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Germania Ovest, 1974
IV. A Clockwork Orange

Nel secondo dopoguerra, e per circa vent’anni, non accade granché ad Amsterdam. È una città d’Europa come tante altre, fredda, un po’ grigia, monotona e operosa. Certo, è il luogo che tre secoli prima ha dato i natali ad un uomo straordinario come Baruch Spinoza – il quale però la abbandonò a ventiquattro anni. E come dimenticare che, nello stesso periodo storico, l’intero commercio mondiale o poco meno passava dai magazzini della città. Il Seicento è stato un secolo pirotecnico, portentoso, splendido e tremendo. Ma quei tempi sono passati.

Nel calcio la situazione non è molto diversa. Prima del ’74 la nazionale olandese ha disputato appena due edizioni dei Mondiali, negli anni trenta, senza troppa fortuna. Poi basta. Il professionismo è arrivato nel calcio solo a metà degli anni cinquanta, quindi piuttosto in ritardo rispetto ai paesi calcisticamente più avanzati. Le squadre di club rivestono a livello europeo il ruolo di comparsa.

Poi, dalla metà degli anni sessanta, nella società olandese ed in particolare ad Amsterdam scoppia una rivoluzione culturale che attira l’attenzione di tutto il continente. I giovani mettono in discussione le vecchie regole e diventano protagonisti in prima persona della società. Si fanno crescere i capelli. Consumano droghe. Occupano stabili. Attaccano l’ordine borghese. Amsterdam diventa uno dei centri della contestazione europea: è politica, ma anche costume, liberazione sessuale. L’eco di Amsterdam quale sinonimo di libertà inizia in quegli anni e coinvolge generazioni di giovani europei sino ai giorni nostri.

Il parallelo calcistico di quello sconvolgimento sociale si chiama calcio totale. Diventerà il tratto distintivo, il simbolo dei campionati mondiali del 1974. E rivoluzionerà il gioco.

Con il termine calcio totale designiamo la tattica, l’attitudine, lo stile di gioco che si impone nei Paesi Bassi alla fine degli anni sessanta e nel decennio Settanta. Viene praticato in primis dall’Ajax, la squadra di Amsterdam, e in parte anche dai loro avversari storici del Feyenoord di Rotterdam. Necessariamente è il calcio giocato anche dalla nazionale orange. Quali sono quindi i tratti distintivi che mostra, così innovativi da segnare in maniera indelebile il mondo del pallone? Innanzitutto, una spiccata intercambiabilità dei ruoli in campo. È la capacità di consentire ai calciatori di giocare in più ruoli differenti anche nel corso dello stesso incontro, cioè la possibilità di attaccare e difendere con un numero relativamente elevato di uomini e, nel contempo, l’abilità di togliere all’avversario punti di riferimento fissi in ogni fase del gioco.

In secondo luogo, il calcio totale rivela una concezione innovativa dello spazio di gioco. “Trascorrevamo un sacco di tempo a parlare di spazio, Cruyff ne era ossessionato. Gli spazi in campo dove dovevamo muoverci, quelli nei quali invece avremmo dovuto rimanere fermi. Era architettura applicata a un campo da calcio: crea lo spazio, occupa lo spazio, organizza lo spazio” ricorda Barry Hulshoff, ex giocatore dell’Ajax1)Alec Cordolcini, Genesi di un mito, Rivista Undici. In breve fare del movimento, anche senza palla, diventa un fattore decisivo al fine di: restringere lo spazio quando attacca l’avversario; allargare lo spazio quando si è in possesso di palla e si adotta la fase offensiva. I giocatori avanzavano spesso a semicerchio per poi colpire tramite triangolazioni molto veloci. Collegato al concetto appena illustrato di utilizzo dello spazio, c’è un uso massiccio sia del pressing sui portatori di palla avversari, sia della tattica del fuorigioco. Non come ai nostri giorni, ma un utilizzo già notevole per l’epoca.

Infine, il calcio totale è velocità di corsa, indispensabile per questo tipo di gioco, e quindi l’aspetto della tenuta fisica diventa centrale perché è una forma di atteggiamento in campo molto dispendioso. Allo stesso tempo la tecnica calcistica risulta importante, alla luce di un possesso palla protratto e dell’obiettivo di dettare i ritmi di gioco – attraverso accelerazioni e rallentamenti. Un obiettivo raggiunto grazie alla particolare fioritura di talenti calcistici di cui gode l’Olanda in quegli anni.

