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Italia, 1990
IV. Argentina, ancora tu

In quello che lui stesso ha definito “il peggior momento della mia carriera sportiva”, ovvero dopo la sconfitta con il Camerun, Carlos Bilardo riceve telefonate da parte del presidente argentino in carica Menem, del suo predecessore Alfonsin e del capo dell’opposizione, tutti quanti desiderosi di fornirgli il proprio parere tecnico sul gioco della nazionale1)Simon Burnton, World Cup stunning moments: Cameroon stun Argentina in 1990, The Guardian. Il ct della seleccion ha ben chiaro quanto la situazione sia delicata – con il concreto rischio di uscire dal torneo al primo turno da campioni in carica – e pertanto apporta rilevanti modifiche all’undici titolare: fuori Fabbri, Sensini, Ruggeri, Lorenzo e Balbo, dentro Monzon, Serrizuela, Olarticoechea, Troglio e Caniggia. La squadra migliora, benché non sia ancora la formula giusta.

All’ingresso in campo per la decisiva sfida contro i sovietici al San Paolo di Napoli, la folla sugli spalti urla Diego, Diego – d’altronde sono i suoi tifosi. Maradona è protagonista con la sua parata impunita, ma l’evento decisivo per il Mondiale argentino è invece avvenuto pochi istanti prima: il portiere Pumpido si scontra con il proprio compagno Olarticoechea e riporta una frattura alla gamba. Il povero Pumpido deve lasciare campo e Mondiale, mentre il suo posto è preso dal portiere di riserva Sergio Goycoechea. Sarà una rivelazione del torneo. Con il passare dei minuti l’Argentina cresce e passa in vantaggio con Troglio, di testa, al ventisettesimo del primo tempo. Sull’uno a zero Goycoechea comincia a mettersi in mostra con due notevoli interventi che preservano il vantaggio argentino. Poi, dopo tre minuti dall’inizio della ripresa, il sovietico Bessonov è espulso per un fallo commesso su Caniggia, lanciato a rete, ed è il terzo uomo che Caniggia fa espellere in appena due partite. Il raddoppio di Burruchaga a dieci dal termine è quindi la naturale conclusione dell’incontro.

La terza partita del girone, Argentina – Romania, si risolve per intero nel secondo tempo. Hagi, scatenato sulla destra, serve il pallone a Balint in area, la cui conclusione impegna Goycoechea in un difficile intervento. Poi la seleccion passa in vantaggio con un colpo di testa di Monzon – a quanto pare gli argentini ci sanno fare con i colpi di testa. Su calcio d’angolo Goycoechea esce a vuoto, Popescu manca il bersaglio a porta sguarnita; poco dopo, però, c’è un cross di Lacatus, la deviazione di Sabau è intercettata miracolosamente dal portiere argentino, ma Balint ribadisce in rete. Uno a uno e l’Argentina passa il turno come terza, dopo aver rischiato parecchio in questo girone eliminatorio. Passa anche la Romania e sugli spalti sventolano i tricolori rumeni con il buco in mezzo, cioè senza lo stemma del regime socialista, già visti nelle strade rumene durante la rivolta del dicembre precedente.

Ad un osservatore preparato le difficoltà argentine non avrebbero recato particolare stupore, per quanto l’albiceleste fosse in Italia a difendere il titolo conquistato quattro anni prima. Nel periodo intercorso fra i due Mondiali, l’Argentina vince appena sei partite su trenta. Termina la Coppa America del 1989 tra le prime quattro ma, così come avvenuto due anni prima nell’edizione casalinga del torneo sudamericano, l’esito è poco soddisfacente: nel girone finale rimedia due sconfitte dagli arci-nemici brasiliani (padroni di casa) e uruguagi, e un pareggio con il Paraguay. Anche le amichevoli che seguono quel torneo, e che accompagnano gli argentini fino alla Coppa del Mondo, sono deludenti. La seleccion pareggia con Italia, Austria e Svizzera, perde di fronte a Messico e Scozia, racimola un’unica vittoria ai danni della nazionale israeliana.

