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Italia, 1990
VI. Tedeschi a caccia di rivincite

Eliminare l’Olanda dal torneo costituisce per la nazionale tedesco-occidentale una discreta rivalsa. Ma l’autentica rivincita che muove i tedeschi è un’altra, e dopo ben due finali consecutive perse, investe per forza la questione della conquista della Coppa. Dopo la seconda di queste finali, nel ’86, il processo di rinnovamento della squadra è parso d’obbligo, oltre che possibile grazie al sempre florido vivaio tedesco. L’obiettivo primario e a breve termine che pertanto la federazione tedesca si pone dopo il torneo messicano è il campionato europeo del 1988, al quale la mannschaft è qualificata d’ufficio come paese ospitante.

Il tentativo di ricostruzione e riscossa non è però così semplice. Passa attraverso un pesante quattro a uno subito per mano dell’Austria a fine ’86, e una tournée in Sudamerica nel dicembre del 1987, durante la quale i tedeschi rimediano un pareggio in extremis contro il Brasile e una sconfitta contro l’Argentina per uno a zero. Nel frattempo viene organizzata anche la prima storica amichevole tra la Germania Ovest e la rappresentativa israeliana, giocata a Tel Aviv il 25 marzo 1987 e vinta dai tedeschi per due a zero. Nel periodo esordiscono in maglia bianca alcuni giocatori che saranno futuri protagonisti nel Mondiale italiano: Illgner, Reuter, Kohler, Klinsmann e Thon, descritto all’epoca come la principale promessa del calcio tedesco, ma in seguito autore di una carriera non così all’altezza delle aspettative.

La sconfitta agli Europei è una doccia fredda per una squadra sempre di alto livello, ma che sembra incapace di tornare a vincere, una volta terminati gli anni straordinari e colmi di successi tra il 1972 e il 1980. Il girone di qualificazione mondiale è chiuso al secondo posto; però la nazionale tedesca resta imbattuta dalla semifinale europea con l’Olanda sino al febbraio del ’90, quando perde in amichevole contro la Francia. Nelle altre amichevoli pre-mondiali si registrano un pareggio con l’Uruguay e due vittorie sulle rappresentative di Cecoslovacchia e Danimarca. Con una bella e innovativa casacca firmata Adidas (bianca, con le strisce della bandiera nazionale che la attraversano in modo irregolare) ecco che la Germania Occidentale si presenta sui campi italiani per realizzare quel breve ma decisivo passo che è mancato sia a Spagna ’82, sia a Messico ’86.

L’allenatore è ancora Franz Beckenbauer, e come tecnico potrebbe ottenere quella Coppa già posto in bacheca come giocatore. Lo schema di gioco con il quale la Germania Ovest del ’90 passa alla storia, ovvero il 5-3-2, nelle mente di Kaiser Franz è meno scontato di quanto sembri e diventa fisso soltanto dalla fase a eliminazione diretta, quando inserisce fra i titolari Jurgen Kohler. Questi è uno stopper classico e fra i migliori dell’epoca, forte di testa, molto attento e grandioso nell’anticipo. Kohler ha vinto ovunque è stato, in nazionale come nei club: campionato nel Bayern Monaco; campionato e Coppa UEFA nella Juventus; due campionati e una Coppa dei Campioni nel Borussia Dortmund. Sono storici i duelli che ha imbastito con van Basten, il quale gli ha fatto, secondo le parole dello stesso difensore tedesco, “il gol della vita, una volta, una volta sola1)Maurizio Crosetti, Licia Granello, Il centravanti e lo stopper, avanti con lo show, la Repubblica, e parla proprio della mitica semifinale degli Europei ad Amburgo. Nella difesa titolare ci sono poi: Augenthaler come libero; Buchwald, altro centrale ma con licenza di avanzare e talvolta di impostare; Berthold terzino destro. L’esterno sinistro è Andreas Brehme, autore di un Mondiale sontuoso condito da tre gol e tre assist; Brehme è bravo con i rigori e con le punizioni, è abile a sganciarsi e a giocare su entrambe le fasce, per quanto il meglio di sé riesca a darlo su quella sinistra.