Il padre indiscusso del calcio totale è universalmente riconosciuto nella persona di Rinus Michels. Ex giocatore dell’Ajax di discreto livello, siede sulla panchina dei biancorossi di Amsterdam a partire dal 1965. Impone la sua visione del calcio in maniera ferrea. Quando si presenta all’Ajax, di fronte ai giocatori, pronuncia questa frase: “Non scordate mai queste due cose essenziali: voi non siete altro che numeri; e il calcio, è la guerra2)Dragan Kicanovic, Total recall, So Foot n. 128 – monografico Cruyff. (George Orwell aveva detto qualcosa di simile – il calcio è la guerra meno gli spari). Sembra aver poco a che fare con hippies e amore libero, però il football vive di queste contraddizioni. È definito il Generale per i metodi autoritari adottati, ma non è un musone. Durante il Mondiale tedesco spesso ride in panchina. Esulta dopo le vittorie e, sempre in Germania, lo si vede esibirsi come cantante di fonte alla squadra, nel corso di una serata trascorsa in un locale. I suoi uomini lo adorano. Una generazione di grandi interpreti cresce assieme a lui: fra gli altri, Cruyff, Neeskens, Krol, Haan. Nel 1969 l’Ajax, un’autentica novità nel calcio europeo, raggiunge la finale della Coppa dei Campioni, ma sbatte contro la solidità del Milan di Rocco, i tre gol di Prati ed un Rivera sontuoso. Vincono il massimo trofeo continentale nel 1971 battendo in finale il Panathinaikos allenato da Puskas – l’anno prima la Coppa è già arrivata nei Paesi Bassi, conquistata dal Feyenoord. Poi Michels lascia l’Olanda per il Barcellona.

Come accennato, Michels è il commissario tecnico della nazionale olandese nel corso della Coppa del Mondo. È chiamato a sedere sulla panchina arancione poco prima dell’inizio della competizione per provare a replicare in nazionale i risultati ottenuti nelle squadre di club. Allenerà la squadra olandese a più riprese, conquistando nel 1988 il campionato europeo. È un’altra Olanda, un’altra fioritura di talenti eccezionale, sebbene il gioco non sia più ai livelli del decennio precedente. Nel 1999 la FIFA proclama Michels miglior allenatore di sempre. Muore nel 2005.

L’Ajax continua a vincere anche senza il suo guru. Lo sostituisce Kovacs, rumeno, ex selezionatore della nazionale. Conferma l’impianto costruito dal suo predecessore dotando la squadra di maggiore libertà e di un calcio più fantasioso. Conquista le Coppe dei Campioni del ’72 e del ’73 a spese dei club italiani, l’Inter e la Juventus. Quando Kovacs arriva all’Ajax, stante i sui trascorsi nell’esercito rumeno, Cruyff lo mette alla prova chiedendogli se ha qualcosa in contrario riguardo i loro capelli lunghi. Ma al tecnico rumeno le folte criniere dei calciatori interessano poco. Sì, perché gli olandesi sono innovativi e anticonformisti non solo nello stile di gioco. Vestono casual e assumono atteggiamenti informali fuori dal campo. Come la maggior parte dei loro coetanei, sembrano allergici al lavoro dei barbieri. Sfoggiano improbabili basettoni. Le porte dei loro ritiri pre-partita sono spesso aperte a mogli e compagne. Nell’immaginario collettivo somigliano a divi rock. È una rivoluzione anche estetica rispetto alla classica immagine del calciatore rasato di fresco e capelli corti – a spazzola o con la riga da un lato – camicia, giacca, cravatta e scarpe lucide di vernice.

Giovani ad Amsterdam negli anni Settanta - upcoming.nl
Giovani ad Amsterdam negli anni settanta – upcoming.nl

Chiaramente il calcio totale non nasce nel nulla e non è solo Michels. L’esperienza della grande Ungheria anni cinquanta, con la sua fase d’attacco priva di riferimenti precisi e il suo controllo del gioco, rappresenta un’importante antesignana del calcio olandese anni settanta. Lo stesso dicasi per il Brasile del 1958 e la sua difesa a zona, con gli esterni che spingono come attaccanti.

