Nell’accezione più ampia possibile, attraverso gli intenti e i mezzi esemplari o abietti che la caratterizzano, la politica è una presenza costante nel mondo del calcio. La connessione si rafforza e si indebolisce in accordo con i flussi dell’impegno collettivo – senza eccedere in facili meccanicismi, ma in ultima analisi è così. Ad esempio, il rapporto è stato intenso negli anni trenta del ventesimo secolo. La stessa dinamica si ripete quindi negli anni settanta.
La formula delle qualificazioni per la fase finale del Mondiale 1974 prevede, come spesso accade, l’epilogo di uno spareggio intercontinentale. Uno degli ultimi posti a disposizione sarà infatti il frutto di una doppia sfida – andata e ritorno – tra la vincente del gruppo 9 europeo e la vincente del gruppo 3 latinoamericano. Il gruppo tre dell’America del Sud vede al via solamente due squadre, il Cile e il Perù. Il Venezuela, terza nazionale sorteggiata nel raggruppamento, ha rinunciato. Il Perù in quegli anni mette in campo una squadra di tutto valore: nella Coppa del Mondo del 1970 ha raggiunto i quarti di finale e lo stesso farà nell’edizione del 1978. Schiera un ottimo difensore come Chumpitaz e il grande centrocampista Cubillas. In attacco poi c’è Hugo Sotil, giocatore del Barcellona, dove è molto amato. Nel 1974 la sua cessione, per lasciare spazio ad un altro straniero – l’olandese Neeskens –, scatenerà le proteste del tifo catalano. In ogni caso il Perù si lascia sorprendere dal meno accreditato, ma solido, Cile. Nel corso del 1973 le due squadre si incrociano tre volte per decidere chi andrà allo spareggio intercontinentale. A Lima il Perù vince due a zero con doppietta di Sotil, ma a Santiago il Cile si impone con lo stesso risultato. Serve quindi la partita di spareggio, in programma il 5 agosto 1973 all’Estadio del Centenario di Montevideo. Prevale il Cile due a uno. Nella squadra cilena gioca un valido centrocampista, nonché capitano, Francisco Valdez. In attacco c’è un giovane e promettente attaccante riccioluto, basso e tarchiato – ricorda un po’ Maradona nelle fattezze. Sarà definito Rey del metro cuadrado per le sue dotti sullo stretto, in particolare in area di rigore, e si chiama Carlos Caszely. Sia Valdez che Caszely militano nel Colo Colo. La formazione di club cilena nel 1973 è vice campione del Sudamerica, dopo aver perso lo spareggio ai supplementari per due a uno contro gli argentini dell’Indipendiente – la compagine che domina la Coppa Libertadores dal ’72 al ’75.
Il gruppo nove europeo è vinto dall’Unione Sovietica ai danni di Francia e Irlanda. I francesi, dopo aver sconfitto a Parigi i sovietici vice campioni europei, pagano due scarse prestazioni contro l’Irlanda e devono rinunciare al Mondiale. Quindi URSS – Cile è l’incontro destinato a mandare una delle due formazione in Germania Occidentale per la Coppa del Mondo. La partita di andata è prevista a Mosca il 26 settembre del ’73. Sì, ma nel frattempo è accaduto qualcosa.
L’undici settembre un sollevamento armato guidato dal generale Pinochet ha consentito a una giunta militare di assumere il potere in Cile. Il governo del presidente socialista Salvador Allende, appoggiato dalle forze del movimento operaio e da larghi strati della popolazione, è stato abbattuto. Lo stesso Allende è morto con le armi in pugno. Gli aerei hanno bombardato la Moneda, il palazzo presidenziale di Santiago del Cile. I carri armati sono per le strade. Iniziano a contarsi i morti, gli arresti arbitrari, le sparizioni, l’uso massiccio della tortura. Dietro al golpe, dietro ai militari, la reazione di sempre: l’oligarchia terriera; l’alta borghesia; il dipartimento di Stato americano guidato da Henry Kissinger, grande esperto di politica internazionale e appassionato di calcio. Lo si vedrà molte volte sugli spalti del Mondiale tedesco.
