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Italia, 1990
V. Olanda, Germania, Milano

Quelli disputati in Germania Occidentale nell’estate del 1988 sono stati con ogni probabilità i migliori campionati Europei di sempre, in parte per la spettacolarità e la tensione degli incontri, ma soprattutto per il valore tecnico delle formazioni scese in campo. Tutti e quattro i posti in semifinale sono occupati da formazioni di alto livello che avrebbero potuto tranquillamente ambire al titolo. La giovane e rinnovata Italia domina il proprio girone della prima fase assieme ai padroni di casa, a scapito di spagnoli e danesi. Dall’altra parte, invece, vige maggiore equilibrio. L’Olanda è tornata prepotentemente alla ribalta internazionale, si presenta con una meravigliosa maglietta – tradizionale arancione composto da forme geometriche, con riflessi bianchi – e sulla sua panchina siede di nuovo il grande tecnico Rinus Michels. Perde però l’incontro inaugurale contro l’Unione Sovietica. Van Basten è lasciato in panchina, medita di tornare a casa ma viene convinto a restare: giocherà tute le altre partite portando così a termine un torneo fantastico, sulle orme di quanto realizzato da Platini quattro anni prima (ma i problemi nello spogliatoio olandese non rimarranno un caso isolato, in quegli anni). Dopo aver rifilato tre gol all’Inghilterra, l’Olanda riesce a qualificarsi per le semifinali solo a otto minuti dalla fine del terzo incontro del girone, giocato contro l’Eire. Gli irlandesi non passano il turno, hanno però sconfitto gli inglesi e stanno cominciando a mostrare il loro valore.

In semifinale un’Italia ancora inesperta deve lasciare strada alla fisicità dell’Unione Sovietica, che si impone per due a zero, e forse un’amichevole giocata contro i sovietici a inizio anno, vinta in modo autorevole e convincente per quattro a uno, ha influenzato negativamente la prestazione degli azzurri. Ma la partita che passa alla storia in questo Europeo è l’altra semifinale, Olanda – Germania Ovest, considerata dai più la vera finale del torneo e così definita anche da Michels durante i festeggiamenti pubblici per la vittoria svoltisi ad Amsterdam, il giorno dopo la finale. Il primo tempo è dominato dall’Olanda ma resta inchiodato sullo zero a zero; nella ripresa i tedeschi si portano vantaggio su rigore (Matthaus) e gli olandesi pareggiano, sempre su rigore (Koeman). A due minuti dal termine van Basten riceve la palla in area, anticipa il difensore in scivolata e infila il portiere tedesco, firmando così il definitivo due a uno per gli orange.

Nell’incontro che assegna il titolo, l’Olanda regola l’Unione Sovietica di Lobanovsky con un gol per tempo: Gullit nella prima frazione, van Basten nella seconda, molto bello, al volo, con una parabola impossibile che scavalca il portiere. Poi l’URSS potrebbe accorciare su calcio di rigore: calcia Belanov – l’attaccante di solito è infallibile dal dischetto – ma il tiro è parato; dirà di aver calciato troppo basso poiché tratto in inganno dalla prospettiva falsata dell’Olympiastadion di Monaco dovuta alla sua copertura obliqua. Euro ’88 si chiude con il primo importante trofeo calcistico nelle mani degli olandesi, un obiettivo solo sfiorato e sempre sfuggito in passato.

Nel 1990 l’Olanda arriva pertanto ai Mondiali, dai quali mancava da dodici anni, come campione continentale in carica. Ma non solo. Avrebbe – e l’uso del condizionale poi si capirà – tutte le carte in regola per puntare a vincere anche la Coppa del Mondo, perché la nazionale arancione è di nuovo composta in pianta stabile da una splendida generazione di calciatori, in grado di rinverdire i fasti degli anni Settanta.

Ruud Gullit è un’icona del calcio di quegli anni, con il suo fisico possente, la capacità di segnare, l’approccio estroverso dentro e fuori dal campo, e le sue caratteristiche treccine (che all’epoca vennero trasformate anche nel complemento di un cappellino, tremendo ma di successo). Attaccante, regista, mezzala – difficile dargli una collocazione precisa – inizia la carriera nel Feyenoord e poi esplode nel PSV Eindhoven, la migliore squadra olandese del periodo. Il massimo di sé lo esprime al Milan: resta negli annali una sua grandiosa prestazione durante un Milan – Napoli del gennaio ’88 che esalta gli appassionati. Dedica il Pallone d’Oro a Nelson Mandela, ancora in carcere nel Sudafrica razzista. I Mondiali del 1990 saranno gli unici che riuscirà a giocare, in quanto quattro anni dopo Gullit litiga con compagni e staff e viene escluso dalla nazionale in partenza per gli Stati Uniti.

