La prima partita del Mondiale si gioca a Milano appena terminata la cerimonia inaugurale, ed è già uno choc. Sono le sei del pomeriggio dell’otto giugno 1990, l’Argentina campione del Mondo affronta il Camerun, presunta vittima sacrificale a disposizione dei ben più titolati ed esperti rivali sudamericani. Assistono in tribuna il presidente argentino Menem, quello camerunense Biya, oltre al primo ministro e al presidente della Repubblica italiani, Andreotti e Cossiga.
Il pubblico milanese accoglie Maradona con una selva di fischi; il capitano della seleccion, dopo la scelta di campo, comincia a palleggiare in modo ostentato addirittura con una spalla, quasi a voler avvisare che sarà ancora lui il protagonista del torneo. Circa venti minuti dal fischio di inizio e lo stesso Maradona subisce un fallaccio a opera di N’Dip Akem, che lo stende con un calcio alto al braccio e il piede a martello. Il Camerun picchia duro, su esplicito invito del proprio allenatore, secondo il quale il principale cruccio delle stelle argentine sarebbe stato il rischio di farsi male proprio all’avvio del Mondiale1)Michael Yokhin, The indomitability of Lions, The Blizzard n. 13. Il primo tempo risulta equilibrato, termina zero a zero con occasioni non concretizzate da una parte e dell’altra: per gli argentini mancano la rete Balbo e Sensini, oltre a Burruchaga, su assist di Maradona, bloccato dal portiere N’Kono in uscita; il Camerun sfiora il vantaggio con Makanaky, mentre Omam-Biyik impegna Pumpido dalla distanza.
Nella ripresa l’Argentina mostra un atteggiamento più offensivo, galvanizzata a tal fine dall’ingresso in campo dell’attaccante Caniggia, davvero in forma. Proprio Caniggia, lanciato sulla trequarti avversaria da una splendida apertura di prima di Maradona, è steso da Kana-Biyik, e il camerunense rimedia l’espulsione. Per scoraggiare il gioco falloso, la FIFA ha infatti emanato esplicite direttive agli arbitri in termini di severità: alla fine del torneo i cartellini rossi saranno il doppio rispetto quattro anni prima. Pare quindi che la strada sia in discesa per i sudamericani, quando al minuto sessantasette l’incredibile diventa realtà. Punizione dalla sinistra per gli africani: Makanaky riceve in area e alza a campanile la sfera, che giunge così spiovente a Omam-Biyik. Qui è necessario un breve inciso. Pare che in Camerun, in particolare all’interno di una precisa etnia, sia molto diffuso un gioco che consiste nel colpire di testa una sorta di pallina da tennis, e che pertanto tale attività sviluppi le capacità aeree e la coordinazione in volo di chi la pratica2)Jonathan Wilson, Il portiere, Isbn Edizioni, 2013. Sarà questo il motivo per cui il camerunense compie un balzo mai visto, resta quasi sospeso in aria, e di testa indirizza verso la porta; il tiro non è né forte né angolato, ma rimbalza davanti a Pumpido il quale, rimasto probabilmente attonito nel vedere che Omam-Biyik ha annullato anche solo per un attimo la forza di gravità, non trattiene e il pallone finisce in rete.
L’Argentina in svantaggio non crea molto, se non un colpo di testa di Balbo che da buona posizione manda la sfera ampiamente fuori. Negli spazi che si aprono, il Camerun coglie un paio di contropiede appetitosi grazie ai quali potrebbe raddoppiare, con Milla (subentrato) e M’bouh, lanciato dallo stesso Milla. L’anziano attaccante camerunense appare davvero in ottima condizione. Prima del fischio finale ci sarà un’altra espulsione ai danni della formazione africana. L’arbitro sventola il rosso a Massing per un’entrata criminale ancora su Caniggia, avviato in progressione; nell’azione il camerunense perde una scarpa, Burruchaga si avvicina e gli pesta il piede scalzo, e Massing gli allunga un calcio, ma senza prenderlo.
L’incontro finisce uno a zero per gli africani. Lo stadio esulta – Maradona dirà che grazie all’avversione nei suoi confronti è riuscito a guarire gli italiani dal razzismo, in realtà all’epoca non così diffuso come purtroppo in futuro – e il mondo del calcio è piacevolmente sconvolto dall’evento. Camerun – Argentina diventa la partita inaugurale più bella e famosa di tutta la storia dei Mondiali.
I leoni indomabili (è l’appellativo della selezione) del Camerun sono protagonisti di una straordinaria avventura a Italia ’90 che imprime il proprio marchio al racconto del torneo. Ottengono un risultato sportivo mai raggiunto in precedenza da una selezione africana e che, a dispetto di quanto si poteva pronosticare dopo il loro exploit, non verrà più oltrepassato da altre africane, bensì solo eguagliato, almeno al momento in cui scrivo.
