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Russia, 2018
III. La caduta degli Dei

La selezione tedesca campione del Mondo in carica disputa nel 2016 un torneo continentale senza infamia né lode, concluso fra le prime quattro classificate; dopo aver sconfitto l’Italia ai rigori nei quarti, perde contro i padroni di casa francesi in semifinale per due a zero, esito piuttosto netto. Ma è tutt’altro che una nazionale appagata. Nell’anno che precede il Mondiale conquista la Confederations Cup con una squadra priva dei senatori, rifilando quattro gol al Messico in semifinale e superando uno a zero il Cile in finale (a dirla tutta i cileni regalano il vantaggio ai tedeschi e sprecano malamente diverse occasioni da rete per tutto il corso dell’incontro). I restanti tedeschi, nel frattempo, per non farsi mancare nulla sconfiggono gli spagnoli e consegnano alla mannschaft anche l’Europeo under-21. La Germania si qualifica a Russia 2018 vincendo tutte le gare di qualificazione, segnando quarantatré reti a fronte di appena quattro gol incassati. Sembrano lanciati verso la conferma del titolo mondiale.

Qualcosa inizia però a incrinarsi nelle amichevoli pre-mondiali. Sono tutte partite importanti, che la Germania pareggia in serie (contro Inghilterra, Francia, Spagna) sino alla sfida di Berlino che la vede opposta al Brasile, per la prima volta dalla semifinale di Belo Horizonte: i brasiliani si impongono uno a zero con gol di Gabriel Jesus e così impediscono ai tedeschi di eguagliare la propria striscia record di ventitré partite senza sconfitta. Poi però perdono anche con l’Austria, e cinque partite di fila senza vittoria non si verificavano dal 1988, per i tedeschi. Prima dell’esordio mondiale superano l’Arabia Saudita.

È tutto da raccontare il girone che ospita la Germania nella Coppa del 2018, poiché si incontra il gruppo più sorprendente e avvincente del torneo. L’esordio è contro il Messico, selezione nelle cui fila spiccano Herrera, Hernandez, Lozano, Vela, e il veterano Marquez, al suo quinto Mondiale. La tricolor è allenata dal colombiano Osorio, per molto tempo attivo negli Stati Uniti. Non depone a suo favore la batosta ricevuta dal Cile due anni prima in Copa America, ma qui, contro i tedeschi, ha l’intuizione giusta: organizza il pressing sulla fascia sinistra tedesca che mette in difficoltà Hummels, Kroos e Ozil, e libera Lozano a sfruttare lo spazio che si crea alle spalle di Kimmich1)Osorio, la recette tex-mex, So Foot n. 158. Funziona. I messicani giocano un gran primo tempo, sfruttano ripartenze che bucano la retroguardia tedesca e, in una di queste, passano in vantaggio con il gol della giovane promessa Lozano. Subito dopo Kroos calcia a rete su tiro di punizione: l’estremo difensore messicano, Ochoa, sfodera un fantastico intervento grazie al quale appoggia la sfera sulla traversa della propria porta.

Tristi ricordi affollano le menti messicane quando ripensano agli incroci con i tedeschi in Coppa del Mondo: sconfitta per sei a zero nel ’78; eliminazione patita ai rigori nei quarti del Mondiale casalingo, edizione 1986; eliminazione agli ottavi dal torneo del ’98 accompagnata da non pochi rimpianti. Nella ripresa la Germania preme molto, crea diverse occasioni – lasciando nel contempo spazio al contropiede messicano – e coglie anche un palo esterno all’ultimo minuto con Brandt, ma il risultato non muta. Il Messico clamorosamente batte uno a zero la nazionale tedesca che non perdeva il primo incontro ai Mondiali dal 1982. Inoltre è la sesta sconfitta all’esordio della squadra detentrice del trofeo, e non sono poche su diciannove edizioni nelle quali si è presentata in campo la nazionale campione in carica (sono escluse dal conto ovviamente la prima ma anche la seconda edizione, 1934, alla quale l’Uruguay iridato non partecipò).

