Una delle formazioni favorite per la conquista del titolo sin dalla vigilia è la nazionale francese. Il ruolo di seria pretendente alla vittoria finale è la necessaria conseguenza sia dell’ottimo Mondiale disputato quattro anni prima, e sia della possibilità di presentarsi in Messico come campione d’Europa in carica.
Il titolo continentale conquistato sui campi di casa nel 1984 rappresenta la prima grande affermazione della Francia a livello internazionale. È un Europeo avvincente, giocato da otto squadre, come nella precedente edizione – ma questa volta le due nazionali che escono dai gironi si sfideranno in semifinale, e poi ci sarà la finale. Manca l’Italia campione del Mondo, che ha disputato un ben misero girone di qualificazione riuscendo a battere appena Cipro (e solo una volta su due). Fra le grandi, restano a casa anche URSS e Inghilterra. La Francia affronta in semifinale il Portogallo in una partita bellissima e giocata a viso aperto, soprattutto dai francesi. Sugli spalti gremiti del Velodrome di Marsiglia, quella sera del 23 giugno 1984, c’è anche un ragazzino che si chiama Zinedine Zidane. L’incontro richiede i tempi supplementari dopo l’uno a uno dei novanta minuti; il Portogallo passa quindi a sorpresa in vantaggio, ma la Francia pareggia nel secondo tempo. Su Michel Platini, e probabilmente non solo su di lui, aleggia lo spettro della Notte di Siviglia: “Sono senza fiato. Non ho più gambe. Mi picchiano in testa le parole ‘Siviglia, Siviglia’, ripetute dalla memoria con ostinazione crudele e lancinante”1)Michel Platini, La mia vita come una partita di calcio, Rizzoli, 1988. Ma all’ultimo minuto di gioco Tigana inventa una grande giocata sulla fascia destra e serve la sfera a Platini a due passi dalla porta. Rete, tre a due, e stadio che esplode nel delirio. La finale al Parco dei Principi di Parigi è controllata abbastanza agevolmente dai francesi, che si impongono due a zero sulla Spagna.
È il trionfo di Platini, sempre più le Roi del calcio internazionale, straordinario mattatore del torneo con nove reti in cinque partite, e di una grande generazione di calciatori francesi – quella degli anni Ottanta. È stata definita “l’equivalente culturale ed estetico dell’Olanda di Cruyff nella decade precedente”2)Gareth Bland, The era-defining game between France and West Germany in 1986, These Football Times un paragone intrigante ma forse un po’ eccessivo. Probabilmente quella nazionale francese ha toccato il suo vertice proprio nel 1984, quando ha chiuso l’annata con dodici vittorie su dodici incontri, e purtroppo per loro non era un anno mondiale. A sentire però le parole di Platini, la nazionale francese che gioca la Coppa del Mondo del 1986 è stata la migliore della serie, ed era partita per il Messico con il chiaro intento di vincere il campionato3)Cherif Ghemmour, Thomas Pitrel, Le football c’est une question d’intelligence, intervista a Michel Platini, So Foot n. 108.
La Francia si è qualificata al Mondiale passando attraverso un gruppo non semplice, composto da Bulgaria, Jugoslavia, Germania Est e Lussemburgo. Gli jugoslavi si suicidano uscendo sconfitti dagli ultimi tre incontri del girone e lasciano strada libera ai galletti, oltre alla Bulgaria. La Francia rischia di mettere a repentaglio la qualificazione quando perde in casa dei bulgari e dei tedeschi orientali, ma si riprende. Dall’autunno ’85 all’esordio iridato gioca quattro partite, ne vince tre (tra le quali un prestigioso due a zero sull’Argentina) e mantiene la porta inviolata. Raggiunge quindi il Messico con notevoli credenziali.