Marco van Basten, detto il Cigno di Utrecht, è uno dei giocatori più eleganti di sempre, nonché uno dei più forti attaccanti della storia del calcio. Nello stile è paragonabile ad Alfredo Di Stefano per le capacità tecniche sublimi sia come realizzatore che come rifinitore; ma altresì emula le gesta del grande argentino nel chiudere la carriera senza aver mai lasciato il segno durante la più importante delle competizioni calcistiche, ovvero i Mondiali. Carriera che termina ufficialmente molto presto, nel 1995 a trent’anni, sebbene in realtà sia conclusa di fatto già due anni prima. Van Basten esordisce, con gol, nell’Ajax a soli diciassette anni e mezzo: siamo nell’aprile del 1982 ed è una sorta di passaggio di consegne, poiché entra in campo al posto di Cruyff. L’ultima con i lancieri è la finale di Coppa delle Coppe del 1987, vinta, assieme a tre titoli nazionali e tre Coppe d’Olanda. Gioca un Europeo da protagonista assoluto e nel grande Milan di quegli anni diventa un autentico fenomeno: conquista il campionato italiano negli anni ’88, ’92 e ’93; vince la classifica dei marcatori due volte; è campione d’Europa per club (1988/89 e 1989/90), con doppietta nella finale del 1989. In quell’edizione della Coppa segna un gol straordinario e geniale – anche se tutti ricordano principalmente quello della finale europea con la nazionale – al Real Madrid, di testa, in torsione e in tuffo, quasi dal limite dell’area: sembra un colpo di biliardo, è geometria, è fisica applicata al gioco, qualcosa di unico nel suo genere. Il tutto inframmezzato da infortuni vari e operazioni chirurgiche, in particolare alle caviglie e al menisco, che determineranno la fine prematura di una traiettoria strepitosa. Diventa quindi allenatore e siede anche sulla panchina olandese, ma senza eccessiva fortuna: nei Mondiali del 2006 è fuori agli ottavi; stessa sorte attende la sua nazionale agli Europei del 2008, tra l’altro dopo una partenza a razzo segnata da tre vittorie, due delle quali conseguite su campioni e vice-campioni del Mondo in carica (Italia, battuta 3 a 0; Francia, sconfitta 4 a 1).

Frank Rijkaard è un difensore, diventato poi centrocampista anche a vocazione offensiva, di grandi capacità e intelligenza tattiche. Nasce calcisticamente all’Ajax, poi approda al Milan e un suo gol è decisivo nella conquista della Coppa dei Campioni dell’anno mondiale, contro il Benfica. All’Ajax tornerà nella fase finale della sua carriera e riuscirà a vincere un altro titolo europeo proprio contro la sua vecchia squadra rossonera. Raggiunge anche ottimi risultati come tecnico: fallisce gli Europei del 2000, nei quali conduce gli orange in semifinale (ma i Paesi Bassi padroni di casa erano pronosticati almeno come finalisti), però con il Barcellona porta a casa due titoli spagnoli e la Champions del 2006.

Anche Ronald Koeman è un centrale difensivo in grado di destreggiarsi molto bene anche a centrocampo. Ha grandissime doti tecniche, un prodigioso tiro da lontano e sulle punizioni, ed è capace di realizzare reti come un attaccante. Nelle squadre di club Koeman è protagonista con PSV Eindhoven e Barcellona: con entrambe diventa campione d’Europa e nel 1992 proprio un suo gol, su punizione, regala la prima Coppa dei Campioni ai blaugrana sul campo di Wembley. Come i suoi compagni già citati, intraprende la carriera di allenatore e al momento siede sulla panchina degli orange.

Meritano una citazione anche il portiere van Breukelen, van Tiggelen in difesa, Wouters e Winter a centrocampo. La squadra può vantare, oltre al talento – e a differenza del passato -, un’invidiabile amalgama etnica derivante dalla provenienza dei giocatori, poiché molti di essi hanno origine nelle colonie olandesi dei Caraibi e del Sudamerica. Ma gli olandesi riusciranno a rendere storto un contesto pressoché perfetto, una situazione nella quale possono presentarsi al campionato del Mondo con la loro selezione più forte di sempre, guardando sia in avanti che indietro (o diciamo alla pari con quella del ’74, toh). I Mondiali sembrano maledetti per loro.