L’altra sfida è Svezia – Corea del Sud; il giocatore più interessante dei coreani è Son, attaccante del Tottenham e fra i più forti e noti giocatori asiatici del periodo. La partita è condotta dalla Svezia e risolta nel secondo tempo, quando Kim Min Woo commette fallo su Claesson in area coreana: l’arbitro subito non fischia e poi – mentre la palla è nella tre quarti svedese – ferma il gioco perché richiamato dal Var e quindi si avvia verso il monitor a bordo campo. Calcio di rigore, tira Granqvist e segna l’uno a zero definitivo. La formazione asiatica perde poi anche il secondo incontro del girone, a vantaggio dei messicani: segna per il Messico Vela su calcio di rigore e raddoppia Chicarito Hernandez; nel recupero l’inutile gol sudcoreano è una bella conclusione a giro da fuori area di Son. La Corea del Sud non è ancora fuori ma poco ci manca; il Messico pare procedere a vele spiegate e per approdare agli ottavi di finale potrebbe pareggiare l’ultima sfida – invece i messicani soffriranno le pene dell’inferno fino agli ultimi minuti di gioco.

Intano scendono in campo Germania e Svezia. Al dodicesimo minuto gli svedesi reclamano a ragione un calcio di rigore non fischiato (né rivisto) per un fallo di Boateng su Berg lanciato a rete. Poi alla mezzora passano meritatamente in vantaggio: Toivonen, servito in area, scocca un pallonetto che si infila in rete, con la complicità di una leggera deviazione del difensore Rudiger; la rete svedese è nata da un errore di Kroos sulla trequarti, ma i tedeschi, colti alla sprovvista e mal posizionati, non sono stati in grado di recuperare la posizione difensiva. Allo scadere c’è un colpo di testa di Berg che obbliga Neuer a una parata impegnativa per evitare il secondo gol al passivo. Provvisti di tanto possesso palla ma poco costruttivo, i tedeschi sono stati messi in grossa difficoltà e al momento è abbastanza concreta l’immagine delle loro valigie anzitempo aperte sui letti.

Nell’intervallo Low richiama Draxler in panchina per inserire Gomez, spostando Werner sulla sinistra; i tedeschi pareggiano quasi subito con Reus e da lì in avanti è un monologo per la rinvigorita mannschaft, con qualche sortita svedese soprattutto nella seconda metà del tempo. Al minuto sessantasette Gomez fallisce il tocco a rete sotto porta, con successiva ed erronea segnalazione di fuorigioco, e al minuto ottanta Werner da buona posizione in area avversaria calcia fuori. La partita ora è emozionante. Boateng viene espulso per doppia ammonizione e la Germania vacilla quando Neuer anticipa provvidenzialmente Guidetti, pronto a deviare a rete. Nonostante l’inferiorità numerica i tedeschi non smettono di spingere: all’ottantasettesimo Gomez colpisce di testa – centrale, ma forte e ravvicinato – e la rete è salvata da Olsen con un colpo di reni; nel recupero Brandt tira da fuori area e centra in pieno il palo alla destra del portiere svedese. Siamo al quinto minuto di recupero quando Kroos calcia una punizione dal lato destro dell’area svedese: tutti aspettano il traversone al centro, ma Kroos indirizza in porta una parabola impossibile e geniale che scavalca Olsen e si infila in rete a marcare il definitivo due a uno per la Germania. È la possibile svolta nel Mondiale tedesco.

La terza giornata ha in programma Svezia – Messico e Germania – Corea del Sud con tutte le posizioni di classifica ancora da decidere. La prima sfida è vinta con merito dagli europei che rifilano ai messicani tre gol nella ripresa: Augustinsson, poi Granqvist su rigore, mentre la terza marcatura è una goffa autorete di Alvarez. Per la decisiva partita contro i coreani, il ct tedesco opera diversi cambiamenti rispetto alla formazione che ha superato in extremis la Svezia: fra gli altri, Ozil torna nel ruolo di regista, Muller inizia in panchina ed entrerà solo nel corso della ripresa al posto di Goretzka. Ma in tutto il torneo, per quanto breve, Low non ha mai trovato l’assetto giusto per i suoi uomini.