La nazionale francese si dispone in campo nuovamente con il suo caratteristico quadrilatero sulla mediana: la novità è Fernandez, vertice basso di una sorta di rombo che include Giresse, Tigana e Michel Platini come regista, leader e mente della formazione. La porta è difesa da un ottimo è portiere, Bats, che gioca un grande torneo; Amoros, terzino destro, è esploso in Spagna quattro anni prima e ora è ai suoi massimi; il reparto arretrato annovera poi due elementi esperti quali Bossis e Battiston. È il reparto avanzato che lascia qualche dubbio, Platini a parte – che però non è più così prolifico in termini di realizzazioni come negli anni scorsi. Il ct cambia spesso gli uomini davanti, poi dagli ottavi opta per la scelta migliore, ovvero Stopyra, autore di un buon Mondiale, e Rocheteau, il quale però batte ormai gli ultimi colpi calcistici di una notevole carriera. Gli altri attaccanti sono Bellone e l’ancora acerbo Papin: questi sbaglia un gol abbastanza facile nel girone della prima fase e Platini lo apostrofa pubblicamente paragonandolo a Pacione, un suo compagno nella Juventus autore di una disgraziata prestazione colma di errori sotto porta, in Coppa dei Campioni contro il Barcellona. L’allenatore che ha preso il posto di Hidalgo si chiama Henri Michel, ha lasciato il calcio giocato da poco e nel biennio precedente ha occupato la panchina della Francia under-21. La sua carriera di tecnico proseguirà in futuro in giro per l’Africa tra nazionali e squadre di club.
Il girone eliminatorio ai Mondiali si apre con Francia – Canada e i nordamericani sono regolati per uno a zero, nei trentacinque gradi all’ombra dell’altopiano di Leon. Poi è il turno di Francia – Unione Sovietica, partita davvero intensa e bella, chiusa in parità: Platini sfodera la sua migliore prestazione del torneo, imposta le azioni, sfiora il gol in alcune occasioni e coglie anche l’incrocio dei pali su calcio di punizione. I francesi ottengono quindi il pass per gli ottavi imponendosi in modo convincente sull’Ungheria: il tre a zero finale è firmato da Stopyra, Giresse e Rocheteau.
A questo punto sul cammino della Francia si presenta l’Italia, cioè la nazionale nei confronti della quale i galletti soffrono uno storico e radicato complesso di inferiorità calcistico, e allora qui si parrà la nobiltate dei blu transalpini a Messico ’86. Sulla carta è una sfida stellare tra i campioni d’Europa e i campioni del Mondo in carica, ma quest’ultimi non sono davvero la squadra straripante di quattro o di otto anni prima. Il Mondiale degli azzurri dura circa un partita e mezzo: l’inaugurazione del torneo con la Bulgaria terminata uno a uno (ma l’Italia domina e meriterebbe nettamente la vittoria) e il primo tempo con l’Argentina (ancora uno a uno al termine dei novanta). Poi la nazionale azzurra si affloscia, batte a fatica la Corea del Sud e raggiunge gli ottavi con un discreto carico di dubbi e preoccupazioni. Ma i mali dell’Italia non sono temporanei, bensì strutturali: i vecchi leoni sono al tramonto e i nuovi giocatori ancora troppo giovani e inesperti – soprattutto, manca una generazione in mezzo. L’Italia porta in Messico un Altobelli in attacco in forma meravigliosa e poco altro degno di nota (Vierchowod in difesa, Bagni a centrocampo). Ha poi un problema nella scelta del portiere titolare, non risolto da Bearzot, che genera insicurezza fra i protagonisti del ballottaggio, cioè Galli e Tancredi.
L’ottavo di finale tra Italia e Francia si gioca all’Estadio Olimpico Universitario di Città del Messico, uno stadio di rilievo. L’impianto è stato edificato all’inizio degli anni Cinquanta e Frank Lloyd Wright lo definì la costruzione più importante dell’America moderna. C’è un murale di Diego Rivera all’esterno, e in realtà il progetto originario prevedeva di ricoprire con dipinti tutto il perimetro dello stadio, ma l’artista morì prima di poter completare l’opera. Ospita le celebri Olimpiadi del 1968 che furono precedute dal massacro di studenti e oppositori in piazza delle Tre Culture da parte dell’esercito. Sono i Giochi Olimpici dei grandi record nell’atletica leggera e del “saluto” – il pugno nero chiuso alzato al cielo da Tommie Smith e John Carlos, con l’appoggio dell’australiano Peter Norman, durante la premiazione dei 200 metri, in segno di protesta contro la discriminazione razziale e la povertà negli USA. È anche lo stadio in cui Mennea siglò un fantastico record del mondo sui duecento nel 1979.
