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Italia, 1990
I. Il gioco più bello, nel paese più bello

L’Italia degli anni Settanta era un luogo a tratti spaventoso e a tratti esaltante, nel quale vaste masse di persone, con alla testa operai e studenti, lottavano quotidianamente e conquistavano diritti, dove i rapporti personali diventavano più liberi, si tentava di diffondere la cultura su di una base popolare e nel contempo lungo le strade si scatenava la violenza politica. L’Italia degli anni Ottanta era diversa, ma altrettanto spaventosa ed esaltante: la criminalità organizzata marchiava a sangue il sud del paese attraverso una sorta di guerra civile che avrebbe lasciato sul terreno diecimila morti (Enrico Deaglio, Il raccolto rosso) – ma c’era chi eroicamente riusciva a opporsi, e non erano pochi; il Time dedicava una copertina alla vivacità e all’intraprendenza di Milano; ogni obiettivo di crescita economica sembrava a portata di mano anche grazie a una spesa pubblica che, per i governi dell’epoca, pareva non aver limiti. In ogni caso, era una terra in cui poteva sembrare interessante e persino divertente vivere, perché provava a tirarsi fuori da quel buio contadino, bigotto e fascista che da tempo l’aveva inghiottita. Poi, lentamente ma inesorabilmente, senza concedere appiglio a qualsiasi forma di resistenza, in questo paese ha vinto la provincia con il suo istinto piccolo borghese – che era sempre stato presente, seppur latente, inerme, solo all’apparenza sconfitto dalla modernità –, e viverci è diventato meno interessante, almeno per quanto concerne un concetto di comunità che potesse andare oltre il singolo o gruppi ristretti. Peccato. È in mezzo a tutto ciò che nel 1990 è arrivata in Italia la Coppa del Mondo di calcio.

Ma la questione italiana affonda le sue radici ben più in profondità rispetto al nostro tempo storico. La traiettoria tracciata dal paese è stata il frutto di una decadenza avviata già da numerosi decenni, da secoli, e in ultima analisi nel Novecento non è stato possibile produrre alcuna reale inversione di tendenza. Circa trent’anni prima del Mondiale, Federico Fellini aveva girato La dolce vita, uno dei suoi capolavori. Avremmo forse capito l’Italia un po’ di anticipo, vedendo il film con gli occhi dello scrittore Antonio Tabucchi: “…lì c’erano tutti i vizi degli italiani, ma il senso vero di quel grande dipinto era la scoperta che l’Italia era un Paese del Basso Impero. Ero un ragazzo di provincia che studiava a Pisa e che credeva che l’Italia, dopo il disastro della guerra, stesse vivendo una specie di risorgimento. Mi sbagliavo, quella era la decadenza, e La dolce vita mi aprì gli occhi… Insomma, La dolce vita è il ritratto più terribile che un artista abbia prodotto sulla società italiana. Profeticamente, Fellini aveva già intuito dove saremmo andati a parare” (da un’intervista rilasciata al Corriere della Sera, 7 agosto 1994).

Nel ’90 non c’è posto al mondo più adatto dell’Italia per giocare a calcio. Proprio in quell’anno le squadre italiane di club conquistano tutti e tre i trofei messi in palio a livello continentale. È il culmine di un’epoca d’oro del calcio tricolore che potremmo circoscrivere negli anni che intercorrono tra il 1983 e 1999, un lasso di tempo nel quale il campionato di calcio italiano è di certo il migliore del mondo, ma a un livello forse mai raggiunto da altri tornei, né prima, né in seguito. Le formazioni italiane conquistano 12 finali su 17 edizioni della Coppa dei Campioni (le vittorie sono solo cinque, però), 14 finali e 8 vittorie in Coppa UEFA, 6 finali e 4 titoli in Coppa delle Coppe. Solo fra i giocatori con ruoli offensivi, calcano i campi italiani Rossi, Rumenigge, Zico, Socrates, Maradona, Platini, van Basten, Matthaus, Baggio, Ronaldo, Zidane, il meglio in assoluto quasi senza eccezione alcuna. E la nazionale italiana ha vinto il Mondiale solo otto anni prima.

Proprio la squadra azzurra, in virtù di un movimento all’avanguardia, del fattore campo e di una squadra ritornata in grado di esprimere un gioco brillante, è la principale favorita per la vittoria finale. Guida una pattuglia di pretendenti formata da Brasile, Olanda campione d’Europa e Germania Ovest (per l’ultima volta con il suffisso geografico). Un po’ più indietro nei pronostici troviamo l’Argentina, campione in carica ma all’apparenza in calo.

