Issa Hayatou, camerunense, diventa presidente della confederazione calcistica africana nel 1988. Dagli uffici dell’organizzazione situati in Egitto, a Città 6 di Ottobre nell’area urbana del Cairo, gestisce gli anni di maggior sviluppo del calcio africano, in termini di fama e competitività nei confronti delle tradizionali potenze. Definito “la perfetta incarnazione degli inamovibili presidenti a vita africani”1)David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019, lascia l’incarico dopo quasi trent’anni di incontrastato dominio, nel 2017; la fine del suo regno coincide con la fine del periodo migliore delle nazionali africane e sembra assumerne tutto il valore simbolico.
Nel corso del Mondiale russo, per la prima volta dal 1982 – quando comunque era sotto gli occhi di tutti una tendenza in crescita – nessuna selezione africana riesce a superare la fase a gironi del torneo. Benché non si torni indietro ad alcune imbarazzanti prestazioni esibite dei decenni passati, identificabili nell’esempio dello Zaire durante il campionato del 1974, è evidente la netta cesura di una parabola aurea che ha visto il suo vertice nel decennio 1990 – 2010 con i quarti di finale raggiunti da Camerun (1990), Senegal (2002), Ghana (2010), e in tutti i tre casi con l’approdo in semifinale mancato davvero per poco. Le africane del 2018 non mostrano nel complesso prestazioni scadenti, ma non basta.
Si capirà nel futuro se il 2018 costituisce soltanto un passaggio a vuoto temporaneo o se l’inversione di tendenza può considerarsi permanente. Le premesse non sono per nulla incoraggianti: condizioni economiche, culturali e tecnologiche di svantaggio, si riflettono anche nel calcio e si trasformano in una carenza di strutture di ogni tipo (organizzative, professionali, materiali), ma in un contesto nel quale la guerra ancora attraversa diversi paesi, mischiata a terrorismo, o all’estremismo islamico che ideologicamente condanna e mette al bando il gioco del calcio. In molte zone il potere statale si è ritratto o è addirittura scomparso. Di conseguenza, in larghi ambiti del continente africano, costruire una selezione nazionale competitiva sovente diventa l’ultimo dei pensieri da affrontare.
La storica contrapposizione tra calcio del Maghreb e calcio dell’Africa nera – inevitabile conseguenza del differente tragitto storico delle due aree, nettamente separate dalla barriera naturale del deserto del Sahara – non è mai venuta meno e può tornare utile come punto di partenza per la presente analisi. Negli anni dieci la zona nordafricana è attraversata e sconvolta da un movimento di protesta detto primavera araba che coinvolge anche il Medio Oriente – quindi un movimento panarabo-, ed è rivolto contro le elites anti-democratiche al potere nei rispettivi paesi. Non è trascurabile il ruolo dei gruppi di tifo organizzato nell’incedere delle proteste. L’esito finale è incerto: concrete aperture si alternano a repressioni e all’esplosione di cruente guerre civili (in Libia, e dalla parte asiatica, in Siria).
In quegli anni turbolenti, una situazione interna difficile contrassegnata da crisi economica e dal pervasivo controllo degli apparati statali sulla popolazione, conduce in Egitto a massicce mobilitazioni concentrate soprattutto nella zona di piazza Tahrir, nel centro de Il Cairo; il potere dittatoriale di Mubarak viene abbattuto e dopo qualche mese sostituito per via elettorale da un esecutivo di ispirazione islamista, a sua volta causa di enormi sollevazioni di massa; quindi un golpe instaura nuovamente la dittatura militare e avvia un periodo di violente e indiscriminate repressioni. Il calcio abbandona l’ambito sportivo ed entra nelle vicende storiche quando il primo febbraio 2012 si verifica la tragedia di Port Said. Durante un incontro tra la squadra di Port Said, l’Al-Masry, e i cairoti dell’Al-Ahly, bande armate di presunti tifosi locali – forse anche infiltrati – invadono il campo attaccando giocatori e staff ospiti, e poi rivolgono le ostilità contro i tifosi in trasferta dell’Al-Ahly, sotto l’occhio indifferente se non complice delle forze dell’ordine. Alla fine si contano settantaquattro morti e centinaia di feriti. I sostenitori dell’Al-Ahly erano stati in prima fila nelle proteste di piazza Tahrir e il particolare non sembra casuale: per giorni scioperi e manifestazioni scoppiano nella città egiziane. Il governo militare in carica per preparare le elezioni, ma ancora espressione del vecchio regime, reprime le proteste e sospende il campionato per quasi due anni.