In mezzo a tanti ricordi, sportivi e non, la partita però non ha molta storia e la supremazia dei francesi non è mai davvero in discussione. Nel primo tempo una gran bella azione in velocità Fernandez – Rocheteau – Platini spazza via l’Italia e consente a le Roi di portare in vantaggio la sua nazionale. Platini esulta in maniera composta. Poi Fernandez coglie la traversa con un tiro dalla trequarti. Bearzot ha tenuto in panchina il regista della squadra, Di Gennaro, per schierare Baresi (Giuseppe) in marcatura su Platini, ma il francese fa un po’ quel che vuole. Nella ripresa il ct italiano torna sui suoi passi e lascia negli spogliatoi Baresi; la musica però non cambia. Una nuova devastante azione sull’asse centrale condotta da Tigana, Rocheteau e Stopyra, che insacca, determina il definitivo due a zero.
Si chiude così, e senza troppi drammi, la spedizione della nazionale italiana campione in carica in Messico, e con essa sia l’esperienza di Enzo Bearzot sulla panchina azzurra, sia l’epopea dei campioni del Mondo di Spagna ’82. Il calcio azzurro guarda già con interesse a una nuova generazione di calciatori che proprio quell’anno ha sfiorato il titolo europeo under-21 con Azeglio Vicini in panchina. All’orizzonte c’è il Mondiale casalingo del 1990 e l’obbligo di ben figurare – tradotto in soldoni, di provare a vincerlo. La netta vittoria della Francia inoltre pone fine al sentimento di inferiorità sempre patito dai francesi, segna un mutamento di rotta (e infatti saranno gli italiani a subire molto i francesi sui campi di calcio nel futuro prossimo) e anticipa di qualche anno l’intensa e avvincente rivalità tra le due squadre che maturerà a cavallo del Duemila.
Dopo l’Italia, i blu di Francia eliminano un altro mostro sacro, il Brasile, e sono attesi al penultimo atto del torneo da un terzo gigante del calcio mondiale: la Germania Ovest. La semifinale rappresenta per i francesi l’occasione di ottenere un’immediata rivincita rispetto alla sfida di Siviglia di quattro anni prima, una sconfitta che ai bleus non è mai andata giù, e per più di un motivo: perché si ritenevano più forti; per l’arbitraggio; per Battiston. Però la maratona di Guadalajara contro i brasiliani ha lasciato pesanti strascichi. Le gambe dei calciatori sono cariche di tossine, Rocheteau è indisponibile e Giresse non è al massimo. Anche Platini è sofferente a causa di un problema al tendine di Achille che si porta dietro da mesi; è criticato per le sue prestazioni, ma sono giudizi immeritati, Platini sta disputando nel complesso un gran campionato e sta guidando la Francia ancora una volta tra le prime quattro nazionali al mondo.
La partita si gioca sempre a Guadalajara, alle ore dodici del 25 giugno 1986. Durante il riscaldamento Platini e Rumenigge, entrambi protagonisti delle Serie A italiana, scherzano amabilmente al centro del campo. Sono passati nove minuti dal fischio di inizio quando i giocatori francesi prendono atto che vendicare Siviglia, e raggiungere di conseguenza la prima finale mondiale della loro storia, non sarà per nulla agevole. Punizione per i tedeschi dal limite, con la sfera posta all’incirca presso l’angolo destro dell’area di rigore: calcia Brehme, il tiro è potente ma non impossibile da respingere; Bats è sulla traiettoria, però la palla gli sfugge dalle mani e gli passa sotto il corpo, terminando in rete. Sinora impeccabile, è il primo, e sarà l’unico, errore del portiere francese nel Mondiale. Pesa parecchio, però. Il gol improvviso e regalato spacca la partita e la indirizza decisamente a favore della nazionale tedesco-occidentale.