I tedeschi lasciano per strada il primo tempo e comunque all’intervallo lo zero a zero ancora li qualifica. Poi, stante la contemporanea affermazione degli svedesi, alla mannschaft servirebbe una vittoria, anche soltanto con il minimo scarto, mentre per i sudcoreani il risultato dell’altra sfida significa eliminazione certa. I campioni in carica sfiorano la rete in due occasioni: un colpo di testa di Goretzka – vicino alla porta e per di più da solo – impegna in una splendida parata Hyeon Woo Jo, interprete di un ottimo Mondiale; a tre minuti dal termine Hummels ha sul capo la grande occasione ma spedisce fuori un possibile gol che avrebbe mandato agli ottavi la sua nazionale e a casa i messicani. Poi durante i minuti di recupero la Germania, che con un misto di orgoglio e talento proprio in quella fase era riuscita a resuscitare contro la Svezia, crolla a terra come corpo morto cade, e con tutto il fragore che accompagna le disfatte storiche: segna Kim su azione d’angolo; raddoppia Son, servito da Ju Se Jong, il quale ha rubato la palla nella propria trequarti addirittura a Neuer, lanciatosi in un attacco disperato quanto insensato. La Corea del Sud batte la Germania due a zero; passano avanti la Svezia – finora la vera sorpresa del torneo – come prima e il Messico come secondo.

L’inaspettata eliminazione tedesca ai gironi genera un moto di vero stupore nel mondo calcistico: per rendere l’idea della portata dell’evento, si pensi che la Germania non usciva al primo turno di Coppa da ottant’anni (Mondiali del 1938, sconfitta dalla Svizzera). Mancata in attacco e con troppe amnesie in difesa, la solida squadra che alla vigilia pareva ai più pronta a scalare di nuovo la vetta del calcio internazionale, abbandona il campionato con due sconfitte su tre partite. È tutto da ricostruire? Il deludente Europeo di tre anni dopo pare confermare le impressioni del momento. Da non sottovalutare poi la maledizione dei campioni in carica, poiché la selezione detentrice della Coppa è uscita al primo turno per quattro volte in cinque edizioni del torneo, e nelle ultime tre edizioni di fila. (Porta male anche stare nel gruppo F, il gruppo che ospitava i tedeschi: da lì non è mai arrivata una squadra campione). Ma più che frutto del fato avverso, il dato testimonia accesa competitività ed equilibrio che non solo trasformano in chimera l’aspirazione di rivincere il titolo a quattro anni di distanza, ma rendono ostica anche soltanto l’intenzione di portare a casa una discreta figura.

Cristiano Ronaldo – skysports.com

Scende in campo per il suo quarto Mondiale con la maglia del Portogallo, selezione della quale rappresenta niente di meno che l’anima per circa un ventennio: ed è il campionato in cui è maggiormente alla ribalta. Si parla di Cristiano Ronaldo, ormai assurto al rango di gigante del gioco, all’anagrafe ben oltre i trenta ma ulteriormente esaltato da tre fantastiche stagioni coronate da altrettante Coppe dei Campioni. Le alza con la maglia del Real Madrid, primo club a confermarsi campione d’Europa dai tempi del Milan di Sacchi, che nelle tre finali supera i concittadini dell’Atletico, e poi di seguito la Juventus e il Liverpool. Artefice di questi tronfi sulla panchina dei blancos è, bisogna dire a sorpresa, Zinedine Zidane, da considerare senza timor di errore fra personaggi centrali nella storia del calcio. Zidane ha in mano una squadra di grande talento e colma di personalità eccelse: fa fruttare tutto questo ponendo la tecnica al centro del progetto e costruendo un collettivo equilibrato, completo in tutti i ruoli. Doveroso ricordare la formazione tipo di quel portentoso Real: Navas; Carvajal, Varane (o Pepe), Ramos, Marcelo; Modric, Casemiro, Kroos; Isco (anche dietro le punte, oppure Bale), Benzema, C. Ronaldo.

