Salta al contenuto

Messico, 1986
VI. The Warrior’s code

Al minuto cinquantuno del quarto di finale tra Argentina e Inghilterra, Diego Armando Maradona controlla la palla nella metà campo avversaria. Quindi avanza, evitando in dribbling tre giocatori, e scarica su Valdano posto al limite dell’area. Valdano è anticipato da Hodge; la palla si alza a campanile al centro dell’area, esce Shilton e accorre Maradona; saltano entrambi, e nonostante la differenza di statura Maradona, in torsione, precede il portiere e spedisce dentro. Ma l’ha presa con la mano, anzi, con il pugno sinistro. Tu mano gloriosa y fuerte. L’arbitro tunisino Bennaceur convalida. La mano di Dio, così si esprimerà Maradona e così verrà ricordata la rete – per il ct degli inglesi Robson, invece, nient’altro che una truffa bella e buona. Per Valdano, il quale si ritene complice a tutti gli effetti, se Maradona avesse ammesso il tocco di mano l’Argentina ora sarebbe un paese migliore1)Angelo Carotenuto, Il Real e l’ultimo dei romantici: ‘Che condanna aver trovato il più forte Barca di sempre’, intervista a Jorge Valdano, la Repubblica. Punti di vista.

Dopo quattro minuti Maradona riceve la sfera spalle alla porta, nella propria tre quarti. Si gira, salta in un colpo solo Beardsley e Reid. Avanza palla al piede. Accelera. Scarta Sansom. Rallenta e scarta Buthcer. Accelera ancora. Salta Fenwick… e Shilton. Resiste al ritorno di Buthcer. Segna. Il gol più bello sino a quando ci sarà questo gioco – anche grazie agli inglesi, rendiamo omaggio, che non lo hanno falciato. Definito il gol del secolo. Vicotr Hugo Morales, il telecronista argentino, piange in diretta, ringrazia Dio (a quanto pare non aveva di meglio da fare quel pomeriggio che occuparsi della partita) e chiama Maradona barrilete cosmico, cioè aquilone cosmico.

Malizia e genio, furto e poesia, irriverenza e talento, sotterfugio e grazia – questo è il codice del guerriero. Maradona è Maradona. È Ernesto Che Guevara. È Masaniello. È un caudillo latinoamericano. È un guappo di periferia. È un cafone invitato alla tavola dei ricchi. Integralmente e genialmente novecentesco, autenticamente rivoluzionario e allo stesso tempo terribilmente reazionario, Diego Armando Maradona, il più grande uomo ad aver giocato a calcio.

Parliamo di calcio, e parliamo di storia del ventesimo secolo. Maradona nasce il 30 ottobre 1960, terzo di sette fratelli. Cresce a Villa Fiorito, un barrio popolare nella periferia di Buenos Aires, città nella quale i suoi genitori si sono trasferiti pochi anni prima, provenienti da una lontana provincia argentina. In casa sono poveri ma non si soffre davvero la fame, anche se Diego pensa che a volte sua madre sia rimasta senza mangiare per lasciare il cibo a lui e ai suoi fratelli. Gioca a calcio da sempre e sin da bambino è considerato un piccolo fenomeno. C’è una trasmissione televisiva molto seguita nei Settanta in Argentina che si intitola Sabados Circulares, condotta da Pipo Manera, un programma-verità realizzato tra la gente comune. Intervista un calciatore undicenne nel corso di un allenamento, sul campo di calcio, che dice: “Il mio primo sogno è giocare un Mondiale; il secondo, è vincerlo”. È lui, Maradona.

