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Germania Ovest, 1974
VII. La forza dei tedeschi

Sepp Maier e Gerd Muller sono stati i protagonisti della semifinale con la Polonia. Sono due colonne portanti della nazionale tedesca e del Bayern Monaco, da un estremo all’altro del campo, e sono fra i migliori interpreti di sempre nei rispettivi ruoli. Come gran parte dei giocatori selezionati per la Coppa del Mondo del 1974, Maier e Muller rappresentano una generazione molto particolare di calciatori e di giovani tedeschi. Sono nati infatti più o meno alla fine della seconda guerra mondiale, in una Germania semidistrutta, in povertà e occupata da eserciti stranieri. Hanno trascorso da bambini gli anni difficili della ricostruzione, ma le tragedie della guerra e del nazismo le hanno vissute solo nei racconti dei loro genitori. Nel 1954 hanno visto – più che altro sentito, alla radio – la nazionale della Germania Ovest vincere il titolo mondiale ai danni dell’Ungheria, in quella partita che è ricordata come il Miracolo di Berna. Hanno quindi assistito alla rinascita calcistica, così come economica e sociale, del loro paese. Nel 1963 è infatti stata fondata la Bundesliga, ovvero un campionato unico per tutta la Germania Occidentale, mentre in precedenza le varie leghe regionali organizzavano singoli tornei dai quali provenivano i contendenti per il titolo nazionale. Nel contempo è stato dato il via libera al pieno professionismo, ponendo fine a quel misto decisamente opaco tra professionismo e dilettantismo in vigore sino a quel momento. I giovani talenti calcistici tedeschi hanno finalmente il contesto idoneo per esprimersi al meglio. È quindi giunto il momento di mostrare al mondo il loro valore.

Sepp Maier trascorre tutta la propria vita calcistica a difendere i pali del Bayern Monaco. Dal 1966 al 1979 è di fatto sempre presente in Bundesliga. Chiude la carriera proprio nel ’79, a causa di un grave incidente automobilistico – gli salva la vita il compagno di squadra Uli Hoeness che lo porta velocemente presso un altro ospedale, dopo il primo ricovero. Maier difende la porta della nazionale tedesco occidentale per 95 partite e tre Mondiali (’70, ’74 e ’78) incassando in totale 75 reti, meno di una a partita. È detto die Katze (il gatto) per i sui scatti felini, ma è un portiere completo e con un grande senso della posizione; è stato inoltre il primo a portare dei guantoni oltre misura, alla Topolino, quando ancora molti portieri giocavano a mani nude. È una persona gioviale e incline agli scherzi. È difficile trovare una sua foto in cui non sorride. Al contrario, non è invece molto facile trovarne una di Gerd Muller pienamente sorridente, almeno al di fuori dei campi di gioco.

Gerd Muller è der Bomber der Nation. Di lui impressiona non solo il numero complessivo di gol infilati in carriera, ma soprattutto il numero di gol decisivi che è stato in grado di realizzare. Secondo Paul Breitner, la Germania Ovest e il Bayern Monaco non avrebbero vinto alcunché in quegli anni senza la presenza di Gerd Muller. Segna 453 gol per il Bayern e 68 per la nazionale tedesca (in 62 incontri!). In Bundesliga è il giocatore più prolifico in sette occasioni; nella stagione 1971/72 raggiunge la strabiliante cifra di quaranta reti. Si mette in luce ai Mondiali del 1970, durante i quali disputa un torneo meraviglioso. È capocannoniere con dieci reti. Sua è la marcatura decisiva che stende l’Inghilterra nel drammatico quarto di finale di Leon: a metà del secondo tempo gli inglesi sono avanti due a zero; perderanno tre a due nel corso dell’extra time. Sue sono le reti tedesche nei fantastici supplementari dell’Azteca, in semifinale, contro l’Italia. Dirà Muller che la nazionale tedesca dei Mondiali messicani è stata in realtà la più forte di quegli anni, anche superiore a quella del ’74. Nella finale dei Campionati Europei, 1972, è autore di due reti. Iscrive il suo nome nella lista dei marcatori in due finali di Coppa dei Campioni. In particolare, nella finale del 1974 tra Bayern Monaco ed Atletico Madrid, compie due capolavori: un gol realizzato quasi dalla linea di fondo, l’altro su preciso pallonetto. Ai Mondiali del 1974 Muller non è in grande forma, ma i suoi gol sono nuovamente decisivi. E per la finale, si veda più avanti. L’ultimo atto della Coppa del Mondo è anche l’ultimo incontro di Gerd Muller con la maglia bianca della nazionale tedesca. Ha il dente avvelenato con la federazione che un anno prima gli ha vietato il passaggio al Barcellona, facendo così sfumare un ingaggio non indifferente – e i catalani avrebbero messo in pedi un attacco meraviglioso formato da Muller e Cruyff. Chiude la carriera negli Stati Uniti, dove gioca per due stagioni (dal ’79 al ’81) a Fort Lauderdale.

