nazionale. Completano poi lo schieramento di metà campo gli addetti alle fasce Trippier e Young.
L’attacco inglese è composto da Sterling e Kane. Il primo ha origini giamaicane, è un esterno veloce che ama accentrarsi, e cresce costantemente tanto da giocare un ottimo campionato europeo nel 2021. Il secondo ha origini irlandesi. Kane è il tipico attaccante massiccio che sta nel mezzo del reparto offensivo a buttarla dentro, ma che nel contempo è in grado arretrare a portare palla, e quindi nel complesso ricorda un po’ Vieri. Capitano della selezione, chiude il torneo laureandosi capocannoniere con sei reti. È protagonista anche nel successivo Europeo con quattro realizzazioni e il consolidato ruolo di trascinatore dei suoi compagni. Con la maglia del Tottenham Hotspur raggiunge per tre volte la vetta nella classifica marcatori in Premier, ma è ancora a digiuno di grandi trofei. Kane riprende la serie di splendidi attaccanti inglesi che da circa quarant’anni quasi ininterrottamente tentano di edificare le fortune dei tre leoni: Keagan, Lineker, Shearer, proprio volendo anche Owen, e Rooney. In nazionale ha già gonfiato la rete avversaria quarantanove volte in sessantanove partite: è il secondo di sempre e punta la vetta, distante appena quattro gol.
Nell’estate del 2018 l’entusiasmo dei tifosi inglesi per le imprese degli uomini in bianco raggiunge livelli mai visti negli ultimi anni. Media e fans cantano a ripetizione la bella canzone lanciata in occasione degli Europei casalinghi edizione ’96 il cui motivo ricorrente, It’s coming home – il calcio sta tornando a casa, diventa un evidente auspicio a riportare la Coppa del Mondo, o quant’altro, nella terra che il calcio moderno lo ha inventato. Durante gli Europei di tre anni dopo gli inglesi cominceranno anche ad essere presi un poco in giro, per il motivetto – Schmeichel gli domanda come possano riportare a casa qualcosa che non hanno mai ottenuto, ovvero il massimo trofeo continentale; Bonucci, post-finale, trasformerà lo slogan in It’s coming Rome. Europei nei quali presenta ulteriori giovani di pregio in rampa di lancio e che, in un percorso impreziosito dalla netta affermazione sui rivali tedeschi agli ottavi di finale, l’Inghilterra arriva a un passo dalla vittoria. E allora, semifinale mondiale, finale europea: l’appuntamento con la gloria per forza di cose è fissato al torneo del 2022, per di più dichiarato come l’esplicito obiettivo inglese dal presidente della football association sin dal 2013, al varo del programma England DNA.

Al Mondiale russo gli inglesi ci arrivano imbattuti da circa un anno (ultima sconfitta in amichevole contro la Francia). Il girone della prima fase è conquistato senza discussioni da Inghilterra e Belgio e i britannici si ritrovano alla fase ad eliminazione diretta già dopo due partite. Fra l’esordio vincente contro la Tunisia (una partita contesa sino all’ultimo, benché vinta con merito) e la terza gara, persa a vantaggio dei belgi, la nazionale inglese affronta Panama.
Il paese centroamericana tagliato in due dal canale gioca la fase finale della Coppa per la prima volta nella sua storia e recupera in tal modo la terribile delusione della mancata qualificazione patita quattro anni prima ad obiettivo praticamente raggiunto. Ma il modo in cui ci arrivano resta comunque un attentato alle coronarie dei tifosi più delicati. Nell’ultima giornata la selezione degli USA, che precede in classifica i panamensi e che nel turno precedente ha rifilato ai diretti rivali quattro gol, perde contro la nazionale di Trinidad e Tobago già fuori. A completare la cronaca di un suicidio sportivo, si precisa il dato che agli statunitensi sarebbe bastato un pareggio per andare ai Mondiali. Gli USA vengono allora oltrepassati dall’Honduras, impostosi tre a due sul già qualificato Messico, e così l’Honduras sarà destinato ai playoff intercontinentali. Contro Costa Rica, Panama non può far altro che vincere ma è sotto di un gol nel primo tempo; pareggia nella ripresa grazie a un gol fantasma assegnato a Gabriel Torres e poi, a tre giri d’orologio dal novantesimo, segna con Roman Torres la rete che significa qualificazione diretta e grande gioia popolare.