Per molti giocatori egiziani quei terribili eventi diventano l’occasione per prendere la via dell’estero, stante l’assenza di calcio giocato nel paese di origine, e l’esperienza oltre frontiera, in campionati più competitivi, li aiuta a crescere. Fra questi c’è il ventenne Mohamed Salah, il quale proprio nel 2012 attraversa il Mediterraneo e firma con il Basilea, avviando un percorso che lo porterà a essere il miglior calciatore egiziano di sempre. Dopo vari approdi, passa nel 2017 al Liverpool, dove disputa una fantastica stagione condita da trentadue reti in campionato: è l’esplosione definitiva di Salah, ormai fra i calciatori più forti della scena internazionale e capocannoniere in Premier League anche l’anno seguente assieme ad Aubumeyang del Gabon e Mané del Senegal (sì, è significativo – nell’evidenziarne i limiti interni – come la battuta d’arresto africana ai Mondiali coincida con il dominio degli attaccanti africani nella lega professionistica più ricca e importante del pianeta). Salah con la maglia dei reds sarà poi protagonista della vittoria in Champions League nel 2019 e nel campionato inglese del 2020; è un talento purissimo dotato di eccellente controllo palla e di dribbling, abbinati a una velocità non comune, abile inoltre a giocare ovunque sul fronte d’attacco.
L’infortunio alla spalla patito nel corso della finale Champions pochi giorni prima dell’esordio mondiale, consegna alla nazionale egiziana un Salah menomato e incapace di fornire il suo pieno apporto alle ambizioni della squadra. Senza Salah, gli egiziani scendono di un gradino o anche di due. Sulla loro panchina siede l’argentino Cuper, un buon allenatore a un passo dal diventare uno dei grandi, passo sempre mancato: eterno secondo, raggiunge la piazza d’onore con gli africani anche nel corso del campionato continentale del 2017; poi un anno dopo il Mondiale, sempre in Coppa d’Africa ma sui campi di casa, l’esito è decisamente peggiore poiché l’Egitto si ferma agli ottavi di finale. Però il tecnico argentino riporta l’Egitto alla fase finale dei Mondiali dopo ventotto anni di assenza.
L’esordio degli egiziani è impegnativo, contro una nazionale uruguaiana che domina per larghi tratti l’incontro: fino a un minuto dalla fine il parziale è fermo sullo zero a zero, complice la giornata in stato di grazia del portiere El-Shenawy, gli errori in fase conclusiva di Suarez e un palo colto su punizione da Cavani, apparso in forma strepitosa. Poi un cross di Sanchez, battuto su punizione, è corretto di testa in rete da Gimenez e l’Uruguay vince uno a zero. Salah ha saltato la gara di esordio, scenderà in campo nelle due successive ma senza poter incidere, e la netta sconfitta subita contro la Russia chiude definitivamente le porte degli ottavi all’Egitto. L’ultimo incontro, Arabia Saudita – Egitto, viene ricordato perché vede in campo il più anziano giocatore di sempre ad aver calpestato i prati di un Mondiale, ovvero il quarantacinquenne portiere egiziano Hassam El-Hadary, che nell’occasione para anche un calcio di rigore. Salah segna la sua seconda rete nella competizione, ma i sauditi vincono nei minuti di recupero, lasciando l’Egitto con tre sconfitte su tre partite. È stato un ritorno in Coppa abbastanza deludente.