Bilardo però trova la formula giusta nella fase a eliminazione diretta, così come era accaduto durante il Mondiale messicano. Il selezionatore dell’Argentina ha un’innata capacità di scovare la formazione e lo schema migliori a torneo in corso. È una dote importantissima per una competizione breve e intensa come è il campionato del Mondo – Mario Sconcerti definisce appunto il Mondiale “calcio concentrato2)Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai editore, 2009. Nella partita dei quarti di finale mette in campo i reduci di Messico ’86 Giusti e Olarticoechea sugli esterni della difesa a cinque, mentre i centrali sono Serrizuela e Ruggeri (altro titolare del 1986), davanti al libero Simon. A centrocampo operano Burruchaga e Calderon, oppure Troglio, coperti da Basualdo. In avanti, Maradona e Caniggia. Il 3-5-2 di quattro anni prima ha lasciato il posto a un difensivo – tendente al catenaccio – 5-3-2, lo schema più in voga nel periodo. È la formazione base, la stessa che Bilardo schiera in semifinale e che senza dubbio avrebbe messo in campo nell’ultimo atto del torneo se la seleccion non fosse stata falcidiata dalle squalifiche.

Se in Messico la nazionale argentina è stata spesso descritta (ingiustamente) come un insieme di dieci comprimari attorno a una stella, tale giudizio si potrebbe ripetere senza troppa fatica a Italia ’90. Il tasso tecnico è in calo e le prestazioni argentine si riducono spesso, ma non sempre, al puro e semplice obiettivo di non incassare reti. Lo stesso Maradona non raggiunge il livello del torneo messicano, e sarebbe stato disumano – è anche frenato da problemi fisici all’alluce destro e alla caviglia sinistra -, però resta il leader indiscusso della nazionale argentina e il principale artefice dei suoi successi. Guida e motiva la squadra, tanto in campo quanto fuori. Gioca un po’ più arretrato, non segna e trova al suo fianco in attacco un nuovo partner, il biondo Caniggia.

Chiamato il Figlio del vento perché si dice corresse i cento metri in undici secondi, Caniggia è essenzialmente un’ala – quindi l’Argentina gioca nella sua formazione base senza un vero centravanti – che non segna tantissimo. Dopo i primi anni al River, gioca per parecchio tempo in Italia (Verona, Atalanta, Roma), poi è al Benfica, torna in Argentina, e di nuovo in Europa. La sua carriera in nazionale è ottima, migliore rispetto a quanto riesce a mostrare nei club. Grande amico di Maradona, con lui forma un tandem che nel Mondiale italiano è davvero pericoloso; poi Caniggia è titolare anche nel corso del torneo del ’94, mentre nel 1998 è lasciato a casa a causa del bando di Passarella nei confronti dei giocatori capelloni. È una carriera anche burrascosa la sua: nel 1993, mentre difende i colori della Roma, è squalificato per uso di sostanze dopanti (cocaina); nel 2002 a sorpresa è di nuovo convocato in nazionale per la Coppa del Mondo, durante la quale non scende in campo ma riesce a farsi espellere dall’arbitro pur essendo in panchina.

L’Argentina nel 1990 collezionerà la bellezza di tre cartellini rossi e ventidue gialli. È un record, però è una squadra altrettanto abile a far espellere i propri avversari, tanto che gioca quattro partite su cinque, prima della semifinale, in superiorità numerica – segno che non è sempre agevole contenerla quando riparte. È una squadra tosta, pronta a chiudersi in modo ermetico e a farsi illuminare dal genio calcistico di Maradona; segna poco, cinque gol all’attivo in tutto il torneo, ma nel contempo ne incassa appena quattro. Ha i suoi punti di forza che molti invece stanno sottovalutando.

Per gli ottavi di finale, l’Argentina è attesa dalla prestigiosa e sentita sfida con il Brasile. Un anno prima la selecao ha conquistato il suo primo trofeo importante dal Mondiale del 1970, cioè la Copa America, che tra l’altro mancava in bacheca da ben quarant’anni. I brasiliani sfruttano il fattore campo in un’edizione del torneo che raccoglie i migliori interpreti delle formazioni sudamericane nel periodo. Nel girone finale, che ricorda paurosamente per i verdeoro l’andamento del Mondiale 1950, l’incontro decisivo vede il Brasile opposto all’Uruguay nel meraviglioso spettacolo di centocinquantamila tifosi assiepati sugli spalti del Maracanà. I brasiliani si aggiudicano la coppa grazie a un gol di Romario, di testa. Quel Brasile campione del Sudamerica trova la sua forza in molti elementi che saranno decisivi ai Mondiali del 1994, ma non Italia, per quanto siano comunque convocati: Romario e Bebeto in attacco, e poi Aldair, Mazinho, Taffarel, Branco, Dunga (questi ultimi tre titolari anche nel torneo del ’90). È un Brasile che il ct Lazaroni schiera in campo attraverso il diffuso 5-3-2, con il libero: decisamente più difensivo e meno fantasioso del recente passato, e la scelta verrà ampiamente criticata in patria.