Nel corso degli anni settanta il mondo è sconvolto dalla barbarie e dalla terribile violenza delle dittature militari, dalla loro protervia, dalla loro impunità. Il Cile diventa l’esempio più triste. A Santiago l’Estadio Nacional, che nel 1962 ha ospitato la finale dei Mondiali, è trasformato per settimane in un campo di concentramento per prigionieri politici. Lì dentro i detenuti spesso scompaiono, ingoiati nel nulla dei suoi sotterranei. Le persone sono torturate. Le immagini dello stadio rimbalzano sui giornali e sulle televisioni di tutto il mondo per precisa volontà dei militari al potere. Vogliono mostrare chi comanda adesso in Cile e come comanda.
La nazionale cilena avrebbe dovuto riunirsi proprio il giorno undici per preparare al sfida con i sovietici, ma l’appuntamento viene annullato. Ci sono dubbi in merito alla possibilità di disputare l’incontro. I militari hanno imposto il divieto di espatrio alla popolazione. L’Unione Sovietica, inoltre, ha rotto le relazioni diplomatiche con il Cile dopo il golpe militare. Il medico della squadra però, Jacobo Helo, è anche il medico personale del capo dell’aviazione militare, il generale Leigh1)Pablo Are Geraldes, El gol mas triste de Chile, Fox Sports, ottobre 2008. Sfrutta la sua posizione per convincere la giunta che una partita di calcio così importante potrebbe servire a calmare le acque, oltre a fornire al nuovo potere un’immagine internazionale un po’ ripulita. I militari accettano e i giocatori possono quindi partire. Viene loro imposto il silenzio, pena la minaccia esplicita di ritorsioni nei confronti delle loro famiglie rimaste in patria.
I cileni giungono a Mosca in un clima molto teso e alloggiano all’hotel Ucraina, uno dei sette grattacieli simil-gotico fatti edificare da Stalin nella capitale. La partita è in programma allo Stadio Lenin. La televisione sovietica di solito trasmette le partite della nazionale, ma questa volta, a causa del particolare avversario, rifiuta di farlo – e pertanto non ci sono immagini dell’incontro. Dalle cronache risulta una coriacea partita difensiva dei sudamericani, guidati dai due difensori centrali Figueroa e Quintano, mentre l’URSS preme con forza ma non passa. Pare che la direzione di gara poco imparziale del brasiliano Marques completi l’opera. Dichiarerà infatti Hugo Gasc, l’unico giornalista cileno presente in Russia al seguito della nazionale: “Per fortuna l’arbitro era un anticomunista rabbioso. Insieme a Francisco Fluxá, capo della delegazione, lo abbiamo convinto che non potevamo perdere a Mosca, e onestamente il suo arbitraggio ci aiutò molto”2)Ibidem. L’incontro si chiude a reti bianche. Il giorno seguente El Mercurio, quotidiano conservatore cileno, titola a tutta pagina: “Empate triunfal de Chile”. Sotto pubblica le felicitazioni della giunta militare per il risultato conseguito dalla nazionale. Sotto ancora, viene ricordata la morte di Pablo Neruda, grande poeta cileno, comunista, premio Nobel per la letteratura. Ai suoi funerali, sotto l’occhio dei militari schierati, ci sono lacrime e pugni chiusi levati al cielo. Le persone sono affrante. Il corteo intonerà l’Internazionale, e sarà l’ultima volta, in Cile, per molti anni. Chi vi partecipò, mostrò un coraggio straordinario e commovente.