Il giovane fenomeno gioca nell’Argentinos Juniors da quando ha nove anni. Il suo idolo da bambino è Bochini, che però milita nell’Indipendiente. L’Argentinos Juniors è una società che ha una storia particolare alle spalle: è stata fondata a inizio secolo da un gruppo di rivoluzionari, anarchici e socialisti, e rammenta il suo passato politico facendo indossare ai suoi uomini una maglietta rossa; in origine la squadra si chiamava Martiri di Chicago in onore degli otto anarchici condannati ingiustamente a morte dopo rivolta di Haymarket, a Chicago, l’evento che diede origine alla festa del Primo Maggio. Ha una solida tradizione nel settore giovanile dal quale sono usciti, oltre a Maradona, personaggi del calibro di Borghi, Batista, Redondo, Riquelme, Cambiasso, tanto per citarne solo alcuni.

Maradona esordisce come professionista a fine ’76, e in nazionale appena un anno dopo, nel 1977, in un incontro che vede opposte Argentina e Ungheria. Menotti, tecnico albiceleste, l’allenatore che lo ha lanciato in nazionale ma che un anno dopo ha provocato a Maradona la sua prima grande delusione della carriera, ovvero l’esclusione dalla lista dei selezionati per i Mondiali del ’78, così lo ha definito: “è Puskas e Pelé assieme, un misto tra il meglio del giocatore europeo (la tecnica) e quello sudamericano (il palleggio, la fantasia)2)Maradona Diego Armando: L’anima fragile del Dio del calcio, Storie di calcio.

Il passaggio chiave della sua storia calcistica è rappresentato dai Mondiali giovanili del 1979, disputati in Giappone e vinti dalla nazionale dell’Argentina trascinata da Diego. Dichiara che quella squadra è stata di gran lunga la migliore nella quale abbia mai militato3)Diego Armando Maradona, Io sono El Diego, Fandango Libri, 2002. Ricordiamo allora l’undici della finale (e chiedo venia per la mancata indicazione delle posizioni in campo): Garcia, Carabelli, Simon, Rossi, Alves, Barbas, Rinaldi, Maradona, Escudero, Diaz, Calderon. Il mondo inizia ad accorgersi del Pibe de oro, il ragazzo d’oro. Nell’Ottanta a Wembley, contro l’Inghilterra, si scatena in un’azione molto simile a quella di Messico ’86: dribbla tutti e poi, invece di scartare il portiere, tira. La palla esce di poco e al ritorno in patria il suo fratellino gli spiega che avrebbe fatto meglio a saltare anche l’estremo difensore. Se ne ricorderà, almeno a livello inconscio, al momento opportuno.

Nel 1981 passa al Boca Juniors, la squadra per la quale ha sempre tifato. Rimane una sola stagione, vince il titolo argentino di apertura e realizza un gol spettacolare, da centrocampo (due palleggi, tiro, palla in rete). Poi il Boca è a corto di soldi e lo cede in Europa, al Barcellona. Nel frattempo, proprio in terra di Spagna, si verifica il mezzo fallimento del Mondiale ’82, con l’espulsione di Diego e l’eliminazione dell’Argentina ai quarti di finale. Maradona starà fuori dalla nazionale per circa tre anni e vestirà di nuovo la maglia albiceleste soltanto nel corso delle qualificazioni per Messico ’86. All’epoca le trasferte intercontinentali dei giocatori in forza a squadre europee venivano accordate con una certa parsimonia.

A Barcellona, durante il primo anno, un’epatite virale lo tiene lontano dai campi da gioco per circa tre mesi. A fine stagione conquista la Coppa di Spagna, ma in generale nella penisola iberica le cose non vanno molto bene. Le due stagioni della Liga con Maradona in campo sono dominate dall’Athletic Bilbao, e proprio due partite con i baschi segnano l’esperienza spagnola del Pibe de oro. In senso negativo, però. A fine ’83 un pesante intervento di Goicoechea gli procura la frattura del malleolo e una lungo periodo di stop – poi nel corso degli anni faranno pace. Al termine della stagione, dopo la finale di Copa del Rey persa uno a zero contro l’Atlhetic, scoppia una rissa furibonda tra i giocatori in campo: si vedono spinte, pugni e anche spettacolari calci volanti; Maradona, protagonista dell’avvio della zuffa, è in prima linea. L’episodio rappresenta l’epilogo poco edificante del suo biennio a Barcellona. Viene ceduto per una cifra record in direzione del nuovo Eldorado del calcio mondiale, l’Italia, ma con una destinazione piuttosto sorprendente: Napoli.