La Francia costruisce comunque alcune occasioni interessanti. C’è un tiro di Giresse pericoloso, da fuori area, che esce di non molto. Poi Platini calcia a rete dall’area, Schumacher respinge, la sfera arriva a Bossis che in solitudine totale, a due passi dalla porta sguarnita, riesce a sparare alto. Era un’occasione enorme per pareggiare – forse non è proprio giornata per i francesi. I tedeschi si rifanno vivi dalle parti di Bats con Rumenigge e Matthaus, ma l’estremo difensore francese è attento; Allofs si presenta libero davanti alla porta, e di nuovo Bats è bravo a parare in uscita. C’è ancora tempo per un tiro da fuori di Tigana, parato.
Nel secondo tempo la Francia cala parecchio e la Germania controlla. Si assiste a un bellissimo tiro da fuori di Rolff e a una respinta da campione di Bats, che dopo l’errore iniziale non ha sbagliato più alcunché. Ci prova Stopyra con un’efficace azione sulla fascia destra e la sua conclusione è bloccata da Schumacher. Platini mette in rete ma è fischiato un fuorigioco dall’arbitro italiano Agnolin, non è chiaro, può darsi ci sia ma davvero di poco. I francesi tentano un forcing finale, necessario quanto velleitario; completamente sbilanciati, sono presi d’infilata da Voller che allo scadere fissa il definitivo due a zero.
La Germania Ovest è in finale, ancora sulla Francia, e tutto sommato è un’affermazione meritata. Alla fine scoppia sul campo anche una mezza rissa fra i giocatori, non si capisce bene perché, o forse si capisce fin troppo: la frustrazione ha preso il sopravvento sui francesi. Il ct tedesco Beckenabuer sarà lapidario: “Certe squadre non sanno proprio battere la Germania”4)Cherif Ghemmour, Et a la fin, les Allemands…, So Foot. La Francia, con la sua grande generazione degli anni Ottanta, dice addio ai sogni di gloria mondiali; non solo – e saperlo all’epoca sarebbe stato per lo meno sorprendente –, ma dovrà attendere ben dodici anni prima di calcare un’altra volta i campi della fase finale di un Mondiale.

La sconfitta in semifinale della nazionale francese costituisce anche l’ultima partita ad alti livelli di un giocatore splendido, uno dei più grandi di sempre, Michel Platini. Gioca ancora una stagione dopo il Mondiale, decisamente avara di gioie, e poi si ritira a soli trentadue anni. Avrebbe dovuto arretrare la sua posizione in campo per ragioni di tenuta fisica, ma è una scelta che non gli interessa e preferisce quindi appendere le scarpe al chiodo. Ma forse la sua carriera è già di fatto finita un paio di anni prima, durante la maledetta serata dell’Heysel a Bruxelles. Platini è troppo intelligente per non capire che quella notte qualcosa si è rotto dentro di sé per sempre, e lo scrive nella sua autobiografia. Sul fatto di essere sceso sul campo segnato da una strage e aver vinto la Coppa (è suo il gol decisivo su rigore), Platini dirà anche: quando muore il trapezista, entrano in scena i clown. Sarà, ma non spiega a sufficienza quanto accadde. Dopo la tragedia, per altro non compresa nella sua interezza da tutti i tifosi presenti all’Heysel, la tensione era comunque ai massimi: c’era il forte rischio di ulteriori disordini e l’esercito belga stava mobilitando i propri effettivi per inviarli a circondare lo stadio. Giocare la partita era ormai l’unica possibilità per non rendere ancora peggiore una serata già tremenda, i giocatori dovettero farsi carico di questo fardello, portarlo a termine, e ogni polemica successiva è stata soltanto pretestuosa, inutile e francamente stupida.
Michel Platini è stato l’equivalente calcistico dei personaggi della nouvelle vague cinematografica – il Belmondo di A bout de suffle, tanto per dire: classe, sagacia, imprevedibilità, controcorrente il giusto e provvisto anche di un pizzico di menefreghismo, il tutto mescolato assieme a talento calcistico autentico. Un personaggio irresistibile.