L’incorcio fra inglesi e panamensi non ha storia: sei a uno con tripletta a firma Harry Kane. Si segnala però un inedito e ambiguo espediente messo in atto dei centroamericana che sta a metà strada tra la furbata – nel caso, a dirla tutta, parecchio velleitaria – e la goliardata: subito dopo il raddoppio inglese su calcio di rigore, i panamensi approfittano dei festeggiamenti avversari per recuperare in fretta e furia la sfera, porla a metà campo e battere immediatamente la ripresa del gioco al fine di andare indistrurbati in porta, sfruttando l’assenza della controparte. Ovviamente non esiste. L’arbitro blocca sul nascere il piano panamense a rigor di regolamento Fifa: “Il calcio d’inizio è consentito solo se tutti i calciatori si trovano nella propria metà del terreno di gioco”.
Ben più complesso rispetto all’agevole avvio di torneo risulta l’ottavo di finale che pone gli inglesi al cospetto dei vicini di casa di Panama, cioè la Colombia. I cafeteros vivono anni felici seppur privi di successi: dopo il bel torneo del 2014 raggiungono la semifinale in Copa America nel 2016 e qui in Russia hanno nuovamente oltrepassato la fase a girone. A fine torneo il difensore Mina (tre gol all’attivo) entrerà nell’all star team, e per il resto i principali artefici dei destini colombiani sono bene o male sempre gli stessi: Cuadrado; Falcao, che aveva saltato il torneo precedente; James Rodriguez. Stesso è anche il tecnico, l’argentino Pekerman.
Inghilterra – Colombia si risolve in una sfida in fin dei conti molto combattuta che vive di improvvise fiammate. Per gli inglesi scendono in campo gli undici titolari, mentre i sudamericani soffrono la pesante assenza di James, infortunato, per cui il 4-3-3 colombiano è così composto: Ospina; Arias, Mina, D.Sanchez, Mojica; Barrios, C.Sanchez, Lerma; Cuadrado, Falcao, Quintero. Nel primo tempo i colombiani tentano le avanzate quasi sempre da destra; i più mobili sono Arias, Cuadrado e Quintero – gli ultimi due tendono ad accentrarsi e a cercare spazio arretrando, ma sovente si pestano i piedi e discutono, poiché qualcosa non funziona per il meglio. Lo spettacolo latita, entrambe le squadre faticano a trovare varchi e qua e là emergono anche errori tecnici. L’unica vera occasione da rete consiste in un colpo di testa di Kane, su cross di Trippier, che termina di poco alto. Kane è arrivato a questa partita con una prodigiosa media realizzativa: cinque gol su sei tiri tentati.
Dopo soli tre minuti di ripresa Carlos Sanchez commette l’ingenuità di trattenere Kane in piena area di rigore sotto gli occhi dell’arbitro: lo stesso Kane si presenta agli undici metri e calcia centrale, mentre Ospina si è buttato di lato. Uno a zero per l’Inghilterra. Col passare dei minuti la partita diventa fallosa; si accumulano le ammonizioni e cresce il nervosismo, soprattutto fra i colombiani che non riescono a sfondare il muro difensivo inglese. All’ottantesimo Bacca ruba palla a Walker e consegna a Cuadrado la migliore possibilità da rete colombiana, ma l’esterno controlla un po’ male la sfera a poi calcia fuori. Ora la Colombia ha quattro uomini davanti – Bacca e Muriel infatti si sono aggiunti a Cuadrado e Falcao – e inizia a premere con veemenza sugli inglesi. Minuti di recupero e dalla grande distanza, a sorpresa, Uribe scaglia una forte conclusione diretta in rete che obbliga Pickford a un intervento magistrale per evitare il gol. Dal seguente calcio d’angolo Mina svetta di testa, Trippier sulla linea di porta non ci arriva e l’ormai impensabile e insperato pareggio colombiano diventa realtà. Uno a uno – tempi supplementari.
Un’Inghilterra necessariamente scossa, che per buona parte dell’incontro aveva imbrigliato gli avversari per poi vedersi raggiunta a tempo scaduto, sbaglia molto nel primo supplementare, senza che i colombiani riescano però ad approfittarne. Poi si scuote, controlla il gioco e nel secondo tempo prova ad evitare (comprensibilmente) i rigori, ma il nuovo vantaggio è solo sfiorato e in almeno un paio di occasioni: rasoterra di Rose (entrato al posto di Young) che scorre fuori a fil di palo; su calcio d’angolo, colpo di testa in solitaria di Dier (anch’egli proveniente dalla panchina e sostituto di Alli) con la sfera spedita alta – e allora il risultato non cambia più.