Maradona è presentato nel mezzo di uno Stadio San Paolo stracolmo il 5 luglio 1984, un giorno che passerà alla storia. “Voglio diventare l’idolo dei ragazzi poveri di Napoli, perché loro sono come ero io a Buenos Aires”, dichiara ai giornalisti appena arrivato. E ci riesce. A Napoli diventa santo e mito. È difficile trovare nella storia del gioco un’identificazione così forte tra una città e un calciatore come quella tra Napoli e Maradona: la plebe, il popolo partenopeo, a fianco dell’artista del pallone, il condottiero, l’uomo della riscossa. Da squadra di secondo piano, salvo rare eccezioni ma mai accompagnate da affermazioni importanti, Maradona prende per mano il Napoli e lo trasforma nella formazione che domina la Seria A nella seconda metà degli anni Ottanta. È un impresa nella realtà calcistica italiana da sempre terra di conquista delle squadre del nord (soprattutto) e in parte del centro, e poi realizzata confrontandosi con le corazzate di quegli anni. Dopo due stagioni in crescita, il Napoli centra il suo primo scudetto nel 1987, abbinato alla Coppa Italia, e genera una straordinaria manifestazione di festa popolare. L’anno dopo sia Diego che il Napoli sono ancora più forti, ma perdono un titolo già in tasca al culmine di una sfida stellare con il Milan di Arrigo Sacchi, secondo alcuni volutamente per una questione di scommesse gestite dalla camorra, ma sono voci e come tali senza reali conferme. Dopo un altro secondo posto e il primo trofeo internazionale, la Coppa UEFA, il Napoli conquista anche il secondo tricolore nel 1990.

In quegli anni Maradona strabilia anche il pianeta sul palcoscenico del campionato del Mondo. Il Mondiale del 1986 del Pibe de oro è straordinario, una prestazione in grado di contraddire l’idea del calcio come gioco di squadra, tanto è stato determinante il suo ruolo. È coinvolto in dieci dei quattordici gol argentini – i gol segnati sono cinque, gli assist altrettanti. Al suo ritorno in patria è un idolo senza eguali e per giorni la sua casa è circondata da tifosi festanti. Rimane ovviamente nell’immaginario collettivo il gol del raddoppio contro gli inglesi, ma Maradona in quel torneo prova azioni simili in più occasioni: contro l’Italia, ad esempio, la sua cavalcata viene bloccata all’ultimo in tackle da Scirea, altrimenti sarebbe arrivato in porta.

Maradona ha un prodigioso controllo del pallone, dribbling, fantasia e talento allo stato puro. Nella sua valigia c’è anche un notevole senso per il gol, e il tutto attraverso quel suo magico sinistro, tra l’altro proprio l’arto che si infortunò in Spagna. È il numero dieci per eccellenza, è leader in campo e fuori, molto amato dai suoi compagni (difficile trovare qualcuno che abbia giocato al suo fianco e si sia espresso in termini negativi, parlando di lui). È protagonista assoluto anche ai Mondiali del ’90, durante i quali fa discutere molto anche per i suoi atteggiamenti e le sue parole espresse fuori dal terreno di gioco. Ha un fastidioso problema alla caviglia sinistra ma guida comunque la seleccion a pochi passi da un clamoroso bis.