L’incontro di ritorno dovrebbe disputarsi in Cile il 23 novembre 1973. All’interno della Federazione cilena c’è chi propone di giocare al di fuori di Santiago, ma la junta è irremovibile: si giocherà nell’Estadio Nacional della capitale. Lo stadio lager. L’Unione Sovietica chiede il campo neutro. Il potere cileno dichiara che lo stadio è usato solamente come stazione di identificazione e di transito per sospetti, null’altro. Una commissione della Fifa si reca all’impianto di Santiago a fine ottobre per verificare la situazione mentre alcuni prigionieri politici sono ancora lì dentro, nascosti nei sotterranei. Per la Federazione internazionale va tutto bene. Quello che fino a poco prima è stato un mattatoio può tranquillamente tornare a ospitare una partita di calcio, e se l’Unione Sovietica decide di non giocare, peggio per loro, perderà a tavolino. Così avviene. La Germania Orientale scrive al presidente della Fifa, Stanley Rous, chiedendogli se allo stesso modo prenderebbe in considerazione la possibilità di organizzare una partita a Dachau3)David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007. “Gli sportivi sovietici non possono giocare in uno stadio macchiato dal sangue dei patrioti cileni”, riporta il telegramma ufficiale della Federazione calcistica sovietica. L’URSS rifiuta di recarsi a Santiago e il Cile ottiene la qualificazione per il Mondiale.
La decisione ufficiale è presa dalla Fifa soltanto nel gennaio del ’74, ma il 23 novembre il regime vuole una passerella vittoriosa. I prigionieri ormai sono stati trasferiti altrove e all’Estadio Nacional di Santiago affluiscono diverse migliaia di spettatori. Scende in campo la nazionale cilena per una delle rappresentazioni calcistiche più tristi e squallide della storia. Di fronte non c’è nessuno. I giocatori avanzano, si passano la palla l’uno con l’altro e poi la infilano nella rete sguarnita. Il tabellone riporta: Cile 1 – URSS 0. Segue poi un’amichevole con il Santos disputata da diverse riserve della nazionale, che termina ignominiosamente cinque a zero per i brasiliani.
In quella cupa messinscena, Francisco Valdes è il giocatore incaricato a mettere il pallone in rete. È di fede politica socialista; si dice che, una volta tornato negli spogliatoi, vomiti l’anima, e che non sia il solo. Carlos Caszely proviene da famiglia democratica e di sinistra, e condivide queste idee. Vorrebbe buttare la palla fuori in un gesto di protesta, ma non ne ha il coraggio. Sapendo che si sarebbe recato all’Estadio Nacional per prestare il servizio richiesto (non è proprio il caso di usare il termine giocare, in quel contesto), diverse persone, famigliari o amici di scomparsi, l’hanno pregato di avvertirli nel caso avesse visto lì dentro un loro figlio, un amico, un compagno di università4)Pablo Are Geraldes, cit.. Dichiara Caszely di aver sempre rifiutato di stringere la mano a Pinochet e di non averlo mai degnato di un saluto. È stata una voce critica nei confronti della dittatura. Caszely ha giocato dal ’73 al ’78 in Spagna (Levante ed Espanyol), prima di tornare in Cile, sempre nel Colo Colo. Il suo addio al calcio, nel 1986, si è trasformato in una manifestazione politica contro il regime militare, con scontri e arresti.
Il Cile prepara con difficoltà il Mondiale. Il clima di terrore instaurato nel paese non è l’ideale per pensare al calcio. Poche nazionali, inoltre, accettano di scendere in campo con la formazione sudamericana, rappresentante di un regime repressivo e sanguinario. Si contano due amichevoli ad Haiti (una vittoria e un pareggio) e una sconfitta per mano dell’Eire, a Santiago, sempre all’Estadio Nacional. In terra tedesca i cileni giocano un torneo nel complesso sottotono. Il primo incontro vede contrapposta la formazione sudamericana ai padroni di casa. È quindi un esordio tutt’altro che agevole. La Germania Ovest va subito in vantaggio grazie a un gran tiro di Breitner da oltre trenta metri e l’uno a zero resisterà sino alla fine. Paul Breitner, esterno difensivo, è detto il maoista per le sue idee politiche di sinistra, professate soprattutto negli anni giovanili. Si è fatto fotografare in casa con le immagini alle pareti di Mao e di Che Guevara; pare inoltre si presentasse agli allenamenti con il libretto rosso del presidente cinese sotto braccio. Comunque il Cile, nonostante lo svantaggio, riesce a mettere in difficoltà i tedeschi con pericolosi contropiede, almeno sino a quando resta in parità numerica. Nel secondo tempo, infatti, Caszely viene espulso per doppia ammonizione, in seguito a un brutto fallo di reazione. I cartellini sono stati introdotti solamente nel corso della precedente edizione del torneo, e questo è il primo rosso della storia dei Mondiali. La seconda partita della Coppa il Cile la gioca contro l’altra Germania, quella comunista. Si disputa paradossalmente all’Olympiastadion di Berlino Ovest, l’impianto che ospitò le Olimpiadi del ’36, durante il nazismo. Quanti incroci politici. È una bella partita colma di occasioni da rete, la maggior parte delle quali a favore dei tedeschi orientali. Termina uno a uno. Il Cile è ancora in corsa per l’accesso ai gironi di semifinale, ma deve assolutamente battere la non irresistibile Australia nel corso della terza partita. Invece pareggia, uno zero a zero abbastanza scialbo, sopra un campo ridotto ad acquitrino. Durante l’incontro, nel secondo tempo, degli attivisti invadono il terreno di gioco con un’enorme bandiera cilena per protestare contro la giunta di Pinochet; un nutrito nugolo di poliziotti interviene di corsa per portarli via. Il Cile abbandona quindi mestamente il Mondiale, tornando a casa subito dopo il girone eliminatorio.