Su tre partite decise ai rigori nel corso dei campionati mondiali, la selezione inglese ne ha perse altrettante, fra le quali due di indubbio valore storico e accompagnate nel ricordo da rimpianti vari (la semifinale del ’90 contro i tedeschi, l’ottavo di finale del ’98 contro gli argentini); non molto meglio è andata agli Europei: quattro sfide ai tiri di rigore, tre perse. Con questo carico sulle spalle gli inglesi si avviano ai tiri che decideranno il passaggio ai quarti di finale del Mondiale 2018. Calciano per primi i colombiani e segnano tre rigori; rispondono gli inglesi con due realizzazioni, e poi per il terzo tentativo va sul dischetto Henderson: sbaglia, o meglio Ospina compie un’ottima respinta, e la nazionale dei tre leoni è a un passo dall’ennesima, insopportabile eliminazione dal dischetto. Pekerman viene inquadrato con la mano sugli occhi, sembra non voler guardare. Tira la Colombia, Uribe, e prende la traversa! con la palla che poi schizza fuori; Trippier segna e riporta il punteggio in parità. Quinto rigore, va sul dischetto Bacca: la conclusione è centrale, Pickford si è lanciato di lato ma allarga il braccio sinistro quel tanto che gli serve per deviare la sfera. I due tentativi falliti dai colombiani hanno capovolto il mondo. Ora tocca a Dier calciare l’ultimo rigore inglese, quello decisivo: Ospina tocca ma la palla, inesorabile, termina lo stesso in rete. È stata una battaglia, drammatica sino all’ultimo istante, ma questa volta ai rigori l’Inghilterra ha vinto.
Avversaria inglese ai quarti di finale sarà la nazionale svedese, vera e propria squadra-rivelazione del torneo iridato, capace di raggiungere i quarti di finale che mancavano dall’edizione 1994, nonché di riportare dopo un ventennio una scandinava tra le prime otto al mondo (ultima volta la Danimarca, nel ’98). Nella campagna di Russia la Svezia ha già strappato e messo in archivio parecchi scalpi pregiati: l’Olanda nel girone di qualificazione Uefa; l’Italia nello spareggio; la Germania nel girone della prima fase. Granqvist, nominato nell’all star team del Mondiale, forma un’ottima coppia di difensori centrali assieme a Lindelof, in una compagine innanzitutto attenta alla fase difensiva in cui emergono altresì le prestazioni dell’esterno arretrato Augustinsson.
Ma prima dell’Inghilterra, la Svezia è attesa ad un ottavo di finale dal sapore antico contro la Svizzera. Gli evetici giocano il loro quarto Mondiale di fila; hanno raggiunto gli ottavi nell’Europeo precdente e saliranno sino ai quarti in quello successivo, dopo aver eliminato la Francia; è una formazione di solida esperienza quella svizzera, e tendenzialmente sempre più multietnica, ma sembra faticare a compiere il passo decisivo, a realizzare il salto di qualità. Qui in Russia esordisce con il Brasile, che passa in vantaggio nella prima frazione con un gran gol di Coutinho, pareggiato nella ripresa dalla Svizzera con Zuber, di testa, su corner. Alla fine il Brasile spinge e crea tre occasioni nei minuti finali con Neymar, Firmino e Miranda, ma non passa. La partita chiave per il passaggio del turno è la seguente, contro la Serbia.
L’incontro è in programma a Kaliningrad, l’antica Konigsberg tedesca patria di Kant che dal dopoguerra è un’exclave russa incassata tra Polonia e Lituaina, e dedicata dal 1946 al rivoluzionario Kalinin il quale, però, in vita non ebbe mai alcun rapporto con la città. I serbi segnano dopo pochi istanti di gioco grazie a un colpo di testa di Mitrovic, la Svizzera pareggia con un tiro di Xhaka, teso, fortissimo, da fuori area sulla sinistra. Viene negato un rigore enorme alla Serbia (in due svizzeri impediscono il salto dell’avversario) e poi, all’ultimo minuto, il gol-vittoria svizzero: i serbi sbilanciati in avanti sono messi molto male, così due passaggi svizzeri dalla propria area per vie centrali mettono Shaqiri davanti al portiere, a segnare il due a uno finale. Entrambi i marcatori rosso-crociati hanno origini kossovare; entrambi, dopo aver segnato, mostrano con le mani il gesto dell’aquila albanese per un’esplicita provocazione nazionalista anti-serba della quale il mondo non sentiva certo la mancanza, uno stupido e inutile retaggio delle vere tragedie balcaniche di due decenni prima e che, purtroppo, non sarà nemmeno l’unico nel torneo. La Svizzera poi è costretta al pareggio dalla Costa Rica ma la Serbia, che in precedenza aveva superato i costaricensi, a sua volta è sconfitta dal Brasile e cede il passo agli elvetici.
