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Messico, 1986
IV. Socrates, Guadalajara

La nazionale brasiliana si qualifica per i Mondiali 1986 vincendo un girone che la vede contrapposta a Bolivia e Paraguay. Si impone in entrambe le trasferte e poi amministra la qualificazione con due pareggi interni. Esordisce in Messico battendo la Spagna per uno a zero. Poi incontra la nazionale algerina, ed è una nuova vittoria, con lo stesso risultato, siglato da Careca da autentico opportunista. Il Brasile domina l’incontro, Julio Cesar centra la traversa con una cannonata su punizione e il portiere algerino si esalta per tutto l’incontro. Evento importante, durante il primo tempo si fa male il difensore Edson. Il ct lo sostituisce con l’esperto Falcao e modifica temporaneamente il modulo di gioco; ma dalla partita successiva gioca Josimar, come esterno destro in difesa, e sarà una delle sorprese del torneo.

Nelle due partite che precedono i quarti di finale, il Brasile furoreggia infilando nel complesso sette reti. Contro l’Irlanda del Nord finisce tre a zero, Careca è autore di una pregevole doppietta, mentre Josimar marca il raddoppio con un gran tiro in diagonale, all’angolino. Agli ottavi la selecao è attesa dalla nazionale polacca. Gli europei partono forte e colgono sia un palo (su tiro-cross) che una traversa (botta da fuori area), ma è il Brasile che chiude la prima frazione in vantaggio, su rigore, realizzato da Socrates. Esulta col pugno chiuso al cielo. Nella ripresa il gol del due zero è un fantastico numero di Josimar: dribbling sulla fascia destra e, quasi sula linea di fondo, tiro che coglie un angolo impossibile della porta avversaria. Poi il Brasile dilaga grazie a Edinho, su assist di Careca, e ancora Careca su rigore. Quattro a zero.

Il Brasile entra tra le prime otto nazionali al mondo grazie a un cammino immacolato: quattro vittorie, nove gol fatti e zero al passivo – ma l’unica avversaria davvero impegnativa che ha incrociato è stata la Spagna, le altre erano formazioni al termine del loro ciclo. Ad ogni modo è un bel Brasile, solido, temibile e serio candidato al titolo, disegnato e diretto dallo stesso tecnico di quattro anni prima.

Tele Santana è stato richiamato sulla panchina verdeoro poco prima dei Mondiali. Il suo è sempre un calcio d’attacco, ma la nazionale brasiliana si sta reinventando a partire dalla difesa e da un centrocampo maggiormente tecnico, a scapito della fantasia. È il percorso che porterà i sudamericani alla vittoria nel Mondiale del ’94 dopo innumerevoli delusioni. La squadra che scende in campo è quasi sempre la stessa. A centrocampo troviamo due affidabili giocatori quali Elzo e soprattutto Alemao, un incontrista, ottimo nel recuperare palloni ma altresì abile nell’impostare; farà molto bene anche nel Napoli. La difesa, molto attenta, tanto che incasserà solo una rete nel corso di tutta la competizione, è composta da Josimar, Edinho, Julio Cesar e Branco – quest’ultimo destinato a una prestigiosa carriera in nazionale. Come detto Josimar si fa conoscere al mondo del calcio con un grande Mondiale ed è nominato miglior terzino destro del torneo. Ma la sua carriera non sarà all’altezza di quanto mostrato in Messico e di fatto termina lì. Il giocatore racconterà di essersi letteralmente perso. Non era nessuno e di colpo era diventato una celebrità; così, come a volte succede, le distrazioni iniziarono a togliere forza e concentrazione. Milita nel Botafogo, poi passa al Flamengo per cercare un riscatto, ma la storia è sempre la stessa: “le bionde arrivavano, l’allenamento se ne andava…1)The blondes came and the training went – I wasted it all: Josimar on Mexico 86, Four Four Two.

Gli attaccanti titolari del Brasile ’86 sono Muller e Careca. Il secondo è artefice di un Mondiale strepitoso, condito da cinque reti e due assist. Careca è uno dei migliori attaccanti brasiliani di sempre, ottimo realizzatore e dotato di potenza e tecnica. In patria conquista due titoli nazionali, uno con il sorprendente Guaranì nel 1978, l’altro con il San Paolo proprio nell’anno dei Mondiali. Sarà grande anche nel Napoli di fine anni Ottanta.

