Torniamo al Mondiale del 1974. Prima del calcio di inizio, l’Olanda non rientra nel novero delle formazioni maggiormente accreditate per la conquista della Coppa. Fra le favorite c’è il Brasile, campione in carica dopo la strepitosa prestazione a Messico ’70. C’è la Germania Ovest, padrona di casa e campione d’Europa. Poi, appena un gradino sotto, troviamo l’Italia, che non incassa un gol da circa due anni e che nel periodo in questione ha sconfitto l’Inghilterra per due volte, il Brasile e la Svezia. E ancora l’Argentina, discontinua ma potenzialmente capace di grandi imprese. Mancano inoltre un paio di grandi ai Mondiali del 1974: l’Unione Sovietica, di cui abbiamo detto, e l’Inghilterra, di cui diremo.
La qualificazione degli olandesi non è agevole. Sono inseriti in un girone assieme a Islanda, Norvegia e Belgio, passa solo la prima. I nordici fanno da comparsa, ma il Belgio è una squadra notevole in quegli anni, coriacea, semifinalista all’ultimo Europeo dopo avere eliminato l’Italia. Sono allenati da Raymond Goethals e hanno in Paul Van Himst un fuoriclasse niente male. L’ultima partita del girone si gioca ad Amsterdam il 18 novembre 1973. All’Olanda basta un pari per la migliore differenza reti – in casa dei belgi il confronto è terminato zero a zero. Il Belgio dovrebbe quindi vincere ma stranamente adotta una tattica difensiva per tutto l’incontro, di attesa, quasi a voler sfiancare l’avversario come fece Alì con Foreman a Kinshasa. L’Olanda sfiora il vantaggio in diverse occasioni e Piot, il portiere belga, si produce in salvataggi importanti. Poi, a un minuto dalla fine, c’è una punizione sulla sinistra per il Belgio: Van Himst pennella in area, Verheyen scatta completamente solo ed al volo insacca, ma l’arbitro annulla per fuorigioco. Peccato non ci fosse. Una decisione arbitrale errata funge da viatico all’epopea della nazionale olandese. Succede. Finisce zero a zero, quindi, fra le proteste legittime dei giocatori belgi. Olanda ai mondiali e Belgio a casa, nonostante concluda il girone non solo imbattuto, ma senza aver incassato neanche un gol.
Prima dei mondiali l’Olanda sostituisce il proprio ct, il cecoslovacco Fardonc, con Michels. Fardonc accetta di restare come assistente. Nelle amichevoli che precedono la competizione, la nazionale orange raccoglie due pareggi, contro Austria e Romania, e una solo vittoria. La partita vinta però, contro l’Argentina, è chiusa con quattro gol a uno e costituisce un discreto avvertimento di quanto avverrà di lì a poco.
Il 15 giugno del 1974, ad Hanover, l’Olanda inizia il mondiale giocando contro l’Uruguay. La celeste è una squadra temuta, ha raggiunto le semifinali al Mondiale di quattro anni prima. Nel 1971 l’Ajax ha rifiutato di partecipare alla sfida contro il Nacional per la Coppa Intercontinentale, stante il clima di violenza che da qualche anno contraddistingue la competizione. Gli uruguagi non l’hanno presa bene. Picchiano parecchio in campo, ma c’è poco da fare, l’Olanda è superiore e si impone nettamente per due a zero, dominando dall’inizio alla fine. Saranno i primi sudamericani della serie a cadere sotto gli implacabili e pirotecnici colpi arancioni.
La seconda partita termina zero a zero e vede opporsi agli olandesi la nazionale della Svezia. È una nuova dimostrazione di forza dell’Olanda, capace di creare un numero incredibile di occasioni da rete, senza però concretizzarle. Alla fine rischia addirittura di perdere. Cruyff domina. La gara è ricordata soprattutto per il dribbling prodigioso che Cruyff opera sul terzino svedese Olsonn: è una sorta di giravolta su sé stesso dal lato sbagliato, partendo di spalle, velocissima, liberandosi dell’avversario con un colpo di tacco – e passa alla storia come il Cruyff turn.
La terza partita è un indiscutibile quattro a uno sulla Bulgaria, la nazionale che aveva eliminato l’Olanda nelle qualificazioni dei precedenti campionati del Mondo. I Paesi Bassi passano quindi alla fase successiva della competizione. Il mondo del calcio comincia ad accorgersi veramente di questa squadra.
Il girone di semifinale a quattro annovera, oltre ai Paesi Bassi, l’Argentina, la Germania Orientale ed il Brasile. Olanda – Argentina (Gelsenkirchen, 26.6.1974) è una delle dimostrazioni più devastanti del calcio totale olandese e la loro migliore prestazione nel corso dei Mondiali. A questo punto diventa evidente che l’Olanda può davvero puntare al titolo. Ma forse gli orange hanno raggiunto il vertice delle loro possibilità troppo presto.