Per l’ottavo di finale contro gli svedesi, la Svizzera deve fare a meno causa squalifica di un paio di difensori titolari, cioè Lichsteiner, che è anche il capitano della selezione, e Schar. Gli scandinavi sanno rendersi pericolosi nel primo tempo e creano alcune occasioni da rete, non sfruttate per errori propri o per gli interventi del valido portiere svizzero Sommer. Poi a metà ripresa la Svezia va a segno: tiro dal limite dell’area di Forsberg, deviato da Akanji, con palla che scavalca il portiere e finisce in rete. La squadra svizzera prevale soltanto sul lato del possesso palla, ma non è quasi mai pericolosa e lascia il Mondiale, agli ottavi di finale per la quarta volte nelle ultime cinque partecipazioni. Sta diventando un piccolo Messico.
Da alcuni decenni il calcio inglese è diventato un modello per quello svedese. Lo stretto rapporto ha avuto origine alla fine dei Sessanta, quando la televisione svedese iniziò a trasmettere regolarmente il campionato inglese, i cui diritti erano stati acquistati quasi per caso ad opera di un giornalista scandinavo lì in trasferta per altre ragioni. La partita dall’Inghilterra alla tv divenne così una consolidata abitudine per gli appassionati di calcio svedesi. Poi, nel corso dei Settanta due giovani allenatori inglesi, Houghton e Hogdson, raccolsero fama e allori in terra scandinava. Il primo condusse il Malmoe addirittura a sfiorare la Coppa dei Campioni del 1979, in una finale persa contro il Nottingham Forrest che risulta una delle meno ricordate nella storia della manifestazione. Considerati i nomi delle squadre contendenti, anziché quarant’anni pare trascorsa un’era geologica, rispetto all’attuale realtà dei club europei. Il secondo, tra l’altro predecessore di Southgate sulla panchina della nazionale inglese, conquistò due titoli nazionali con il piccolo Halmstad, e altri due con il Malmoe.
Inghilterra e Svezia del 2018 sono due squadre abbastanza simili: poco appariscenti, preferenza per i ritmi bassi e tendenza a sfruttare più di tutto i calci piazzati – ma alla fine prevale il maggiore talento complessivo inglese, aiutato però dai grandi interventi sfoderati da Pickford, oltre alla pazienza messa in mostra nello sforzo di scardinare il muro difensivo svedese. Gli inglesi passano in vantaggio durante il primo tempo con un gol di Maguire, che colpisce di testa un cross su calcio d’angolo battuto da Young, e poi sprecano il raddoppio: un ottimo lancio di Henderson mette Sterling davanti al portiere, ma l’attaccante pasticcia, perde tempo e fallisce la grande occasione. Nella ripresa la Svezia aumenta il vigore delle sue azioni offensive, Pickford nega il gol a Berg, ma poi l’Inghilterra si porta sul due a zero grazie a un colpo di testa di Dele Alli, lasciato colpevolmente solo dalla difesa svedese, qui troppo statica. Dele Alli è il principale protagonista dell’incontro, insieme come detto all’estremo inglese, capace di ulteriori interventi risolutivi nell’ultima parte dell’incontro sulle conclusioni Claesson e di nuovo Berg.
La vittoria sulla Svezia spedisce la nazionale inglese fra le prime quattro squadre al mondo, un evento che non si verificava dal lontano 1990, nonostante le belle formazioni messe in campo in diversi Mondiali e il progressivo e crescente peso assunto nel frattempo dai club inglesi nel contesto del calcio internazionale. Necessariamente il risultato fa clamore e diffonde l’eccitazione in patria. Ora li aspetta in semifinale un avversario anomalo, dai contorni sfumati, francamente inatteso e perciò molto pericoloso: la Croazia.
7 maggio 2022
References
1. | ↑ | Alfredo Giacobbe, Il Mondiale dell’Inghilterra, l’Ultimo Uomo |
2. | ↑ | Fabio Barcellona, Come Guardiola e Pochettino hanno influenzato la Nazionale inglese, l’Ultimo Uomo |
3. | ↑ | David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019 |