Qualcosa di più raccolgono le nazionali di Marocco e Tunisia, ma in fin dei conti le aspetta un destino analogo a quello egiziano. Nella partita più abbordabile, la prima, il Marocco perde uno a zero contro l’Iran, e nel modo più crudele: autorete di testa al terzo di recupero per opera di Bouhaddouz, in anticipo su tutti ma non pressato, con un gesto tecnico anche pregevole (se fosse stato rivolto verso la porta giusta). Guidato dal francese Renard, tecnico vincitore di due recenti coppe d’Africa con due squadre differenti, il Marocco non demerita nella successive e quasi proibitive sfide disputate al cospetto di portoghesi e spagnoli, ma come detto lascia anzitempo il torneo.
La Tunisia inizia il suo Mondiale affrontando l’Inghilterra e la partita si gioca presso la Volgograd Arena, nella città omonima un tempo chiamata Stalingrado. L’impianto si trova in Lenina Avenue, di fronte al fiume Volga, proprio sotto la collina (Mamayev Kurgan) sulla quale svetta l’enorme monumento che ricorda la battaglia di Stalingrado nella seconda guerra mondiale, qui definita grande guerra patriottica: durante la costruzione dello stadio, sul sito di un precedente impianto demolito, vengono trovate trecento bombe inesplose. La prima parte dell’incontro è dominata dall’Inghilterra che va in vantaggio grazie a un gol di Kane ma regala il pareggio ai suoi avversari su rigore, realizzato da Sassi e fischiato per un fallo abbastanza inutile e un po’ dubbio, consistente per l’arbitro in una gomitata di Walker verso Ben Youssef. Nella ripresa i ritmi calano, l’Inghilterra comunque spinge fino all’ultimo e così nel recupero Kane, smarcato a pochi passi dalla porta, indirizza di testa in rete il gol del due a uno finale. Pesantemente sconfitta dal Belgio, la selezione tunisina affronta infine Panama in una sfida tra squadre ormai eliminate e vince, portando a casa almeno una piccola, marginale soddisfazione.

Nell’Africa sotto il Sahara i problemi e le contraddizioni che, bene o male, investono le varie periferie calcistiche mondiali, emergono in tutta la loro consistenza. Con una fetta sempre più ampia di popolazione provvista in qualche modo di moderni mezzi di comunicazione, l’attrattiva del calcio europeo diventa irrefrenabile, senza concorrenti, a tutto svantaggio di campionati locali sempre più persi nel disinteresse generale. Non solo i giocatori migliori emigrano, così come accade in ogni settore produttivo o intellettuale per ciò che concerne gli elementi più formati; ma tanti ragazzi cercano una via di fuga accettando di giocare in leghe semiprofessionistiche di campionati minori, nell’Est Europa o in Asia ad esempio, per poi ritrovarsi a condurre in quei luoghi una vita di semplice sussistenza se non di miseria, al pari di tanti loro conterranei emigrati. Assume poi preoccupante rilevanza un ignobile fenomeno detto in inglese football trafficking e consistente in autentiche truffe condotte ai danni di giovanissimi africani (e non solo), i quali pagano falsi intermediari con la premessa di un ingaggio all’estero, e poi una volta trasferiti in terra straniera sono abbandonati letteralmente a loro stessi.
Sui campi russi mancano i campioni continentali in carica del Camerun. Manca anche la Costa d’Avorio, potenza del calcio africano negli ultimi dieci anni ma sconfitta in casa dal Marocco nella sfida decisiva per decidere la qualificazione. Ci sono invece la Nigeria – il colosso demografico ed energetico dell’area subsahariana, devastato nelle sue province settentrionali da un violento terrorismo di marca islamista -, e il Senegal, selezioni che vanno entrambe molto vicino al passaggio del turno.
Le splendide felpe indossate dai nigeriani non evitano alla compagine africana una sconfitta all’esordio contro l’arrembante Croazia. Ma si rifanno subito nella seconda partita del girone che li vede opposti all’Islanda. I nigeriani vengono fuori con forza nel secondo tempo e prevalgono con merito grazie a una doppietta di Musa – scatenato, prende pure una traversa – che regola una selezione islandese in fase regressiva dopo gli spunti positivi mostrati nell’incontro precedente. La qualificazione agli ottavi si decide tutta in Argentina – Nigeria, vero e proprio spareggio però con due risultati su tre utili per gli africani. È la quinta sfida fra le due nazionali nel corso della fase finale di un Mondiale dal 1994, finora tutte vinte dalla squadra biancoceleste: la storia non cambierà neanche in questa occasione.
