Sembra un cono gelato. Oppure una clava, che rotea sopra la testa, pronta a colpire. O ancora, un membro maschile. È il trofeo sportivo più riconosciuto e importante al mondo, è la coppa per antonomasia. Ed ha inoltre un impatto scenico non indifferente. È la Coppa del Mondo FIFA.
Il 21 giugno 1970, all’Azteca di Città del Messico, il Brasile sconfigge l’Italia quattro a uno e per la terza volta è campione del Mondo. La regola vuole che la Coppa Rimet venga assegnata definitivamente alla prima squadra in grado di aggiudicarsi il trofeo per tre volte, e quindi la coppa prende per sempre la via di Rio de Janeiro. Nell’aprile del 1971 la Fédération Internationale de Football Association (FIFA), il governo del calcio mondiale, bandisce un concorso per la nascita della nuova coppa che sostituirà la Rimet. Silvio Gazzaniga è uno scultore milanese. Si chiude nel suo studio di via Alessandro Volta, non lontano dall’Accademia di Brera, e crea quella che verrà chiamata Coppa del Mondo FIFA. La coppa è d’oro massiccio e pesa oltre sei chili, benché sia vuota all’interno. È alta poco meno di quaranta centimetri. Raffigura due atleti stilizzati con le braccia levate, esultanti nell’atto di tenere sollevato il globo terracqueo. Alla base ci sono due fasce di malachite verde e ancora più in basso vengono incisi progressivamente dei riquadri con il nome delle nazionali vincitrici. Lo spazio finirà nel 2038. Invece la regola dell’assegnazione definitiva dopo tre vittorie è stata abolita. Un coppa decisamente originale rispetto ad altri trofei utilizzati nel calcio (spesso simili a vasi da fiori), e questo spiega il suo successo.
La Coppa del Mondo FIFA verrà assegnata per la prima volta in Germania, quella occidentale, nel 1974. Due anni prima dei Mondiali, nel 1972, la Repubblica Federale di Germania ha ospitato le Olimpiadi, a Monaco di Baviera. Sono passati trentasei anni dai Giochi Olimpici di Berlino, simbolo del potere nazionalsocialista. La Germania vuole mostrare al mondo la sua idea di Stato e di società in netta antitesi con il passato. Nel corso dei Giochi, però, accade un evento che stravolgerà la storia dello sport moderno. Un commando dell’organizzazione politica Settembre Nero – un gruppo che utilizza gli strumenti del terrorismo e della guerriglia, ed ha quale fine la liberazione della Palestina posta sotto il controllo di Israele – irrompe nel villaggio olimpico e sequestra alcuni atleti israeliani. Il giorno dopo i Giochi vengono momentaneamente interrotti. Nel corso della notte, i terroristi ottengono di essere scortati all’aeroporto militare di Fuesterfeldbruck, assieme agli ostaggi, per lasciare il paese. Lì interviene la polizia tedesca, ma gli esiti sono disastrosi. Nel complesso, si contano diciassette morti: undici atleti israeliani, cinque membri del commando, un poliziotto tedesco.
Anni dopo Steven Spielberg girerà un film magistrale (Munich, 2005) che, seppur con qualche licenza, racconta l’assalto dei terroristi al villaggio olimpico e la successiva reazione del governo israeliano, affrontando i temi della lotta politica, della ragion di Stato e della vendetta. Ma avanti tutto la pellicola si concentra sopra un concetto, quello di patria. Esprime la dolcezza, la forza dell’idea di patria, e insieme la necessità di allontanare, di ripudiare e distruggere questa idea, al fine di ottenere un obiettivo infinitamente più importante: la pace.
Dopo quanto accaduto a Monaco, è giocoforza che il Mondiale tedesco sia posto sotto un’incessante e onnipresente controllo poliziesco. È un Mondiale militarizzato. La Germania Occidentale ha ottenuto l’organizzazione della competizione nel 1966. In quell’occasione la FIFA ha stabilito anche i Paesi organizzatori per i Mondiali del 1978 (Argentina) e del 1982 (Spagna). In Germania si giocherà in nove città e in nove stadi: Amburgo, Berlino Ovest, Dortmund, Dusseldorf, Francoforte, Gelsenkirchen, Hanover, Monaco di Baviera, Stoccarda.