È invece sconcertante, a metà strada tra il drammatico e il comico, il passaggio che garantisce ai brasiliani il diritto di giocare la fase finale di Italia ’90. L’ultimo incontro del girone di qualificazione è in programma a Rio de Janeiro il 3 settembre del 1989 tra Brasile e nazionale cilena, per la quale l’unico risultato utile è la vittoria. Robero Rojas, detto il Condor, è il portiere del Cile: è un valido interprete del ruolo, è stato protagonista di un’ottima Coppa America nel 1987, conclusa da cileni al secondo posto. Il Brasile va in vantaggio all’inizio del secondo tempo. Presa evidentemente dall’entusiasmo, Rosenery Mello do Nascimento, da lì in avanti passata alla storia come la Fogueteira, lancia dalla curva un razzo che atterra dalle parti di Rojas. Il portiere si accascia a terra, è un maschera di sangue e lascia il campo assieme al resto della squadra cilena che, in seguito all’accaduto, rifiuta di proseguire l’incontro. La nazionale brasiliana è a un passo dalla squalifica. Nelle ore seguenti però iniziano a girare delle foto dalle quali si può evincere che il razzo non ha colpito il portiere; poi le analisi mediche provano che le ferite di Rojas non sono dovute a un’esplosione. Il portiere è costretto dall’evidenza dei fatti a confessare di essersi tagliato volontariamente il sopracciglio con una lametta e di aver messo in scena una truffa.

Rojas viene radiato dal calcio a vita – sarà poi perdonato, ma a carriera ampiamente conclusa. Il Cile perde l’incontro due a zero a tavolino e viene squalificato anche dai successivi Mondiali, poiché dal comportamento dei giocatori e di altri membri dello staff tecnico è emersa la prova che fossero a conoscenza del complotto. I dubbi al riguardo però rimangono. L’episodio porta però in dote alla società cilena, oltre a un comprensibile malumore, due neologismi: condoro, dal soprannome di Rojas, a voler indicare un errore folle ed evitabile; e fare un pato yanez, cioè afferrare in modo ostentato e provocatorio i propri genitali, dal gesto che il giocatore cileno Patricio Yanez rivolge agli imbufaliti tifosi brasiliani mentre sta lasciando il campo3)Nicolas Garcia-Huidobro, The sensational plot of Roberto ‘Condor’ Roajas to eliminate Brazil from World Cup qualification, These Football Times.

La nazionale verdeoro chiude la prima fase con tre vittorie su tre, pur senza esaltare eccessivamente i tifosi. Nel primo incontro sconfigge la Svezia per due a uno con doppietta del sempre prezioso ed efficace Careca. Ma chi sono invece questi giocatori vestiti di bianconero che affrontano il Brasile nella seconda partita del girone? Si tratta della nazionale della Costa Rica, esordiente ai Mondiali e altresì una delle squadre-rivelazione del torneo.

Bora Milutinovic, allenatore jugoslavo dei costaricensi, racconterà come la sua nazionale fosse sprovvista di una seconda maglia per mancanza di fondi; da sempre tifoso del Partizan Belgrado, e inoltre con l’obiettivo di ingraziarsi il tifo del pubblico locale, riesce a farsi donare dalla Juventus uno stock di maglie che riproducono i tradizionali colori del club torinese, ovvero le strisce verticali bianco e nere. Di conseguenza una fetta degli spettatori sugli spalti dello stadio di Torino inizia a gridare Juve, Juve quando la nazionale della Costa Rica entra in campo per la partita che la vede opposta al Brasile. I centroamericani perdono, ma limitano il passivo a un solo gol grazie alla fantastica prestazione del portiere Luis Gabelo Conejo. Si avvia così una valida tradizione nel settore degli estremi difensori costaricensi che proseguirà ventiquattro anni dopo con Keylor Navas.