Muller era un centravanti classico, un finalizzatore, con un senso del gol e un opportunismo pressoché unici. Un uomo d’area puro e semplice, capace di nascondersi per buona parte di una partita e di comparire nel momento più importante. È una tipologia di attaccante che già all’epoca era stata messa in discussione a favore di un giocatore più incline a partecipare alla manovra – si veda Cruyff, ma non solo, oppure l’ungherese Hidegkuti vent’anni prima. Tanto era a suo agio in area di rigore, Gerd Muller, quanto si è trovato in difficoltà nella vita di tutti i gironi. Der Bomber era un uomo timido e riservato, di solito restio anche a frequentare le feste dopo le vittorie. Era inoltre superstizioso e terribilmente impaurito dai voli aerei. Ma tutto ciò aggiunge poco al discorso: non necessariamente un carattere gaudente, estroverso e razionale è sinonimo di felicità. Muller inizia a eccedere nell’uso dell’alcool già durante l’esperienza negli USA. Cade in depressione. Per anni rimane in questo stato, sino a quando i suoi ex compagni e dirigenti del Bayern – Beckenbauer, Hoeness, Rumenigge – lo aiutano a disintossicarsi. Ci riesce e ottiene un ruolo come allenatore della seconda squadra del Bayern Monaco. Negli ultimi anni, però, la sorte avversa si ripresenta dalle parti del grande Gerd, e questa volta nelle sembianze di una malattia terribile, il morbo di Alzheimer.

Il Bayern Monaco è l’ossatura della nazionale tedesco occidentale nei Mondiali casalinghi del 1974. Il cuore, la mente, l’anima, quello che si vuole, del Bayern e della Germania Ovest, è Franz Beckenbauer, detto il Kaiser. Ancora oggi è il migliore giocatore tedesco di sempre e uno dei più grandi interpreti del gioco in assoluto.

Beckenbauer è stato un giocatore incredibilmente efficace, intelligente ed elegante. Sempre a testa alta anche con la palla tra i piedi, capace di interpretare le partite nel migliori dei modi e di caricarsi sulle spalle l’intera squadra. Per buona parte della sua carriera ha giocato nel ruolo di libero, dopo aver occupato nei primi anni la posizione di centrocampista. Ma scordiamoci il libero del catenaccio, ovvero un difensore ed un marcatore aggiunto. Beckenbauer ha concepito il ruolo del libero secondo canoni mai visti prima, almeno a quei livelli: un regista arretrato, capace di avanzare stabilmente sulla linea dei centrocampisti, di fornire preziosi assist e di segnare. Oltre a difendere egregiamente, si intende. In quegli anni diversi difensori centrali iniziavano a giocare in tal modo: prima, Bobby Moore in Inghilterra; più avanti, Haan e Krol in Olanda. Di lì a poco tempo sarà la scuola calcistica italiana a fare propria e sviluppare l’idea del moderno libero grazie a due straordinari giocatori quali Gaetano Scirea e Franco Baresi. Beckenbauer diceva inoltre di ispirarsi molto a Giacinto Facchetti, che era un terzino sinistro capace di spingere e di guidare l’azione offensiva come un’ala. È stata però la scuola jugoslava a fornire le basi per questa nuova impostazione del ruolo di libero. Già negli sessanta Velibor Vasovic, nel Partizan Belgrado e nell’Ajax, partiva dalla difesa e impostava come un regista. Uno dei primi allenatori di Beckenbauer nel Bayern fu proprio uno jugoslavo, Zlatko Cajkovski. Questi in gioventù era stato un abile centrocampista difensivo della forte Jugoslavia di fine anni quaranta – inizio cinquanta, molto dotato tecnicamente. Come allenatore, ha insegnato a Beckenbauer cosa significa giocare in difesa libero da compiti di marcatura1)Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012. Significa coprire, certo, ma significa impostare per primo l’azione offensiva della squadra. Beckenbauer l’ha compreso pienamente, forte di una tecnica sopraffina e di una visione tattica notevole.