L’Argentina all’epoca è ancora la grande incompiuta del calcio internazionale. Sforna talenti a ripetizione ma è incapace di raggiungere obiettivi di rilievo. Non si qualifica all’edizione Mondiale di Messico ’70. Nel corso delle qualificazioni per il Mondiale in terra tedesca, la selección è affidata a Omar Sivori: el cabezon fa un buon lavoro, cerca di cambiare la mentalità dei giocatori e porta la squadra alla fase finale della competizione ma, inviso ai club locali, viene esonerato e sostituito da Cap. All’epoca le capacità organizzative non sono il fiore all’occhiello della federazione argentina. Proprio nel corso delle qualificazioni mondiali avviene questo fatto pressoché unico. Con l’obiettivo di preparare una partita in altura in Bolivia, Sivori invia le seconde linee della nazionale, i più giovani, insieme all’allenatore in seconda Ignomiriello, ad allenarsi in una località argentina di montagna chiamata Tilcara. Sembra incredibile, o una barzelletta, ma di fatto la federazione argentina si dimentica di loro per un certo periodo e li abbandona. Racconta Kempes, uno dei dispersi, che dovettero organizzare delle amichevoli per raggranellare i soldi necessari per sfamarsi. Perdettero diversi chili a testa. Un giornale avrebbe così parlato della selección fantasma.
Portano dei buoni talenti in Germania: i difensori Telch e Perfumo (uno dei migliori difensori della storia argentina); Heredia e Babington a centrocampo, quest’ultimo però squalificato contro l’Olanda; l’esterno offensivo Housemann. Ma non basta. L’Olanda li asfalta sin dall’inizio con un pressing asfissiante e soluzioni di gioco sempre diverse. Sembra che giochino in quindici. Al dodicesimo minuto van Hanegem lancia splendidamente Cruyff per vie centrali, il quale controlla al volo, scarta il portiere e segna. Il secondo gol giunge su gran tiro da fuori area di Krol. Gli argentini corrono a vuoto. Il pubblico, accorso in massa dai vicini Paesi Bassi come in tutte le partite degli orange, è in visibilio. Nella ripresa scoppia un temporale più autunnale che estivo, mentre le reti di Rep e ancora di Cruyff fissano il risultato sul quattro a zero.
Il secondo incontro del girone pone di fronte Olanda e Germania Est, sempre a Gelsenkirchen, sempre sotto il diluvio. Dopo pochi minuti segna Neeskens, in mezzo all’aera, da attaccante, e la partita diventa subito in discesa per gli olandesi. I tedeschi orientali ci provano soprattutto con conclusioni dalla distanza. L’Olanda è nettamente più forte e raddoppia nella ripresa con Rensenbrink. Un particolare, è l’unico incontro della manifestazione che terminerà senza ammoniti né espulsi.

Arriviamo quindi alla partita decisiva per l’accesso in finale, cioè Olanda – Brasile, quella che passerà alla storia come una delle semifinali del torneo, benché sia soltanto l’ultima partita del girone. Le squadre sono appaiate in vetta a punteggio pieno. Gli europei però hanno una migliore differenza reti e pertanto godono di un bel vantaggio, consistente in due risultati a disposizione su tre.
Il Brasile sinora non ha impressionato, però è in crescita. Nel primo girone impiega tre partite prima di segnare un gol – allo Zaire. Ha aperto la manifestazione con un pareggio a reti bianche contro la Jugoslavia, tutto sommato giusto, e nel finale ha rischiato la sconfitta. Segue un altro zero a zero, contro la Scozia. Nell’occasione i brasiliani creano buone opportunità da rete, poi calano di nuovo nel secondo tempo e a più riprese gli scozzesi sfiorano una clamorosa vittoria. Contro la DDR, nel primo incontro del girone di semifinale, il Brasile vince uno a zero grazie a una staffilata di Rivellino su punizione – un giocatore brasiliano imbucato nella barriera avversaria si è buttato letteralmente a terra per far passare il tiro, magari è uno schema. Sfidano quindi i tradizionali rivali dell’Argentina, ancora tramortiti dal passaggio dell’uragano orange. È il primo confronto fra le due squadre nel corso della fase finale di un Mondiale. Il primo tempo è equilibrato e combattuto: segna ancora Rivellino con un gran tiro da fuori, pareggia Brindisi. Poi nella ripresa Jairzinho fissa il risultato finale sul due a uno per il Brasile.