Novantaquattro federazioni calcistiche partecipano alla manifestazione; sedici giungono alla fase finale della Coppa. Ci sono il Brasile campione in carica e la Germania Ovest quale paese ospitante. Ci sono altre tre formazioni sudamericane (Argentina, Cile, Uruguay) e altre otto squadre europee (Bulgaria, Germania Est, Italia, Jugoslavia, Paesi Bassi, Polonia, Scozia, Svezia); dal resto del mondo arrivano Australia, Haiti e Zaire. La formula prevede quattro gironi iniziali formati ciascuno da quattro squadre. Passano le prime due di ogni girone e da qui scatta la novità. Non più partite a eliminazione diretta, bensì due ulteriori gironi all’italiana, di nuovo da quattro squadre. Le due vincitrici dei giorni di semifinale si sfidano per il titolo. Questa formula verrà utilizzata nuovamente nell’edizione del 1978 e poi abbandonata. Non è male come idea, il girone all’italiana consente una selezione delle contendenti più adeguata rispetto agli scontri diretti, nei quali due potenziali protagoniste rischiano di incontrarsi ben prima della semifinale o della finale. Ma quattro anni dopo in Argentina qualcosa non funzionerà a dovere.
Il Mondiale del ’74 è stato definito da David Goldblatt un punto di non ritorno nella storia del torneo, forse nella storia dell’intero sport1)David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007. L’uso commerciale del calcio compie un salto di qualità e da quel momento crescerà in modo progressivo e inesorabile. La ditta di vestiario sportivo Adidas è fra le prime ad annusare l’affare e mette il suo marchio sulle casacche di buona parte delle squadre partecipanti. Gli incassi derivanti dagli sponsor e dai diritti televisivi diventano la prima fonte di entrata, superando così i biglietti venduti. In questo contesto, sempre nel 1974, si verifica poi un altro fatto destinato a segnare profondamente il gioco del calcio negli anni a venire, ovvero l’elezione di Joao Havelange alla presidenza della federazione internazionale.

Jean-Marie Faustin Godefroid de Havelange, detto Joao, nasce in Brasile nel 1916. Il padre è un belga ed è un commerciante d’armi all’ingrosso. Circola la voce sul web che costui, un giorno del 1912, a causa del ritardo di una coincidenza, abbia perso l’imbarco su di un transatlantico in viaggio verso il Nuovo Mondo. Questa imbarcazione si chiamava Titanic. Joao Havelange è un ottimo atleta tanto da difendere i colori del Brasile nelle Olimpiadi del 1936 (nuoto) e in quelle del 1952 (pallanuoto). Nel frattempo si laurea in legge. Terminata l’attività agonistica, inizia una brillante carriera come dirigente sportivo, prima nel nuoto e poi nel calcio. È presidente della confederazione calcistica brasiliana dal 1958 al 1975 – gli anni dei trionfi verdeoro ai Mondiali; è anche membro del Comitato Olimpico Internazionale. Già ricco di famiglia, nel tempo aumenta in modo ingente il proprio patrimonio tramite la gestione di un’impresa di trasporti.
Dal 1961 alla data di elezione di Havelange, la Fifa è stata presieduta dall’inglese Stanley Rous. È un uomo di altri tempi. In gioventù insegnava educazione fisica e giocava a calcio in forma amatoriale. Diventato poi un arbitro di rilievo nazionale, nel 1938 contribuì a una nuova redazione delle regole del gioco, semplificandole. In seguito resse le sorti della Football Association (la federazione calcistica inglese) dal 1934 al 1962. Rous è stato un personaggio cardine del gioco del calcio. Dopo la sua sconfitta nella elezione Fifa del ’74 circolò la proposta di intitolargli la nuova coppa. Lui rifiutò categoricamente. Senza dubbio gli giravano le scatole per la mancata rielezione a presidente, ma non è solo questo. Rous considerava sé stesso un semplice addetto all’organizzazione calcistica, una sorta di funzionario pubblico (tra l’altro sempre a titolo gratuito); pertanto sarebbe stato un atto di eccessivo e ingiustificato egocentrismo accettare che il proprio nome diventasse quello del trofeo2)Ibidem. Davvero un’altra epoca.