Nelle qualificazioni il Camerun elimina l’emergente Nigeria nel corso del girone, grazie alla decisiva vittoria per uno a zero ottenuta a Yaondué il 27 agosto del 1989 di fronte a centomila tifosi – già un anno prima aveva battuto la Nigeria nella finale di Coppa d’Africa. Stacca poi il biglietto per la Coppa del Mondo in forza di una doppia vittoria sulla Tunisia nel play-off decisivo. Nonostante possa considerarsi come la migliore squadra africana di tutto il decennio precedente, il Camerun porta in Italia una selezione formata essenzialmente da onesti e sconosciuti operai del pallone che militano in patria o in squadre di secondo piano del campionato francese, e questo elemento contribuisce a rendere del tutto inaspettato il successo del ’90. Come se non bastasse, pressoché sconosciuto è anche l’allenatore, il sovietico Valeri Nepomniatchi.
Detto Nipo o il Russo, perché il cognome è troppo complicato da pronunciare, Nepomniatchi accumula esperienze come tecnico quasi esclusivamente nella sua terra di origine, il Turkmenistan, non proprio il centro del calcio mondiale. Poi accetta di essere inviato da Mosca a insegnare il gioco in paesi in via di sviluppo (anche calcistico), all’interno di un programma sovietico finalizzato a stimolare la crescita sportiva di queste realtà, e ovviamente anche a rafforzare i legami di tipo politico. Nel 1988 la federazione camerunense lo contatta e a sorpresa – lui pensava a un incarico nel settore giovanile – gli affida la panchina della nazionale maggiore, rimasta all’improvviso priva del tecnico. Nipo coglie l’occasione; non parla però il francese e le sue disposizioni sono tradotte dall’autista dell’ambasciata sovietica, il quale pare sia solito “migliorare i messaggi di Nipo con le proprie idee”3)Simon Kuper, Calcio e potere, Isbn Edizioni, 2008. Resta al proprio posto nonostante una Coppa d’Africa molto deludente a inizio d’anno – d’altronde ha riportato il Camerun ai Mondiali appena otto anni dopo la prima partecipazione – e la scelta di confermarlo darà i suoi frutti.
Un altro episodio di cooperazione internazionale di matrice socialista è all’origine della fortuna camerunense nel settore dei portieri. Vladimir Beara è stato grande portiere jugoslavo negli anni Cinquanta; era definito il “ballerino con le mani d’acciaio”4)Wilson, cit.. Nel 1974 il maresciallo Tito, nell’ambito di un piano volto ad aumentare l’influenza jugoslava nel continente africano, lo invia in Camerun ad allenare i portieri locali. Beara vi rimane un anno e mezzo e il suo lavoro contribuisce alla comparsa contemporanea di due ottimi portieri, ancor oggi con ogni probabilità i migliori nel loro ruolo in tutta la storia del calcio africano: si tratta di Thomas N’Kono e Joseph-Antoine Bell.
Nonostante i loro nomi siano legati l’uno all’altro nelle cronache calcistiche in maniera ormai inscindibile, si tratta di due personaggi agli antipodi sotto vari aspetti. Bell è cittadino, educato in collegio e quindi fornito di una certa cultura; inoltre è esuberante, spigliato, ciarliero (pure troppo, si veda più avanti). Sviluppa la propria carriera in Francia e in campo ha un’impostazione moderna, tende a giocare alto e quindi ad accorciare lo spazio tra sé e la difesa. N’Kono proviene dalla campagna, è introverso se non solitario, e condivide la visione classica del portiere che difficilmente abbandona la propria area di rigore. La principale squadra in cui milita è l’Espanyol di Barcellona, con la quale raggiunge la finale di Coppa UEFA nel 1988, ma viene sconfitto dai tedeschi del Bayer Leverkusen in maniera drammatica: tre a zero all’andata per la squadra spagnola, mentre al ritorno dopo un’ora le due formazioni sono ancora sullo zero a zero; poi il Bayer segna tre gol in venti minuti e vince il trofeo ai calci di rigore.