Per CR7 (iniziali più numero di maglietta) la coppe diventano in totale cinque, andandosi ad aggiungere a quelle del 2014 e del 2008, quest’ultima vinta in forza al Manchester United; poi, dopo il torneo russo passerà alla Juventus. Partito come esterno destro e poi progressivamente accentrato sul fronte d’attacco, ma trovando nell’asse sinistra-centro la sua dimensione ideale – e letale per gli avversari, Cristiano Ronaldo vince ovunque va: è capocannoniere in Inghilterra, Spagna (nel 2015 i gol sono addirittura quarantotto), Italia, e in nazionale al momento le reti ammontano a una cifra impressionante, centoquindici, su 186 presenze. Segna in cinque diverse edizioni finali dell’Europeo e nel 2021 – anno in cui torna ai red devils di Manchester – è ancora il capocannoniere del massimo torneo continentale per nazionali.

Veloce palla al piede, potente nel tiro, straordinario nel colpo di testa (rivedere, fra i tanti, lo stacco imperioso per velocità e altezza in un gol segnato all’Olimpico contro la Roma, Champions 2007/08); strepitoso nel senso gol e provvisto di un ampio campionario in tema di finte e dribbling; fisico potente e scultoreo, da autentico Dio del calcio. Questo è Cristiano Ronaldo, un uomo sicuro di sé e dall’ego smisurato, una perfetta macchina da gioco accostabile a un robot che tenta di nascondere al mondo qualsiasi accenno di fragilità. A dirla tutta non ispira troppa simpatia e nell’ultima fase della carriera esagera nel portare all’estremo la sua spasmodica rincorsa all’obiettivo di essere il più grande: fra i migliori di sempre c’è, ma l’ossessione non rende popolari. Rispetto alla carriera di Messi, suo rivale storico, la parabola di Ronaldo è paragonabile al ritmo di un ciclista che resta dietro sulla salita più prestigiosa ma è più fresco alla fine della tappa e al traguardo stacca l’avversario.

In Russia ha occasione di mostrare per quattro volte la sua esultanza da rete ormai brevettata (e marca un gol per il quarto Mondiale di fila); trascina i suoi, un Portogallo un po’ in calo in attesa di nuovi innesti, ma progressivamente le sue prestazioni rallentano e si blocca del tutto nella partita a eliminazione diretta. Anche il Dio del calcio ha i suoi passaggi da mortale. Almeno sinora, i campionati del Mondo sono stati piuttosto avari di gioie sia per Cristiano che per Messi, carichi invece di trionfi nelle altre competizioni. È un dato che toglie qualcosa ai loro prestigiosi percorsi.

Ma con Ronaldo la nazionale portoghese riesce finalmente a conquistare un trofeo importante. Accade nel 2016, campionato europeo, un torneo che pare alla portata dei lusitani – mentre il Mondiale continua a dimostrarsi inarrivabile – e già sfiorato di recente con la cocente delusione della finale casalinga persa nel 2004, oltre alle semifinali raggiunte nel 2000 e nel 2012. Gli Europei si disputano in Francia sotto lo stretto controllo della polizia per il timore di attentati di matrice islamista, che solo pochi mesi prima – nella tremenda sera del 13 novembre 2015 – hanno toccato il calcio durante l’amichevole tra le nazionali francese e tedesca in programma allo Stade de France di Parigi. Il Portogallo arriva in finale quasi a fari spenti, ma in evidente crescita: ottiene tre pareggi nella prima fase, senza per altro incontrare squadroni; poi supera nell’ordine: la temibile Croazia, con un gol negli ultimi minuti dei supplementari; la Polonia ai tiri di rigore; la sorpresa Galles in semifinale, e nettamente. I padroni di casa della Francia attendono il Portogallo nell’ultimo atto del torneo, chiaramente nel ruolo di favoritissimi per il successo. Oltre tutto dopo soli venti minuti CR7 si infortuna ed è costretto a seguire il resto dell’incontro dalla panchina. La partita si prolunga ai tempi supplementari sullo zero a zero quando, a pochi minuti dal termine, colui che resterà sempre un Carneade calcistico e che si chiama Eder, infila il gol della vita e regala ai portoghesi un insperato trionfo nel mezzo di uno stadio rimasto muto e attonito.