Beckenabauer è stato una autentico leader, in campo e fuori. Da questo deriva il soprannome Kaiser, oltre a una certa somiglianza con Ludovico II, re di Baviera (quello del film di Luchino Visconti, Ludwig – 1973). Ha scritto Galeano: “con gesti nobili comandava in difesa e in attacco: dietro non gli sfuggiva neanche un pallone; neanche una mosca, neanche una zanzara avrebbe potuto passare; e quando si lanciava in avanti era un fuoco che attraversava il campo2)Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer Editori, 1997. C’è uno sketch dei Monty Phyton, datato 1972, molto divertente: si chiama la partita dei filosofi. Viene messo in scena un confronto tra le nazionali tedesca e greca dei filosofi, con tutte le conseguenze del caso. E in mezzo a Schopenhauer, Nietzsche, Hegel e Marx, chi gioca? Franz Beckenbauer, unico vero calciatore e non filosofo. Anche in quella squadra non poteva restare escluso. Dopo la sconfitta con la Germania Est ai Mondiali del ’74, si presenta in conferenza stampa assieme al proprio commissario tecnico, ma parla quasi soltanto lui. Dimostra di essersi preso carico della nazionale nel suo momento più difficile.

Franz Beckenbauer - ultimouomo.com
Franz Beckenbauer – ultimouomo.com

Il futuro Kaiser Franz nasce nel 1945 in un quartiere operaio di Monaco di Baviera, Giesing. Gioca sin da bambino in una squadra locale. Potrebbe fare il salto di categoria approdando al Monaco 1860, che è sempre stata sino a quel momento la principale formazione della capitale bavarese. Incontra però i suoi possibili futuri compagni di squadra nel corso di un torneo giovanile, ha con loro un confronto fisico acceso e diversi diverbi, e pertanto opta per l’altra formazione della città: il Bayern. Esordisce in prima squadra nel 1964. Il Bayern Monaco gioca nella serie cadetta e al termine della stagione ottiene la promozione in Bundesliga. Dal 1962 il presidente del Bayern Monaco è Willy Neudecker, un costruttore edile. Grazie a una sapiente gestione del settore giovanile, e in generale alla scoperta di nuovi talenti, porterà la squadra ai vertici europei. Sempre con il Kaiser alla guida. Il Bayern vince la Coppa nazionale tedesca nel ’66 e l’anno seguente conquista il suo primo alloro europeo, la Coppa delle Coppe. Nel 1969 è campione di Germania. Si aggiudica nuovamente il titolo tedesco occidentale per tre edizioni di fila, dal 1972 al 1974. Soprattutto, sostituisce l’Ajax nel dominio del trofeo europeo più importante, la Coppa dei Campioni. Nel ’74 sconfigge in finale l’Atletico Madrid al termine di una doppia partita, evento che accade per la prima e unica volta. Infatti il primo incontro è terminato uno a uno. A sei minuti dalla fine dei tempi supplementari, Luis Aragones ha portato in vantaggio gli spagnoli. All’ultimo minuto Schwarzenbeck, lo stopper, un giocatore non molto avvezzo alle realizzazioni, si inventa il pareggio con un tiro da fuori. Quarant’anni esatti dopo l’Atletico Madrid perderà un’altra Coppa dei Campioni in modo pressoché analogo. Nella ripetizione non c’è storia, prevale il Bayern quattro a zero. L’anno seguente al Parco dei Principi di Parigi, l’avversario è il Leeds United. La sfida passa alla storia più per i pesanti scontri scatenati dagli hooligans inglesi che per il gioco espresso in campo. Comunque è due a zero per il Bayern. La terza vittoria consecutiva avviene nel 1976. La finale è Bayern Monaco – Saint-Etienne: i francesi meriterebbero forse maggiormente la vittoria rispetto ai tedeschi, ma è ancora il Bayern a imporsi, con il minimo scarto, uno a zero.