N’Kono e Bell si alternano tra i pali della nazionale del Camerun per circa un decennio: il primo è titolare durante i Mondiali del 1982, il secondo nel corso delle Coppe d’Africa vinte dai leoni nel 1984 e nel 1988 (è invece N’Kono a difendere la porta camerunense nella Coppa del 1986, persa ai rigori in finale contro l’Egitto). Alla vigilia dei Mondiali ’90 il portiere della nazionale dovrebbe essere Bell. Costui però, poco prima dell’esordio, ha la brillante idea di rilasciare un’intervista a un giornale francese in cui critica apertamente sia l’allenatore – reo, a suo dire, della scarsa armonia tra giocatori provenienti dal campionato francese e quelli in forza a squadre camerunensi -, sia la federazione, a causa delle lacune organizzative e della scomparsa di fondi destinati ai premi partita (il Camerun porterà in Italia una delegazione formata da ben ottanta elementi). Tecnico e vertici del calcio camerunense non la prendono bene e decidono di destinare Bell alla tribuna. N’Kono, che invece si sta preparando a raggiungere la moglie sugli spalti dello Stadio Meazza perché sembra che Bell non lo volesse neanche in panchina, viene avvisato che dovrà scendere in campo appena cinque ore prima della sfida inaugurale con l’Argentina. In un primo momento si rifiuta e deve intervenire il presidente – del paese, non della federazione – per fargli cambiare idea5)Ibidem. Disputerà un ottimo torneo, tanto che le sue gesta nel Mondiale italiano, ammirate in televisione, convinceranno un ragazzino di nome Gianluigi Buffon a giocare come portiere, e a dedicare in suo onore il nome del proprio figlio. E poi nel Camerun c’è un certo Roger Milla…
La seconda partita del girone di qualificazione vede il Camerun in campo allo stadio di Bari, opposto alla Romania. La nazionale romena torna ai Mondiali dopo vent’anni, e lo fa pochi mesi dopo i sanguinosi tumulti e la rivolta che in patria hanno abbattuto la dittatura di Ceausescu. Dal punto di vista calcistico, però, i romeni stanno iniziando a mostrare tutto il loro valore: nella prima partita hanno sconfitto l’URSS per due a zero con doppietta di Lacatus; c’è una nuova generazione di giocatori pronta alla ribalta, che cresce attorno al talento di Hagi e quattro anni prima, poi, la Steaua Bucarest ha vinto a sorpresa la Coppa dei Campioni (e nel 1989 ha raggiunto la finale). Nella vicenda che conduce il club romeno al titolo europeo del 1986, si inserisce la storia di un altro portiere – e non sarà l’ultima, in questo Mondiale. Helmuth Duckadam è capace di parare quattro rigori su quattro ai giocatori del Barcellona nel corso dei penalties che hanno deciso l’incontro. Duckadam però in Italia nel ’90 non c’è, anzi, ha da tempo abbandonato l’attività agonistica. Per anni circolerà la leggenda di una vendetta del regime romeno nei confronti di un uomo che era diventato troppo famoso – in effetti, in patria era a tutti gli effetti una sorta di eroe nazionale; in realtà, la carriera di Duckadam è prematuramente terminata a causa di un problema di carattere fisico, un grumo di sangue spostatosi nel braccio che lo ha portato molto vicino all’amputazione.
Nella sfida tra romeni e camerunensi, i primi disputano un buon primo tempo e in un paio di occasioni, una delle quali è una punizione di Hagi, N’Kono è prodigioso nel salvare il risultato. Nella ripresa gli africani crescono e sfiorano il gol con Makanaky, chiuso in uscita dal portiere romeno. È il minuto sessantuno quando Nepomniatchi mette in campo Milla, che è quindi partito dalla panchina come nella gara di esordio e come accadrà in tutte le sfide del torneo. Roger Milla è un attaccante molto famoso e quotato in patria: ha vinto un Pallone d’Oro africano già a metà degli anni Settanta ed è stato protagonista di una carriera di tutto in rilievo nel campionato francese, tra Valenciennes, Monaco, Bastia, St-Etienne e Montpellier (con pregevoli risultati soprattutto nelle ultime tre squadre). Ha giocato in Coppa del Mondo nel 1982, già con trent’anni di età, e senza dubbio all’epoca considerava quel passaggio come irripetibile. Nel 1988 conquista il titolo africano con la maglia della sua nazionale e, convinto di essere ai titoli di coda del suo percorso come professionista, va a giocare in un club dell’isola di Reunion, nell’Oceano Indiano. La selezione camerunense però lo richiama per i Mondiali del 1990. In dubbio se accettare o meno, viene convinto dal presidente Biya – a quanto pare piuttosto impegnato nelle conversazioni con calciatori -, ma racconta di subire l’ostilità dei compagni di squadra a causa delle trentotto primavere che si porta sul groppone6)Joan Valls, “Nacì demasiado pronto”, intervista a Roger Milla, Panenka n. 65. Non può immaginare come l’esperienza italiana sarà il vertice della sua carriera e lo renderà immortale; non può inoltre sapere che parteciperà anche ai Mondiali americani del 1994, segnando pure una rete, a quarantadue anni!