I malumori nella squadra iniziano a montare già nel corso delle qualificazioni per il torneo iridato, periodo in cui Michels ha già lasciato la panchina olandese e l’incarico è stato affidato al meno noto (e meno carismatico) Thijs Libregts. Poco prima del Mondiale i giocatori ne chiedono l’allontanamento e la federazione olandese provvede in tal senso nel mese di marzo del ’90. A questo punto, però, Ronald Koeman esprime pubblicamente il volere di una fetta della squadra, di fatto i più forti: consegnare la panchina dei Paesi Bassi a Johann Cruyff. La federazione invece sceglie Leo Beenhakker, e lo fa oltre tutto con colpevole ritardo soltanto il 30 maggio, per cui a pochi giorni dall’esordio mondiale. Nel corso degli anni Beenhakker ha raggiunto buoni risultati alla guida di Real Madrid e Ajax, ma è stato il tecnico della mancata qualificazione olandese ai Mondiali precedenti, e questo non gioca sicuramente a suo favore. Van Basten rilascia un’intervista in cui critica apertamente per tale scelta Rinus Michels, che ora riveste un ruolo nella federazione dopo una non esaltante esperienza come allenatore del Bayer Leverkusen. L’episodio accumula ulteriore nervosismo nell’ambiente, benché l’attaccante si scusi poco dopo per quanto dichiarato. Terminato il torneo iridato si parlerà anche di una squadra divisa in clan, perfino di dissidi tra giocatori di colore e non, ma queste indiscrezioni non hanno mai trovato una precisa conferma. Però il clima è teso, su questo non ci piove.

Beenhakker palesa anche dei dubbi evidenti nella formazione titolare che schiera durante il Mondiale: se la difesa resta immutata, dalla metà campo in su gli uomini e le posizioni cambiano in continuazione. La prima fase si chiude con tre pareggi, due dei quali subiti in rimonta – ma con l’Inghilterra rischia seriamente la sconfitta -, due gol all’attivo e un gioco che lascia abbastanza a desiderare. Contro gli egiziani, la nazionale olandese passa in vantaggio con Kieft nel secondo tempo, ma viene raggiunta su rigore a sette minuti dalla fine. L’uno a uno finale è un risultato inatteso e molto deludente. Contro l’Eire un bel gol di Gullit, su penetrazione in area, è pareggiato in modo abbastanza casuale: rilancio del portiere irlandese, sfera calciata da un olandese indietro non trattenuta da van Breukelen e ribattuta in rete di Quinn. Poi nei venti minuti finali le due squadre dimostrano di accettare il pareggio che qualifica entrambe. Irlanda e Paesi Bassi però hanno gli stessi punti e lo stesso numero di gol segnati e subiti, per cui si rende necessario un sorteggio al fine di determinare le posizioni in classifica: vincono gli irlandesi e l’Olanda, da terza, è destinata a giocare gli ottavi di finale contro la Germania Occidentale.

La rivalità fra olandesi e tedeschi in quegli anni è profondamente radicata. Si ravvisa un movente nelle vicende belliche e nell’occupazione nazista dei Paesi Bassi – e già prima, nel ’39, un’amichevole in programma tra Olanda e Germania era stata annullata dal governo olandese per timore di manifestazioni anti-naziste –, ma in realtà è possibile individuarne la causa in eventi più prossimi, meno luttuosi e di matrice puramente calcistica: la finale mondiale del 1974, e poi la semifinale europea del 1988. Tra l’altro, le due partite hanno avuto lo stesso andamento: vantaggio di una squadra e pari, entrambi su rigore, poi ribaltamento ma a parti e tempi invertiti. La vittoria nel corso dei campionati europei, a domicilio dei tedeschi, ha rappresentato una rivincita storica per gli olandesi, festeggiata con una partecipazione popolare enorme e mai vista dai tempi della liberazione. Alcuni episodi stanno lì a dimostrare con quale sentimento la stessa nazionale olandese avesse vissuto la semifinale di Amburgo: il sempre compassato Michels che uscì dagli spogliatoi per il secondo tempo e rispose agli insulti dei tifosi tedeschi con il dito medio alzato1)Simon Kuper, Calcio e potere, Isbn Edizioni, 2008; Ronald Koeman che mimò il gesto di pulirsi il fondoschiena con la maglia di Thon – tra l’altro l’unico dei giocatori tedeschi che aveva acconsentito allo scambio a fine gara, poveraccio.