La formula del torneo replica quella di quattro anni prima in Messico. La Coppa del Mondo FIFA è sempre di più una competizione costituita da scontri diretti, poiché con tale sistema raramente nella prima fase una delle formazioni di primo piano sarà eliminata, anche se talvolta accade (ricordiamo, dai sei gironi passano agli ottavi le prime due e le quattro migliori terze). Soltanto con l’allargamento del Mondiale a trentadue squadre nell’edizione del 1998, la fase a gironi tornerà a essere maggiormente selettiva. Le squadre teste di serie a Italia ’90 godono inoltre del vantaggio di giocare le tre partite del girone nello stesso stadio e, in caso di primo posto, anche l’ottavo di finale – discorso non applicato per intero alla nazionale inglese. Non per farli sentire più a loro agio su di un’isola come è la madrepatria, ma per ragioni di sicurezza, l’Inghilterra giocherà infatti la prima fase in Sardegna e poi si sposterà eventualmente sul continente. Il fenomeno degli hooligans è ancora un notevole spauracchio e si temono disordini; dopo la tragedia di Hillsborough, il governo britannico ha anche discusso l’eventualità di ritirare la nazionale inglese dal campionato del Mondo1)Hillsborough papers: Thatcher’s concern about police criticism by Taylor, BBC News. L’intenzione è quindi di isolare i tifosi inglesi, in tutti i sensi, ma il torneo si chiuderà senza incidenti di particolare rilievo.

L’organizzazione del Mondiale è affidata all’Italia sei anni prima del fischio di inizio e si risolve essenzialmente in un successo organizzativo – in parte inaspettato, viste le croniche mancanze nazionali – con alcuni lati oscuri. Vengono applicate le tecnologie più avanzate dell’epoca nel campo delle telecomunicazioni. È un fattore non molto conosciuto, ma con quasi 27 miliardi di telespettatori calcolati nel complesso e in tutto il mondo, questo torneo costituisce un successo enorme e storico in termini di ascolto televisivo, doppiando inoltre il dato del Mondiale di quattro anni prima. Il calcio naviga a vele spiegate verso nuovi orizzonti di gloria.

Si mette altresì mano agli stadi, davvero vetusti, edificati in alcuni casi in occasione della Coppa Rimet ospitata nel 1934. L’architettura applicata agli impianti sportivi si basa in quegli anni su di una concezione parecchio diversa dall’attuale, concezione che sarebbe terminata di lì a poco: in breve, si pensava maggiormente a ristrutturare gli stadi anziché edificarli ex novo. Non solo, ma gli unici stadi nuovi costruiti per la Coppa del ’90 risulteranno dopo poco tempo già vecchi, per dimensioni, visibilità ridotta, presenza della pista di atletica. Uno di questi verrà rimpiazzato da un impianto edificato su canoni moderni ed efficienti appena venti anni dopo: si tratta dello Stadio delle Alpi di Torino, l’impianto nel quale si disputa una delle semifinali del Mondiale. Era uno stadio al massimo bello da vedere da fuori, ma davvero scomodo per seguire degli uomini che giocano a pallone (nonostante fosse quello il suo scopo principale) e oltretutto attraversato, negli inverni torinesi, da gelide correnti d’aria provenienti appunto dalle circostanti Alpi. Nessuno ovviamente lo rimpiange. L’altro stadio nuovo costruito per il torneo è il San Nicola di Bari, progettato da Renzo Piano e ancora in piedi: senza dubbio affascinante e avveniristico dal lato estetico, ma poco funzionale e mastodontico per le limitate esigenze calcistiche della città che lo ospita.

Gli altri stadi che accoglieranno le partite del Mondiale, e oggetto quindi di lavori di restauro anche ingenti, sono sparsi un po’ per tutto il paese: Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Palermo, Udine, Verona, Roma (Stadio Olimpico, per la finale), Napoli (Stadio San Paolo, nel quale si giocherà l’altra semifinale) e Milano. Comunemente conosciuto come Stadio di San Siro dal nome del quartiere che lo ospita ma in realtà dedicato a Giuseppe Meazza, l’impianto del capoluogo lombardo subisce il terzo grande rimodellamento in meno di settant’anni di vita (i precedenti risalgono alla fine degli anni Trenta e alla metà degli anni Cinquanta). Il Meazza è uno stadio importante nelle cui mura si è scritta la storia del gioco, ma le continue sistemazioni ne hanno ormai snaturato l’aspetto, benché i lavori per la Coppa del Mondo abbiano anche dei pregi.