A centrocampo, nel ruolo di regista e trascinatore della formazione tedesca, opera il miglior giocatore dell’intero Mondiale: Lothar Matthaus. “Il miglior avversario che abbia avuto in tutta la mia carriera, credo che basti questo per definirlo”, sono le parole di Diego Armando Maradona. Tecnica, tattica e potenza si fondono assieme in un giocatore come Matthaus, efficace in tutte le fasi di gioco e in tutti i reparti; segna (chiude il torneo con quattro marcature), sforna assist, ma a fine carriera saprà destreggiarsi anche in difesa come libero. Dice di sé: “non ero un vero numero 10 come Maradona o Platini, piuttosto un numero 8 come Iniesta o Xavi”2)Maxime Marchon, Ali Farhat, “Qu’est-ce que ca veut dire, etre normal?”, intervista a Lothar Matthaus, So Foot n. 108. Esordisce nel Borussia Moenchengladbach, ma i club nei quali si trasforma in una vera bandiera sono l’Inter e il Bayern Monaco. Con i nerazzurri conquista uno scudetto e una Coppa UEFA. Nel Bayern gioca in due riprese, inframmezzate dalla parentesi italiana: nella prima tornata conquista tre titoli nazionali, nella seconda altri quattro campionati tedeschi e un’altra Coppa UEFA, prima di perdere la finale Champions del ’99. Con la mannschaft chiude nel 2000 – con un pessimo Europeo – una carriera spettacolare nella quale ha vinto tutto, condita da centocinquanta presenze, delle quali venticinque (record) in cinque fasi finali del Mondiale.

Attorno a Matthaus, nella zona mediana del campo, giocano o Bein (infortunato per la finale), o Reuter, impiegato anche in difesa, o Thon, e poi solitamente uno tra Hassler e Littbarski. In attacco, con Riedle come prima riserva, c’è una coppia molto efficace e pericolosa, in grado di realizzare nel Mondiale tre gol e un assist ciascuno. Parliamo di Rudi Voller e Jurgen Klinsmann.

Già protagonista nella Coppa di quattro anni prima, Voller è un grande attaccante capace di mettere a segno ben quarantasette reti con la sua nazionale. Nei club, milita prima nel Werder Brema, poi nella Roma e nell’Olympique Marsiglia. Con i giallorossi conquista una Coppa Italia nel ’91 e la finale di UEFA dello stesso anno, persa contro l’Inter. Guida l’attacco dell’Olympique alla conquista di una storica Coppa dei Campioni nel 1993 contro il Milan strafavorito nei pronostici. Siede anche sulla panchina tedesca tra il 2000 e il 2004: sono anni di transizione, difficili per la nazionale tedesca, ma Voller riesce a condurre la sua squadra sino alla finale mondiale del 2002, e con una selezione di non eccelso valore.

Si può dire che Klinsmann esploda in tutta la sua forza proprio durante Italia ’90. Disputerà in totale tre fasi finali del Mondiale, con undici reti nel suo personale tabellino, e altrettante fasi finali degli Europei. Veste le maglia dell’Inter, poi vive una seconda giovinezza calcistica nei tardi Novanta nelle fila di Tottenham e Bayern Monaco. Anche Klinsmann intraprende la carriera di tecnico, e anche a Klinsmann è affidata la guida della nazionale tedesca, proprio durante il Mondiale casalingo del 2006 chiuso con una sconfitta in semifinale.

Pur attraverso un modulo coperto quale è il 5-3-2, la Germania di Beckenbauer non è così difensiva come sembra, soprattutto se ragioniamo in termini di composizione della squadra, anziché di disposizione in campo. Ai cinque difensori, dei quali però almeno un paio (Buchwald e Brehme) autorizzati alla proiezione offensiva, si sommano un regista e tre, se non addirittura quattro – come in finale, a sorpresa – tra attaccanti e centrocampisti offensivi. Quasi una squadra spaccata in due, in grado di passare efficacemente da fasi in cui controlla il gioco ad altre in cui arretra in difesa, pronta a colpire in contropiede. È insomma un atteggiamento di stampo utilitaristico quello che accompagna l’indubbio talento diffuso nella squadra.