Nel 1988 il regime militare cileno organizza un referendum dedicato alla conferma o meno del proprio potere. Le pressioni internazionali hanno spinto la junta di Pinochet a tale scelta perché ormai, a dirla tutta, dopo quindici anni di dittatura il lavoro sporco è completato. Il no al regime nel referendum dell’Ottantotto conquista la maggioranza e nel ’90 si insedierà in Cile un governo di civili. Nel corso della campagna referendaria gli spazi per l’opposizione sono proprio pochi, ma fra questi ci sono alcuni minuti di propaganda televisiva a notte fonda che il fronte anti-Pinochet sfrutta assai bene. C’è un film del 2012 che racconta la vicenda, si intitola No ed è diretto dal regista cileno Pablo Larrain. Si è parlato di questo film come la cronaca di una campagna elettorale, ma è soprattutto l’immagine di un paese distrutto che accenna a sollevarsi solo nei limiti di quanto gli è consentito. Larrain in precedenza ha girato Tony Manero (2008), un’altra opera sempre sul Cile di Pinochet e ancora migliore, capace di esprimere in maniera esemplare la catastrofe non solo sociale e politica, ma addirittura antropologica, causata dal regime militare. Ad ogni modo, una delle inserzioni televisive della campagna referendaria vede una signora anziana, graziosa e delicata, che racconta la sua vicenda. È stata sequestrata e torturata brutalmente dai militari. La tortura fisica è riuscita a dimenticarla, ma quella morale no, e chiede di votare contro il regime per ritornare alla democrazia. L’inquadratura cambia e mostra Carlos Caszely. Il calciatore siede al fianco della donna, le stringe le mani, e dice: “Anche io voterò no. Perché la sua allegria è la mia. I suoi sentimenti sono i miei. Perché voglio vivere domani in una democrazia libera, sana e solidale. Perché questa bella signora, è mia madre“.
Sempre nel 1988, ma nella vecchia Europa, accade un altro evento che ha stretti legami con la Coppa del Mondo del ’74. Un calciatore della Germania dell’Est approfitta di un torneo di vecchie glorie nella Germania Federale per chiedere asilo politico e non tornare più indietro. Non è la prima volta che un calciatore lascia la DDR per scappare in occidente, per quanto sia un evento piuttosto raro poiché si parla pur sempre di una categoria privilegiata anche al di là del Muro. Sarà però una delle ultime volte e probabilmente ai piani alti del potere tedesco orientale qualcuno inizia a intuirlo. Il giocatore in questione, infatti, non è uno qualsiasi. Si chiama Jurgen Sparwasser ed è il calciatore della Germania Est più famoso di sempre.

Già, perché avrete capito che nella prima fase a gironi del campionato del Mondo 1974 è in programma un incontro a dir poco inusuale: Germania Ovest – Germania Est. Durante il sorteggio del 5 di gennaio, non appena le due squadre sono state inserite nello stesso girone, un velo di silenzio attonito è calato alcuni istanti sulla sala, per poi risolversi in un applauso. L’attesa è tutta per il giorno 22 giugno, quando le parti di un solo paese uscito sconfitto e diviso dalla seconda guerra mondiale, si affronteranno calcisticamente sul campo del Volksparkstadion di Amburgo. Sarà il loro primo e ultimo incontro ufficiale. Sarà di conseguenza anche un pezzo di storia.