Il tradizionale spettacolo espresso dal calcio brasiliano, oltre al reparto avanzato, passa dai piedi di Junior e Socrates. In Messico sono gli unici titolari reduci dalla grandiosa generazione del Mondiale spagnolo che si è fermata per sempre al Sarria di Barcellona. Santana ha tentato di rinnovare la squadra, lasciando a casa Dirceu e Cerezo e relegando in panchina, almeno in partenza, Falcao e Zico. Socrates è il vero tratto d’unione fra i due Mondiali, il simbolo di quella generazione di calciatori brasiliani. Forse non il più forte (magari lo è stato Zico), di certo uno straordinario esempio di uomo e calciatore. Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira: un dottore che giocava a pallone; una calciatore con il nome da filosofo; un’attivista politico prestato al calcio; e soprattutto, una storia che va raccontata.

Nasce nel 1954, figlio di un impiegato pubblico, autodidatta e appassionato di filosofia, storia e politica. Lo chiama Socrates proprio in onore di Platone e di un suo scritto che ama molto, la Repubblica (Socrate è il protagonista del libro). Quando ha dieci anni i militari salgono al potere in Brasile: vede suo padre che, in cortile, brucia libri marxisti e sovversivi per evitare di essere arrestato, e Socrates non dimenticherà mai questo evento. L’opposizione al regime militare diventa una costante della sua vita. Ricorda così la vittoria della nazionale verdeoro nei mondiali messicani: “Nel 1970 i giocatori della selecao erano considerati come dèi, nel nostro paese. Avrebbero potuto parlare, sarebbero stati ascoltati. E invece preferirono tacere2)Lorenzo Iervolino, Un giorno triste così felice, 66thand2nd, 2014. Fra gli attivisti politici rinchiusi in cella e torturati, in quegli anni, c’è Dilma Rousseff, guerrigliera e futuro presidente del Brasile.

Giovanissimo, gioca nel Botafogo di Ribeira Preto, la sua città. È già un fenomeno, ma i suoi interessi sono altri: la filosofia, la politica, i movimenti rivoluzionari di cui è impregnato il Sudamerica di quegli anni, la figura di Ernesto Che Guevara – il suo eroe assieme a John Lennon. Sceglie di studiare per laurearsi in medicina (e ci riesce) e quindi di allenarsi soltanto una volta a settimana, ma per lui non è un limite rispetto al suo impegno di calciatore: “più irraggiungibili sembrano le mete, più ci si sente stimolati. Giocavo a calcio, ma stavo anche per diventare medico. Da me si aspettavano che fossi il più ingegnoso di tutti. Se non avessi studiato medicina sarei stato un giocatore assai più limitato. Decisamente3)Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, Baldini&Castoldi, 2014. Lo chiamano il Magrao (è alto e magro) o il Doutur. Nel 1976 nasce il suo primogenito e di lì a poco diventa capocannoniere del campionato paulista. Inizia così ad allenarsi un po’ di più.

Al Corinthians Socrates arriva nel 1978. La formazione di San Paolo, una delle più prestigiose e amate del Brasile, trae la propria origine da una squadra ai suoi antipodi, sotto il profilo geografico e sociale. L’originario Corinthian Football Club – il nome ricorda l’antica polis, c’è molta Grecia classica in questa storia – fu fondato in Inghilterra nel 1882 da giovani aristocratici e da membri delle più prestigiose scuole e università. Rimase sempre una squadra di dilettanti (è evidente che i suoi membri non avessero gran bisogno di un salario), talvolta integrata dai migliori giocatori delle altre squadre, e calcava i campi per esclusivo amore del gioco, del suo corretto svolgimento. Ad esempio i giocatori del Corinthian rifiutavano sia di approfittare dei calci di rigore fischiati a proprio favore, sia di parare i rigori avversari. Le loro esibizioni in giro per l’Europa, poiché erano in fin dei conti una signora squadra, favorirono molto lo sviluppo del gioco: ad esempio le casacche bianche del Real Madrid sono ispirate a loro. Erano il simbolo di un’aristocrazia declinante, se non anacronistica, mentre il Corinthians brasiliano nacque invece come club dell’emergente proletariato urbano della metropoli paulista. Venne fondato nel 1910 quando il calcio in Brasile era un passatempo riservato quasi esclusivamente all’elite. È sempre stata la squadra del popolo, e ancora di più lo sarà dopo il passaggio fra le sua file di Socrates.