Un quarto d’ora dopo l’ingresso in campo contro i romeni, su rinvio lungo, Milla approfitta dell’esitazione di un difensore avversario che in maniera improvvida fa rimbalzare la sfera: il camerunense lo anticipa di testa e poi solo davanti al portiere mette in rete. La sua esultanza è un balletto al ritmo di makossa, una musica molto popolare in Camerun. Dopo altri dieci minuti, e un’opportunità di pareggiare non sfruttata da Lacatus, Milla entra in area sulla destra, salta un uomo e fulmina il portiere. Raddoppio di Milla e del Camerun – poi finirà due a uno con il gol romeno di Balint. Due vittorie su due partite nel girone, la qualificazione agli ottavi, l’esplosione di Milla – la favola del Camerun sta prendendo contorni sempre più nitidi e affascinanti.
L’ottavo di finale del Camerun è in programma alle cinque del 23 giugno 1990, Stadio San Paolo di Napoli, e segue la sconfitta ininfluente patita contro l’URSS. Di fronte trova la nazionale colombiana, che come la Romania è un’altra emergente del calcio mondiale. Si fonda sul blocco dell’Atletico Nacional di Medellin, campione del Sudamerica un anno prima, e sull’estro di Valderrama, con la sua caratteristica cascata di capelli biondi. Sulla panchina colombiana siede Maturana. La Colombia ha disputato la fase finale dei Mondiali solo un’altra volta e senza superare la fase a gironi. Anche in questo occasione è andata vicina a riprendere la via di casa dopo sole tre partite: nell’ultima sfida del girone, contro la Germania Ovest, va sotto ad appena due minuti dal termine (gol di Littbarski). Poi nel recupero una bella azione corale mette Rincon solo davanti a Illgner, il colombiano infila il portiere tedesco sotto le gambe e regala ai cafeteros il passaggio del turno.
I tempi regolamentari tra camerunensi e colombiani si chiudono sullo zero a zero. Volendo attribuire a una delle contendenti la prevalenza ai punti come nella boxe, si può dire che la prima frazione sia vinta nettamente dai sudamericani: Estrada ha una grande occasione, ma di fatto appoggia la sfera a N’Kono; lo stesso Estrada è steso in area di rigore senza che l’arbitro intervenga; Rincon timbra l’incrocio dei pali con un tiro da fuori, mentre per il Camerun Makanaky calcia alto da buona posizione, dopo una grande discesa sulla destra di Omam-Biyik. La ripresa, meno movimentata, è invece del Camerun, con la grande occasione capitata sui piedi di Omam-Biyik ma calciata fuori a pochi passi dalla porta.
Appena inizia il secondo tempo supplementare si assiste a una grande azione di Milla, che salta un paio di avversari e si presenta al cospetto del portiere colombiano Higuita. Tiro secco e vantaggio Camerun. Ricorda il gol alla Romania, ma in generale la potenza atletica di Milla, coniugata alla tecnica, richiamano da vicino alla memoria il Kempes del 1978.
Passano tre minuti e Higuita, altissimo oltre la trequarti, passa la sfera al compagno Perea, che gli restituisce una palla non semplice. Higuita è un portiere di sicuro valore – in forza all’Atletico Nacional -, non molto alto e capace anche di realizzare gol; ma spesso viene denigrato come un guascone, un irresponsabile, in virtù di un atteggiamento anticonformista, e viene ricordato soprattutto per un’eccentrica parata realizzata con le suole delle scarpe dietro la testa (il colpo dello scorpione). Il portiere colombiano abbozza quindi uno stop, ma la sfera gli rimane dietro, e poi peggiora ancor di più la situazione provando un dribbling sull’accorrente Milla. L’attaccante africano ruba la palla e tutto solo va a segnare il pesantissimo due a zero. Higuita verrà incolpato per l’eliminazione; giova però ricordare che la posizione molto alta in campo in fase di avvio dell’azione, una sorta di libero aggiunto, era funzionale al gioco di quella squadra, ma come tale accresceva la percentuale di rischio proprio in capo al portiere.
Al decimo minuto la Colombia accorcia con un’azione di pregio – ogni tanto la nazionale sudamericana si illuminava e nel contempo spesso cadeva nel buio – ma non serve: il Camerun chiude l’incontro imponendosi per due a uno. Grazie alla nuova doppietta di Milla i camerunensi, in delirio, approdano ai quarti di finale del Mondiale. Qui incontreranno l’Inghilterra in una sfida dal sapore particolare: la storia del calcio contrapposta a coloro che paiono incarnarne – o almeno quella era l’impressione del momento – il futuro.

La nazionale dei tre leoni prova a capitalizzare nel 1990 il buon momento storico che attraversa, evidenziato (almeno in parte) nelle due precedenti edizioni della Coppa. Guida i bianchi ancora una volta Bobby Robson, un allenatore che nel corso della sua carriera ha gestito molte formazioni, ha vinto a livello internazionale – una Coppa UEFA con l’Ipswich Town nel 1981 e una Coppa delle Coppe con il Barcellona nel 1997 – ma ha legato il suo nome soprattutto alle sorti della nazionale come soltanto, prima di lui, Alf Ramsey era riuscito a fare. Gli otto anni sulla panchina inglese si chiuderanno proprio con il Mondiale del ’90.