I lavori per gli impianti, e in generale per le infrastrutture collegate alla manifestazione, generano anche delle conseguenze non tollerabili. Ventiquattro lavoratori perdono la vita nei cantieri e in totale gli incidenti sul lavoro sono 678. Inoltre la spesa complessiva lievita senza cause reali e giustificazioni, gravando sulle casse pubbliche e nel contempo ingrossando le tasche di chi ha gestito gli appalti – ma quest’ultimo è un dato spesso e volentieri sottaciuto.

C’è un particolare investimento sul versante dell’immagine nel Mondiale italiano, stante le riconosciute e ammirate eccellenze artistiche che attraversano la storia del paese. La mascotte del torneo è un pinocchietto bianco rosso e verde, con le articolazioni tratte dalla scritta Italia ’90 (presente nel logo) e un’inquietante pallone al posto della testa ma privo di bocca, occhi e tutto il resto. La cosa più normale è il nome, Ciao. Al di là delle ironie che lo accompagnarono, e della larga diffusione che ricevette, si può dire che fu comunque un’idea originale rispetto alle scontate mascotte che generalmente si vedono ai campionati del Mondo – non saprei però dire quanto riuscita. La grafica del logo invece, il pallone sdoppiato, è semplice quanto efficace e di impatto. Bellissimo è il manifesto del torneo, ideato dall’artista Alberto Burri: l’immagine del Colosseo in bianco nero, visto dall’alto, e in mezzo il campo da calcio a colori, stilizzato e attorniato da bandiere. D’altronde, proprio l’Anfiteatro Flavio di Roma è stato definito “uno stadio di cinque livelli e cinquantamila posti, esteticamente e praticamente superiore a qualsiasi altro impianto sportivo edificato sino al ventesimo secolo2)David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007. Il film ufficiale del torneo (Soccer shootout, in italiano Notti magiche, di Mario Morra) inizia quindi con il fotogramma del Colosseo che si trasforma nell’odierno Stadio Olimpico, ma si deve precisare come l’autentica arena dedicata alle attività sportiva, nell’antica Roma, fosse in realtà un’altra: lo Stadio Domiziano, posto sotto l’attuale magnifica Piazza Navona, nel quale si disputavano competizioni di corsa, lotta e pugilato

Anche l’inaugurazione del torneo, celebrata all’interno dello Stadio Meazza di Milano, viene incentrata sui temi dell’immagine, dello stile, e dell’imperante moda italiana, con i vestiti disegnati da stilisti e indossati da modelle a rappresentare i continenti. La cerimonia è piuttosto breve e sobria, ma piacevole, impreziosita dall’esecuzione del Va pensiero dal Nabucco di Verdi, dal Teatro alla Scala, diretta da Riccardo Muti. Roba di gran classe, qui in Italia. Per la prima volta il torneo è accompagnato da una canzone ufficiale, To be number one, musicata da Giorgio Moroder con testo di Tom Whitlock, resa immortale in Italia (e ripetuta allo sfinimento) con il titolo di Un’estate italiana. Un’ulteriore novità, suppongo mai replicata altrove, è la fama che acquisisce un film pornografico ispirato al torneo e lanciato in quei mesi, che si intitola Cicciolina e Moana ai mondiali – dal nome delle due più note pornostar dell’epoca: la prima fu anche deputato del parlamento italiano, la seconda è scomparsa prematuramente qualche anno dopo. In breve la trama, se può interessare, vede le protagoniste impegnate a far trionfare la nazionale azzurra sfiancandone gli avversari più pericolosi, fra i quali figurano Gullit, Maradona e il centravanti tedesco Kataklinsman.

Insomma, non mancava niente; ma in fin dei conti posso dire che non era male essere in Italia in quell’estate del 1990, anche se non eravamo più nei tumultuosi Settanta o negli edonisti Ottanta. Credo che in molti la ricordiamo con un certo piacere e un po’ di nostalgia. Al di là dei corsi storici, dell’epoca malaticcia in cui si viveva e si vive, non si può dimenticare che il Mondiale fu un’esperienza affascinante e anche entusiasmante, con la periodica riscoperta degli splendori nazionali, gli occhi del mondo addosso e la penisola attraversata da tifosi festanti, mentre la passione per il calcio toccava al suo apice (e il vivo sostegno popolare alla squadra azzurra era davvero privo di stupide esaltazioni nazionalistiche). Sarà che eravamo ancora ragazzini. Oppure, sarà che stavamo semplicemente assistendo al gioco più bello del mondo, nel paese più bello del mondo. Comunque la pensiate, benvenuti a Italia ’90.

1 giugno 2019

References   [ + ]

1. Hillsborough papers: Thatcher’s concern about police criticism by Taylor, BBC News
2. David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007