In realtà le due Germanie si sono incrociate altre volte, mai però in occasioni riconosciute dalla Federazione internazionale. È una vicenda sui generis. Dal 1951 la Fifa accetta l’esistenza in Germania di due realtà calcistiche separate. Il Comitato Olimpico Internazionale, invece, no, e sino al 1964 impone la presenza di un’unica delegazione tedesca ai Giochi Olimpici. Nel torneo calcistico delle Olimpiadi del ’56 partecipa una formazione di fatto proveniente soltanto dalla parte occidentale. Pertanto la DDR chiede e ottiene che la squadra designata a disputare la successiva edizione dei Giochi, in rappresentanza della nazione tedesca, sia decisa da un spareggio. Si gioca con partite di andata e ritorno, entrambe a porte chiuse, in un’atmosfera tesa, triste e carica di sospetto. Vince la Germania dell’Ovest, la quale però fallisce l’approdo ai Giochi, essendo poi eliminata nel torneo pre-olimpico. Il particolare spareggio tra le due rappresentative si ripete nuovamente prima delle Olimpiadi del 1964: in questa occasione il pubblico è ammesso sugli spalti e, nella doppia sfida, prevalgono i tedeschi orientali. Le delegazioni iniziano a presentarsi divise a partire dai Giochi del 1968. Nelle Olimpiadi del 1972, a Monaco di Baviera, le due Germanie si trovano una di fronte all’altra nel corso del girone di semifinale. In quegli anni il torneo calcistico delle Olimpiadi è una questione privata dei paesi del blocco socialista, i quali schierano di fatto le nazionali maggiori con il pretesto – soltanto tale – di non avere sportivi professionisti. Le formazioni occidentali sono generalmente costituite dai settori giovanili. La Germania Federale, padrona di casa, infila però di soppiatto alcuni giocatori già in forza a formazioni della Bundesliga. L’incontro Germania Est – Germania Ovest del 1972 è teso e avvincente: di fronte a ottantamila spettatori vincono i tedeschi orientali per tre a due. Fra gli occidentali scende in campo Hoeness, futuro protagonista al Mondiale. Dall’altra parte c’è il nostro Sparwasser. La Germania dell’Est si aggiudicherà poi la medaglia di bronzo ex aequo con l’Unione Sovietica. L’incontro per assegnare il terzo posto è in programma e viene disputato, appunto, tra DDR e URSS; i tempi regolamentari però terminano due a due. Siccome non sono previsti i calci di rigori, nella mezzora dei supplementari le due squadre inscenano una pantomima finalizzata a non segnare, per spartirsi così la medaglia. Ricevono anche una discreta dose di fischi. Per la cronaca il titolo olimpico è conquistato dalla Polonia che si impone in finale sull’Ungheria.
Rispetto ad altre discipline sportive, si deve sottolineare come il partito al potere in Germania Est non abbia mai investito molto sul calcio. Però, a metà degli anni settanta, il calcio tedesco orientale vive il suo momento storico migliore. Nel 1976 la nazionale vincerà la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Montreal. Nell’anno dei Mondiali, il Magdeburgo (o, più correttamente, 1.FC Magdeburgo), vince la Coppa delle Coppe battendo in finale il Milan per due a zero. La Dinamo Dresda elimina la Juventus nel primo turno della Coppa dei Campioni 1973/74, poi agli ottavi incrocia i cugini occidentali del Bayern Monaco, futuri campioni. Sono due incontri molto combattuti e rocamboleschi: quattro a tre per i bavaresi all’andata, tre pari al ritorno. Successivamente il Magdeburgo avrebbe dovuto affrontare il Bayern Monaco per la partita di Supercoppa Europea. Scoppia però una crisi fra i due paesi dovuta a un caso di spie dell’est infiltratesi nei palazzi del potere dell’ovest – crisi che condurrà alle dimissioni del Cancelliere Brandt – e quell’incontro non si disputerà mai.