Lothar Matthaus – fifa.com

La Germania Ovest chiude in testa un girone eliminatorio molto convincente. La prima partita, impegnativa, giocata la sera del 10 giugno a Milano contro gli jugoslavi, si risolve in una spettacolare affermazione dei tedeschi. Lo splendido vantaggio alla mezzora è siglato da Matthaus che controlla spalle alla porta, si gira, salta il difensore e tira dal limite dell’area, con la palla che rimbalza davanti al portiere e va a lambire il palo; il raddoppio dopo dieci minuti nasce grazie a un cross di Brehme che Klinsmann, scappato al suo diretto avversario, infila in volo acrobatico di testa. Nel secondo tempo Jozic accorcia per la Jugoslavia, prima che Matthaus ristabilisca le distanze con una grande progressione centrale e un tiro teso all’angolino basso. Il quarto gol di Voller è frutto di una papera del portiere slavo Ivkovic, che non trattiene un tiro centrale di Brehme, poi ribattuto in rete dall’attaccante – ma prima del fischio finale Ivkovic salva a più riprese la sua squadra dall’incassare un quinto gol.

L’ampia vittoria sulla Jugoslavia mette in cassaforte il passaggio del turno. La partita successiva contro gli Emirati Arabi Uniti è una formalità, risolta con autorevolezza: Voller, Klinsmann, Mubarak per gli asiatici, poi ancora Matthaus, Bein, Voller, ed è cinque a uno. La partita contro la nazionale colombiana vede i tedeschi già qualificati per la fase a eliminazione diretta: la Germania Ovest controlla la gara e potrebbe comunque vincerla, prima di subire il pareggio dei sudamericani in fase di recupero.

È però la meritata affermazione sugli olandesi campioni d’Europa nel corso degli ottavi di finale a rappresentare un autentico lasciapassare per i sogni di gloria tedeschi. La mannschaft scopre le carte e mostra al mondo del pallone – e anche a sé stessa – di averle perfettamente in regola. Ora la Germania attende la nazionale cecoslovacca nell’incontro dei quarti di finale quale naturale favorita per l’ulteriore passaggio del turno.

La Cecoslovacchia in quanto tale è al suo ultimo passaggio ai Mondiali, poiché a breve l’indolore separazione del paese darà vita a due nuove rappresentative: la Repubblica Ceca (al giorno d’oggi spesso indicata come l’unica erede, ma impropriamente) e la Slovacchia. Storicamente i cecoslovacchi hanno rivestito un ruolo importante nelle vicende del gioco: quali rappresentanti del tradizionale calcio danubiano, hanno raggiunto la finale mondiale nel 1934; poi, come alfieri del calcio dell’Est Europa socialista, fondato su atletismo e collettivo, sono stati nuovamente vice-campioni del Mondo nel ’62, nonché campioni d’Europa nel 1976 (proprio a danno dei tedeschi occidentali). La Cecoslovacchia è un’altra nazionale che scompare in quel periodo.