Il gol del secolo – ilpost.it

Ma come evidenziano in maniera plastica i due gol all’Inghilterra, le contraddizioni e i lati oscuri convivono assieme allo splendore dentro Maradona, e prima o poi sono destinate a esplodere in maniera fragorosa. Diego conduce una vita sregolata sin dai tempi di Barcellona: si allena quando vuole, frequenta molte donne, è dedito al vizio del consumo di stupefacenti. La stagione 1990/91 è giocata controvoglia: Diego ha espresso pubblicamente l’intenzione di cambiare squadra, però la società lo trattiene. Il 17 marzo 1991 risulta positivo alla cocaina dopo un controllo anti-doping. Viene squalificato per un anno e mezzo, lascia immediatamente Napoli e si rifugia in Argentina. Sembra una prematura pietra tombale posata sulla sua carriera. Negli anni molti commentatori, e per primo lui stesso, sosterranno l’idea che, senza l’abuso di droga, Maradona sarebbe stato un giocatore ancora più grande. È una posizione consolatoria, assolutoria, ma non è da assumere in maniera così scontata, tutt’altro. Mario Sconcerti ha provato ad allontanare il mito dal ragionamento, a far emergere l’oggettività, e si è espresso al riguardo in questi termini: “È stato per molto tempo un cocainomane, cioè uno che non avrebbe potuto giocare a calcio. Si dice che la cocaina inibisca le prestazioni di un atleta, ma non è sempre vero. Elettrizza, rende leggeri, spinge ad andare oltre gli ostacoli. Porta sopra le righe. Tra un’atleta che ha preso coca e un atleta che non l’ha presa ci sono indubbiamente molte differenze4)Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai editore, 2009.

Dopo la squalifica si accasa a Siviglia e, per una veloce apparizione, al Newell’s Old Boys, in Argentina, senza lasciare ricordi troppo profondi. Torna però anche in nazionale, prima per due amichevoli, poi per lo spareggio con l’Australia che apre le porte di USA ’94 alla seleccion. Diego si prepara molto per il Mondiale e arriva negli States in forma smagliante. Dopo due partite risulta positivo all’efedrina, uno stimolante vietato, assunto pare per errore del suo preparatore atletico. Squalificato, cacciato dal Mondiale, griderà sempre al complotto ordito ai suoi danni dalle alte sfere calcistiche. L’Argentina nel ’94 era una potenza, ma senza Maradona esce agli ottavi. “Avevamo uno squadrone ed è questa la mia grande amarezza, un’amarezza che mi accompagnerà per tutta la vita5)Maradona, cit..

Trascorso il tempo di un’ulteriore squalifica, Maradona riesce a indossare nuovamente la maglia del Boca Juniors, ma ormai non è più un ragazzo e calcisticamente è l’ombra del gigante che fu. Saggiamente, smette di giocare. Ma non cessano i vizi e gli abusi, quelli no. Il primo gennaio 2000 rischia la vita a Punta del Este, in Uruguay, al termine di una notte di eccessi e nel 2004 è colpito da un infarto. Non sono gli unici episodi. La sua parabola ora somiglia paurosamente a quella di un altro grande uomo di sport argentino, anch’egli amatissimo dai suoi connazionali, ovvero Carlos Monzon: un grande pugile, implacabile e imbattibile sul ring quanto fragile e autodistruttivo nella vita quotidiana, e scomparso prematuramente.

Ma a differenza di Monzon, Maradona rinasce, come rinasce un ramarro. Lotta, e fra alti e bassi, ne viene fuori. Diventa anche un’icona dei movimenti politici di sinistra a livello internazionale. El Pibe racconta come abbia iniziato ad ammirare Che Guevara una volta arrivato in Italia, poiché in Argentina, complici gli anni bui della dittatura, la figura del guerrigliero era spesso screditata di fronte all’opinione pubblica. In Italia invece, paese che definisce “campione di scioperi, di operai che hanno potere6)Ibidem, ha visto tante volte l’effige del Che sventolata nei cortei politici. Lui stesso sfoggia fieramente l’immagine di Ernesto Che Guevara tatuata sul bicipite destro. Maradona passa così negli anni dall’appoggio all’ex presidente argentino Menem (peronista, ma che di sinistra aveva ben poco), al coinvolgimento nei movimenti antiliberisti e di critica verso l’amministrazione USA guidata da George W. Bush, molto attivi in quegli anni e soprattutto in America Latina. Diventa amico di Fidel Castro – si cura spesso nelle cliniche di Cuba -, frequenta i coniugi Kirchner e Hugo Chavez. Uno dei bersagli preferiti delle sue uscite pubbliche rimane comunque la FIFA, il potere e (nella sua ottica) il male del calcio, che tanto pulita non è e lo si vedrà nel corso degli anni. Più populista che marxista, la sua grinta non è scalfita dal peso degli anni.