A partire dalla seconda partita del torneo, Robson schiera a sorpresa l’Inghilterra con un 5-4-1 che prevede libero, ali che spingono e un unico terminale offensivo. Funziona e Robson mantiene lo schema sino alla fine. A difesa dei pali c’è Peter Shilton, un veterano e uno dei migliori portieri inglesi di sempre: ha quasi quarantun’anni ed è al suo ultimo palcoscenico internazionale. Nella sua storica carriera ha giocato 1005 gare in campionato, 1390 nel complesso, ha segnato una rete su calcio di rinvio e appenderà i guanti al chiodo a quarantotto anni. Il reparto arretrato è formato da: Wright (libero), Butcher e Walker (centrali), Parker (terzino destro) e Pearce (terzino sinistro), detto Psycho per la foga e la durezza talvolta insensata dei suoi interventi. Nel ruolo di centravanti troviamo Lineker, capocannoniere in Messico nel 1986, una garanzia. Sulla linea mediana operano Waddle e Barnes (o Beardsley) quali esterni, mentre il centrale titolare sarebbe Bryan Robson, che lascia però il campo nella partita contro l’Olanda per infortunio, terminando così in anticipo il proprio torneo per la terza volta di fila ai Mondiali. A partire dai quarti di finale il suo posto verrà occupato dal giovane David Platt.
Ma l’autentica novità della nazionale inglese consiste nella scoperta di un promettente numero dieci, una figura che inseguivano da tempo, probabilmente dall’epoca Bobby Charlton – benché molto diverso dal campione del Mondo del ’66. Si tratta di Paul Gascoigne. È un talento vero, un funambolo, un personaggio irriverente e mattoide capace di far parlare di sé anche, se non in modo più ampio, al di fuori del rettangolo di gioco. Mostra sé stesso come un impenitente e gaudente dissacratore, ma in ultima analisi la sua è una storia triste, ed è altresì una parabola che in qualche misura ricorda quella di George Best. Il Gascoigne bambino è povero, figlio di un padre violento e alcolizzato, traumatizzato dall’aver assistito alla morte del fratellino di un amichetto, travolto da un camion dei gelati. È un ragazzino disturbato che trova l’unico rifugio nel calcio. Il suo soprannome è Gazza, sia per l’assonanza con il cognome, sia perché gioca nei magpies, le gazze, ovvero il Newcastle United. Passa poi al Tottenham Hotspur, dove i tifosi adoranti gli cantano “he’s fat, he’s round, he bounces on the ground”, perché la ricerca del peso-forma non è e non sarà mai una sua priorità. Con il Tottenham vince la FA Cup del ’91 e nell’occasione si procura uno dei pesanti infortuni che ne mineranno la carriera. Passa alla Lazio, dove è amato ma di fatto delude. Durante il suo soggiorno italiano si frattura una rotula cadendo in discoteca durante una rissa, e patisce un altro duro infortunio in allenamento per uno scontro con il giovane Nesta. Si sprecano gli aneddoti sui suoi scherzi, le buffonate, le bevute e le nottate passate a far bagordi. Ma passa anche alla storia il suo sconforto durante la semifinale del Mondiale: dirà che Italia ’90 è miglior ricordo della sua carriera7)Marc Hervez, Simon Capelli Welter, Intervista a Paul Gascoigne, So Foot n. 126 e in effetti disputa un torneo fantastico.
Dopo aver lasciato la Lazio, Gazza torna in Gran Bretagna, prima in Scozia e poi in Inghilterra. Gioca in nazionale anche nel corso degli Europei casalinghi del 1996, dove per un niente in semifinale contro i tedeschi, nel corso dei supplementari, manca il gol che avrebbe portato la sua nazionale a giocarsi il titolo. In Scozia è ingaggiato dai Rangers di Glasgow, squadra per tradizione protestante e contrapposta ai cattolici del Celtic. La rivalità è tale che il supporto alle due formazioni negli anni è stato adottato anche dalle due fazioni – protestante e cattolica – in guerra tra di loro nell’Irlanda del Nord. Gascoigne è di famiglia cattolica, ma essendo in ultima analisi nient’altro che un meraviglioso cazzone, nel corso di una sfida con il Celtic provoca i tifosi avversari fingendo di suonare il flauto, ovvero il tipico atteggiamento che gli estremisti protestanti nordirlandesi tengono nello loro marce. Si scatena ovviamente un putiferio e Gazza riceve parecchie minacce. Una volta abbandonato il calcio, la storia di Gascoigne diventa un continuo entrare e uscire dalle cliniche di cura e dalle pagine di cronaca.