Il primo club professionistico nel quale milita è il Nancy, con il quale vince la Coppa di Francia del ’78. Lo stesso anno parte con la nazionale per i Mondiali di Argentina: è titolare fisso e già discretamente famoso. Poi passa al Saint-Etienne (per tre stagioni, dal ’79), la squadra più forte e famosa di Francia. Diventa il leader della formazione e il miglior giocatore francese, scalzando da entrambi i ruoli Rocheteau. Con i verts conquista il titolo nazionale nel 1981 ed è protagonista di alcune mirabili prestazioni nelle coppe europee, come un cinque a zero rifilato al temibile Amburgo nel novembre ’80. Ma a livello internazionale non ci sono vittorie.
La vera svolta della carriera di Platini avviene nel 1982. Quell’anno è protagonista di un amichevole contro l’Italia che si risolve nella prima vittoria dei francesi dopo sessantadue anni. In Spagna, al Mondiale, è fra le stelle più attese: la sconfitta nella storica e più volte citata semifinale di Siviglia gli pesa molto, per il risultato avverso e per l’infortunio occorso al suo amico Battiston, ma poi con il tempo il sentimento a prevalere sarà l’orgoglio per essere stato presente. L’Ottantadue è anche l’anno del passaggio alla Juventus e quindi dell’approdo nel campionato italiano. Se vogliamo è una sorta di ritorno, stante che il nonno di Michel era piemontese e come tanti era emigrato in Francia in cerca di lavoro.
“Il mio arrivo in Italia è stato uno choc, è un Paese che pensa, beve e suda calcio”5)Franck Annese, Platoche, comme galoche, intervista a Michel Platini, in So Foot 80’S, Editions Solar, 2013. Ma è una realtà ancora a misura d’uomo quella che Platini incontra a Torino, nonostante giochi in uno dei club più forti del mondo: i giocatori sono invitati dalla società a circolare su utilitarie anziché su fuoriserie – lui stesso guida per la città una FIAT Uno – e raggiungono gli spogliatoi, dopo gli allenamenti, attraversando tutti assieme la strada, come fossero impiegati in pausa pranzo. L’inizio nel campionato italiano è difficile, anche a causa di una fastidiosa pubalgia; poi accentra su di sé il ruolo di guida della squadra, di centro del gioco, e sbalordisce. Gioca una grande partita contro l’Aston Villa in Coppa dei Campioni. Diventa uno dei principali simboli di quella Seria A che con forza sta cominciando a imporsi come il miglior campionato di calcio al mondo, e che rimarrà tale per quasi due decenni. In Italia Platini ha la sua consacrazione: cinque anni alla Juventus conditi da due scudetti, una Coppa Italia, una Coppa delle Coppe e una Coppa dei Campioni (oltre a una finale persa). In mezzo, il trionfo agli Europei ’84. Per un triennio si può considerare senza dubbio alcuno il più forte giocatore del pianeta.
Platini segna tanto e fa segnare; è classe allo stato puro, realizza magistrali punizioni e ha una straordinaria visione di gioco. Sin da piccolo si è esercitato a guardare a terra e immaginare la posizione dei compagni sul campo di calcio. Racconta un aneddoto al riguardo che l’ha impressionato molto: il padre gli parla di un azione del grande Kubala che, ricevuto un pallone dalla destra, lo passò correttamente sulla sinistra ma senza voltare lo sguardo in quella direzione. Ma come ha fatto, chiede al padre il piccolo Michel; “lui vedeva prima…” è la risposta6)Ghemmour, Pitrel, cit.. Uno dei sui idoli è Cruyff, dal quale eredità il ruolo di primadonna assoluta in campo. Corretto e signorile sul terreno di gioco – non è mai stato espulso – Platini è la quintessenza del regista ma è prolifico, tanto da laurearsi capocannoniere del campionato italiano per tre stagioni di fila in un’epoca in cui uscire indenni dalle difese italiane era un’impresa. È le Roi, regale in ogni manifestazione: durante la finale di Coppa Intercontinentale segna forse il gol più bello ma annullato (ingiustamente) della storia del calcio. Per protesta si sdraia platealmente sul prato, sul fianco, accompagnando il gesto con un sorriso incredulo, ironico e di vaga superiorità.