A fine 2008, ecco una nuova svolta nella vita di Maradona: gli viene offerta la panchina della selezione argentina, con l’obiettivo di condurre la squadra ai Mondiali in Sudafrica e magari provare a vincerli. L’Argentina si qualifica a fatica e Maradona litiga spesso con i giornalisti che criticano il gioco e i risultati della sua squadra. Poi, alla fase finale del campionato, la seleccion gioca bene, avanza ma sbatte pesantemente sulla nazionale tedesca nella sfida dei quarti di finale. Nonostante la delusione, al ritorno in patria la folla festante lo attende, lo acclama e lo applaude. È sempre molto amato Diego Armando Maradona, con le sue cadute e le sue risalite, i suoi fallimenti e i suoi splendori, la sua lotta che pare incessante. Amato dal popolo – ed è ciò che conta. You’re the fighter, you’ve got the fire / The spirit of a warrior, the champion’s heart / You fight for your life because the fighter never quits (Dropkick Murphys, The Warrior’s Code, 2005).

Argentina e Inghilterra – pesmitidelcalcio.com

Torniamo ora a quel 22 giugno 1986, allo Stadio Azteca di Città del Messico. Argentina – Inghilterra è una sfida che significa molto per i sudamericani, e non solo e non tanto per ragioni calcistiche. “Prima della partita con gli inglesi dissi: domani è il giorno ideale per gli imbecilli che vorranno confondere il calcio con la politica. Quando Diego segnò con la mano, corsi ad abbracciarlo. L’imbecille ero io” (Jorge Valdano)7)Carotenuto, cit.. Quattro anni prima le due nazioni si sono affrontate in una breve e sanguinosa guerra per il controllo delle isole Malvinas o Faakland, un arcipelago sperduto nell’Atlantico abitato principalmente da britannici ma piuttosto lontano dalla madrepatria (e che pertanto gli argentini rivendicano a sé). Gli inglesi hanno vinto la guerra e per il paese latinoamericano ha rappresentato una dolorosa ferita inferta all’orgoglio nazionale, anche se nel contempo è stato il viatico alla fine della dittatura militare.

C’è poi il precedente disputato nel corso del campionato del Mondo del 1966 a casa degli inglesi. L’Inghilterra giocò buona parte dell’incontro in superiorità numerica, ma trovò molte difficoltà di fronte alla solida formazione avversaria e passò soltanto a pochi minuti dal termine grazie a un gol di Hurst, forse in offside. Il capitano argentino Rattin era stato espulso durante la prima frazione e il suo allontanamento dal campo aveva richiesto l’intervento delle forze dell’ordine. Così per i sudamericani la partita fu il robo del siglo. Alf Ramsey, ct degli inglesi, affibbiò all’atteggiamento aggressivo degli argentini l’epiteto di animals. Sempre questione di punti di vista.