La Germania Est si qualifica per la prima e unica volta alla fase finale del Mondiale proprio in occasione dell’edizione tedesco occidentale. Sfrutta un girone di qualificazione non proibitivo che la vede opposta a Romania, Finlandia e Albania. La partita decisiva è contro i rumeni. Si gioca il 26 settembre 1973 a Lipsia, nel gigantesco e splendido Zentralstadium gremito da quasi centomila persone. Si impone la Germania Est per due a zero – doppietta di Bransch, il capitano – e la strada per il Mondiale è spianata. La squadra comunque non è male, ha una buona tecnica e buone capacità atletiche. I migliori interpreti che può schierare sono il portiere Croy, Sparwasser (centrocampista avanzato) e l’attaccante Hoffmann – gli ultimi due in forza al Magdeburgo. Ci sarebbe anche Peter Ducke, il miglior attaccante tedesco orientale di sempre, ma è reduce da un infortunio e giocherà solo alcuni scampoli di partita durante la Coppa.
Le due Germanie si presentano alla sfida fratricida già qualificate alla seconda fase della competizione. Infatti le ultime partite dei gironi non si giocano in contemporanea, quindi il pareggio dell’altro incontro (Cile – Australia), disputato nel pomeriggio, ha dato il via libera ai tedeschi di una parte e dell’altra. Ma la posta in palio è comunque alta. Karl-Heinz Heimann scrisse su Kicker, la principale rivista tedesca di calcio, che soltanto la stampa straniera poteva discutere della qualificazione già raggiunta e non comprendere invece la grandezza della partita che si andava a disputare: la Germania Ovest doveva, al di là di tutto, soltanto vincere5)Uli Hesse, Never the twain, The Blizzard n. 13. La contrapposizione fra i due Paesi è forte, benché negli anni precedenti si sia sviluppata in pieno la Ostpolitik, la politica di apertura e distensione verso il blocco socialista voluta dal governo di Bonn. Una politica simboleggiata dalla straordinaria immagine di Willy Brandt – socialista e oppositore del nazismo – che nel 1970 si inginocchia di fronte al monumento ai caduti del ghetto di Varsavia. Il 21 dicembre 1972 è stato firmato il Trattato fondamentale, attraverso il quale Germania Ovest e Germania Est hanno allacciato relazioni politiche, ma non diplomatiche, ed hanno riconosciuto il loro confine. Un confronto quindi latente, ma presente. Dopo tutto, la guerra fredda è in corso. Lo avverte in particolare Helmut Schon, tecnico dei tedeschi dell’ovest. È originario della parte orientale, di Dresda, dove ha giocato per molti anni; è partito nel 1950, senza potervi ritornare. La sua squadra, la Germania Occidentale, è nettamente favorita: gioca in casa, è campione continentale in carica e schiera una squadra superiore. Ma, incredibile, la partita la porta a casa la Germania Est.
La sfida è nel complesso equilibrata. Giocano di fatto i titolari per entrambe le squadre. Nel primo tempo Grabowski per gli occidentali, imbeccato da Muller, ha una grande occasione ma tocca fuori; lo stesso Muller prende il palo dopo una grande girata nel cuore dell’area di rigore. Kreische della Germania Est sbaglia invece un gol a porta vuota – un errore terribile. Il padre di Kreische era anch’egli calciatore, nel Dresden, ed era stato un buon amico di Helmut Schon. Come il ct tedesco occidentale, aveva lasciato la DDR all’inizio degli anni cinquanta, per farvi però ritorno poco dopo assieme alla famiglia. Accade quasi tutto nella prima frazione. Nella ripresa il ritmo cala, sembra che i tedeschi dell’ovest si accontentino del pareggio. A tredici minuti dalla conclusione ecco che segna la Germania Est. È una disastro della Germania Ovest, disposta malissimo: Croy rilancia con le mani per Korbjuweit, un difensore, che avanza tranquillamente indisturbato sino a metà campo; lungo passaggio per Sparwasser, il quale buca centralmente la difesa avversaria, controlla di faccia, poi di petto evitando il ritorno di un avversario, e infila di potenza in rete. Festeggiano sulle tribune alcune migliaia di tifosi dell’est giunti all’ovest con un permesso e un treno speciali – permesso che scade la sera stessa. Uno a zero per la DDR, non c’è più niente da fare.