La Costa Rica però ha già vinto a sorpresa il primo incontro, superando uno a zero la nazionale scozzese. Si ripete con la nazionale svedese e sempre in bianconero, benché questa volta giochi a Genova: ribalta l’iniziale svantaggio con una doppietta realizzata negli ultimi quindici minuti e approda agli ottavi di finale. Nel contempo il Brasile ha eliminato la Scozia con un gol negli ultimi minuti, in un incontro che registra la prima partita di Romario in Coppa del Mondo. L’attaccante brasiliano si è però infortunato tre mesi prima e quindi non gode di una buona condizione atletica.

Domenica 24 giugno è uno di quei giorni in grado di dare un copioso appagamento agli appassionati calcistici sparsi in ogni angolo del pianeta: alle 17 si disputa a Torino Brasile – Argentina, mentre quattro ore più tardi – e a soli centoquaranta chilometri di distanza – è in programma Germania Ovest – Olanda. La sfida tra le due grandi dell’America Latina alla fine dei giochi si risolve in una partita non bella, fallosa (cinque ammoniti e un espulso, il brasiliano Ricardo Gomez, al minuto ottantacinque) ma in grado di lasciare il segno nel torneo e in generale nella storia.

Essenzialmente il Brasile attacca e l’Argentina, data da tutti per spacciata, si copre. Nel primo tempo una chance per sbloccare il risultato capita sui piedi di Careca, che su azione personale salta Simon e Monzon, ma trova sulla sua strada Goycoechea in uscita a fermargli il tiro. Ricardo Rocha manca per un niente il tocco in rete in scivolata. Dunga impatta la sfera di testa e coglie il palo. Il copione non cambia neanche nel secondo tempo e il pallino del gioco resta saldamente nelle mani dei brasiliani. Dopo pochi minuti Goycoechea – ormai sempre più decisivo – toglie da sotto la traversa una conclusione di Careca, con la palla che poi tocca il palo alla sinistra del portiere. Sul prosieguo dell’azione è sempre Goycoechea a deviare sull’incrocio dei pali un violento tiro scagliato da Alemao. L’Argentina dà segni di vita con una conclusione di Burruchaga respinta in angolo da Taffarel. Poi è ancora Careca a sfiorare il gol: colpo di testa, pallone che sorvola di poco la traversa argentina. Da lì in avanti progressivamente il Brasile si spegne e sarà scontato dirlo, ma giocando a calcio ai Mondiali, in un partita a eliminazione diretta, non è proprio il caso di sbagliare occasioni da gol a ripetizione.

Mancano dieci minuti al termine e la prospettiva dei tempi supplementari è molto concreta; per gli argentini rappresenta una traguardo tutt’altro che disprezzabile. Maradona prende palla nel cerchio di centro campo, metà campo argentina. Scatta, supera il suo marcatore diretto – e compagno di squadra nel club – Alemao, supera un altro avversario e resiste alla carica di Rocha che arriva da dietro. Ha attirato su di sé la retroguardia avversaria; mentre sta cadendo apre per Caniggia, che è libero sulla sinistra. Il biondo attaccante argentino penetra in area di rigore, salta il portiere Taffarel in uscita disperata e deposita la sfera in rete. Fantastico Maradona, freddo e preciso Caniggia – Argentina in vantaggio per uno a zero. Pochi minuti dopo Taffarel nega a Maradona la gioia del gol su calcio di punizione. Poi c’è ancora tempo per un’ennesima occasione sprecata dal Brasile, questa volta con Muller, che conclude in maniera affrettata e imprecisa, seppur in ottima solitudine e a due passi dal portiere. Ma il risultato non cambia più.

Brasil, decime que se siente / Tener en casa a tu papá / Te juro que aunque pasen los años / Nunca nos vamos a olvidar / Que el Diego te gambeteó / Que Cani te vacunó / Que estás llorando desde Italia hasta hoy. Un po’ sulle note di Bad moon rising dei Creedence Clearwater Revival, i tifosi argentini canteranno questo motivetto finanche al Mondiale brasiliano del 2014, in ricordo di una vittoria insperata quanto goduta. Il Brasile è riuscito a capitolare negli ultimi minuti di una partita che aveva dominato, almeno in termini di occasioni, e contro un nemico storico. Ha giocato una squadra sola, dichiara Lazaroni4)Iain Macleod, Ciao Brazil, hello Africa, FIFA World Cup Italia 90 – Official Report, ma non può consolare. C’è poi un episodio che colora di giallo il triste epilogo della spedizione brasiliana in Italia: Branco lamenta di aver trascorso parte dell’incontro come rintronato e inebetito, e che tale sensazione sia sorta dopo aver accettato di dissetarsi da una borraccia passatagli dallo staff avversario. Negli anni circolerà la storia – tra mezze ammissioni, non si sa quanto credibili, e decise smentite – di una bevanda allungata dagli argentini appositamente con Roipnol, un tranquillante, e offerta in campo ad arte ai nazionali brasiliani per stordirli.