Le premesse di una sfida ad alta tensione ci sono quindi tutte. A Città del Messico l’Inghilterra inizia l’incontro attraverso un approccio cauto, presentandosi in campo con una mediana composta essenzialmente da incontristi e con l’idea base di innescare Lineker attraverso lanci lunghi. Maradona non è controllato a uomo; il Pibe de oro è già scatenato nel primo tempo con azioni devastanti e sfiora il gol su punizione. È protagonista anche di un divertente siparietto con il guardalinee Morera che lo obbliga a risistemare la bandierina del corner, divelta dallo stesso Maradona in un’azione di gioco. L’Argentina gioca con delle insolite magliette di un blu intenso, corredate da grossi numeri sulle spalle: si narra che siano state acquistate in un negozio della capitale messicana il giorno prima e che lo stemma e i numeri sulla schiena (d’argento, bianchi non li hanno trovati) siano stati cuciti in fetta e furia, il tutto perché le seconde maglie ufficiali, usate negli ottavi contro l’Uruguay, sono risultate troppo spesse, trattengono il sudore e appesantiscono i giocatori.

Il primo tempo del quarto di finale si conclude a reti bianche e la partita resta aperta a qualsiasi epilogo. L’Inghilterra è infatti una bella nazionale negli anni Ottanta (e toccherà il suo apice nel Mondiale italiano, quattro anni dopo). Gary Lineker trova nel Mondiale messicano il suo salto di qualità a livello internazionale. È cresciuto nel Leicester, questa formazione di provincia che spesso ha legato il suo nome alla storia del calcio inglese; nell’anno della Coppa gioca all’Everton, poi veste per molte stagioni le maglie del Barcellona e del Tottenham Hotspur. In coppia con Lineker, in attacco, c’è Beardsley. Hoddle del Tottenham è l’uomo chiave a centrocampo. Sempre in mediana troviamo un altro elemento di spicco per i bianchi d’Inghilterra, Bryan Robson, che però giunge in tetta messicana gravato da un infortunio alla spalla, e si farà nuovamente male alla spalla nella partita giocata contro il Marocco. Non è molto fortunato ai Mondiali, Robson.

L’Inghilterra esordisce in Messico contro la nazionale portoghese e, a sorpresa, perde. La partita la fanno soprattutto gli inglesi che attaccano per buona parte del tempo, mancano alcune occasioni propizie (tra le quali una conclusione di Lineker salvata sulla linea dalla difesa portoghese a portiere battuto), e a un quarto d’ora dalla fine subiscono il definitivo uno a zero, grazie a un’efficace percussione di Diamantino che consente a Carlos Manuel di appoggiare in rete. Poi però la squadra portoghese si sfascia.

La vicenda della nazionale portoghese al Mondiale ’86 merita infatti un inciso. Assente per vent’anni dalla fase finale della Coppa del Mondo, il Portogallo arriva in Messico con ottime credenziali: semifinalista all’Europeo; qualificata in un girone non semplice che comprende Germania Ovest, Cecoslovacchia, Svezia e Malta; capace inoltre di vincere nel corso delle qualificazioni in terra tedesca per uno a zero. Dopo la partita con gli inglesi scoppia una grana legata ai soldi. I giocatori chiedono un aumento del premio partita da duemila a quattromila dollari, e della diaria da 27 a 60 dollari. Oggi sembrano bazzecole, ma evidentemente all’epoca, per i giocatori portoghesi, erano cifre che contavano. La lotta è guidata da Bento, Carlos Manuel e Diamantino, che sono comunisti – d’altra parte la Rivoluzione dei Garofani, che stava per abbattere in Portogallo l’ordine borghese in forma pacifica, era storia di soli dodici anni prima. I vertici non cedono e a fine Mondiale il presidente della federazione lusitana, Silva Resende, farà saltare le teste e la crisi del calcio portoghese si protrarrà per mesi. Ma nel frattempo il Mondiale è andato a rotoli. Il Portogallo perde con la Polonia e crolla con il Marocco, tre a uno, praticamente senza scendere in campo. Proprio il Marocco guidato dal centrocampista Mohamed Timoumi vince il girone.