Inoltre, un ruolo decisivo nel porre le basi del calcio totale è stato assunto da due allenatori inglesi che si sono succeduti sulla panchina dei lancieri prima di Rinus Michels. Uno è Jack Reynolds (1881 – 1962). Allenò l’Ajax in tre riprese che vanno dal 1915 al 1947. Nel frattempo venne anche internato in un campo di prigionia tedesco nel corso del secondo conflitto mondiale. Nei suoi insegnamenti, Reynolds diede molta importanza al controllo della palla e alla tecnica individuale. Sosteneva che l’attacco fosse la miglior forma di difesa. Inoltre, elemento di fondamentale importanza per il futuro, richiese che a tutti i livelli l’Ajax giocasse allo stesso modo, e dunque anche nelle formazioni giovanili. L’altro è Vic Buckingham (1915 – 1995), teorico del possesso palla, della cura nella precisione dei passaggi fra i giocatori e di un gioco offensivo in grado produrre un alto numero di realizzazioni. E ancora, non si deve trascurare il ruolo svolto in questa vicenda da Ernst Happel, allenatore e artefice del Feyenoord campione d’Europa nel 1970. Prima ancora di Michels impostò il fondamentale 4-3-3. Siederà sulla panchina olandese nei successivi Mondiali.

Il calcio totale è forse la tattica di gioco più analizzata e discussa di sempre – assieme al catenaccio, che ne costituisce l’antitesi. Probabilmente è anche la più affascinante delle tattiche in quanto a storia, realizzazione ed evoluzione. È molto bello vederli giocare, non c’è che dire. “Oltre alla nostra organizzazione tattica, Michels ha inventato dei dispositivi innovativi: il pressing offensivo quando il portiere avversario ha il pallone; i cambi di posizione dei tre giocatori per ogni fila; il centrale arretrato che a volte gioca davanti alla difesa; gli incroci tra i laterali… Ha portato anche delle cose poco comuni all’epoca nel calcio olandese… i lanci lunghi, la ripetizione dei passaggi, la qualità dei dribbling… Poco a poco è diventato un mix perfetto tra il calcio anglo-sassone e quello latino”(Barry Hulshoff)3)Ibidem. Mario Sconcerti riepiloga in tre punti il calcio totale: 1) in difesa marcatura a zona, a centrocampo a uomo con il pressing; 2) il pallone deve essere dato da un giocatore in movimento ad un altro in movimento; 3) al centro del gioco non c’è il pallone, ma l’uomo4)Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai editore, 2009. Secondo Gianni Brera era un gioco splendido ma fin troppo difficile5)Gianni Brera, Cruijff, in Storia dei Mondiali, Fratelli Fabbri Editore, 1974.

È stata avanzata da Jonathan Wilson un’idea decisamente interessante6)Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012. L’arretratezza calcistica dell’Olanda è stata fondamentale per lo sviluppo, lì e in quel periodo, del calcio totale. Si è prodotto infatti il salto di una precisa fase della storia del calcio, ovvero la fase del massiccio utilizzo della tattica WM. Più precisamente non è stato mai usato nella sua forma intensa, consistente in una rigida marcatura a uomo in difesa. E pertanto non è stato mai imposto ai giovani giocatori olandesi. Aggiungo io: è un po’ come accade in quei paesi economicamente arretrati quando un governo o una società straniera porta una produzione di tipo nuovo. Dall’arretratezza, in quel preciso settore, si passa direttamente alle ultime scoperte e applicazioni della tecnica, quindi alla modernità oltrepassando le fasi intermedie, con tutte le conseguenze del caso in termini sociali, politici, nei rapporti tra le classi. Trotsky lo spiega e lo definisce come sviluppo diseguale e combinato. Quanto avvenuto nel calcio in Olanda è proprio questo: saltando quasi in toto una fase dello sviluppo calcistico, è stata posta la base per poter applicare una concezione tattica più avanzata di tutte le altre del periodo. Sono andati direttamente al futuro.

È un meccanismo a orologeria, il calcio totale. I giocatori devono fornire prestazioni fisiche di un certo livello; devono muoversi nel modo opportuno e coordinato, e dunque richiede concentrazione; devono fidarsi l’uno dell’altro, conoscersi bene. “Tutti sono diversi, tutti hanno qualità differenti, ma devono avere la stessa mentalità” ha detto Cruyff7)Miguel Delaney, Gamechanger, The Blizzard n. 12. Un’arancia meccanica, quindi, con il rischio concreto di incepparsi in ogni istante. Proprio come nel film di Stanley Kubrick (A Clockwork Orange – 1971).