La nazionale inglese è reduce da un Europeo di due anni prima parecchio deludente e condito da tre sconfitte su tre. Nel girone di qualificazione mondiale elimina una Polonia in declino e ottiene il visto per la fase finale della Coppa assieme alla Svezia. Non è male il percorso dei bianchi prima di atterrare al Mondiale: pari con l’Italia, vittorie su Jugoslavia, Brasile, Cecoslovacchia e Danimarca. Il buon umore viene inclinato quando, a ridosso del torneo iridato, l’Inghilterra perde in casa contro l’Uruguay e pareggia con la Tunisia. Ma Bryan Robson è ottimista (e preveggente), tanto da dichiarare al Times: “Nei miei dieci anni di nazionale, questa squadra è la migliore, e il solo modo per provarlo è superare i quarti di finale”. È l’otto giugno e mancano tre giorni all’esordio.
Il girone che aspetta l’Inghilterra è ostico e stimola le aspettative, soprattutto per la presenza della nazionale olandese. Si risolverà invece nel girone dei pareggi e delle scarse emozioni – ma sicuramente lo spettacolo non è agevolato dalla formula del torneo. Eire – Egitto sarà un inno alla noia e ai retropassaggi, emblema di un malessere che cova nel gioco, tanto che il tecnico degli irlandesi Jack Charlton (fratello di Bobby e anch’egli campione nel 1966) commenterà al riguardo: “Quale incontro? Non penso che abbiamo giocato un incontro di calcio oggi”8)Terry Crouch, James Corbett, The World Cup: the complete history, deCoubertin Books, 2014.
Il derby tra inglesi e irlandesi apre il girone e si conclude sull’uno a uno: in vantaggio con Lineker nel primo tempo, bravo a prendere il tempo in velocità ai difensori irlandesi, l’Inghilterra è raggiunta sul pari da Sheedy nella ripresa con bel diagonale rasoterra.
Il secondo incontro è la tanto attesa – e temuta sotto il profilo dell’ordine pubblico – sfida tra Inghilterra e Olanda, in programma al Sant’Elia di Cagliari la sera del 16 giugno. È uno zero a zero tutto sommato combattuto. Il primo tempo risulta equilibrato, entrambe le compagini spingono ma non creano particolari pericoli alla porta avversaria. L’Olanda controlla di più il gioco, l’Inghilterra opera di rimessa. Ma nella ripresa gli inglesi salgono in cattedra. C’è una grossa occasione per Lineker, imbeccato da Parker sulla fascia: l’estremo olandese van Breukelen respinge, Lineker infila in rete ma il gol è annullato per controllo con la mano. Si assiste poi a un pregevole scambio Lineker, Barnes, Lineker in area di rigore, ma da buona posizione l’attaccante spara alto. Gascoigne si produce in un’efficace azione sulla fascia destra, salta due uomini e mette in mezzo, e Lineker non ci arriva per un soffio. Quando all’ultimo minuto una punizione di Pearce termina in rete, gli inglesi pregustano il colpaccio, ma l’arbitro annulla per fuorigioco passivo. Ad ogni modo la partita con l’Olanda, e quella con i tedeschi, rappresentano la migliori prestazioni dei bianchi d’Inghilterra al Mondiale italiano, e paradossalmente non hanno vinto nessuna delle due. Ma dopo l’incontro con gli olandesi, la nazionale inglese prende consapevolezza della propria forza.
Dopo il big-match, l’Inghilterra è attesa dall’Egitto, una nazionale tornata ai Mondiali a cinquantasei anni di distanza dall’ultima presenza e in un modo abbastanza turbolento. Il play-off decisivo vede gli egiziani opposti all’Algeria neo-campione d’Africa, e fra le due squadre non corre buon sangue. All’andata in Algeria finisce zero a zero. Per la partita di ritorno lo stadio del Cairo è gremito da centoventicinque mila persone e una notevole presenza di militari in uniforme. Ci sono scontri fra le tifoserie. Ricorda Younis, giocatore egiziano in campo all’andata e infortunato al ritorno: “C’era un’atmosfera incredibile, lo stadio era pieno già cinque ore prima dell’incontro. La squadra algerina era piena di stelle ma sul campo fu pazzesco: undici scontri, un giocatore contro l’altro. Tutti dimenticarono le indicazioni dei tecnici e pensarono solo a combattere. Fu una battaglia, non una partita di calcio. Fu come la nostra guerra contro Israele nel 1973”9)James Montague, Egypt against Algeria revives some bitter memories, WorldSoccer. L’Egitto si impone per uno a zero grazie al gol di Hossam Hassam; gli algerini, inviperiti, assaltano l’arbitro e devastano l’area vip dello stadio. Belloumi tira una bottiglia verso il medico della squadra egiziana, che a causa del colpo perderà un occhio: il giocatore algerino, che si è però dichiarato innocente incolpando dell’incidente il portiere Kadri, sarà processato e condannato in contumacia da una corte egiziana.