Invece l’Inghilterra, dopo l’esordio negativo, è cresciuta. Con il Marocco vacilla paurosamente quando, nel corso del primo tempo, Robson si fa male e quasi contemporaneamente Wilkins, per altro già ammonito due minuti prima, lancia il pallone verso l’arbitro per una questione legata a una rimessa laterale non concessa, e viene sbattuto fuori. Però la nazionale inglese regge, sfiora anche la vittoria (chiuderà in parità contro i marocchini) e si riprende alla grande nei due incontri successivi con Lineker autentico mattatore.

Sono due tre a zero di fila. L’ultima sfida del girone è Inghilterra – Polonia ed è risolta in mezzora da una tripletta di Lineker: tutti gol sono realizzati sotto porta, mostrando il grande istinto di marcatore dell’attaccante inglese. In campo sono ottimi anche Hodge e Beardsley. Tredici anni dopo, gli inglesi vendicano la storica eliminazione subita dai polacchi nelle qualificazioni per il Mondiale ’74. Negli ottavi l’Inghilterra supera il Paraguay. È ancora Lineker a portare avanti i suoi sfruttando con profitto una palla vagante a un paio di metri dalla porta; lo stesso Lineker, poco dopo, sfiora il raddoppia quando obbliga il portiere Fernandez a esibirsi in un grande intervento. Nel secondo tempo gli inglesi dilagano con Beardsley (stavolta su errore del portiere paraguaiano che manca la presa di un pallone abbastanza semplice) e nuovamente con Lineker.

Ecco allora la promettente nazionale inglese in campo nel quarto di finale con l’Argentina, sotto di due gol dopo dieci minuti di ripresa e, come comprensibile, frastornata dal passaggio dell’uragano Maradona. Il ct inglese, un po’ lentamente, un po’ troppo lentamente – forse in questo modo si è giocato la semifinale -, prova a correre ai ripari: inserisce due ali in campo, Waddle (al ventesimo) e Barnes (al trentesimo), passa al 4-2-4 e lì cambia l’inerzia della partita. Sino a quel momento l’Inghilterra ha fatto poco per pareggiare, contrapposta a un’Argentina messa bene in campo e spesso abile a giocare in anticipo sugli avversari.

Poi progressivamente i sudamericani arretrano e l’Inghilterra spinge sino quasi a recuperare il risultato. C’è una gran punizione di Hoddle parata da Pumpido. A dieci dalla fine, cross di Barnes e Lineker di testa accorcia, due a uno. Dopo pochi minuti Barnes è di nuoco protagonista di una pericolosa discesa sulla sinistra: cross, il portiere argentino è scavalcato, accorre Lineker pronto a correggere in rete quando Olarticoechea, in acrobazia, realizza un miracolosa salvataggio insperato quanto decisivo proprio sulla linea di porta e salva il risultato.

La rimonta sfuma e l’Argentina passa in semifinale al termine di una partita non troppo bella, non troppo interessante dal punto di vista tecnico, ma consegnata di diritto alla storia del calcio. Ha sconfitto un avversario importante sotto vari punti di vista ed è a due sole partite da quello che, a inizio torneo, poteva sembrare un miraggio. Soprattutto ha individuato la formazione corretta per ciò che riguarda gli uomini e la disposizione in campo: è la formula che manterrà inalterata sino al termine della competizione. Vent’anni prima era accaduta la stessa cosa proprio nel quarto di finale fra Inghilterra e Argentina, ma a parti invertite, e per gli inglesi l’epilogo di quella vicenda era stato il titolo mondiale.

23 febbraio 2019

References   [ + ]

1. Angelo Carotenuto, Il Real e l’ultimo dei romantici: ‘Che condanna aver trovato il più forte Barca di sempre’, intervista a Jorge Valdano, la Repubblica
2. Maradona Diego Armando: L’anima fragile del Dio del calcio, Storie di calcio
3. Diego Armando Maradona, Io sono El Diego, Fandango Libri, 2002
4. Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai editore, 2009
5. Maradona, cit.
6. Ibidem
7. Carotenuto, cit.