L’esordio dei lusitani al Mondiale 2018 è racchiuso in un meraviglioso, spettacolare derby iberico: la Spagna ha dalla sua il collettivo, è più squadra, ma di fronte c’è Cristiano Ronaldo. Parte bene il Portogallo e dopo soli quattro minuti è in vantaggio su rigore segnato appunto da Ronaldo, il quale aveva cercato e trovato il fallo di Nacho (ingenuo il difensore spagnolo) con uno scatto in area sulla sinistra. C’è una reazione spagnola ma sono i portoghesi a sfiorare il raddoppio con pericolosi contropiedi condotti sull’asse Bernardo Silva – Cristiano; gli spagnoli pervengono però al pareggio grazie a una caparbia azione di Diego Costa, forse nata da un fallo dell’attaccante non rilevato. Ora, a fronte di un Portogallo in evidente difficoltà, la Spagna spinge con convinzione, guidata dalla classe di Iniesta e Isco, che coglie anche una traversa. Ecco che si realizza però l’ennesimo ribaltamento nella trama dell’incontro e sono i portoghesi a portarsi nuovamente avanti, allo scadere della prima frazione: Cristiano Ronaldo tira dal limite dell’area e il portiere spagnolo De Gea, comodo sulla palla, compie una notevole papera e lascia rotolare la sfera in rete.

Ripresa del gioco: tra il minuto cinquantacinque e il minuto cinquantotto è servito il devastante uno-due spagnolo targato Diego Costa (assist di testa di Busquets) e Nacho (gran tiro da fuori al volo), che ribalta il parziale e regala il vantaggio alla roja. Gli spagnoli si impongono sul centrocampo portoghese, un po’ rinfrancato nei minuti successivi con l’ingresso in campo di Joao Mario e Quaresma, e ormai il pendolo dell’incontro sembra passato definitivamente dalla parte della Spagna. Al minuto ottantotto il Portogallo gode di una punizione in prossimità dell’area avversaria: calcia CR7, il quale si era anche procurato il relativo fallo, commesso da Piqué, ed è una magnifica esecuzione a giro che lascia senza scampo l’estremo spagnolo, gonfiando la rete. Il Portogallo tenta anche un un nuovo sorpasso negli ultimi istanti di gara, ma il risultato definitivo rimane un giusto e memorabile tre a tre.

Il girone degli iberici appariva alla viglia piuttosto agevole, con le compagni europee nettamente favorite ai danni delle nazionali di Marocco e Iran: in realtà, e nonostante i risultati del secondo turno, diventa più complesso del dovuto. Ad ogni modo il Portogallo conquista i tre punti superando uno a zero la nazionale marocchina con un gol del solito Ronaldo di testa, dopo tre minuti di gioco. Il primo tempo è di marca portoghese, poi nella ripresa i nordafricani tentano la via del pareggio che in effetti meriterebbero: si segnala fra le altre occasioni un gran colpo di testa di Belhanda al cinquantasettesimo e la conseguente, straordinaria risposta del portiere Rui Patricio.

Anche la Spagna rimedia una vittoria con il minimo scarto ai danni di un Iran reduce dall’affermazione nel primo turno. In tale frangente in terra iraniana, per la prima volta dalla Rivoluzione islamica del 1979, lo stadio dove la partita è trasmessa su maxi-schermo viene aperto anche alle donne, e lo stesso accadrà per il successivo impegno degli iraniani nel girone. La Spagna controlla il gioco ma l’Iran è ben chiuso e attento a difendere, oltre a sfiorare il vantaggio nel secondo tempo con un tiro di Ansarifard. Poi segna Diego Costa grazie a un fortunato rimpallo e poco dopo un salvataggio sulla linea evita agli asiatici il secondo gol al passivo; ma nel complesso l’Iran allenato dal portoghese Queiroz continua a destare buone impressioni.