La nazionale verdeoro è giunta in Germania sull’onda di una reputazione straordinaria: campioni del Mondo in carica, tre titoli nelle ultime quattro edizioni del torneo. A Messico ’70 hanno strabiliato gli spettatori vincendo tutti gli incontri, mostrando prestazioni spumeggianti e uno schema di gioco sorprendente. Hanno schierato contemporaneamente cinque (cinque!) giocatori offensivi, registi, o fantasisti che dir si voglia, e neanche una punta. La squadra del 1974 però è abbastanza distante dalle prestazioni dei fenomeni messicani. Della compagine di quattro anni prima rimangono soltanto, fra i titolari, Rivellino e il grande Jairzinho. Il primo è probabilmente ai suoi massimi livelli. Il secondo invece, con il suo testone di ricci alla Jackson Five, è in calo e gioca un mondiale anonimo, non all’altezza della fama che si è costruito. Pelé ha lasciato la nazionale nel 1971. La Federazione cerca di convincerlo a rivestire la maglia brasiliana in occasione del Mondiale, ma o Rey rifiuta. Dirà anni dopo di aver preso coscienza in quel periodo delle violenze commesse dalla giunta militare al potere da un decennio nel suo paese, e di aver declinato l’invito per tale ragione. Possibile, ma un Pelé a fine carriera non sarebbe stato la stella principale del torneo, per la prima volta, e anche questa evenienza ha influito sulla sua scelta. Di lì a poco volerà negli USA a chiudere la carriera nei New York Cosmos. Quindi, il grande Pelé non avrebbe più giocato ai Mondiali e non avrebbe mai giocato la FIFA World Cup.
È un Brasile anomalo, almeno per quegli anni. Non ha un grande potenziale offensivo, ma mostra una solida difesa – sino all’appuntamento con gli orange hanno al passivo appena un gol. I migliori sono Luis Pereria (che giocherà in Europa nell’Atletico Madrid) e Marinho Chagas, biondo capellone. Anche il portiere, Leao, non è male. Ecco la formazione tipo di quel Brasile: Leao; Ze Maria, Luis Pereira, Marinho Peres, Marinho Chagas; Rivellino, Cesar Carpegiani, Dirceu, Valdomiro; Jairzinho, Paulo Cesar Lima. Il commissario tecnico è Zagalo, campione in campo nel ’58 e nel ’62. È in panchina già nel vittorioso Mondiale del 1970 – ha ereditato la guida della squadra poco tempo prima dell’inizio del torneo messicano da Saldanha, vero artefice di quel Brasile passato alla storia. Alla viglia dell’incontro, Zagalo dichiara: “Paura dell’Olanda? Semmai loro devono avere paura di noi“. Non ha tutti i torti, la fama della squadra può sopperire alle lacune tecniche.
La partita è epocale e segna una svolta nella storia del pallone. Si gioca a Dortmund, Westphalia Stadium, alle ore 19 e 30 del 3 luglio 1974. Gli olandesi sono tutti in bianco, i brasiliani in blu, entrambi schierano le formazioni migliori. L’Olanda inizia l’incontro senza il minimo timore reverenziale. Conquista agevolmente il controllo del gioco e propone numerosi attacchi. Il Brasile però difende bene e concede poco nel corso della prima frazione, tranne un’importante occasione per Cruyff: c’è un lancio stupendo di van Hanegem – autore di una grande prestazione – sulla sinistra per Jansen, il quale opera un cross in mezzo all’area; la palla è intercettata da un difensore verdeoro, che però sbaglia il rinvio e la appoggia comoda a Cruyff, a pochi metri dalla porta; tiro angolato, ma la strepitosa parata sulla sinistra di Leao evita il vantaggio olandese, almeno per ora. È una partita sicuramente tesa ma non bella, è rude, fallosa. I brasiliani picchiano molto e vanno al riposo con tre difensori ammoniti su quattro, per l’epoca è davvero tanto. Il Brasile cresce sul finire del primo tempo – d’altronde deve vincere – e sfiora il gol con Paulo Cesar, lasciato libero di concludere da solo a causa un errato fuorigioco, ma il pallone esce. Un’altra grande occasione è fallita da Jairzinho su azione di contropiede.
Ripresa. Sono trascorsi appena cinque minuti quando l’Olanda batte velocemente una punizione e pesca Neeskens sulla trequarti avversaria. Scambio con Cruyff, traversone di nuovo per Neeskens che anticipa il difensore e infila una splendida rete al volo. Passa un altro quarto d’ora. Gli orange sfondano con una triangolazione Rensenbrink – Krol sul lato destro del Brasile; cross in area dove c’è Cruyff, solo, che segna di piatto senza che la palla tocchi terra. Uno – due devastante dell’Olanda. Il Brasile è finito, anche se ci prova ancora un po’. La partita però si incattivisce ulteriormente. Pereira viene espulso e mentre esce litiga furiosamente con i tifosi olandesi sugli spalti. Alza la mano e con le dita fa il segno di tre – i titoli del Brasile – come a voler dire “Portate comunque rispetto!”. Rivellino riceve un colpo in faccia da Rep. Rivellino è il giocatore fondamentale di questo Brasile, opera a centrocampo come regista arretrato, il ruolo decisivo occupato da Didi in passato e da Gerson nel 1970. È la fonte del gioco, ma in questo incontro è stato fortemente limitato dal pressing avversario.