Nel torneo del ’90 la selezione cecoslovacca presenta un valido e dotato reparto di centrocampo – questo sì, un elemento che troverà un corrispettivo nella competitiva Repubblica Ceca degli anni a cavallo del millennio. Nella mediana cecoslovacca troviamo: Hasek dello Sparta Praga, Kubik della Fiorentina, Chovanec del PSV Eindhoven e Moravcik, in forza al St-Etienne dalla stagione successiva. In attacco esplode proprio al Mondiale, con la sua potenza e la sua capacità realizzativa, Thomas Skuhravy (Sparta Praga, poi Genoa), il quale chiuderà il campionato con ben cinque reti all’attivo. La Cecoslovacchia supera il girone del primo turno senza troppi problemi, sconfiggendo nettamente la nazionale statunitense per cinque a uno e l’Austria per uno a zero; perde l’ultimo incontro con i padroni di casa italiani, ma ormai il passaggio agli ottavi di finale è assicurato. Qui li attende la sorpresa del torneo, la Costa Rica. I centroamericani non possono però schierare, causa infortunio, il loro elemento di spicco e assoluto protagonista nelle prime tre partite, ovvero il portiere Conejo: forse tale assenza li condiziona e li frena oltremodo. Passati in vantaggio nel corso del primo tempo con Skuhravy su colpo di testa, la sua specialità, i cecoslovacchi sono raggiunti sul risultato di parità dopo dieci minuti dall’inizio della ripresa grazie al gol di Gonzalez, sempre di testa. Poi in men di mezzora la Costa Rica incassa tre gol: Skuhravy ancora di testa, Kubik su calcio di punizione, e Skuhravy (ovviamente di testa). Quattro a uno e Cecoslovacchia ai quarti di finale.

La partita tra tedeschi occidentali e cecoslovacchi si gioca a San Siro nel pomeriggio del primo luglio 1990. La prima vera occasione da rete capita sui piedi della formazione meno quotata, cioè la Cecoslovacchia: una punizione di Bilek alzata sopra la traversa da Illgner. Ma poco dopo è la Germania che inizia a comandare, mentre i cecoslovacchi sono costretti a usare la maniere forti per arginare gli avversari, tanto da rimediare due cartellini gialli nel primo quarto d’ora di gioco. Buchwald, liberato a pochi passi dal portiere Stejskal, costringe l’estremo cecoslovacco a respingere in angolo. Il seguente tiro dalla bandierina è deviato verso la porta ancora da Buchwald: piazzato sulla linea, Hasek si sostituisce al portiere e tocca di testa, evitando così il vantaggio tedesco. Ma è solo questione di tempo. Al minuto ventiquattro Klinsmann penetra in area e Straka lo stende; Matthaus va sul dischetto e realizza. La partita adesso è completamente in discesa per tedeschi, i quali cercano di amministrare il risultato e risparmiare le forze; la sfida non è molto entusiasmante. Sono comunque gli stessi tedeschi a sfiorare il gol allo scadere del primo tempo, quando un tiro di Klinsmann è ancora una volta salvato sulla linea di testa da un giocatore cecoslovacco, nella fattispecie Hasek.

Ripresa e il copione non cambia in tutti i sensi: colpo di tesa di Buchwald, salvataggio di Bilek sulla linea di porta (per la terza volta!). Poi impegnano il portiere avversario sia Bein, sia Brehme, su calcio di punizione. A venti dal termine Moravcik reclama un rigore piuttosto inesistente, protesta con l’arbitro mimando la presunta scorrettezza con il piede, e nel farlo lancia in aria lo scarpino (ma forse non era nelle sue intenzioni). È una scena abbastanza comica, ma l’arbitro non è dello stesso avviso e sventola il secondo giallo di fronte al giocatore, mandandolo anzitempo negli spogliatoi. Moravcik esce con la scarpa in mano, come al culmine di una vera gag teatrale. Con la superiorità numerica, e considerato l’andamento dell’incontro, pare fatta per i tedeschi. A tempo scaduto però i cecoslovacchi riescono a costruire forse la loro migliore occasione in tutto l’incontro, con una conclusione dall’area di rigore indirizzata verso la porta e deviata da un difensore tedesco in angolo. Dopo aver dominato la partita pressoché da cima a fondo, il rischio di subire una rete negli istanti finali spinge Beckenbauer dalla panchina ad applaudire i suoi in modo plateale quanto ironico.

La Germania Ovest batte la Cecoslovacchia uno a zero e approda fra le prime quattro del Mondiale, un risultato che la selezione tedesca raggiunge quasi ininterrottamente dal 1966 (l’unica eccezione è rappresentata dal torneo del ’78). In un grande classico del calcio internazionale sfiderà l’Inghilterra, che invece in semifinale ai Mondiali non ci arriva proprio dal 1966.