La tifoseria del Corinthians esprime un forte senso di attaccamento alla squadra: è rimasta nella storia – con il nome di invasione corinthiana – una trasferta di massa che portò settantamila supporters al Marcanà di Rio per una semifinale del campionato brasiliano nel ’76. Socrates all’inizio soffre il peso di una tifoseria così calorosa, forse opprimente, poi però si adatta e diventa il leader della squadra. Conquista il titolo paulista ne 1979, anno in cui viene convocato in nazionale per la prima volta. È il momento in cui inizia realmente a interessarsi al calcio. Tiene molto alla maglia verdeoro e si prepara con impegno per i Mondiali del 1982, ma la delusione è cocente.

Socrates è ormai un giocatore di livello mondiale. Ha classe e visione di gioco che dimostra attraverso due piedi davvero piccoli per la sua altezza; ha un gran tiro da fuori, un ottimo colpo di testa e un proverbiale colpo di tacco. È lento, ma forte in progressione ed è uno di quei giocatori la cui intelligenza sul campo di gioco emerge in maniera evidente. Sa segnare parecchi gol, Socrates, dopo i quali esulta con un caratteristico e politico pugno chiuso levato al cielo. Non è stato il primo a usare il gesto dopo una rete, in realtà lo ha preceduto Reinaldo, attaccante dell’Atletico Mineiro e del Brasile nei Mondiali del 1978, che alzava il pugno in onore delle Black Panthers americane. Ma a Socrates il calcio non basta.

Il ruolo del calciatore non può essere scisso da quello di uomo in mezzo agli altri uomini e all’interno della società. Anzi: i privilegi che la professione di atleta garantisce, uniti alla visibilità e al prestigio, dovrebbero funzionare da stimolo per l’impegno politico e non da barriera. In parole povere questo è ciò che Socrates pensa. Nelle stagioni 1980 e 1981 il Corinthians disputa due campionati insoddisfacenti. Viene eletto un nuovo presidente, Waldemar Pires, il quale nomina il sociologo di sinistra Adílson Monteiro Alves quale direttore tecnico della sezione calcistica. Socrates coglie la palla al balzo. Assieme a Monteiro Alves e ad alcuni compagni, Wladimir innanzitutto, ma anche Casagrande, Ze Maria, Zenon, Biro-Biro, diventa l’artefice di una proposta rivoluzionaria per una squadra di calcio: ogni decisione, dal modulo di gioco agli aspetti organizzativi, deve essere votata, in modo democratico, da tutti – giocatori, staff tecnico, sino ai magazzinieri. Tutto deve essere discusso. L’autogestione quindi abolisce i ritiri, definiti come imposizione autoritaria che trova il suo fondamento solo nella sfiducia verso i giocatori, e per un po’ di tempo consente alla squadra di procedere addirittura senza allenatore. È la democrazia corinthiana. Dopo quasi vent’anni di dittatura militare, rappresenta una magnifica follia nata proprio all’interno di uno dei contesti più amati dai brasiliani, il calcio.

I giocatori del Corinthians iniziano altresì a scendere in campo mostrando espliciti messaggi politici. Sulle schiene compare la scritta democracia corinthiana, oppure l’invito rivolto al popolo a recarsi a votare per la prime elezioni locali libere. Un’altra volta srotolano uno striscione che recita: Vincere o perdere, ma sempre con democrazia. Tutto ciò funziona anche sotto l’aspetto puramente calcistico, poiché il Corinthians conquista due titoli del campionato paulista, nel 1982 e l’anno seguente. Ma al di là dei risultati negli stadi, l’autogestione del Corinthians e l’aperto attivismo dei suoi giocatori hanno avuto un grande impatto nella società brasiliana. I primi anni Ottanta sono il periodo delle mobilitazioni popolari, del primo sciopero generale dal colpo di Stato e della lotta generale per la fine della dittatura militare. E Socrates l’avrà sempre ben chiaro dentro di sé: “La democrazia corinthiana è stata l’unica cosa importante della mia carriera, tutto il resto sono stati calci a un pallone4)Iervolino, cit.. Fantastico.

