Nell’incipit del libro a cui ho rubato il titolo, Milan Kundera si interroga sulla teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche. Suggerisce come in un mondo siffatto ogni azione degli esseri umani sarebbe gravata dal peso della responsabilità, poiché si ripeterebbe in eterno: è il fardello più pesante, ma nel contempo rende la vita autentica. Invece in un mondo interpretato in senso inverso, la leggerezza potrebbe liberarci, ma anche togliere significato all’esistenza. Cos’è meglio? Sulle intenzioni dell’autore, Italo Calvino (Lezioni americane) ha pochi dubbi: è un libro dedicato alla pesantezza dell’essere, cioè la pesantezza del vivere.
Italia – Francia finale mondiale 2006 è storia di uomini e di dei, di gesti che restano, di ricorsi storici e va vista come un film; è una partita che ricordi per tutta la vita. Prima finale di Coppa con entrambe le squadre a segno (dal 1986) e decisa in rimonta (dal 1974), da almeno vent’anni non si assiste a un epilogo così drammatico, il più bello dopo Monaco di Baviera ’74. Ma soprattutto è l’atto conclusivo delle storiche battaglie tra le selezioni italiana e francese andate in scena nel periodo e passate attraverso le sfide del Mondiale ’98 e dell’Europeo 2000. Entrambe chiuse a favore dei francesi, però, e il peso del ricordo può sbilanciare il confronto a sfavore dell’Italia. Intervistato su la Repubblica tre giorni prima dell’incontro, lo scrittore spagnolo Javier Marias – che esprime tifo e ammirazione per gli azzurri sin dalla Coppa del 1982 (“L’imprevedibilità del gesto e della strategia. È questo vostro essere in un certo senso indolenti che mi affascina”) – si chiede inevitabilmente se gli italiani si siano psicologicamente ripresi dalle sconfitte precedenti1)Enrico Sisti, Javier Marias “Perchè siete bellissimi”, la Repubblica 6/7/2006.
Non è un posto qualsiasi neanche lo stadio che ospita l’incontro, ovvero l’Olympiastadion di Berlino. Restaurato nel 2004, è l’impianto edificato per i Giochi Olimpici del 1936 sulle macerie del precedente Deutsches Stadion che avrebbe dovuto ospitate i Giochi del 1916, poi cancellati per la guerra. Quelle del ’36 sono le Olimpiadi preparate a uso e consumo del nazismo e di Hitler, surclassati però in eterno dalle imprese di un nero americano chiamato Jesse Owens, capace di vincere sia quattro medaglie d’oro nell’atletica leggera, che qualsiasi teoria razzista.
Il calcio di inizio è previsto per le ore 20 di domenica 9 luglio 2006. Arbitra l’argentino Horacio Elizondo. Le formazioni, adesso. Italia: Buffon; Zambrotta, Cannavaro, Materazzi, Grosso; Camoranesi, Gattuso, Pirlo, Perrotta; Totti; Toni. Francia: Barthez; Sagnol, Thuram, Gallas, Abidal; Vieira, Makelele; Ribery, Zidane, Malouda; Henry. Vengono schierati gli undici titolari ed entrambi sono disposti su quattro linee abbastanza simili, benché l’Italia sia più coperta con la presenza di due esterni di metà campo dotati di minore proiezione offensiva. Alla vigilia non erano fra le primissime favorite per giocarsi il titolo, ma durante il campionato Italia e Francia hanno dimostrato di essere un passo, o anche solo un passetto, avanti le altre.
I tradizionali bleu francese e azzurro italiano si confondono – d’altronde i due paesi confinano e hanno un bel pezzo di storia in comune – per cui la Francia veste di bianco. È incredibile l’immagine che le riprese televisive internazionali mostrano dalle scale che immettono le squadre in campo: Zidane è in primo piano, sullo sfondo appaiono Materazzi e Grosso. Lippi si presenta con una polo fuori dai pantaloni della tuta – un po’ troppo casual visto il contesto, Domenech fa meglio, giacca e cravatta con l’ultimo bottone della camicia allentato. C’è prevalenza italiana sugli spalti certificata dal coro dei tifosi sulle note di Seven Nation Army dei White Stripes, che ha accompagnato la nazionale italiana per tutto il torneo.