Messi prende per mano la formazione argentina, profondamente modificata dal ct Sampaoli dopo due prestazioni molto deludenti: porta in vantaggio i suoi con una realizzazione di grande pregio e sfiora il raddoppio con una punizione stampatasi sul palo della porta nigeriana. La seconda frazione è più equilibrata e la Nigeria perviene al pareggio su calcio di rigore realizzato da Moses. Ci sono poi varie occasioni da un parte e dall’altra, tra le quali una davvero clamorosa sprecata da Ighalo per gli africani. Come detto, con il pari gli argentini subirebbero un’inaspettata quanto grave eliminazione al primo turno, ma a quattro minuti dal termine Rojo, su cross dalla destra, colpisce al volo e mette la sfera in basso nell’angolino. Due a uno per l’Argentina e Nigeria a casa. Dell’incontro restano poi impresse le immagini di un Maradona, visibilmente alterato da qualsivoglia sostanza, che dalla tribuna offre in mondovisione un campionario di esultanze esilaranti quanto patetiche, tali da rubare la scena perfino a Messi.
Il Senegal è pronosticato alla vigilia come una delle possibili sorprese del torneo, è senza dubbio l’africana più attesa, forte di una selezione per la maggior parte composta da giocatori che militano nei campionati inglese, francese e italiano. Fra questi, sono più che degni di una menzione: Kalidou Koulibaly, difensore centrale del Napoli, dal fisico massiccio ma nel contempo abile con il pallone tra i piedi; Idrissa Gueye, centrocampista difensivo dell’Everton, poi passato al Paris Saint-Germain; Sadio Mané del Liverpool, attaccante esterno e in prospettiva miglior senegalese di sempre, nonché giocatore africano dell’anno nel 2019. Il commissario tecnico è Aliou Cisse, in campo nella Coppa del 2002, ovvero nell’unico – ma storico – precedente senegalese alla fase finale di un Mondiale. A riprova del valore della squadra, negli anni a venire la nazionale senegalese assumerà il ruolo di principale forza del calcio africano: l’anno dopo il campionato in Russia il Senegal raggiunge la finale in Coppa d’Africa, sconfitto due a uno dall’Algeria; nel 2022 i senegalesi riescono finalmente a centrare il titolo continentale dopo aver sconfitto ai rigori l’Egitto, nazionale che oltre tutto eliminano nello scontro diretto per l’accesso al Mondiale di fine anno.
Il girone di prima fase nel quale è inserito il Senegal merita una descrizione dettagliata, in quanto risulta senza dubbio il più incerto di tutta la manifestazione; affiancano gli africani le selezioni di Colombia, Giappone e Polonia – quindi quattro continenti nello stesso gruppo. Nel primo turno, opposti ai giapponesi, la compagine sudamericana si suicida dopo appena tre minuti di gioco quando resta in dieci a causa di un fallo di mano in area di Carlos Sanchez, che in tal modo respinge un tiro avversario verso la porta vuota. Il successivo rigore è segnato da Kagawa, ma la Colombia riesce comunque a pareggiare su punizione calciata da Quintero (e la complicità della barriera giapponese che salta a vuoto, e pure del portiere Kawashima che, lento a muoversi, non trattiene la sfera). Con i colombiani gravati da un’inferiorità numerica che li frena per l’intero incontro, sono giocoforza sempre i giapponesi a fare la partita e a vincere grazie a un colpo di testa di Osako su calcio d’angolo. È la prima sconfitta ai Mondiali di una sudamericana contro un’asiatica.