C’è un partita del grande Ajax da ricordare. Coppa dei Campioni stagione 1972/73, quarti di finale, incontro di andata. Ad Amsterdam arriva il Bayern Monaco. Un sfida importante per diverse ragioni: per il valore degli avversari, intanto; perché nella stagione successiva il Bayern vincerà la prima di tre Coppe dei Campioni consecutive, e quindi è un incrocio che rappresenta una sorta di anello di congiunzione fra le due epoche; infine, perché anticipa il Mondiale ’74, anche se al momento nessuno può saperlo. È utile scorrere l’elenco degli uomini che scendono in campo, poiché molti di essi li incontreremo ancora. L’Ajax schiera: Stuy; Suurbier, Blackenburg, Schilcher (manca Hulshoff), Krol; Haan, Neeskens, Muhern; Rep, Cruyff, Keizer. I tedeschi rispondono con: Maier; Hansen, Schwarzenbeck, Beckenbauer, Breitner; Dumberger, Roth, Hoeness, Zobel; Muller, Hoffmann. È il 7 marzo 1973 e fa freddo allo Stadio Olimpico della capitale olandese. Qualche mese prima, durante un amichevole, l’Ajax ha rifilato cinque gol al Bayern. Si calcolano duecento milioni di spettatori alla televisione, una cifra enorme per l’epoca, per una partita fra club. Nel primo tempo il Bayern si difende, pare reggere, nonostante un palo degli olandesi. Nella ripresa l’Ajax schiaccia gli avversari. Li soverchia. Termina quattro a zero e il secondo gol, di Muhern, è un tiro al volo splendido, peccato che le immagini televisive lo perdano, almeno in parte. È la serata nera di Sepp Maier che, affranto, si presenta davanti ai giornalisti dopo l’incontro parlando addirittura di ritiro. È solo una provocazione.

La nazionale olandese si impone però all’attenzione internazionale quando i grandi club del paese stanno già iniziando a imboccare una via declinante. Nel 1974 l’Ajax esce agli ottavi della massima competizione europea per mano del CSKA di Sofia. Il Feyenoord riesce a vincere la Coppa Uefa battendo in finale il Tottenham Hotspur. Nella partita di ritorno, a Rotterdam, si verificano pesanti e brutali scontri sugli spalti. Non è la prima comparsa del fenomeno – già due anni prima, nel corso della finale di Coppa delle Coppe giocata a Barcellona, i tifosi del Rangers Glasgow sono stati protagonisti di violenti disordini – ma a breve il problema hooligans diventerà una triste e drammatica costante del calcio europeo.

Quella che si presenta sui campi tedeschi nel 1974 è una squadra costruita sulla falsariga dell’Ajax. Michels schiera un 4-3–3, con la marcatura a zona e il libero in difesa. Molte volte, però, il difensore più arretrato è il primo soggetto deputato a impostare il gioco e avanza pertanto ampiamente verso il centrocampo. Spesso lo schema diventa così un 3–4–3. Accadeva lo stesso all’Ajax, dove negli anni di Michels il ruolo di libero era affidato a un ottimo e intelligente giocatore jugoslavo, Velibor Vasovic.

La formazione tipo, quella che raggiungerà la finale del Mondiale, è un sapiente assemblaggio di Ajax e Feyenoord. La presento come usuale, per linee orizzontali; però gli schemi di gioco, con le sovrapposizioni, funzionano molto anche per linee parallele verticali. Come dei binari. La formazione ha un gran tasso tecnico. Tra i pali c’è Jongbloed, portiere dell’Amsterdam FC, squadra ora scomparsa. In difesa ci sono: sulle fasce Suurbier e Krol, entrambi dell’Ajax; in mezzo Rijsbergen del Feyenoord, e Haan, che nell’Ajax gioca a centrocampo, mentre in nazionale Michels lo schiera come libero con licenza di avanzare. È un elemento molto importante nella squadra.

A centrocampo troviamo Jansen, del Feyenoord, e poi due grandi interpreti del ruolo: van Hanegem, cuore e mente del Feyenoord, giocatore di grande equilibrio tattico; e poi Johann Neeskens. Neeskens è l’autentico prototipo del giocatore totale, cioè completo. Nasce come difensore di fascia, poi Kovacs lo sposta a centrocampo. Ha capacità di incontrista, di regista, di finalizzatore – chiude infatti la rassegna iridata al secondo posto della classifica dei marcatori con cinque gol. Un autentico giocatore moderno. Dopo i mondiali lascia l’Ajax per passare al Barcellona; la notizia viene diffusa nel corso della competizione e crea un certo malumore nell’ambiente, in particolare fra gli ex compagni di squadra. Nel 1976, durante la semifinale dei campionati europei contro la Cecoslovacchia, sia Neeskens che van Hanegem vengono espulsi. La partita finisce in dieci contro nove e gli olandesi contestano aspramente l’arbitraggio. Strafavorita, con ogni probabilità la formazione più forte d’Europa, l’Olanda perde tre a uno ai supplementari.