Sia vero o meno, la selecao tocca il punto più basso al Mondiale dall’edizione del 1966, quando uscì nel girone eliminatorio ma in un torneo a sedici squadre. A dirla tutta, però, in quel periodo il Brasile veniva da due titoli mondiali consecutivi, e ne avrebbe vinto un terzo solo quattro anni dopo; nel ’90 invece sono dodici anni (e in prospettiva sedici) che non entra a far parte delle prime quattro al mondo. Una crisi certificata dalle prestazioni della peggior nazionale brasiliana ai Mondiali, per lo meno di tutto il dopoguerra.

Sergio Goycoechea a Italia ’90

Il quarto di finale tra Argentina e Jugoslavia è un altro decisivo crocevia di questo Mondiale. Si gioca a Firenze nel pomeriggio di sabato 30 giugno 1990; la temperatura è alta e c’è quel caldo asfissiante come solo a Firenze d’estate riesce a esserci. La città – insieme ad altri evidenti meriti – è la patria del calcio storico fiorentino, antesignano del calcio moderno ma ben più caotico e violento, molto in auge tra il Quattrocento e il Seicento; ai nostri giorni è rievocato in costume e non di rado gli incontri terminano in rissa. La più famosa partita di calcio fiorentino fu giocata il 17 febbraio 1530 in piazza Santa Croce mentre le truppe imperiali di Carlo V assediavano la città, rea di aver cacciato i Medici e di aver proclamato la Repubblica – quella Repubblica simboleggiata dal David di Michelangelo. È un episodio che ricorda le partite organizzate dai sovietici nella Leningrado assediata dai tedeschi.

Nella prima frazione di gioco si assiste, dopo pochi minuti, a una pericolosa ripartenza argentina da centrocampo, con la palla che giunge a Burruchaga in area, ma l’uscita a precipizio del portiere obbliga il marcatore decisivo di Messico ’86 a toccare il pallone alto sulla traversa. Risponde la Jugoslavia: Susic dalla destra per Jozic, libero in area, che calcia al volo ma spara alto e spreca così una ghiotta opportunità per il vantaggio. Manca Katanec fra gli slavi, gioca invece Prosinecki sin dal primo minuti, e proprio il giovane centrocampista a scattare sulla sinistra e scagliare un pericoloso tiro che lambisce il palo opposto della porta avversaria. La Jugoslavia cresce e inizia a controllare l’incontro, ma alla mezzora si verifica l’episodio che determina il corso della partita: il centrocampista jugoslavo Sabanadzovic interviene fallosamente da dietro su Maradona ed è espulso per doppia ammonizione, la prima delle quali presa circa cinque minuti prima per essere uscito dalla barriera e quindi non aver rispettato la distanza su calcio di punizione avversario. È probabile che i giocatori non siano ancora avvezzi alle nuove indicazioni della FIFA in tema di severità arbitrale.

La disparità numerica riequilibra l’incontro. La ripresa è meno combattuta, l’Argentina ci prova un po’ di più ma non riesce a produrre particolari pericoli verso la porta difesa da Ivkovic. Anzi, è la nazionale jugoslava a sfiorare seriamente il gol del vantaggio. Stojkovic penetra in area sulla sinistra facendo impazzire i difensori sudamericani; palla sotto porta per Savicevic (entrato dopo un’ora di gioco al posto di Susic) che manda alto a sfiorare traversa a poca distanza da posizione molto favorevole. Poteva essere il gol della vittoria. Il Genio prova a farsi perdonare poco dopo, quando sfiora la traversa con un tiro da fuori area.

Si va quindi ai supplementari, durante i quali entrambe le formazioni, sfibrate dal caldo, faticano a costruire azioni efficaci. Il tentativo più pericoloso è di marca argentina: tiro di Basualdo e parata del portiere; la palla giunge a Burruchaga che la infila in porta, ma il gol è annullato per tocco di mano. Gli argentini protestano, però stavolta l’infrazione non è così chiara.