Altrettanto strepitosa è la carriera di Beckenbauer in nazionale. Il primo grande appuntamento a cui prende parte è la fase finale del campionato del Mondo del ’66, in Inghilterra. Molto giovane, disputa un grandissimo Mondiale, nel ruolo di centrocampista. Segna anche quattro reti, delle quali una, in semifinale contro l’Unione Sovietica, è uno splendido tiro da fuori che buca la porta dell’immenso Lev Jascin. La Germania Ovest è sconfitta poi in finale dai padroni di casa inglesi. Qui Beckenabauer è sacrificato nella marcatura di Bobby Charlton e i due fuoriclasse si annullano a vicenda. Ma Beckenbauer ricorderà: “L’Inghilterra ha vinto perché Bobby ha giocato un poco meglio di me3)Franz Beckenbauer, 70 ans de regne, So Foot. Nel 1970, in Messico, si lussa una spalla durante la semifinale contro l’Italia. Resta stoicamente in campo con il braccio al collo. Partecipa ovviamente ai trionfi tedeschi degli anni settanta e lascia la nazionale, e la Bundesliga, nel 1977 – vi farà ritorno per due stagioni all’inizio degli anni ottanta con la maglia dell’Amburgo.

Nel Settantasette, infatti, decide di intraprendere l’avventura del calcio americano e firma con i New York Cosmos. La storia di questa formazione, e del primo tentativo di instaurare una lega calcistica professionistica come si deve negli Stati Uniti, merita qualche riga. Sino all’inizio degli anni settanta il calcio nordamericano è uno sport semi-dilettantistico, relegato a campi di periferia e con scarsa partecipazione di pubblico. Poi alcuni dirigenti della Warner Communications decidono di investire parecchio denaro sulla squadra della società, i Cosmos. Arriva a giocare a New York niente meno che Pelé, ed è uno shock. Lo seguono altri giocatori di fama mondiale, molti al termine della carriera, altri no – il calciatore che realizzerà le prestazioni migliori sarà Giorgio Chinaglia. Ai Cosmos si aggiungono altre squadre, o franchigie sulla falsariga degli altri sport professionistici americani. Le partite della North American Soccer League (NASL) raccolgono adesso migliaia di appassionati; si inizia a giocare nelle più grandi arene sportive del paese e i principali network televisivi trasmettono gli incontri. Diventa un fatto di costume, nell’America degli anni settanta. Ma non si sviluppa un vero movimento calcistico autoctono. Il tutto è molto spettacolare ma un po’ fasullo. Necessariamente, esauriti i finanziamenti e il flusso di campioni attratti dai dollari, anche il progetto si esaurisce. La Nasl chiuderà i battenti già a metà degli anni ottanta.

Beckenbauer arriva negli USA sul finire della carriera, ma è comunque ancora un giocatore di rilievo (solo un anno prima ha vinto il Pallone d’Oro). Mostrerà il suo talento anche negli States. Approda in questa New York piuttosto violenta – il ’77 è l’anno del black out e dei tremendi saccheggi che l’accompagnano –, una città impoverita e in crisi economica. Ma è anche la New York viva e colma di energia del punk, al CBGB ed al Max’s Kansas City, della disco music, dei primi vagiti dell’hip hop. I giocatori del Cosmos non disdegnano di presentarsi regolarmente allo Studio 54, tempio della disco e del glamour newyorchese. Il film Summer of Sam di Spike Lee (1999) racconta bene quel periodo, non semplice ma nel contempo affascinante.

Una volta appese le scarpette al chiodo, Beckenbauer avvia una proficua carriera negli altri ruoli che il calcio offre al di fuori del terreno di gioco. È commissario tecnico della nazionale tedesco occidentale tra il 1984 ed il 1990. Raggiunge la finale del Mondiale ’86 ed il titolo nella successiva edizione, in Italia, nel 1990. Riveste spesso dei ruoli importanti nel Bayern Monaco. Quando la Germania, ora unificata, ottiene l’organizzazione dei Mondiali del 2006, a Beckenbauer è affidato il ruolo di capo del comitato organizzativo. Lo fa bene – non servirebbe neanche precisarlo. È vincente sempre e comunque e, come tutti i vincenti perfetti, è pure un po’ noioso, se posso permettermi.