In attacco, sui lati, Michels schiera Rep, dell’Ajax, e Rensenbrink, che gioca in Belgio nell’Anderlecht. E poi, in mezzo all’attacco ma libero di spaziare dove meglio crede, con il suo caratteristico quattordici sulla schiena, c’è lui, Johann Cruyff.

Cruyff - spazioj.it
Cruyff – spazioj.it

Ad Amsterdam, nel Cafè Hans en Grietje, un locale posto all’angolo tra lo Spiegenracht ed il Lijnbaansgracht, e proprio di fronte al Rijksmuseum, potete trovare ancora adesso appesa al muro una sua gigantografia. Dunque, non una foto di Van Basten, o di Bergkamp, o di Robben, ma un poster di Cruyff. I canali, la Ronda di Notte, e Cruyff – ecco l’Olanda tutta assieme in poche centinaia di metri. La “triplice eredità di liberazione sociale, di accresciuta sensibilità estetica per il corpo in movimento e di testardo individualismo economico che hanno caratterizzato la moderna Olanda, sono incastonati nell’iconica figura del suo più grande calciatore, Johann Cruyff8)David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007. Cruyff è forse l’unico uomo al mondo che potrebbe stare tranquillamente nelle liste dei primi dieci giocatori e dei primi dieci allenatori della storia. E infatti ci sta. Il sito web della rivista francese So Foot lo piazza al terzo posto tra i giocatori9)Les 100 meilleurs joueurs, So Foot ed al sesto tra gli allenatori10)Cherif Ghemmour, Cruijff, entarineur total, So Foot, solo due posti dietro il suo mentore Rinus Michels. È un personaggio monumentale nella storia del gioco, dotato di un fascino calcistico pressoché unico, tramandato e rafforzato negli anni.

Nasce nel 1947 a Betondorp, quartiere operaio e comunista di Amsterdam a due passi dal De Meer, lo stadio dell’Ajax. Il padre è un erbivendolo (o verduriere), così come il padre di Giuseppe Meazza11)Gianni Brera, cit.. Trascorre l’infanzia e la giovinezza a giocare a pallone per le strade ed i cortili della città. È gracilino e con i piedi piatti, ma mostra un talento calcistico precoce ed entra giovanissimo nell’Ajax. Presto lo stadio diventa la sua seconda casa. Suo padre è morto quando di anni ne aveva dodici e sua madre, per sbarcare il lunario, ha iniziato a lavorare come donna di servizio presso la società dei lancieri, grazie all’intercessione del figlio.

A diciassette esordisce nella massima serie dei Paesi Bassi. A neanche vent’anni gioca la sua prima partita in nazionale, Olanda – Ungheria, qualificazioni per il campionato europeo, e segna un gol. Nel corso della seconda partita, però, un amichevole contro la Cecoslovacchia, si fa espellere per un colpo all’arbitro che negherà sempre di avere dato. È il primo giocatore di sempre della nazionale orange ad essere espulso. Scoppiano diverse polemiche al riguardo. Riceve un anno di squalifica comminato dalla federazione olandese, poi ridotta a sei mesi, ma è l’inizio di un rapporto controverso, non semplice con la maglia del suo paese. O forse, sarebbe meglio dire con il suo paese tout court, stante che da oltre quarant’anni Cruyff vive pressoché stabilmente in Catalogna. In ogni caso gioca in modo regolare con la maglia arancione solo a partire dalla stagione 1971/72, e sino al ’77. Disputa in tutto quarantotto partite con i Paesi Bassi, segnando 33 reti.

Contribuisce in prima persona alla grandezza dell’Ajax. Tra il 1966 ed il 1973 vince sei titoli nazionali. Nel 1969 perde la finale di Coppa dei Campioni contro il Milan, limitato da Trapattoni. Ma vince la Coppa per tre anni di fila, dal ’71 al ’73. Nella finale del 1972, contro l’Inter, segna una doppietta ed è fantastico in campo, nonostante l’attenta marcatura del giovane Oriali. I campionati del Mondo dell’anno ’74 diventeranno il passaggio chiave della sua carriera e saranno gli unici Mondiali ai quali parteciperà. Vi arriva come il giocatore più forte del mondo e ne esce allo stesso modo, ma è una magra consolazione.