Semifinale, contrasto tra Aughentaler e Gascogine – theguardian.com

Sono gli albori del XX secolo quando Torino fu sede di alcuni fra i primi tornei internazionali nella storia del gioco: il Torneo Internazionale Stampa Sportiva (1908) e il Sir Thomas Lipton Trophy, disputato due volte, nel 1909 e nel 1911. La sera del 4 luglio 1990, presso lo Stadio delle Alpi, Torino ospita la semifinale della Coppa del Mondo. La Germania Ovest scende in campo con: Illgner; Berthold, Kohler, Augenthaler, Buchwald, Brehme; Hassler, Matthaus, Thon; Voller, Klinsmann. Risponde l’Inghilterra con: Shilton; Parker, Walker, Wright, Butcher, Pearce; Waddle, Gascoigne, Platt, Beardsley; Lineker.

Nella formazione inglese manca Barnes e al suo posto gioca Beardsley, un giocatore dall’atteggiamento di solito più offensivo; il modulo non cambia, è un 5-4-1 che può essere interpretato anche come un 5-3-2 senza timor di errore. Fra i tedeschi, in casacca verde, ritorna fra i titolari Voller dopo aver scontato un turno di squalifica (ma uscirà per infortunio alla mezzora, sostituito da Riedle) e si assiste ai consueti cambiamenti nella fascia mediana attorno a Matthaus. Un particolare non trascurabile: l’altra semifinale si è giocata la sera prima (se ne darà conto nel prossimo paragrafo); entrambe le squadre sanno chi le aspetta in finale e soprattutto chi non le aspetta, e pertanto entrambe le squadre sanno che, una volta vinta questa partita, sarebbero con ogni probabilità favorite nella corsa al titolo. La posta in gioco, già alta, si accresce ulteriormente.

Fischio d’inizio. Durante le partite della fase a eliminazione diretta, l’atteggiamento della nazionale tedesca può essere paragonato a quello di un diesel, cioè un po’ lento a carburare, e l’approccio alla semifinale non fa eccezione. Al contrario, l’Inghilterra parte alla grande: su calcio d’angolo, Platt è anticipato sotto porta; poi c’è una splendida conclusione da fuori di Gascoigne e la risposta in volo di Illgner è altrettanto pregevole. La nazionale dei tre leoni ha in mano le redini del gioco e continua a spingere. Pearce si inserisce sulla sinistra e crossa nel cuore dell’area, dove Lineker è anticipato da Kohler a due metri dal portiere. Una punizione defilata sulla sinistra è calciata a sorpresa direttamente in porta da Gascoigne, ma Illgner è attento. La pressione costante dei britannici trova in Waddle il principale alfiere – sembra un scherzo del destino, ma proprio il nome del centrocampista sarà per sempre accostato all’infausto epilogo che attende la sua nazionale in quella serata torinese; nel corso del primo tempo Waddle sfiora anche il gol con un insolito e preciso tiro quasi da metà campo che Illgner mette sopra la traversa volando all’indietro: era gioco fermo per un precedente fallo inglese, ma entrambi i gesti tecnici sono autentici. Poi alla mezzora finalmente la Germania Ovest tenta la via del gol con un tiro da fuori area di Augenthaler alzato in angolo da Shilton.

Zero a zero dopo i primi quarantacinque minuti, interpretati decisamente meglio dall’Inghilterra che però non ha trasferito nel risultato la superiorità conquistata in termini di gioco. Tenendo in considerazione i tempi supplementari disputati nelle due precedenti partite, è probabile che l’Inghilterra avrà un calo nella ripresa, e così accade. In ogni caso, “nonostante la relativa mancanza di occasioni, l’incontro è legittimamente definito un’epica, per la qualità del gioco offensivo e difensivo, e l’intenso, teatrale dramma che racchiude in sé3)Rob Smyth, England 1 West Germany 1, The Blizzard n. 12.