Nel 1984, con il potere militare ormai agli sgoccioli, si sviluppa in Brasile un movimento per l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Socrates partecipa attivamente alla lotta e parla al termine di una manifestazione oceanica, nella piazza Aragabu di San Paolo, di fronte a qualcosa come un milione e mezzo di persone. Dichiara che lascerà il paese in caso di mancata approvazione in parlamento dell’emendamento della Costituzione che consentirebbe l’elezione diretta. L’emendamento non passa e Socrates è di parola: va a giocare nella Fiorentina, dove ha il compito di sostituire un Antognoni reduce da un grave infortunio e a fine carriera. Si presenta dicendosi lieto di venire nel paese in cui potrà leggere Gramsci in lingua originale. Ma non si adatta al campionato italiano. Resta solo una stagione, durante la quale inizia bene e poi cala vistosamente, colpito dalla nostalgia per la patria nel gelido e nevoso inverno italiano del 1985; la Fiorentina in generale conclude male una stagione avviata con ambiziosi obiettivi. Socrates torna in Brasile a si accasa al Flamengo, poi al Santos e infine termina la carriera dove ha iniziato, al Botafogo di Ribeirao Preto.

Una volta ritiratosi dal calcio giocato, rifiuta sempre ruoli politici che potrebbe facilmente raggiungere, soprattutto quando il suo amico Luis Inacio Lula da Silva conquista la presidenza della Repubblica. Socrates fa l’opinionista calcistico, scrive – sua un’interessante idea di ridurre le squadre a nove giocatori per migliorare lo spettacolo (magari subito nove no, ma dieci si potrebbe provare), ma soprattutto si dedica a due tristi passioni che lo hanno contraddistinto per tutta la vita: le sigarette e l’alcool.

Bevo per placare il mio spirito5)Stephan Regy, Louis Genot, William Pereira, Javier Prieto Santos, Lucas Duvernet-Coppola, Socrates, larme a gauche, in So Foot 80’S, Editions Solar, 2013 ha dichiarato Socrates. Qualcosa del genere lo ha espresso Gilles Deleuze: perché le persone eccedono con l’alcool o le droghe? Perché c’è qualcosa di troppo forte nella vita (Abecedario). Sosteneva Jean-Paul Sartre ne L’essere e il nulla che condurre popoli o ubriacarsi in solitudine è, in ultima analisi, lo stesso. Socrates ha fatto entrambe le cose – come Alessandro il Grande. E il consumo di alcolici lo ha portato a una prematura scomparsa, nel 2010, a soli cinquantasei anni. Aveva espresso il desiderio di morire nel giorno stesso in cui il Corinthians fosse diventato campione e il destino lo accontenta – per quanto è probabile che Socrates ne avrebbe fatto volentieri a meno, in cambio di qualche anno in più di vita. E prima dell’incontro decisivo per il titolo, nel minuto di silenzio a lui dedicato, i giocatori e i tifosi salutano Socrates il Grande col suo caratteristico gesto: il pugno chiuso levato al cielo.

Riposa in pace, compagno Doutur. Uno come te non ci sarà mai più.

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Il rimpianto di non avere mai vinto un Mondiale lo inseguirà per sempre, e fa specie come invece del titolo di campione del Mondo possa fregiarsi il suo fratello meno noto, Rai, nazionale brasiliano nel 1994. Formalmente le due nazionali verdeoro nelle quali Socrates ha disputato la Coppa del Mondo sono uscite sempre ai quarti di finale. Ma in entrambi casi l’eliminazione è avvenuta al termine di due pietre miliari della storia del calcio: Sarria ’82; Guadalajara ’86. Se può servire da consolazione…

Ventuno giugno, ore dodici, Stadio Jalisco: quarto di finale tra Brasile e Francia; le aspettative tracciano i contorni di un incontro spettacolare e non verranno deluse. Le squadre si dispongono in campo in modo speculare. Brasile: Carlos; Josimar, Edinho, Julio Cesar, Branco; Junior, Alemao, Elzo; Socrates; Muller, Careca. Francia: Bats; Amoros, Bossis, Battiston, Tusseau; Fernandez, Giresse, Tigana; Platini; Rocheteau, Stopyra. Arbitra il rumeno Igna.

Appena partiti si assiste a una gran conclusione da fuori di Amoros, al termine di una pericolosa azione condotta da Platini e Giresse. È una buona Francia all’inizio, con i bleus che scambiano il pallone rapidamente e scattano in velocità. Nel contempo però lasciano dei varchi nel quale si infilano i brasiliani, pericolosi con Careca in contropiede. Sin da subito si capisce che sarà gran bella partita giocata senza risparmiarsi colpi e con grande classe. Il Brasile sale in cattedra, con calma, ma inesorabile. Socrates è liberato in area, tira in porta e risponde alla grande Bats. Meravigliosa è l’azione del gol verdeoro: velocissimi passaggi per via centrale fra Muller e Junior, una sorta blitz, spiazzano i francesi e consentono a Careca di scaricare in rete abbastanza solo. È il minuto diciassette, Brasile uno – Francia zero.