Termina due a zero per gli olandesi. Il Brasile avvia così la fase discendente del suo straordinario ciclo vincente, in grado di marcare una precisa fase della storia del calcio mondiale. Un ciclo che ha avuto il suo cuore nelle tre vittorie del ’58, ’62 e ’70, che è stato anticipato dalla semifinale del mondiale 1938 e dal secondo posto del 1950, e che vedrà in conclusione un ulteriore ingresso tra le prime quattro nell’edizione iridata del ’78.
L’Olanda è in finale del campionato del Mondo per la prima volta nella sua storia. Ha segnato quattordici gol – ma niente di strano se ne avessero infilati almeno il doppio – e ne ha incassato soltanto uno, ininfluente. Il mondo guarda estasiato i calciatori olandesi, adesso autentici favoriti per la conquista del titolo. E a fine partita le immagini televisive mostrano un giocatore vestito di giallo che sta esultando braccia al cielo e che improvvisa un balletto sul campo. È Jongbloed, il portiere olandese.
Jan Jongbloed è il gradiente di follia nel meccanismo della clockwork orange. Ha giocato la prima partita in nazionale nel 1962, contro la Danimarca. L’Olanda ha perso quattro a uno, lui è entrato nel finale, prendendo l’ultimo gol. La sua seconda presenza in nazionale è l’amichevole pre-mondiale ’74, contro l’Argentina. Michels, spalleggiato da Cruyff, stupisce tutti non solo nel convocare Jongbloed, ma ancora di più nel garantirgli il posto da titolare. Serve infatti un portiere abile di piede, per dare copertura a una difesa alta e alle sortite avanzate di Haan, e Jongbloed è giudicato l’uomo adatto. Nella partita disputata contro i tedeschi orientali si produce in diverse uscite al di fuori dell’area di rigore. Una specie di difensore aggiunto. È un modo particolarmente moderno di interpretare il ruolo del portiere. Secondo Cruyff un portiere deve avere un’idonea visione di gioco – e Jongbloed, a suo parere, ce l’aveva – non solo per anticipare gli avversari, bensì anche per avviare gli attacchi della propria squadra1)Jonathan Wilson, Il portiere, Isbn Edizioni, 2013. Jongbloed compensa con i piedi doti non eccelse fra i pali. Ad esempio, sull’azione dalla quale scaturisce il rigore per la Germania Ovest in finale, lo si vede scalciare con foga il pallone quando potrebbe afferrarlo tranquillamente con le braccia, poiché è in piena area. Nonostante i dubbi e le ironie, il suo torneo non è così male se approda all’ultimo atto gravato di un solo gol al passivo.
La squadra di club in cui milita Jongbloed nel 1974 si chiama FC Amsterdam ed è nata dalla fusione di tre società: il DWS (la sua squadra di origine, di forte estrazione popolare); il De Volewijckers e il Blauw-Wit (tifoseria comunista e legata alla resistenza anti-nazista). Anche Jongbloed è comunista. Inoltre ama la pesca, la birra, le donne, e divide il proprio tempo lavorativo tra l’impegno calcistico e la gestione della tabaccheria di famiglia. Il FC Amsterdam pare un’accozzaglia di buontemponi, però proprio sul finire del ’74 elimina l’Inter agli ottavi della Coppa Uefa, vincendo due a uno a San Siro. Jongbloed scenderà in campo addirittura per una seconda finale mondiale, nel 1978, e giocherà a calcio sino a metà degli anni Ottanta.
Uno dei suoi figli, Erik, è come lui un portiere e milita in una serie minore olandese. Un pomeriggio di settembre del 1984, Erik ha ventun’anni, un fulmine si abbatte sul terreno di gioco mentre sta giocando. Lo colpisce in pieno. Erik Jongbloed muore lì, sul campo di calcio, a pochi metri dalla porta. A volte la vita è tremenda, Jan, non c’è altro da dire. E neanche Spinoza in persona sarebbe d’aiuto. Ma sarà sempre bello ricordarti mentre danzi ebbro di gioia sul prato di Dortmund. Tu, il tabaccaio comunista, l’uomo in giallo, a un passo dal sogno assieme ai tuoi fantastici amici arancioni.
4 ottobre 2018
immagine in evidenza: Cruyff segna la prima rete all’Argentina – goal.com
References
1. | ↑ | Jonathan Wilson, Il portiere, Isbn Edizioni, 2013 |