Al termine i giocatori della Germania Est sono attorniati da fotografi e giornalisti. Hanno chiuso in testa il girone. Festeggiano come se avessero conquistato il Mondiale, e in pratica il loro torneo finisce con la soddisfazione della vittoria in quella sfida. Si sarebbe insinuato in seguito che la Germania Ovest avesse perso volontariamente la partita per evitare, nel girone di semifinale, di incrociare Olanda, Brasile e Argentina. È una deduzione che talvolta ritorna ancora oggi. Balle. Ricorda un po’ la storia della Fontana dei Quattro Fiumi, l’opera del Bernini, a Roma in Piazza Navona. Uno dei personaggi scolpiti, posto di fronte alla Chiesa di Sant’Agnese in Agone, pare allungare un braccio terrorizzato, quasi a ripararsi da un imminente crollo. La facciata della Chiesa era stata progettata dal Borromini, poco amato dal Bernini, il quale avrebbe quindi scolpito in tal modo la fontana in segno di scherno nei confronti dell’artista rivale. Ma è un falso: la fontana precede l’edificazione della facciata. Il calcio, come il resto delle vicende umane, abbonda di queste leggende – provviste comunque del loro fascino. Al momento della sfida, infatti, solamente il girone del Brasile è già concluso; il Brasile inoltre ha fornito sinora un’impressione tutt’altro che lusinghiera, ed è arrivato secondo. Gli altri gironi sono ancora aperti. Le potenzialità delle migliori sorprese del torneo, quali saranno Olanda a Polonia, devono ancora pienamente dispiegarsi. È quindi un ragionamento che può valere, eventualmente, soltanto a posteriori.
Abbiamo già descritto, poi, l’importanza extra-calcistica dell’incontro per i tedeschi occidentali. In aggiunta, la nazionale tedesca dell’ovest aveva giocato abbastanza male anche le prime due partite del Mondiale (vittoria sul Cile e vittoria sull’Australia per tre a zero), ricevendo dei fischi dai propri tifosi. Erano attesi a un riscatto che mancarono clamorosamente, ma quella sconfitta rappresentò una svolta. Si racconta che Beckenbauer prese in mano le redini della situazione. La sera stessa portò tutta la squadra a ubriacarsi, perché da una caduta del genere potevano rialzarsi, sul momento, solo bevendo per dimenticare; e un po’ più avanti, solo provando a vincere il titolo mondiale. Attenzione: in una sola occasione prima di allora una nazionale era riuscita a laurearsi campione del Mondo dopo aver perso un partita nel corso della fase finale del torneo. Era il 1954, e il titolo l’aveva conquistato proprio la Germania Occidentale.
Per anni la partita fra le due Germanie è rimasta nell’immaginario collettivo tedesco, da un parte e dall’altra del confine. Ci si chiedeva “Dov’eri la sera del gol di Sparwasser?”, assegnando all’evento un valore analogo allo sbarco sulla Luna, o qualcosa di simile. Per tale ragione, a uno sguardo attento, la fuga di Sparwasser all’ovest poteva rappresentare il segnale di una svolta imminente. Solo un anno dopo sarebbe caduto il Muro di Berlino e nel 1990 la Germania sarebbe tornata a essere una sola. Nessuno all’epoca poteva immaginarlo, ma appena sedici anni dopo quella storica partita di pallone, la Germania Est sarebbe scomparsa. Senza lasciare rimpianti.
4 ottobre 2018
immagine in evidenza: Lo stadio di Santiago del Cile durante il golpe – blog.futbologia.org
References
1. | ↑ | Pablo Are Geraldes, El gol mas triste de Chile, Fox Sports, ottobre 2008 |
2. | ↑ | Ibidem |
3. | ↑ | David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007 |
4. | ↑ | Pablo Are Geraldes, cit. |
5. | ↑ | Uli Hesse, Never the twain, The Blizzard n. 13 |