Per ravvivare un po’ il racconto, fa il caso nostro prestare qualche attenzione a un altro grande calciatore tedesco degli anni settanta, in grado per un certo periodo di rappresentare l’alternativa a Beckenbauer, anche se non ha mai raggiunto le vette di cui è stato capace il Kaiser. Anche la squadra in cui è cresciuto e ha giocato per diversi anni, ha rivestito a sua volta il ruolo di alternativa al grande Bayern. E di nuovo, senza riuscire a eguagliare i risultati della compagine bavarese, almeno a livello europeo. Il calciatore si chiama Gunter Netzer e la squadra è il Borussia Mönchengladbach.

Netzer è un gran centrocampista, geniale, inventivo, dotato di un lancio favoloso e di un ottimo tiro, soprattutto su punizione. Ha fantasia e talento; come spesso accade a giocatori di questo tipo, a volte è statico e non è troppo veloce. Dentro e fuori dal campo è un personaggio che non passa inosservato. Capelli lunghi biondi, fisico massiccio, atteggiamento ribelle. Viene da una famiglia della borghesia agiata e incarna, almeno nell’ambito calcistico, lo spirito anticonformista dell’epoca: ama la compagnia femminile e le macchine sportive, gestisce una discoteca. La sua squadra, il Borussia Monchengladbach, è campione di Germania per due stagioni di seguito, nel ’70 e nel ’71, davanti al Bayern. Sotto la guida tecnica di Hennes Weisweiler, assieme a Netzer giocano altri protagonisti della nazionale tedesca come Vogts, Bonhof, Heynckes. Nella Coppa dei Campioni 1971/72 incontra l’Inter negli ottavi di finale. All’andata lo stadio di Monchengladbach è un catino infuocato. Durante il primo tempo, sul due a uno per i tedeschi, una lattina lanciata dagli spalti colpisce Boninsegna, o almeno così si presume. L’attaccante nerazzurro frana a terra – secondo alcuni, in particolare gli avversari, accentuando parecchio le conseguenze drammatiche dell’evento – ed è costretto a lasciare il terreno. Mazzola recupera una lattina (non la stessa che avrebbe colpito Boninsegna) e la consegna all’arbitro. Diventa per tutti la partita della lattina. Il risultato finale dice sette a uno per il Borussia, ma viene annullato dopo un acceso confronto legale. La partita è rigiocata in campo neutro. Termina zero a zero, ma passa l’Inter, che ha vinto a Milano quattro a due.

Netzer lascia la Germania per il Real Madrid nel 1973. Lo stesso anno il Borussia perde la finale di Coppa Uefa a favore del Liverpool. Vince però la Coppa di Germania, due a uno, contro il Colonia. In quell’incontro Netzer rimane in panchina per tutti i tempi regolamentari: da pochi giorni ha firmato per il Real ed ha inoltre subito un recente lutto, la perdita della madre. L’allenatore pensa non sia nelle migliori condizioni mentali per scendere in campo, ma lo fa comunque entrare all’inizio dei supplementari, sul risultato di uno a uno. Dopo pochi minuti, grazie a uno scambio veloce con Bonhof, Netzer entra in area e con un gran tiro regala al Borussia la Coppa. In Spagna Netzer conquista per due volte il campionato. Ma il Borussia di Monchengladbach continua a iscrivere il proprio nome nella storia calcistica degli anni settanta anche senza il suo biondo regista. Ai protagonisti già citati si aggiungono il centrocampista Stielike e l’attaccante danese Simonsen. In panchina arriva Udo Lattek, sin lì allenatore dei principali rivali, il Bayern Monaco. Vince il campionato tedesco per tre volte consecutive, dal 1975 al 1977. Si aggiudica per due volte la Coppa Uefa (1975 e 1979). Nel Settantasette, poi, la grande occasione: la finale di Coppa dei Campioni, ancora contro il Liverpool. La partita è in programma allo Stadio Olimpico di Roma. È il 25 maggio del 1977 e la capitale è segnata da mesi da aspri confronti politici e da duri scontri di piazza – pochi giorni prima la giovane Giorgiana Masi è morta in una piazza del centro della città, colpita da un proiettile vagante probabilmente esploso da un agente in borghese, durante una manifestazione politica vietata dal governo. Si può comprendere come Roma sia piuttosto indifferente all’incontro; lo stadio ha spazi vuoti, saranno poco più di cinquantamila gli spettatori sugli spalti. È però una bella sfida: il punk inglese contro l’heavy metal tedesco. Vince il Liverpool tre a uno, ma sino a metà della ripresa l’incontro rimane in bilico, con occasioni da entrambe le parti.