L’Olanda era musica, e quello che guidava la melodia di tanti suoni simultanei, evitando schiamazzi e stonature, era Johann Cruyff. Direttore d’orchestra e musicista di fila, Cruyff lavorava più di tutti12)Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer Editori, 1997. Nell’Ajax come in nazionale, Cruyff riveste il ruolo del prodigioso talento individuale, inserito in un contesto, quello del calcio totale, nel quale il funzionamento collettivo è essenziale. Coniuga una tecnica sopraffina a uno spiccato atletismo, fondato sulla velocità di corsa e di esecuzione. Segna molto e fa segnare. Si sposta da un parte all’altra del terreno di gioco, togliendo così riferimenti agli avversari. È imperioso nello scatto secco, nei cambi di passo, nei dribbling, ed è inoltre terribilmente elegante. Autentico leader fuori e dentro il terreno di gioco, lo si vede spesso, nei filmati di repertorio, discutere, suggerire e incitare i compagni. Era evidente chi doveva comandare in campo e chi comandava. Quando nel 1973 Piet Keizer, grande attaccante, viene eletto al suo posto capitano dell’Ajax, Cruyff, mosso dall’orgoglio (e da una discreta quantità di denaro), lascia la squadra della sua vita. Il suo non semplice carattere lo mette in contrasto con diversi calciatori. Uno di questi è stato proprio Piet Keizer – inserito però da Cruyff nel suo undici ideale di sempre, in mezzo a tali Di Stefano, Pelé e Garrincha. Un altro è Jan van Beveren, grande portiere del PSV Eindhoven. Storia triste e brutta, questa di van Beveren13)Angelo Carotenuto, La leggenda nascosta di Van Beveren, la Repubblica. Rimane fuori dal giro della nazionale olandese del periodo d’oro, osteggiato da Cruyff e dal gruppo dei giocatori dell’Ajax, per ragioni di premi e anche perché rifiuta il suocero di Cruyff quale agente. In breve, non accetta il predominio di Johann. Viene quindi insultato per anni su buona parte dei campi di calcio olandesi sino a quando decide di lasciare il paese e giocare negli USA, dove si ferma a vivere. Muore nel 2011. A Eindhoven, presso lo stadio, gli dedicheranno una statua.

Si dice che il carattere duro di Cruyff, la sua autorevolezza ed il suo sentirsi superiore a qualsiasi autorità, abbiano origine dalla perdita del padre durante l’adolescenza. Un aneddoto piuttosto rilevatore è il seguente. Racconta Jorge Valdano di un Barcellona – Alaves, quarti di Coppa del Re stagione 1977/78, un trofeo poi vinto dalla squadra catalana. Valdano gioca nell’Alaves, compagine della seconda divisione spagnola; l’olandese tra i blaugrana. Cruyff si comporta come il padrone del campo: ferma il gioco quando un giocatore è a terra, chiama i soccorritori, si impone sull’arbitro con la sua personalità – e il direttore di gara è chiaramente in soggezione psicologica. Ad un certo punto, mentre Cruyff ha il pallone tra le braccia, Valdano si avvicina e gli dice: “Perché non ti porti la palla a casa, e ne dai un’altra a noi? Così magari senza di te possiamo continuare a giocare a calcio…”. Cruyff lo guarda e gli chiede “Tu come ti chiami?”, “Valdano” risponde. “E quanto anni hai?” “Venti”. “Senti Valdano, quando si hanno vent’anni, a Johann Cruyff si dà del lei!14)Thomas Goubin, Apres Cruyff, le football n’a plus jamais ete le meme, intervista a Jorge Valdano, So Foot n. 128 – monografico Cruyff. In realtà Valdano di anni ne ha già ventidue, ma poco importa. Però sentiremo ancora parlare di lui.

Cruyff è moderno non solo in termini di prestazioni calcistiche, ma altresì nella gestione della sua immagine e dei contratti. La Puma è la ditta di vestiario sportivo che lo sponsorizza. In occasione dei mondiali tedeschi, l’Adidas veste la nazionale olandese e inserisce le sue tre caratteristiche strisce parallele sulla maglie dei giocatori. A Cruyff non va bene e ottiene di averne solo due sulla propria maglia. È uno dei primi giocatori ad avere un procuratore fisso, Cos Costner, suo suocero e ricchissimo commerciante di diamanti. Ed è il suocero che tratta il suo clamoroso trasferimento al Barcellona nell’anno 1973.