Il ritmo cala un po’, è comprensibile, siamo sempre in Messico d’estate e all’ora di pranzo. La Francia in svantaggio ci prova un po’ di più: Amoros scappa sulla sinistra, Rocheteau tenta la deviazione sotto misura ma il portiere devia in corner; Josimar anticipa di un soffio Stopyra, solo a pochi metri dalla porta. Questo è un Brasile che non cerca il possesso palla a tutti i costi, ma funziona attraverso improvvise accelerazioni, lampi terribili (che abbia imparato dall’Italia di quattro anni prima? Possibile, anche se non lo ammetteranno mai). Per cui, con la Francia sbilanciata, Platini perde palla sulla tre quarti avversaria; c’è un gran lancio di Socrates per Careca che entra in area sulla sinistra, scarica a destra un po’ all’indietro, la palla attraversa l’area verso l’accorrente Muller, tiro, palo pieno.

Di conseguenza, come si dice che spesso accada, ci pensa la Francia a segnare. Giresse per Rocheteau sulla fascia destra, palla in mezzo, Stopyra e il portiere brasiliano mancano la sfera – ma Carlos reclama un fallo ai suoi danni – e Platini da solo appoggia comodamente in rete. Sarà il suo ultimo gol in nazionale. Platini si è acceso solo a sprazzi sinora, per quanto brillanti, e lo stesso sarà per il resto dell’incontro. Le squadre vanno negli spogliatoi sull’uno a uno.

All’inizio della ripresa la Francia pare imballata e allora il Brasile ne approfitta per attaccare. Socrates impegna Bats con una punizione sulla sinistra; Muller sfonda sulla destra, il suo traversone supera il portiere ma non è raccolto da Careca. I bleus si riprendono un po’ e creano alcune occasioni interessanti, ma sono i sudamericani a fare la partita in questo secondo tempo. Dagli spalti intanto si comincia a invocare a gran voce il nome di Zico. Al ventesimo minuto una sfida fino a questo momento comunque splendida, si illumina di spettacolo allo stato puro: Tigana entra in area, si presenta da solo davanti all’estremo difensore brasiliano in uscita e gli spara addosso; immediato il ribaltamento di fronte, Junior conclude da fuori area, parata decisiva di Bats. Poco dopo Socrates apre per Josimar sulla destra, cross, gran stacco di Careca di testa, che non è un gigante, traversa! Senza un attimo di respiro.

Poi al settantunesimo entra Zico per Muller, il quale però non stava giocando male. Dopo appena due minuti, un’apertura d’esterno sontuosa dello stesso Zico lancia Branco in area avversaria, e Bats lo stende. Calcio di rigore – i brasiliani esultano come se avessero già vinto l’incontro, ma sarebbe meglio stare un po’ più calmi. Quel giorno Zico ha un ginocchio dolorante e comunque non è abituato a entrare in campo a partita in corso. Il fuoriclasse va sul dischetto, il tiro non è troppo angolato e Bats lo para. Dirà: “È il grande buco nero della mia carriera. Ancora oggi, quando le persone non sanno più che dire, mi parlano di quel rigore sbagliato6)Louis Genat, Zico, So Foot n. 108. Un suo grande ammiratore, che probabilmente lo sta seguendo in televisione, ricorderà in modo più o meno simile un altro rigore sbagliato ai Mondiali: è Roberto Baggio. La regia inquadra Platini che, passando accanto a Zico, gli fa un buffetto di consolazione.