Ironia del destino, Germania Ovest e Olanda si ritrovano una di fronte all’altra anche nel girone di qualificazione per i Mondiali: sono due pareggi, ma a Rotterdam la mannschaft sfiora la vittoria e subisce il pareggio di van Basten ancora una volta a pochi istanti dal termine. In quell’occasione i tifosi olandesi innalzano uno striscione che paragona Lothar Matthaus a Hitler2)Barry Glendenning, World Cup 25 stunning moments: Frank Rijkaard and Rudi Voller, The Guardian. Poi si sfideranno di nuovo durante gli Europei del ’92, girone della prima fase, e stavolta vincerà l’Olanda tre a uno.

L’ottavo di finale fra tedeschi dell’ovest e olandesi del Mondiale ’90 si gioca a Milano, in quello stadio Giuseppe Meazza e in quella città dove buona parte dei migliori giocatori delle due squadre hanno casa. Il Milan di Sacchi, detto (in modo improprio e riduttivo) il Milan degli olandesi, domina in Europa, ma è anche un faro di avanguardia nel gioco; l’Inter di Trapattoni, con i suoi tedeschi, l’anno prima si è laureata campione d’Italia e l’anno dopo vincerà la Coppa UEFA. Quindi la partita è anche una specie di derby cittadino e una vetrina di valore planetario per la metropoli lombarda; forse è l’episodio che simbolicamente chiude gli scintillanti, edonisti e un po’ vacui anni Ottanta milanesi, prima che venissero definitivamente cancellati dagli scandali di corruzione.

Sono le nove di sera del 24 giugno quando le due nazionali iniziano l’incontro con questi effettivi in campo. Germania Ovest: Illgner; Berthold, Kohler, Aughentaler, Buchwald, Brehme; Littbarski, Matthaus, Reuter; Voller, Klinsmann. Olanda: van Breukelen; van Aerle, Rijkaard, R.Koeman, van Tiggelen; van’t Schip, Wouters, Winter, Witschge; Gullit, van Basten. A conti fatti lo si può definire come l’incontro dal tasso tecnico più elevato di tutto il torneo.

A sorpresa, parte alla grande l’Olanda: Brehme anticipa un possibile tocco sotto rete di Winter, su assist di Gullit; lo stesso Winter manda alto di testa da buona posizione. Poi si assiste a un tentativo tedesco con Littbarski da fuori area, alto di non molto. La gara riceve però una scossa intorno al ventesimo minuto, un scossa inattesa e dal carattere poco agonistico. C’è un fallaccio di Rijkaard su Voller, che lo stava saltando netto sulla fascia all’altezza della trequarti olandese; l’olandese è ammonito, perde la testa e prendendo posizione per la successiva punizione, mentre passa accanto a Voller, compie un gesto abbastanza vile: sputa sui folti riccioli dell’attaccante tedesco. Voller se ne accorge, i due continuano a battibeccare – Rijkaard polemicamente gli fa un gesto con le mani a voler dire “sai solo chiacchierare” – e l’arbitro argentino Lostau allora richiama Voller e ammonisce anche lui. Voller, evidentemente contrariato, indica al direttore di gara di aver ricevuto uno sputo nei capelli. Segue il calcio di punizione tedesco: van Breukelen abbranca la palla, Voller interviene un po’ scomposto e a gioco fermo, ma senza troppa cattiveria, e tocca il portiere. Van Breukelen lo affronta a brutto muso e ovviamente Rijkaard sente la necessità di intervenire nella tenzone e pertanto si scatena un po’ di parapiglia, con Klinsmann che trattiene Voller. L’arbitro ne ha abbastanza e sbatte fuori dal campo sia Rijkaard che Voller, il quale probabilmente ancora oggi si chiede il perché di quella espulsione. Appena espulso e ancora in area di rigore, l’olandese sputa di nuovo sui riccioli di Voller; il tedesco se ne accorge ma in modo intelligente evita di proseguire nella triste faida e i due abbandonano il terreno di gioco.

Rijkaard, un giocatore solitamente tranquillo e corretto, è stato accecato da un attimo di rabbia e follia inspiegabili (forse conseguenza del contesto non sereno nella squadra) e in futuro si scuserà con Voller. Dieci contro dieci la partita diventa più divertente, soprattutto nella ripresa, ma fra le due formazioni chi ci perde di più è l’Olanda. Rijkaard avrebbe dovuto scusarsi pure con i suoi compagni; magari l’ha fatto. Nel resto del primo tempo non si registrano altri episodi di rilievo, salvo un pericoloso tentativo di Buchwald al volo da fuori area, respinto da van Breukelen.