Partiti, non passa neanche un minuto ed Henry in corsa va sbattere contro Cannavaro: rimane intontito, deve essere soccorso ma quando si rialza non è ancora in sesto, tanto che i sanitari francesi gli mettono una boccetta di sali sotto il naso per farlo riprendere del tutto. Poi Zambrotta rimedia un cartellino giallo a causa di un’entrata irruente in zona d’attacco ai danni di Vieira, e per l’esterno azzurro la sanzione costituirà un freno per tutto l’incontro. Sarà però l’unico cartellino in capo agli italiani, sintomo di correttezza, non c’è dubbio, ma anche di una carica agonistica tenuta oltremodo a freno.
In termini di gioco non è accaduto ancora alcunché quando, su lancio dalle retrovie, Henry prolunga di testa per Malouda che controlla di petto, buca la difesa italiana ed entra in area: Materazzi va incontro al francese affrontandolo in maniera scomposta e fuori tempo, lo tocca appena ma è sufficiente per far cadere Malouda (o indurlo a). L’arbitro assegna il calcio di rigore a favore della Francia e sul dischetto si presenta Zidane. Prende una breve rincorsa e con la sua calma regale non ha alcun problema a tentare un panenka durante la finale mondiale – ma gli riesce male perché ha calciato troppo forte: la palla tocca la traversa, poi va in porta, poi ancora sulla traversa e poi esce. Buffon prova per un attimo a far segno di no, però il pallone è entrato nettamente. Settimo minuto, la Francia è in vantaggio per uno a zero.
Da quattrocentocinquantotto minuti nel torneo l’Italia non incassava un gol, e non solo, poiché per la prima volta si trova sotto nel punteggio. Presi alla sprovvista, gli azzurri sbandano un po’ e Lippi incita i suoi dalla panchina; un cross francese è deviato da Materazzi sul fondo con la sfera che passa terribilmente vicino all’incrocio dei pali italiani. È un inizio di partita falloso e anche l’esterno destro difensivo dei francesi, Sagnol, riceve l’ammonizione, per fallo su Grosso.
Ma sotto la regia di Pirlo gli azzurri iniziano a reagire, impostando azioni in velocità per quanto non sempre precise. Quattordicesimo minuto, punizione di Pirlo e Thuram vola ad anticipare Toni. Diciannovesimo, Camoranesi guadagna un corner che Pirlo si incarica di calciare: palla in mezzo, svetta Materazzi su Vieira poco oltre il limite dell’area piccola e infila Barthez. È il gol dell’uno a uno, Materazzi alza braccia e indica in alto, l’Italia ha raggiunto la parità in poco più di dieci minuti.
Questo Mondiale è il momento di gloria di Marco Materazzi, un difensore duro, provocatorio ed estroverso in campo, molto efficace negli anticipi e di testa, ma capace anche di segnare parecchio, tanto da raggiungere il record di gol per un difensore nel campionato italiano (dodici, stagione 2000/01). Però le sue uniche realizzazioni in maglia azzurra le ha messe a segno proprio nel campionato del Mondo 2006, che con ogni probabilità avrebbe seguito soltanto dalla panchina se non si fosse infortunato il centrale titolare della difesa italiana, cioè Nesta; e sinora è stato protagonista assoluto della serata in un senso e nell’altro: autore del fallo da rigore, autore del gol del pareggio – ma non ha ancora terminato la sua opera. Figlio di un allenatore, Materazzi ha perso la madre da ragazzo e a lei ha dedicato il gol sollevando lo sguardo al cielo.
Ringalluzziti dal pari, i sostenitori italiani dagli spalti intonano il coro “chi non salta è francese”. L’equilibrio ritrovato pone entrambe le formazioni in posizione di attesa, senza rischiare il pressing alto; non ci sono di conseguenza molte palle gol. Al trentaquattresimo Gattuso entra in area francese e tocca per Toni a pochi passi da Barthez, ma l’attaccante italiano è ancora anticipato da Thuram. L’angolo che segue offre un copione identico al gol italiano ma dal finale differente: batte Pirlo, colpo di testa di Toni dalla stessa zolla sulla quale è saltato Materazzi, traversa piena. Non ci sono altre azioni di rilievo da commentare sino a quando le squadre tornano negli spogliatoi per l’intervallo.