Inizia la sua autobiografia con queste parole: “Sono morto a trentadue anni, il 17 maggio 1987”7)Michel Platini, cit.. È il giorno del suo ultimo incontro da professionista, Juventus – Brescia, al Comunale di Torino. Ha disputato 649 partite e ha segnato 353 reti. Come è accaduto a diversi altri giocatori, prendono allora il via le sue altre vite calcistiche; ma più di altri, le sue esperienze saranno la somma di intensità e contraddizioni senza pari.
A poco più di un anno dall’addio al calcio giocato, Platini è nominato selezionatore della nazionale francese. Manca la qualificazione al Mondiale italiano – la sua Torino lo aspettava per ospitare gli incontri della Francia – scontando un necessario ricambio generazionale. Raggiunge però la fase finale degli Europei ’92 al termine di un percorso entusiasmante: la Francia resta imbattuta per due anni, tra il 1989 e il ’91, e raccoglie otto vittorie su otto incontri nel girone di qualificazione. Si presenta al torneo fra le favorite, forte di una formazione che annovera in attacco Papin e Cantona, ai loro massimi, e che inoltre presenta già due futuri pilastri delle vittorie di fine decennio quali Blanc in difesa e Deschamps a centrocampo. Ma finisce male. La Francia pareggia i primi due incontri; poi perde il terzo contro la Danimarca, futura campione. Deve così lasciare il torneo, quando a soli dieci minuti dal fischio finale era qualificata per le semifinali.
Poi Platini assume in coabitazione il ruolo di capo del comitato organizzatore dei Mondiali in Francia, nel 1998, e assiste così dalla tribuna alla conquista della Coppa del Mondo da parte della sua nazionale. È l’avvio di un’importante carriera come dirigente. Vicepresidente della federazione francese, diventa presidente dell’UEFA, carica che mantiene per diversi anni, e punta direttamente alla presidenza della FIFA. Ma nel 2015 Platini rimane coinvolto nell’ampio scandalo che travolge la federazione internazionale e il suo presidente, Sepp Blatter: Platini è accusato di aver intascato un compenso illegittimo di circa due milioni di euro per presunte consulenze. Tre anni dopo verrà prosciolto dalle accuse ma l’evento segna la fine, almeno momentanea, della sua esperienza ai vertici dell’amministrazione calcistica.
Come Icaro, ogni volta che mi avvicino al sole tutto brucia – così definisce la sua esistenza in un’intervista rilasciata a Le Monde nel 2015. È accaduto con la Coppa dei Campioni, una volta persa da favorito, l’altra volta vinta ma in fondo a una tragedia. È successo nelle due semifinali perse ai Mondiali, all’Europeo come allenatore ed è successo anche nel suo ruolo di dirigente del calcio internazionale. Per Maradona, che come calciatore lo stimava molto, Platini in campo non sembrava divertirsi granché8)Diego Armando Maradona, Io sono El Diego, Fandango Libri, 2002. Non lo so. Può anche darsi, ma di sicuro sapeva farsi davvero amare dai tifosi, e fra questi c’era il sottoscritto. A me sembrava soltanto sufficientemente perspicace per capire che ogni sua impresa non era niente altro che un gioco, una recita, e come tale il sipario sarebbe inevitabilmente calato, prima o poi. Senza però sapere quando – forse è stato questo il problema – come per tutti i figli del giorno fugace.
23 febbraio 2019
References
1. | ↑ | Michel Platini, La mia vita come una partita di calcio, Rizzoli, 1988 |
2. | ↑ | Gareth Bland, The era-defining game between France and West Germany in 1986, These Football Times |
3. | ↑ | Cherif Ghemmour, Thomas Pitrel, Le football c’est une question d’intelligence, intervista a Michel Platini, So Foot n. 108 |
4. | ↑ | Cherif Ghemmour, Et a la fin, les Allemands…, So Foot |
5. | ↑ | Franck Annese, Platoche, comme galoche, intervista a Michel Platini, in So Foot 80’S, Editions Solar, 2013 |
6. | ↑ | Ghemmour, Pitrel, cit. |
7. | ↑ | Michel Platini, cit. |
8. | ↑ | Diego Armando Maradona, Io sono El Diego, Fandango Libri, 2002 |