Lo zero a zero dopo centoventi minuti significa che la semifinalista del Mondiale sarà decisa dal dischetto. È una serie di calci di rigore fra le più drammatiche della storia dei Mondiali, quanto a pathos è paragonabile alla semifinale fra tedeschi e francesi del 1982, oppure a Francia – Brasile del 1986. Apre l’Argentina, Serrizuela, ed è gol. Tocca allora al miglior giocatore degli slavi nel corso del torneo, Dragan Stojkovic: il tiro è fortissimo, sulla propria sinistra, e la palla va a sbattere sulla traversa in prossimità dell’incrocio. Burruchaga segna, Prosinecki segna. Siamo due a uno per la seleccion.

È il turno di Maradona, che in questo pomeriggio ha giocato una partita abbastanza anomala e tutto sommato deludente. Si avvicina al dischetto in una selva si fischi; tira male, piuttosto centrale – Ivkovic, con la maglia dello Sporting Lisbona, gli aveva già parato un rigore in coppa -, e l’estremo jugoslavo si ripete bloccando addirittura il pallone. Diego scuote la testa, poi tornando a centrocampo batte il cinque a Goycoechea, come a chiedergli di rimediare in qualche modo. Il rigore di Savicevic pareggia il conto. Agli undici metri si presenta Troglio, tira alla propria destra e prende il palo! La Jugoslavia adesso ha l’opportunità di portarsi in vantaggio.

A questo punto per la formazione balcanica si presenta al tiro Hadzibegic. L’arbitro, lo svizzero Rothlisberger, consulta il proprio taccuino e poi manda indietro il giocatore, indicando che il quarto rigorista è un altro uomo, Brnovic. In realtà toccava proprio ad Hadzibegic5)Gigi Riva, L’ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e di guerra, Sellerio, 2016. Brnovic calcia il pallone angolato ma non molto teso, Goycoechea si distende sulla destra e para. Dezotti per i biancocelesti realizza il rigore. Giunge ora il momento del rigore di Hadzibegic; probabilmente è distratto e disorientato dal malinteso precedente, così come il suo compagno Brnovic. Tira abbastanza angolato e a mezza altezza – forse anche in questo caso non molto forte – ma è d’obbligo precisare come Goycoechea sia prodigioso con il suo balzo a sinistra nel parare il tiro. Per la Jugoslavia è la fine. Dirà il ct Ivica Osim: “mi chiedo cosa sarebbe accaduto se avessimo battuto l’Argentina. Forse pecco di ottimismo, però credo che le cose nel paese sarebbero andate diversamente se avessimo giocato la finale o vinto il Mondiale. Forse non ci sarebbe stata la guerra. Ogni notte, quando mi corico a letto, non posso fare a meno di pensarci6)Alex de Llano, El penalti que resquebrajò un pais, Revista Libero n. 23.

Tre a due ai calci di rigore e albiceleste in semifinale del Mondiale. Attenzione a questa Argentina, al suo gioco di rottura e difensivo, non bello ma che in ultima analisi sta pagando. Per i prossimi avversari sarà opportuno non prendere l’impegno sotto gamba. Criticati, bistrattati, sottovalutati, gli argentini approdano fra le prime quattro del torneo dopo aver eliminato squadre di notevole peso, non prendono gol da due partite, sono abili a far espellere gli avversari e hanno trovato un portiere in stato di grazia. A quanto pare, e a partire innanzitutto dal loro intelligente allenatore e dal loro geniale numero dieci, hanno ben salda in testa la pazza idea di riportare la Coppa a Buenos Aires.

1 giugno 2019

References   [ + ]

1. Simon Burnton, World Cup stunning moments: Cameroon stun Argentina in 1990, The Guardian
2. Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai editore, 2009
3. Nicolas Garcia-Huidobro, The sensational plot of Roberto ‘Condor’ Roajas to eliminate Brazil from World Cup qualification, These Football Times
4. Iain Macleod, Ciao Brazil, hello Africa, FIFA World Cup Italia 90 – Official Report
5. Gigi Riva, L’ultimo rigore di Faruk. Una storia di calcio e di guerra, Sellerio, 2016
6. Alex de Llano, El penalti que resquebrajò un pais, Revista Libero n. 23