La guerra calcistica tra egiziani e algerini vivrà una ripresa esattamente venti anni dopo. In Italia però l’Egitto lascia il Mondiale subito dopo il girone, sconfitto uno a zero dall’Inghilterra (gol di testa di Wright, su punizione di Gascoigne), in una partita giocata di fronte a un muro di marinai egiziani vestiti di bianco assiepati sugli spalti. La vittoria inglese, l’unica del girone, rompe l’equilibrio e garantisce ai britannici il primo posto, con la prospettiva di sfidare negli ottavi di finale il Belgio.
Affrontare i belgi in quegli anni, con la loro difesa arcigna e il loro gioco di rimessa, è sempre una brutta gatta da pelare. La formazione semifinalista in Messico quattro anni prima ha chiuso il girone eliminatorio al secondo posto: convincenti vittorie su Corea del Sud (due zero, primo gol gran pallonetto da fuori di De Gryse, raddoppio gran tiro da fuori di De Wolf) e Uruguay (tre a uno), poi sconfitta contro la Spagna. Il Belgio schiera nuovamente un ottimo portiere, Michel Preud’homme del Malines, degno erede di Pfaff. Il Malines è la sorpresa del calcio europeo di fine anni Ottanta: la squadra dell’omonima cittadina di provincia, l’ultima volta campione nazionale nel ’48 durante il periodo dilettantistico, conquista la Coppa delle Coppe del 1988 e il campionato belga dell’anno successivo. Nel 1990 il Malines affronta il Milan nei quarti di finale di Coppa dei Campioni e viene eliminato, perdendo due a zero ai supplementari il ritorno a San Siro, ma Preud’homme sfodera una prestazione maestosa. Il resto dei giocatori a disposizione di mister Thys inizia però a mostrare una certa usura: ci sono i datati ed esperti Gerets e Ceulemans, al terzo Mondiale di fila; c’è Scifo, già in fase calante.
Qualche tafferuglio fra i tifosi sugli spalti dello Stadio Dall’Ara di Bologna precede il fischio di inizio, subito sedati dall’intervento delle forze dell’ordine che si interpongono fra gli schieramenti. Nei tempi regolamentari il Belgio sfiora il gol cogliendo due pali, uno per tempo: Ceulemans nel primo, Degryse nel secondo; gli inglesi hanno la palla buona con Lineker, ma è bloccato da Preud’homme in uscita. Al minuto settantatré entra in campo Platt (in sostituzione di McMahon), che sfiora il gol nei supplementari, durante i quali l’Inghilterra preme con maggiore decisione. A un minuto dai calci di rigore, con il punteggio ancora sullo zero a zero, un’azione di Gascoigne in progressione costringe Gerets a commettere fallo sulla propria trequarti. Lo stesso Gascoigne batte la punizione. Calcia morbido e profondo in area, van der Elst – forse perché è un centrocampista e non un difensore – si perde Platt, che mostra una splendida girata e batte Preud’homme. Il balletto di Robson in panchina, un po’ ridicolo ma di autentica gioia, celebra il passaggio del turno.

Siamo dunque giunti alla partita decisiva per il passaggio in semifinale fra le rappresentative di Inghilterra e Camerun. Si gioca a Napoli il primo luglio 1990, nove della sera. Inglesi in campo con: Shilton; Parker, Walker, Wright, Butcher, Pearce; Waddle, Gascoigne, Platt, Barnes; Lineker. Nel Camerun sono squalificati Onana e N’Dip in difesa, oltre a Kana-Biyik a centrocampo, e quindi giocano: N’Kono; Tataw, Kundé, Massing, Ebwellé; Libiih, Maboang, Pagal, Mfédé; Omam-Biyik, Makanaky. Arbitra il messicano Codesal. Sarà l’incontro più divertente di tutto il torneo.
Nel primo tempo il Camerun sfiora il gol con un grande contrattacco: Mfédé apre verso il lato opposto, geniale velo di Pagal, ma in uscita Shilton si oppone a Oman-Biyik ormai completamente solo, poi Mfédé dalla lunga distanza spara non lontano dal palo della porta inglese. Shilton scuote la testa – gli africani fanno sul serio. Al venticinquesimo però è l’Inghilterra a passare in vantaggio, e nel tipico stile britannico: cross di Pearce dalla sinistra, colpo di testa di Platt (altra rivelazione del torneo) e rete. Il Camerun sfiora il pareggio quando Mfédé, scatenato, mette la sfera in mezzo all’area e Libiih impatta di testa da buona posizione, indirizzando alto.