Cinque giorni dopo sono in programma le ultime due sfide del girone. Scendono in campo Spagna e Marocco, paesi che si guardano in faccia su sponde opposte tra la fine del Mediterraneo e l’inizio dell’Atlantico e che condividono diversi pezzi di vicende storiche, ma che a pallone si sono sfidate sinora soltanto in due occasioni risalenti al novembre 1961, nello spareggio intercontinentale per qualificarsi al Mondiale cileno: entrambe le partite le vinsero gli europei. La selezione marocchina è già certa dell’eliminazione ma dà del filo da torcere alla più quotata nazionale spagnola, la quale inizia a lasciare diversi dubbi sul reale valore della squadra portata al Mondiale, o meglio, sulla concreta capacità di esprimerlo, questo valore. Passano avanti gli africani al quattordicesimo con rete di Boutaib che sfrutta una palla malamente persa a centrocampo dagli spagnoli; dopo cinque minuti pareggia Isco su assist di Iniesta. Secondo tempo, traversa di Amrabat e poi rete marocchina di En-Nesyri quando mancano solo dieci minuti al fischio finale; poi nel recupero un colpo di tacco di Iago Aspas chiude la sfida sul due a due.

I portoghesi paiono indirizzare la partita con l’Iran sul binario giusto quando, nella prima frazione, segnano il gol dell’uno a zero grazie a Quaresma e al suo caratteristico tiro di esterno detto trivela. Poi però nel secondo tempo accade parecchio, ma niente di buono per la compagine europea. Intanto il portiere iraniano Beiranvand para un calcio di rigore a Cristiano Ronaldo; lo stesso capitano portoghese dovrebbe essere espulso poiché rifila un colpo al viso di Pouraliganji a palla lontana: l’arbitro paraguaiano Caceres però è tollerante – forse la fama del colpevole lo rende timoroso o benevolo – ed alza solo il cartellino giallo anche dopo la revisione dell’episodio al video. A tempo già scaduto gli iraniani pervengono al pareggio su rigore segnato da Ansarifard. Un altro gol vorrebbe dire eliminare i portoghesi e soprattutto passare al turno successivo, un traguardo mai raggiunto nella storia del calcio iraniano. Nonostante il tempo a disposizione sia pochissimo, ci provano lo stesso con splendido ardore, mentre gli avversari sembrano paralizzati dal panico: rilancio del portiere iraniano, la palla in un attimo giunge a ridosso dell’area avversaria dove un primo tiro è rimpallato, ma la sfera carambola verso Amiri, solo davanti a Rui Patricio, il quale tenta di oscurare lo specchio della porta: la conclusione dell’iraniano sbatte sull’esterno della rete. Il giocatore disperato con le mani sul volto è l’immagine che chiude l’esperienza iraniana a Russia 2018.

Pertanto passano il turno le europee appaiate in classifica, prima la Spagna per gol segnati, secondo il Portogallo, ma entrambe non faranno poi molta strada.

Dei portoghesi si dirà. Gli spagnoli erano giunti in Russia, come detto, fra le selezioni pronosticate come papabili per il titolo mondiale. A marzo dello stesso anno avevano rifilato un umiliante quanto impressionante sei a uno all’Argentina (priva però di Messi, Di Maria e Aguero), con l’albiceleste frastornata dal pressing e dalle fulminanti ripartenze degli uomini in rosso – condotte come di consueto da Iniesta e Isco (autore di tre gol) -, nonché penalizzata da una difesa in evidente imbarazzo (si veda al riguardo il quinto gol spagnolo). La roja edizione 2018 è una selezione decisamente di valore, composta da vecchi campioni del Mondo del 2010 ancora più che validi – Sergio Ramos, Busquets, Iniesta, David Silva – con l’aggiunta della classe di Francisco Alarcon detto Isco. Però a due giorni dall’esordio accade che Zidane lasci la panchina del Real Madrid e che nel contempo venga annunciato pubblicamente il nome del nuovo allenatore del club madrileno, ovvero Lopetegui, ovvero il ct in carica degli spagnoli: piccolo particolare leggermente trascurato, Lopetegui da appena venti giorni ha rinnovato per altri due anni il contratto che lo impegna sulla panchina della nazionale. La federazione spagnola non manda giù l’affronto e licenzia in tronco Lopetegui, nonostante l’imminente avvio della Coppa, inserendo al suo posto il vice-allenatore Hierro. Per forza di cose la roja ne patisce tutte le conseguenze.