In nazionale Netzer non gode di buona sorte. Causa infortunio salta i Mondiali messicani. I suoi anni migliori non coincidono con edizioni della Coppa del Mondo, ma è protagonista degli Europei del ’72. La Germania Ovest gioca un grande calcio e Netzer compone la spina dorsale della squadra assieme a Beckenbauer e Muller. Ai quarti la Germania elimina la forte Inghilterra vincendo a Wembley tre a uno – la rete del due a uno è proprio di Netzer. La fase finale degli Europei, all’epoca solo semifinali e finale, si gioca in Belgio. La Germania Ovest elimina i padroni di casa e affronta l’Unione Sovietica per il titolo. Non c’è storia. La Germania Occidentale vince tre a zero mostrando un calcio superiore, “pieno d’immaginazione e genio” come scriverà il Corriere dello Sport il giorno dopo la finale. Nel 1974 però Netzer non è al massimo della forma. Gli viene preferito Overath, già titolare in Messico, anch’egli un ottimo centrocampista, meno geniale ma più veloce e duttile. Netzer gioca soltanto venti minuti nella partita persa contro i tedeschi orientali. Sono i suoi unici minuti nel corso di una fase finale del Mondiale. Dirà Netzer, con tutta onestà, di non essersi mai sentito realmente campione del Mondo.

Da più parti si sostiene che Beckenbauer sia stato l’artefice della scelta di Overath a discapito di Netzer e abbia quindi spinto il ct a lasciare in panchina il talentuoso centrocampista. È sorta la leggenda di due primedonne in competizione tra di loro che mal si sopportavano. Ma non è vero. Non c’è antipatia fra i due. È proprio Netzer, nel ruolo di direttore sportivo, a portare Beckenbauer all’Amburgo nel 1980. Lo stesso Netzer ha dedicato a Beckenabuaer una della più belle frasi mai pronunciate nei confronti del Kaiser: “È l’eroe della nostra Nazione. Ma nulla gli è caduto dal cielo: è arrivato a questo livello solo grazie a sé stesso, al sudore della sua fronte4)Ibidem.

La squadra tedesca campione d'Europa nel '72 - newstalk.com
La Germania Ovest campione d’Europa nel 1972 – newstalk.com

La Germania Ovest del 1974 è in ultima analisi una formazione quadrata, solida, equilibrata e con un gran bagaglio di esperienza. Armonizza fantasia e forza, ma il dato che la contraddistingue maggiormente è la grande padronanza tecnica. Sfrutta molto bene i contrattacchi, quelli che adesso chiamiamo ripartenze. Ha difensori in grado di offendere – Beckenbauer e Breitner. In campo è schierata con un 4-3-3 speculare a quello olandese, ma più tradizionale nell’impostazione. Marca a uomo in difesa. Ha un’ala destra tornante. La formazione tipo, quella che disputa gli ultimi due incontri del torneo, nasce lungo il percorso, come spesso accade nella fase finale di un Mondiale. La difesa è quella del Bayern Monaco – Maier in porta, Beckenbauer e Schwarzenbeck centrali, Breitner a sinistra – con l’aggiunta di Berti Vogts sulla destra. Schwarzenbeck e Vogts sono destinati a compiti di marcatura. A centrocampo troviamo Overath del Colonia, Hoeness del Bayern e Bonhof, il cui utilizzo aumenta progressivamente nel corso del torneo e diventa decisivo. Bonhof è un centrocampista arretrato, di interdizione, ma è in gran forma e risulterà molto utile anche nelle azioni d’attacco. Sulle fasce ci sono due giocatori dell’Eintracht Francoforte, Grabowski a destra e Holzenbein a sinistra. Punta centrale, Gerd Muller. Completano la formazione il difensore Hottges, i centrocampisti Cullmann, Flohe e Wimmer, gli attaccanti Heynckes e Herzog. Dirige il tutto Helmut Schon (1915 – 1996).