Le squadre tornano per il secondo tempo e scende in campo l’uomo più atteso, Roger Milla. Dopo quindici minuti proprio Milla è lanciato in area di rigore. Gascoigne lo stende, l’arbitro fischia la massima punizione e Kundé realizza. Il pareggio galvanizza i camerunensi, che iniziano a strabiliare gli spettatori: contropiede di Omam-Biyik, tiro di Makanaky, deviato, alto; poi Milla avanza per vie centrali, apre per Ekeke (entrato al minuto sessantatré) che infila il gol del due a uno. È il clamoroso vantaggio africano: Milla sta spaccando un’altra partita e il Camerun è a un passo dalla semifinale mondiale.
L’Inghilterra prova a scuotersi e poco dopo Platt, imbeccato da Gascoigne, sfiora il pari lambendo il palo alla sinistra di N’Kono. Ma è il Camerun che butta alle ortiche l’incontro, stando alle parole del suo allenatore (“l’errore dei miei uomini è stato quello di continuare a spingere”10)Yokhin, cit.). Omam-Biyik, ancora su passaggio di Milla, è in area e tenta di segnare con un’improbabile colpo di tacco. Gli africani esagerano. A sette dal termine Lineker è steso in area, va sul dischetto e pareggia. Nei pochi minuti che mancano la partita rimane tesa e vibrante: Lineker per poco non aggancia in area, da solo, a poca distanza dal portiere; Shilton salva su staffilata da fuori area di Omam-Biyik.
Il primo tempo supplementare vede ancora il Camerun gran protagonista dell’incontro: Steven anticipa sotto porta Ekeke, poi Omam-Biyik di testa, da buona posizione, non riesce a dare forza e Shilton blocca il pallone; di nuovo ci prova Omam-Biyik da fuori area e sfiora l’angolino. Ma il Camerun, proteso in attacco, colpevolmente si distrae. Gascoigne al centro trova Lineker, lasciato solo – è un erroraccio della difesa degli africani; Lineker si invola verso la porta, tenta di scartare N’Kono e viene steso. Altro rigore. N’Kono è furibondo, prende un giallo e urla di tutto all’arbitro, ma il rigore c’è. Lineker segna il tre a due.
Nel secondo supplementare il Camerun non ne ha più. Si assiste invece a un’ulteriore splendida azione di Gascoigne, in condizione strepitosa: palla a Lineker, il quale lambisce il palo con un rasoterra. Lineker è di nuovo il protagonista del Mondiale inglese, come quattro anni prima. Fischio finale, i giocatori si abbracciano e si scambiano le maglie, probabilmente tutti quanti sono felici e appagati. I camerunensi sconfitti vanno sotto gli spalti a ringraziare pubblico che li ha sostenuti a gran voce.
I leoni d’Inghilterra sono in semifinale nel campionato del Mondo ed è il massimo risultato ottenuto da molti anni a questa parte. Italia ’90 resterà nella memoria dei tifosi inglesi quale simbolo di un nuovo inizio per il calcio britannico, dopo gli anni bui dell’Heysel, di Hillsbourough e del bando dalle coppe europee. Da lì prenderà il via un’autentica rinascita, della quale però trarranno giovamento più le squadre di club che la nazionale.
Il Camerun ritorna trionfante in patria, dove viene proclamata una festa nazionale con celebrazioni che durano due giorni interi11)Simon Burnton, World Cup stunning moments: Cameroon stun Argentina in 1990, The Guardian. La squadra africana ha segnato una pagina di storia del calcio e Italia ’90 sarà per sempre il Mondiale dei leoni indomabili.
1 giugno 2019
References
1. | ↑ | Michael Yokhin, The indomitability of Lions, The Blizzard n. 13 |
2. | ↑ | Jonathan Wilson, Il portiere, Isbn Edizioni, 2013 |
3. | ↑ | Simon Kuper, Calcio e potere, Isbn Edizioni, 2008 |
4. | ↑ | Wilson, cit. |
5. | ↑ | Ibidem |
6. | ↑ | Joan Valls, “Nacì demasiado pronto”, intervista a Roger Milla, Panenka n. 65 |
7. | ↑ | Marc Hervez, Simon Capelli Welter, Intervista a Paul Gascoigne, So Foot n. 126 |
8. | ↑ | Terry Crouch, James Corbett, The World Cup: the complete history, deCoubertin Books, 2014 |
9. | ↑ | James Montague, Egypt against Algeria revives some bitter memories, WorldSoccer |
10. | ↑ | Yokhin, cit. |
11. | ↑ | Simon Burnton, World Cup stunning moments: Cameroon stun Argentina in 1990, The Guardian |