Agli ottavi di finale la Spagna incrocia i padroni da casa della Russia. Tutto si decide nel primo tempo: vantaggio spagnolo su autogol fortuito e vagamente comico di Ignashevich che infila la propria rete in caduta, di spalle e colpendo la palla con il polpaccio, oltre tutto mentre è impegnato a tirare giù Sergio Ramos; pari su rigore di Dzyuba fischiato per un inutile fallo di mano ad opera di Piqué. Il gioco è controllato dagli spagnoli che realizzano la spropositata cifra di 1113 passaggi, contro i 290 della squadra russa, e tengono la palla per quasi l’ottanta per cento del tempo di gioco effettivo, ma non pungono molto: la squadra spagnola è in effetti lenta, gran parte dei passaggi sono scarichi della palla in orizzontale, e dall’altra parte i russi pensano a difendersi e basta. È facile comprendere come la partita non sia rimasta negli annali della storia della Coppa. L’esito della sfida è deciso ai tiri di rigore: i tiratori russi non sbagliano un colpo, il loro portiere, Akinfeev, compie due parate su Koke e Iago Aspas e porta la Russia ai quarti di finale.

L’eliminazione spagnola coincide con l’ultima partita in nazionale di don Andres Iniesta e rappresenta un’ulteriore conferma del tramonto di un’epoca gloriosa della nazionale, che si è chiusa senza che al momento – parliamo del 2018 – ne sia iniziata un’altra. Però già nell’immediato qualcosa inizia a muoversi. Nel 2019 la roja è di nuovo campione d’Europa fra i giovani; nel 2021, sotto la sapiente guida tecnica di Luis Enrique, gli spagnoli raggiungono la semifinale europea e sono senza dubbio l’unica squadra che sia riuscita a mettere in difficoltà i futuri campioni dell’Italia. Lo stesso anno sono in finale di Nations League, la nuova competizione per nazionali dell’Uefa vinta due anni prima, nella prima edizione, dal Portogallo.

Una considerazione finale sull’esito insoddisfacente del torneo di Spagna e Germania, non solo le ultime due detentrici del titolo, ma altresì accomunate ultimamente da una precisa interpretazione del gioco concentrato sul controllo della palla: infatti le selezioni lasciano il campionato del Mondo come le prime due squadre in termini di possesso palla (in percentuale media). È un’inversione di rotta? Forse sì, considerando che la quarta in classifica è l’Arabia Saudita, selezione alla quale non è riconosciuto un particolare tasso tecnico. Forse invece no, se analizziamo i dati del successivo campionato europeo, durante il quale spagnoli e tedeschi (e lo stesso vale per gli italiani) restano in vetta nella classifica del tempo con la sfera tra i piedi – ma il risultato finale è senza dubbio positivo soltanto per gli spagnoli: perché in tal caso questo controllo della palla è stato accompagnato da un’adeguata propensione offensiva2)Euro 2020 – Statistiche squadra e, aggiungo, da un’idonea precisione in fase di conclusione. Oltre all’indispensabile organizzazione difensiva. È quanto è mancato alle nazionali di Germania e Spagna durante Russia 2018.

7 maggio 2022

immagine in evidenza: Corea del Sud e Germania – nytimes.com

References   [ + ]

1. Osorio, la recette tex-mex, So Foot n. 158
2. Euro 2020 – Statistiche squadra