L’avvio della ripresa è di marca tedesca. Un’efficace ripartenza sull’asse Matthaus – Klinsmann è conclusa dal primo di testa, benché non sia un gigante, ma van Breukelen si inarca e blocca la sfera. Buchwald, in gran forma e avanzato in questa fase a centrocampo per contrastare il gioco di passaggi olandese, al minuto cinquantuno scappa sulla sinistra; palla in mezzo e splendido guizzo di Klinsmann che anticipa il difensore e mette dentro. Uno a zero per la nazionale tedesca.

Subito dopo il vantaggio tedesco, l’Olanda ha una grande opportunità per pareggiare i conti: van’t Schip apre per Wouters, che entra in area prendendo in contro tempo la difesa avversaria, salta Brehme e a tu per tu con Illgner, defilato sulla destra, calcia su palo lontano. Va fuori di poco. Nel corso di un’altra azione Gullit sta per intervenire su una palla vagante in area, ma è anticipato da Brehme. Ora gli orange spingono, Gullit e Koeman stanno prendendo per mano la squadra. La Germania Ovest risponde con una conclusione di Matthaus a fil di palo. Koeman sfodera una grande apertura sulla fascia per van’t Schip, traversone nel cuore dell’area di rigore ma van Basten – sì, c’è anche van Basten in campo, ma si è impegnato molto a passare inosservato – tocca abbastanza piano e Illgner blocca.

Nel finale la pressione olandese diventa meno efficace, nonostante l’ingresso in campo di Kieft e Gillhaus abbia portato a quattro il conto degli attaccanti. La Germania, chiusa in difesa del risultato, inizia a produrre contropiedi pericolosissimi, sfruttando gli inevitabili spazi lasciati liberi dagli olandesi e aggravati dall’assenza di Rijkaard e dalle proiezioni offensive di Koeman: Brehme serve la palla a Klinsmann, gran conclusione da fuori area che coglie il palo; Riedle, subentrato al posto di un esausto e straripante Klinsmann, scatta sulla sinistra e mette in mezzo per Littbarski. Tiro e grande deviazione di van Breukelen in angolo. Ma nulla può il portiere sugli sviluppi del successivo calcio dalla bandierina: il pallone giunge a Brehme, all’altezza del vertice sinistro dell’area di rigore, e la sua gran conclusione – una parabola arcuata diretta all’angolino basso – è il gol del due a zero. Mancano cinque minuti al termine e la panchina tedesca esplode in grandi festeggiamenti – un giocatore tedesco, poi, fa ripetutamente il gesto ombrello, probabilmente verso i tifosi olandesi.

Poco dopo l’Olanda accorcia le distanze con Koeman, su calcio di rigore assegnato per un fallo di Kohler su van Basten; è stata una delle rare volte nel corso dell’incontro, se non l’unica, in cui l’attaccante è sfuggito al centrale tedesco. Nonostante sussista un’esigua possibilità di pervenire al pareggio, gli ultimi istanti di gioco vedono comunque i tedeschi all’attacco, con le pericolose conclusioni di Riedle e di Matthaus, su punizione, parate da van Breukelen, in ultima analisi probabilmente il migliore dei suoi.

La grande sfida è vinta dalla Germania Ovest per due a uno: è un’affermazione meritata, così come lo era stata la vittoria olandese di due anni prima e quella tedesca nel 1974. Per il ct tedesco Beckenbauer proprio gli olandesi hanno rappresentato l’ostacolo più duro per la mannschaft nel corso del Mondiale italiano, e se quella sera l’Olanda fosse riuscita ad avere la meglio sulla sua nazionale, ritiene che con ogni probabilità avrebbe vinto il titolo3)Franz Beckenbauer, The way of the World champion, FIFA World Cup Italia 90 – Official Report. A fine gara, sul terreno dello Stadio Meazza si assiste a uno scambio di magliette tra Klinsmann e Gullit – che poi, a differenza di Koeman, non la adopera per usi impropri – e ad un bell’abbraccio fra i due. E quindi, tedeschi e olandesi, andate in pace.

1 giugno 2019

References   [ + ]

1. Simon Kuper, Calcio e potere, Isbn Edizioni, 2008
2. Barry Glendenning, World Cup 25 stunning moments: Frank Rijkaard and Rudi Voller, The Guardian
3. Franz Beckenbauer, The way of the World champion, FIFA World Cup Italia 90 – Official Report