Senza produrre un gioco eccelso, Italia e Francia hanno dato vita a un primo tempo comunque divertente. Le migliori opportunità da rete sono state opera dell’Italia, che ha altresì controllato maggiormente il gioco; la Francia dopo il rigore del momentaneo vantaggio si è come fermata a guardare. Quindi, almeno al momento, gli italiani non paiono subire timori reverenziali al cospetto dell’avversario. Zidane è meno straripante del solito, spesso disinnescato in modo efficace dagli azzurri, e nel centrocampo francese si sta imponendo Vieira. Nell’Italia Pirlo dirige le manovre come sempre, Gattuso è abile a recuperare palloni, c’è una buona spinta dalla fasce e la difesa, dopo l’episodio del calcio di rigore, è stata impeccabile. Ma Totti non sembra essere sceso realmente in campo.
Accade poi il verificarsi dell’evento che contraddistingue pressoché sempre il Mondiale 2006 degli italiani, ovvero il calo fisico e di gioco in avvio ripresa, quasi una difficoltà a rimettersi in gara, a tornare con la mente alla tenzone; o forse è solo l’indolenza voluta di cui parla Marias. Però in questa occasione l’Italia vacilla paurosamente e rischia grosso. Poco dopo il fischio di avvio Henry scatta dalla trequarti palla al piede, supera Cannavaro grazie a un rimpallo e tira, ma è una facile parata in presa per Buffon. Passano cinque minuti ed è ancora Henry, che finalmente è entrato in partita dopo una prima frazione insufficiente, a creare il panico nella retroguardia italiana: penetra in area e il suo scarico al centro è deviato in corner; sul seguente angolo conclude Ribery, alto. Al cinquantaduesimo sempre Henry, ben servito in area da Abidal, tergiversa troppo e viene contrastato con successo da Cannavaro. Un minuto dopo Malouda scappa sulla sinistra e reclama un altro rigore mentre la palla rotola sul fondo.
La Francia è nel suo momento migliore e domina, alza il pressing con efficacia e sfonda soprattutto a sinistra; Zidane sta diventando protagonista, assieme a Malouda e Ribery che per quasi tutto il resto dell’incontro spingeranno sulle fasce, obbligando Grosso e Zambrotta a restare bassi e togliendo così all’Italia delle carte importanti nel gioco offensivo. Ma riceve una tegola imprevista, la squadra francese, con l’infortunio muscolare occorso a Vieira, che deve lasciare campo per Diarra. L’Italia in questa ripresa non funziona e Lippi deve tentare un rimedio, togliendo al minuto sessantuno Totti e Perrotta e inserendo al loro posto De Rossi (al ritorno in campo dopo la squalifica) e Iaquinta. Lo schieramento diventa un 4-4-3 che in fase difensiva ripiega sul 4-5-1. Gli azzurri si ridestano quasi subito: punizione dalla trequarti come sempre eseguita magistralmente da Pirlo, Toni tocca di testa e mette in rete – ma il gol è annullato per fuorigioco, davvero di pochissimo.
Poi riprende la spinta della Francia, i cui giocatori scorgono la concreta opportunità di portare a casa questa finale e provano a infilarsi negli spazi italiani, esprimendo un netto vantaggio sul versante fisico. Henry si presenta in area uno contro uno al cospetto di Cannavaro, tira ed è pronta la respinta di Buffon; poi è il turno di Malouda che manda fuori. Gli azzurri stringono i denti in difesa, condotti da un Cannavaro enorme, ma il centrocampo è surclassato dagli avversari e l’attacco non morde.
Nell’ultima parte del tempo la pressione francese cala un poco e l’Italia ha delle fiammate, per quanto tenti la via del gol solo su calcio da fermo. Makelele allunga il gomito su Toni al minuto settantacinque e riceve il cartellino giallo: punizione per l’Italia, tira Pirlo e sfiora il palo, in basso alla destra di Barthez. A cinque dal termine Henry scende sulla fascia sinistra e mette in mezzo, ma Materazzi è molto abile nell’intervenire in anticipo su Zidane. Poco dopo entra in campo Del Piero per Camoranesi: l’Italia ha terminato le sostituzioni a disposizione, la Francia ne ha ancora due.