La nazionale polacca è soprattutto Lewandoski, uno dei più importanti attaccanti del periodo, prima attivo con la maglia del Borussia Dortmund e poi per tante stagioni accasato al Bayern Monaco; stazza notevole e prodigioso senso del gol, è al momento il secondo marcatore di sempre nella storia della Bundesliga – dietro Gerd Muller – e detiene il record di gol con la Polonia. Lewandoski arriva in Russia come uno dei possibili protagonisti del torneo, ma chiude senza gol e delude parecchio, come d’altronde tutta la sua squadra. Nella sfida tra Senegal e Polonia, ecco materializzarsi un’altra sorpresa: gli europei soffrono il dinamismo e il fisico degli africani, per di più messi bene in campo, e vanno sotto di due gol (autorete e poi Niang su buco della difesa); i polacchi segnano sul finale di gara ma non è sufficiente ad evitare la sconfitta.
Seconda giornata e si incontrano le due vincenti del primo turno, ovvero Senegal e Giappone, in una partita in cui gli asiatici rincorrono e riacciuffano per due volte gli avversari: primo tempo, vantaggio marcato da Mané e pari di Inui; nella ripresa il Giappone è più pericoloso ma è ancora il Senegal a segnare con Wague; sembra fatta per gli africani, ma al minuto settantotto ecco il definitivo due a due ad opera di Honda, entrato in campo cinque minuti prima. Invece Colombia – Polonia non ha storia. Passano in vantaggio i colombiani nel primo tempo con un colpo di testa di Mina su assist di James; poi nel secondo tempo raddoppia Falcao e marca il tre a zero Cuadrado, servito di nuovo da James con uno splendido passaggio in diagonale dalla fascia.
Prima dell’ultimo turno solo la Polonia è già certa del proprio destino, cioè l’eliminazione. Giappone e Senegal sono in testa con quattro punti, a pari merito per gol fatti, per gol subiti e pure nello scontro diretto. La Colombia segue con tre punti. Alla vigilia il compito più agevole pare toccato in sorte ai giapponesi, che infatti affrontano l’unica selezione senza più concreti stimoli: invece gli asiatici vanno sotto uno a zero al minuto cinquantanove per un gol di Bednarek e poi rischiano anche il raddoppio. A questo punto sarebbero ancora qualificati Senegal e Giappone. Quando manca un quarto d’ora al novantesimo la Colombia passa in vantaggio grazie a una rete di Mina: l’incontro, che ha visto l’uscita di James nel primo tempo causa infortunio, è stato nel complesso interpretato meglio dai senegalesi, i quali però non son riusciti a pungere, forse troppo propensi a conseguire un risultato di parità. I risultati non mutano più sino alla fine e così la Colombia passa il turno come prima classificata, mentre tra Giappone e Senegal permane la situazione di stallo determinata dal ritrovarsi ancora pari in tutto. O quasi. In quello che è diventata una sorta di spareggio Asia – Africa per mandare almeno una selezione alla fase a eliminazione diretta della Coppa, bisogna ora decidere chi mandare avanti.
Consci di quanto stava accadendo, nella parte finale della propria gara i giapponesi hanno iniziato in modo palese quanto incomprensibile – per un occhio ignaro o disattento – a lasciar scorre il tempo, mantenendo la sfera nella propria metà campo seppur in svantaggio, e come mai? Perché ai sensi del regolamento, il criterio da utilizzare adesso è il fair-play, ovvero la situazione disciplinare: chi si è comportato peggio tra le due squadre è fuori. I senegalesi hanno ricevuto sei gialli in tre gare, i giapponesi quattro (nell’ultima partita il bilancio non è mutato, ne hanno preso uno a testa); nel sistema di punteggio applicato, il Senegal è a meno sei, il Giappone a meno quattro, quindi è davanti. Ecco perché i giapponesi hanno pensato bene di evitare come la morte qualsiasi sanzione, interpretando gli ultimi minuti come una partita per beneficenza. Per la prima volta il fair-play decide l’ordine di un girone ai Mondiali e manda a casa l’ultima speranza d’Africa, il Senegal, che a quindici minuti dal termine del secondo incontro era già agli ottavi.
7 maggio 2022
References
1. | ↑ | David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019 |