Se un giorno la Catalogna acquisterà la propria indipendenza, non dovrà stupire che tra i padri della patria venga inserito anche Johann Cruyff. Questo primo passaggio calcistico in terra catalana dell’olandese è straordinario – benché il secondo passaggio lo sarà forse ancora di più. Il Barcellona, allenato da Michels da un biennio, non vince il titolo dal 1960. Le formazioni della capitale spagnola stanno dominando. Quando Cruyff arriva al Camp Nou, a stagione già iniziata, la squadra è poco più su della zona retrocessione in classifica. A fine anno saranno campioni di Spagna. Cruyff segna un gol incredibile all’Atletico Madrid, al volo, in spaccata e di tacco. Guida i suoi in un devastante cinque a zero al Santiago Bernabeu, la casa del Real. Il Barcellona vince dieci partite di fila e rimane imbattuto per ventisei incontri. In terra catalana riprendono così fiato, anche per via calcistica, il sentimento di libertà e la riscoperta delle proprie radici e della propria cultura. Nel 1937, nel pieno della guerra civile, il Football Club Barcelona aveva organizzato un giro di esibizioni negli Stati Uniti e in Messico per raccogliere fondi e sostenere la causa politica della Repubblica Spagnola. Lo scudetto blaugrana del ’74 è un simbolo di resistenza al fascismo che ancora, sebbene per poco, è al potere. Proprio nel 1974 Cruyff chiama il suo terzogenito Jordi, come è tipico nella tradizione catalana, e può registrarlo solo nei Paesi Bassi poiché in Spagna il nome è vietato.

Ma quel primo anno al Barcellona risulterà alla fine un’eccezione. Le stagioni seguenti non sono allo stesso livello. Nel 1978, stanco e appagato, Cruyff decide di abbandonare il calcio giocato. Viene organizzata una partita di addio, ad Amsterdam, tra l’Ajax e il Bayern Monaco. L’Ajax non è più la formidabile compagine di qualche anno prima. Il Bayern è la squadra che ha sostituito gli olandesi nell’albo d’oro della Coppa Campioni, per quanto in calo. Raccontano i tedeschi di essere sbarcati all’aeroporto, per quella che doveva essere una festa ed un invito di onore, senza che nessuno li accogliesse. Allo stadio i fotografi si piazzano tutti, in attesa dei gol, alle spalle della porta di Maier, che non ha bei ricordi calcistici di Amsterdam. Dagli spalti li insultano, gli urlano “porci nazisti”. Morale della favola, il Bayern non la prende bene e vince otto a zero – inoltre l’arbitro annulla loro anche due o tre gol buoni per evitare che la partita di addio di Cruyff termini con una sconfitta in doppia cifra15)Johan Cruyff a pris 8 – 0 pour son jubile, So Foot n. 128 – monografico Cruyff. I festeggiamenti dopo l’incontro vengono annullati. Mai un incontro normale, con i tedeschi.

Cruyff torna dopo poco tempo sui campi di gioco per questioni di carattere economico, a causa di investimenti andati parecchio male, gestiti da un collaboratore scorretto. Partecipa al primo storico tentativo di creare una forte lega professionistica negli Stati Uniti. Ritorna in Europa, per pochi mesi al Levante, poi gioca di nuovo nell’Ajax e per gli storici rivali del Feyenoord. Nel 1985 inizia la sua carriera di allenatore, ancora una volta all’Ajax. Nella società che lo ha lanciato scopre il talento di Van Basten e di Rijkaard. Mette in bacheca due Coppe d’Olanda ed una Coppa delle Coppe. Poi passa, ancora una volta, al Barcellona.

Come tecnico dei blaugrana, Cruyff edifica le fondamenta di quello che sarà un marchio, un emblema del calcio mondiale tuttora in piedi: un calcio che diverte, propositivo, di attacco, e vincente. In una parola, il Barcellona. È il ritorno in grande stile del calcio totale olandese, per quanto il livello massimo del gioco in quegli anni viene raggiunto a Milano, chez Arrigo Sacchi. Costruisce la squadra su di un asse formato da Ronald Koeman in difesa, Pep Guardiola a centrocampo, Michael Laudrup, Hristo Stoichkov e Romario (nell’ultimo periodo) in attacco, più un manipolo di coriacei giocatori baschi come Bakero e Beguiristain. Li schiera spesso con un 3-4-3, adottando un gioco basato sul possesso palla, sul senso di posizione, su passaggi precisi e ripetuti. Unico limite, ca va sans dire, la fase difensiva, ma pazienza. Il Barcellona di Cruyff verrà definito il dream team.