Guadalajara, Bats para il rigore a Zico
Guadalajara, Bats para il rigore a Zico

Il Brasile paga l’errore e la Francia prova ad approfittarne, con Bossis (il suo gran tiro è parato da Carlos) e con Amoros in un paio di occasioni. Ma appena si riprende, la selecao fa faville: splendida azione centrale di Careca che dà a Zico, fantastico passaggio ancora per Careca che a questo punto è davanti a Bats, ma tocca piano, volendo piazzarla, e la palla è facile preda del portiere. Avrà sbagliato il rigore, e ovviamente tutti si ricorderanno dell’episodio, ma Zico sta spaccando la partita – e lo farà anche nel prosieguo. Socrates invece è fuori dal gioco. Però è ancora Zico a fallire nuovamente il possibile vantaggio. Josimar, scatenato, opera un traversone dalla solita fascia destra; Zico è da solo, colpisce di testa, c’è un grande intervento d’istinto di Bats… ma da lì, da quella distanza, era proprio da infilare. La Francia ringrazia e restituisce il favore subito dopo, con Rocheteau che manca la deviazione in area a porta sguarnita. Forcing finale dei brasiliani, ma invano, si va ai tempi supplementari.

Passano una manciata di minuti e Rocheteau sfonda per vie centrali, il portiere esce e respinge, la palla rotola sui piedi di Stopyra ma il suo tiro incontra le gambe di un difensore. Poi è ancora Brasile: ci provano Elzo e Zico da fuori area, e Alemao dall’area, tutti alti; Socrates colpisce di testa ma Bats, autore di una prestazione gigantesca, è attento. Dall’altra parte la palla buona viene recapita da Platini sui piedi di Stopyra, che a due passi da portiere non ferma bene la sfera e vanifica l’azione.

Mancano ormai pochi minuti alla fine dei supplementari e l’incontro letteralmente esplode. Alemao dalla destra scaglia un bellissimo tiro e Bats risponde ancor una volta alla grande. La selecao batte il corner ma la Francia recupera la palla e Platini, in mezzo al campo, apre splendidamente per Bellone (che ha sostituito Rocheteau). Solissimo, l’attaccante francese si invola verso la porta avversaria; il portiere lo tocca appena fuori dall’area, lo sbilancia, però Bellone non cade e cerca di recuperare palla. Ma a questo punto i basiliani sono in vantaggio e riprendono la sfera, mentre Platini si lancia a protestare contro l’arbitro, che fa proseguire. Ribaltamento di fronte, Careca scappa sulla destra, scarica in mezzo verso Socrates che solo, a due metri dalla linea di porta, non trova la palla. Pazzesco, bellissimo.

Tiri di rigore ad appena quattro anni dall’esaltante e tremenda serata di Siviglia, per i francesi. Inizia il Brasile, proprio con il nostro Socrates: rincorsa breve, tiro, Bats para con il braccio di richiamo. Poi Stopyra, gol. Alemao, gol; Amoros, gol, Zico – stavolta non sbaglia -, gol. Va sul dischetto Bellone: palo, il pallone sbatte sulla schiena di Carlos in tuffo, rete. Forse non sarebbe buono, ma il regolamento non è così chiaro, ad ogni modo è convalidato. Dopo Branco, che realizza, tocca a Michel Platini. Calcia la sfera, alto! Mani nei capelli, è un ecatombe, tutti i grandi in campo – Zico, Socrates, Platini – hanno sbagliato un rigore quel giorno a Guadalajara.

Di nuovo pari, è il turno di Julio Cesar, che spara incredibilmente sul palo. Fernandez ha sui piedi la palla della vittoria; testa bassa, ciondola verso il dischetto del rigore, teso come una corda di violino: il suo tiro spiazza il portiere e mette fine a uno psicodramma. È Guadalajara, e lo sarà per sempre, è il calcio.

La Francia approda in semifinale al termine di una partita meravigliosa, in grado da sola di far innamorare di questo gioco. Punta al titolo, certo, d’altra parte ha fatto fuori il Brasile, ma rischia di pagare la fatica di una sfida giocata praticamente senza soste. È una nuova terribile delusione per i brasiliani per i quali, in quegli istanti, a caldo, essere stati protagonisti di un’altra partita storica non deve significare granché. Non solo, ma da allora inizieranno a soffrire tremendamente la Francia.

23 febbraio 2019

References   [ + ]

1. The blondes came and the training went – I wasted it all: Josimar on Mexico 86, Four Four Two
2. Lorenzo Iervolino, Un giorno triste così felice, 66thand2nd, 2014
3. Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, Baldini&Castoldi, 2014
4. Iervolino, cit.
5. Stephan Regy, Louis Genot, William Pereira, Javier Prieto Santos, Lucas Duvernet-Coppola, Socrates, larme a gauche, in So Foot 80’S, Editions Solar, 2013
6. Louis Genat, Zico, So Foot n. 108