Il secondo tempo si apre con un pericoloso contropiede tedesco, avviato dal recupero del pallone su corner inglese: Thon conclude dall’area di rigore, il tiro non è troppo forte e Shilton para. Ma il pendolo dell’incontro sembra essere passato dalla parte della mannschaft. Al minuto cinquantanove la Germania usufruisce di un calcio di punizione poco oltre il limite dell’area. Calcia Brehme e Parker esce dalla barriera per intercettare il pallone, che infatti lo colpisce; la sfera si impenna, e di molto, ma ricadendo supera Shilton (il quale aveva appena fatto due passi in avanti) e va a infilarsi proprio sotto la traversa. Vantaggio tedesco – per lo meno fortunoso.

La rottura dell’equilibrio nel punteggio determina dei cambi: al minuto sessantasei Reuter avvicenda Hassler, che si è fatto male, rendendo in tal modo lo schieramento tedesco più difensivo; dall’altra parte entra Steven per Butcher, e la formazione inglese torna ad assumere l’aspetto del 4-4-2, con Beardsley avanzato a tempo pieno. L’Inghilterra non ci sta a vedersi portare via la finale mondiale in questo modo. Cresce Gascoigne che inizia a controllare il centrocampo e che nel complesso sta disputando una partita magnifica. Pearce svetta in area con un gran colpo di testa, su palla proveniente da un calcio da fermo sulla sinistra, ma la conclusione termina di poco fuori. A dieci minuti dal fischio finale Parker da metà campo lancia la sfera verso Lineker, poco dentro l’area di rigore. L’attaccante è marcato, però Kohler pasticcia un po’ facendosi rimbalzare la palla addosso, e Augenthaler non interviene; Lineker è abilissimo a controllare e freddare di destro Illgner. Uno a uno. Il pareggio inglese è più che giusto e apre le porte dei tempi supplementari.

Per la prima volta una nazionale gioca l’overtime nel corso di tre partite di fila ai Mondiali, e questa nazionale è l’Inghilterra. L’intensità della partita cresce: Brehme dalla fascia, cross in mezzo per la testa di Klinsmann che, a distanza ravvicinata, impegna Shilton in una difficile risposta d’istinto. Al minuto novantanove si verifica uno dei momenti cruciali dell’incontro. Gascoigne si allunga un pallone a metà campo e per recuperarlo entra su Berthold; l’arbitro, il brasiliano Wright, lo ammonisce. Il giovane talento inglese che, come detto, stava giocando molto bene, e che in precedenza aveva mostrato ancora una volta il suo spirito goliardico mimando lo spray del deodorante sotto l’ascella alzata del direttore di gara, stavolta ha una reazione completamente diversa. “Mi alzai e mi girai verso l’arbitro. Aveva la mano nel taschino. Improvvisamente, non potevo sentire più alcunché. Al di fuori dell’uomo in nero, il mondo si era fermato. I miei occhi seguivano la sua mano, prima nel taschino, poi fuori, con il cartellino, sventolato sopra la mia testa. Guardai la folla, guardai Lineker, e non potevo fermarlo. In quel momento volevo soltanto restare da solo. Non volevo parlare, né vedere nessuno. Il mio labbro inferiore era diventato come la pala di un elicottero. Ero devastato4)Simon Burnton, World Cup stunning moments: Gazza cries as England lose at Italia 90, The Guardian. Gascoigne è diffidato e salterà l’eventuale finale, forse la sua unica occasione per giocare una finale mondiale. Lineker gli va vicino per calmarlo, poi si gira rivolto verso la panchina e fa un gesto a significare “non so quanto reggerà ancora prima di esplodere”, invitando il tecnico a tenerlo d’occhio. Piange mentre gioca e la sua tristezza commuove i tifosi. Ma in questo stato Gascoigne non calcerà i decisivi rigori e scomparirà dall’incontro; il suo comportamento, tutto ripiegato su sé stesso, sicuramente non aiuta la squadra.