Il ct tedesco occidentale è stato in gioventù un valido giocatore, conquistando due titoli tedeschi con il Dresda, in tempo di guerra. Dopo la fine del conflitto passa all’ovest e allena quella che per alcuni anni costituirà la terza nazionale tedesca: il Saarland. Si tratta di un territorio al confine con la Francia, ricco di risorse nel sottosuolo e occupato dai francesi dopo la guerra. Forma una propria squadra nazionale dal ’50 al ’56 e partecipa alle qualificazioni per il Mondiale del 1954. In questa occasione sfida propria la Germania Occidentale ed è sconfitta dai più forti compatrioti. Nel 1957 il Saarland ritorna alla madrepatria quale parte della Repubblica Federale di Germania.

Dal 1956 Schon diventa l’allenatore in seconda di Sepp Herberger, il tecnico del titolo mondiale del 1954. Herberger, che è stato un iscritto al partito nazista, guida la nazionale tedesca dal ’36 al ’64. Lo sostituisce proprio Schon e sarà il commissario tecnico della Germania Ovest sino ai Mondiali del 1978. In pratica, in oltre quarant’anni, la Germania (prima unificata, poi occidentale) ha solo due tecnici, dei quali il successore è stato l’assistente del primo. Anche Schon verrà sostituito in panchina dal proprio vice, Jupp Derwall. Ordine e precisione teutonici.

Helmut Schon, con la sua caratteristica coppola in testa, è un pragmatico ed è molto stimato dai suoi giocatori. Il primo banco di prova sono i Mondiali del 1966: raggiunge la finale. Agli Europei del 1968 paga il ricambio generazionale e la squadra è eliminata nel corso del girone di qualificazione a causa di un pareggio con la debole Albania. Riporta nuovamente i tedeschi fra le prime quattro squadre al mondo a Messico ’70. All’inizio del decennio, la Germania Ovest ha nel mirino i Mondiali casalinghi del ’74. Li prepara nel migliore dei modi, conquistando il titolo di campione d’Europa nel 1972. Come paese organizzatore è qualificata di diritto alla fase finale della Coppa del Mondo e quindi evita le qualificazioni. Nella prima metà del 1973 la mannschaft soffre alcune battute d’arresto con le sconfitte casalinghe subite da Argentina, Jugoslavia e Brasile. Si riprendono. Dal giugno del ’73, e prima dell’esordio Mondiale con il Cile, giocano dieci partite, con un buon bilancio: sette vittorie, due pareggi ed una sola sconfitta, in Spagna.

L’avventura mondiale non prende però il via nel migliore dei modi. Il ritiro di Malente, un borgo nello Schleswig-Holstein, nord del paese, risulta poco confortevole e piuttosto triste. Scoppia una polemica tra i giocatori e la federazione in merito ai premi partita. I calciatori minacciano addirittura di tornare a casa. Poi, dopo una notte di lunghe trattative, si giunge ad un accordo. La squadra tedesca, abbiamo visto, fatica all’inizio e viene anche contestata dal pubblico. Tocca il punto più basso nella sconfitta con i cugini orientali. Da lì inizia la risalita. Si presenta in finale, che, non dimentichiamolo mai, gioca in casa, al culmine di un percorso di crescita – crescita fisica, mentale, di gioco. È pertanto sicura di sé. In un torneo breve ed inteso come la Coppa del Mondo, è un elemento fondamentale.

4 ottobre 2018

immagine in evidenza: Gerd Muller e Paul Breitner – goal.com

References   [ + ]

1. Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012
2. Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer Editori, 1997
3. Franz Beckenbauer, 70 ans de regne, So Foot
4. Ibidem