Porta a casa la Coppa delle Coppe del 1989 e la Coppa di Spagna del ’90. Poi conquista la Liga per quattro stagioni consecutive, dal 1991 al 1994, e prima di allora il Barcellona non aveva mai vinto più di due titoli di fila. La stagione 1990/91 è dominata dai catalani mentre negli altri tre campionati il titolo arriva soltanto nel corso dell’ultima giornata. Addirittura nel ’92 e nel ’93 il Barcellona precede in classifica gli arci-nemici del Real Madrid, che in entrambe le occasioni lasciano il campionato sul campo del Tenerife. E chi è l’allenatore del Tenerife? Ma Jorge Valdano, l’argentino mortificato da Cruyff quindici anni prima, quando vestiva la maglia dell’Alaves. Il quale Valdano, nel frattempo, ha vinto due titoli di campione di Spagna come giocatore proprio con il Real Madrid, oltre al Mondiale del 1986. Magari a questo punto Cruyff ha iniziato a farsi dare del tu.

Soprattutto, conduce i catalani sul tetto d’Europa per la prima volta in assoluto, nel 1992: finale contro la Sampdoria di Vialli e Mancini guidata da Vujadin Boskov, uno a zero, gol di Koeman nei tempi supplementari. Però porta a casa anche una bella batosta. Il 18 maggio 1994 si presenta ad Atene di nuovo per l’ultimo atto della Coppa dei Campioni – contro il Milan – da favorito e con un atteggiamento vagamente spocchioso. Talvolta l’umiltà non è proprio nelle sue corde. I rossoneri guidati da Fabio Capello giocano una partita gigantesca, tutta impostata su pressing e rapidi contrattacchi, in grado di annullare il gioco avversario. Ad alto livello, e tra formazioni di eguale e notevole spessore tecnico, non ricordo di aver mai visto una superiorità così schiacciante. Nel primo tempo il Barcellona è già sotto per due a zero; pare che nell’intervallo lo stesso Cruyff non sappia più cosa dire ai propri giocatori. Termina quattro a zero. Una delle marcature la realizza Savicevic ed è una follia meravigliosa che può saltare fuori solo dal cappello di un fenomeno jugoslavo, consiglio di vederlo e rivederlo. Con quattro gol sul groppone presi dal Milan si chiude di fatto, così come era iniziata nel 1969, la splendida parabola calcistica di Johann Cruyff.

Nel ’96, a due giornate dalla fine del campionato, viene esonerato e decide di terminare la sua carriera di allenatore a soli quarantanove anni. I problemi di salute hanno il loro peso, ma è determinante anche una sana e meritata propensione a godersi la vita senza esagerati affanni. Lavora periodicamente come dirigente e si ritaglia un ruolo di oracolo del calcio mondiale. Ad ogni partita importante tutti lo cercano, tutti vogliono la sua opinione. Rimane sempre un punto di riferimento del calcio blaugrana, ascoltato e riverito come un eroe. Nel 2011, quando il Barcellona guidato da Guardiola conquista a Londra la sua quarta Coppa dei Campioni con un calcio che rappresenta la continuazione degli insegnamenti di Cruyff, lui è in tribuna. Alla conclusione dell’incontro la televisione lo inquadra, esultante, soddisfatto, mentre benedice dall’alto quello che è ancora un suo trionfo, l’ennesimo.

Cruyff si è spento il 24 marzo del 2016 a causa di un tumore. Da anni gestiva una fondazione benefica che portava il suo nome. È diffusa in tutto il mondo ed è dedicata ai bambini, ai ragazzini, diversamente abili e non; utilizza il calcio come strumento di crescita e di formazione. Non aveva il telefono cellulare, Cruyff, non aveva il tablet, il computer, nemmeno un indirizzo e-mail. Era ateo. Ma a che ti serve un computer, a che ti serve Dio, quando sei Johann Cruyff…

4 ottobre 2018

References   [ + ]

1. Alec Cordolcini, Genesi di un mito, Rivista Undici
2. Dragan Kicanovic, Total recall, So Foot n. 128 – monografico Cruyff
3. Ibidem
4. Mario Sconcerti, Storia delle idee del calcio, Baldini Castoldi Dalai editore, 2009
5. Gianni Brera, Cruijff, in Storia dei Mondiali, Fratelli Fabbri Editore, 1974
6. Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012
7. Miguel Delaney, Gamechanger, The Blizzard n. 12
8. David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007
9. Les 100 meilleurs joueurs, So Foot
10. Cherif Ghemmour, Cruijff, entarineur total, So Foot
11. Gianni Brera, cit.
12. Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer Editori, 1997
13. Angelo Carotenuto, La leggenda nascosta di Van Beveren, la Repubblica
14. Thomas Goubin, Apres Cruyff, le football n’a plus jamais ete le meme, intervista a Jorge Valdano, So Foot n. 128 – monografico Cruyff
15. Johan Cruyff a pris 8 – 0 pour son jubile, So Foot n. 128 – monografico Cruyff