Al congresso della federazione internazionale Havelange ottiene la maggioranza dei voti dei delegati attraverso una proposta mirata a conquistare l’appoggio dei Paesi di Asia e Africa. Da tempo le federazioni di queste aree calcisticamente meno sviluppate, o in via di sviluppo, vedevano di cattivo occhio il predominio europeo sul calcio mondiale. Havelange promette un maggiore attenzione nei confronti delle loro esigenze sia in termini di finanziamenti, sia sotto altri punti di vista. Propone di aumentare il numero delle squadre presenti alla fase finale della Coppa, e ci riuscirà di lì a breve. Crea delle edizioni del campionato del Mondo per categorie giovanili e ne assegna l’organizzazione a nazioni solitamente tagliate fuori dalla gestione delle grandi manifestazioni calcistiche – in poche parole la periferia del football. Il Mondiale under 20 viene disputato per la prima volta nel 1977 in Tunisia. Nelle edizioni successive va in Giappone, Australia, Messico, Unione Sovietica, Cile e Arabia Saudita. La prima edizione Mondiale under 17 si gioca in Cina, nel 1985.
Havelange sfrutta inoltre a proprio vantaggio il problema Sudafrica, lo Stato (all’epoca) razzista fondato sulla segregazione delle persone non di origine europea e su di una dura repressione politica. Molte nazioni africane, e non, rifiutano di intrattenere rapporti calcistici con il Sudafrica e ne chiedono l’allontanamento dalla Fifa. L’amministrazione Rous è stata molto incerta, se non reticente, in merito alla questione. In alcuni momenti la Federazione sudafricana è stata sospesa, mentre in altri è stata pienamente reintegrata nel consesso calcistico internazionale, tanto da consentire la creazione di vergognose selezioni basate sull’unicità razziale: solo bianchi nel 1966, solo giocatori di colore nel 1970. Nel decennio dei Settanta cresce la protesta internazionale contro il regime razzista sudafricano anche a livello sportivo. Nel 1974 l’India rifiuta di giocare la finale di Coppa Davis in Sudafrica. Durante le Olimpiadi di Montreal ’76, gran parte delle nazioni africane boicotta i Giochi a causa delle presenza della Nuova Zelanda, paese che ha rotto l’embargo sportivo disputando alcune partite di rugby in terra sudafricana. Havelange non è propriamente un militante politico per la democrazia e i diritti civili – nella sua posizione intrattiene da anni ottimi rapporti con la dittatura militare al potere in Brasile – ma fiuta l’aria e promette mano dura. E in effetti è di parola: la Federazione sudafricana viene espulsa dalla Fifa nel 1976, in occasione della violenta repressione delle proteste popolari esplose a Soweto, il sobborgo di Johannesburg.
Il mandato di Havelange verrà rinnovato più volte sino al 1998. Si era presentato al mondo con questa frase “Sono qui per vendere un prodotto chiamato football”3)Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer Editori, 1997 e sin dai primi anni agisce con coerenza. Dal punto di vista organizzativo, aumenta il personale al servizio della Fifa e le funzioni della Federazione internazionale. Sul versante commerciale, intuisce le potenzialità della trasmissione televisiva, nonché le montagne di denaro che le aziende dai grandi fatturati potrebbero riversare sul gioco – per ricavarne ovviamente ancora di più. Pertanto imposta i rapporti commerciali su questi quattro cardini: gli sponsor dei principali tornei calcistici, in primis il Mondiale, saranno soltanto le multinazionali; per ogni tipologia di prodotto da pubblicizzare sarà presente una sola marca; il controllo dei diritti televisivi e dei contratti pubblicitari sarà in mano esclusivamente alla Fifa; la Federazione però non gestirà direttamente gli affari, ma li cederà a un soggetto intermediario, in cambio di molto denaro4)David Goldblatt, cit.. Il sistema funziona e diventa una costante imprescindibile nell’organizzazione di grandi eventi calcistici internazionali.
Il calcio attuale viene quindi edificato negli anni della presidenza Havelange. Le capacità del dirigente brasiliano sono state esemplari, nel ruolo assegnato e negli obiettivi posti, ma non bisogna esagerarne i meriti oltremisura. Era un percorso inevitabile e irreversibile, e Havelange è stato, come si suol dire, l’uomo giusto al posto giusto. Il calcio mondiale è stato sottoposto a un processo spinto di globalizzazione e di commercializzazione; ciò è avvenuto sotto il governo di un ente unico, autoritario, poco democratico e tendenzialmente onnipotente, per lo meno nel proprio ambito. Il calcio è parte del mondo che ci circonda. Elemento sovrastrutturale di non secondaria (anzi, crescente) importanza, il gioco ha subito l’influenza di una precisa struttura economica, politica e sociale, quella dominante. Niente di nuovo sotto il sole.
4 ottobre 2018
References
1. | ↑ | David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007 |
2. | ↑ | Ibidem |
3. | ↑ | Eduardo Galeano, Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer Editori, 1997 |
4. | ↑ | David Goldblatt, cit. |