L’incontro prosegue e le emozioni non mancano. È ancora Klinsmann, ora molto attivo, che riceve una preziosa palla in area, la ciabatta e nonostante ciò lambisce il palo alla sinistra di Shilton. Allo scadere del primo tempo supplementare Waddle riceve la sfera in area, sulla sinistra, e lascia partire un fendente rasoterra sul quale Illgner non arriva e… sbatte in pieno contro il palo! Al minuto centoundici un gol di Platt di testa è annullato per fuorigioco. Un tiro-cross di Steven scoccato quasi dalla linea di fondo, e diretto all’angolino alto della porta tedesca, trova Illgner attento per la deviazione in corner. Dall’altra parte Buchwald conclude verso Shilton poco oltre la lunetta dell’area di rigore: la palla rimbalza, oltrepassa il portiere e… prende il palo! (sempre lo stesso). Sul seguente calcio d’angolo Klinsmann colpisce di testa da buona posizione e manda a lato. Pari nei gol, pari nei pali, il destino di questa drammatica e apprezzabile semifinale è giocoforza affidato ai calci di rigore.

Col tempo le due nazionali svilupperanno una tradizione diametralmente opposta – e in linea con l’esito di quella notte – nelle partite decise dagli undici metri. Nel ’90, però, i tiri di rigore rappresentano un inedito per la formazione inglese, mentre i tedeschi li affrontano per la terza volta consecutiva ai Mondiali. E finora hanno sempre vinto. Inizia l’Inghilterra con Lineker, gol. Poi Brehme, il cui tiro è perfetto, rasoterra a fil di palo (un’esecuzione da tenere a mente). Segnano Beardsley, Matthaus, Platt (ma Illgner l’ha sfiorata) e Riedle. Tre a tre. Tocca a Pearce: Illgner si tuffa sulla sinistra, ma il tiro è centrale e il portiere tedesco respinge la palla con le gambe. Thon consegna il vantaggio alla Germania Ovest, benché Shilton indovini il lato della conclusione. Adesso è il turno di Chris Waddle: “Probabilmente era a circa sei pollici (15 centimetri, ndt) dal diventare uno dei migliori rigori mai visti. Purtroppo questi sei pollici lo hanno trasformato in uno dei peggiori rigori mai visti5)Smyth, cit.. La palla vola sopra la traversa e la Germania Ovest si impone con un complessivo cinque a quattro.

Dopo l’ultimo rigore, Matthaus consola Waddle, poiché è stata un partita senza dubbio combattuta ma densa di rispetto reciproco tra gli uomini in campo. La telecamera scova Robson impietrito in panchina; poi si alza, scuote la testa, qualcuno del suo staff prova a rincuorarlo ma è inconsolabile. Evidentemente ci credeva molto. Nel ct inglese, così come nei tifosi di oltremanica, resterà sempre il rammarico, seppur misto a orgoglio, di una grande occasione persa: una nazionale inglese che aveva tutte le carte in regola per tornare nuovamente sul tetto del mondo calcistico.

La Germania Ovest approda alla finale del Mondiale per la sesta volta nella sua storia calcistica, e mai come in questa occasione è da considerarsi quale favorita per il successo. Ma la prospettiva della gloria, così a portata di mano, si contrappone all’eventualità di una terza, consecutiva, tremenda e insostenibile sconfitta. E il rischio fa tremar le vene e i polsi.

1 giugno 2019

References   [ + ]

1. Maurizio Crosetti, Licia Granello, Il centravanti e lo stopper, avanti con lo show, la Repubblica
2. Maxime Marchon, Ali Farhat, “Qu’est-ce que ca veut dire, etre normal?”, intervista a Lothar Matthaus, So Foot n. 108
3. Rob Smyth, England 1 West Germany 1, The Blizzard n. 12
4. Simon Burnton, World Cup stunning moments: Gazza cries as England lose at Italia 90, The Guardian
5. Smyth, cit.