Un tempo per parte con il risultato fermo sull’uno a uno: si va pertanto ai tempi supplementari – come nel 1998, come nel 2000 (anche se il golden gol non c’è più). L’andamento dell’incontro non cambia, con i francesi che controllano il gioco e gli italiani che agiscono essenzialmente di rimessa, pur senza disdegnare momenti di pressing alto perché anche i francesi iniziano a mostrare segni di stanchezza. Però per la selezione italiana la prospettiva di giocarsi la Coppa ai tiri di rigore – nonostante tre edizioni mondiali perse in quel modo negli ultimi sedici anni – sembra la soluzione migliore. La Francia aumenta il proprio tasso offensivo inserendo Trezeguet per Ribery, poi dopo alcuni minuti entra Wiltord in sostituzione di Henry: Domenech è un uomo scaramantico, è noto, e forse questa è la ragione per cui ha inserito i due giocatori che hanno deciso la finale europea sei anni prima. Poco prima del cambio Ribery, al culmine di un’azione d’attacco francese, è penetrato in area italiana e ha concluso basso a fil di palo.
È il quattordicesimo del primo tempo supplementare ed è il momento chiave dell’incontro. Zidane controlla in mezzo e poi allarga per Sagnol – gran partita per lui stasera – mentre il dieci francese scatta; cross in area e lì c’è infatti Zidane da solo che impatta splendidamente di testa, come fece per ben due volte nella finale di otto anni prima, regalando il titolo mondiale ai francesi. Benché su colpo di testa, benché nemmeno così vicino alla porta, la conclusione è fortissima, ma Buffon si inarca e compie una parata fantastica, enorme, alzando la sfera oltre la traversa. L’urlo di frustrazione che segue è come un ruggito del leone, l’ultimo di Zidane e dell’intera Francia, che a questo punto dell’incontro meriterebbe davvero di passare in vantaggio. Buffon gli ha restituito con gli interessi lo sgarbo del panenka sul rigore iniziale.
Sì, perché Gigi Buffon è stato un tassello fondamentale della campagna italiana nel 2006. Eletto miglior portiere del torneo, gioca un campionato gigantesco, praticamente perfetto, fra le più grandi prestazioni di un portiere nella storia dei campionati del Mondo: forse mai un portiere è stato così decisivo per la vittoria finale e la parata sul colpo di testa di Zidane sarà come prendere la Coppa del Mondo e portarla alla sua nazionale.
Cinque volte votato quale miglior portiere al mondo dall’IFFHS, sei volte al secondo posto, dal 1999 al 2018 sempre fra i primi dieci; il più vicino a raggiungere il Pallone d’Oro dopo l’unica assegnazione nella storia a un estremo difensore, quella a Jascin del 1963: non lo vincerà mai, ma chi se ne frega. Buffon è fra i più grandi portieri di sempre, possibilmente il più grande proprio assieme a Jascin. La sua forza risiede nel senso della posizione, nell’abilità fra i pali e nelle uscite basse, oltre alla capacità di guidare la difesa e ad un forte carisma in costante crescita nel corso di una lunghissima carriera, iniziata a diciassette anni con l’esordio in Serie A e ancora ad alti livelli oltre i quaranta. Fra i suoi vari primati, centosettantasei presenze in nazionale, cinque edizioni della Coppa del Mondo (la sesta, che avrebbe rappresentato un traguardo mai raggiunto da altri, sfugge per la mancata qualificazione dell’Italia a Russia 2018), record di imbattibilità in Serie A di 975 minuti consecutivi. Gioca nel Parma, poi nella Juventus; vince tanto, non la Champions League, almeno sinora. Sconfigge anche una depressione, che si manifesta tra il 2003 e il 2004. Dopo il torneo del 2006 Buffon decide di restare alla Juventus per un anno in Serie B, non solo da campione, non solo da miglior portiere del mondo, ma anche in quel periodo da miglior calciatore in assoluto del panorama mondiale.
Si gioca ora il secondo tempo supplementare e sono trascorsi tre minuti quando, con la palla nella trequarti azzurro, l’arbitro interrompe il gioco. C’è un giocatore italiano a terra dall’altra parte del campo…

Dopo il trionfale campionato del Mondo del 19982)Vedi infra Francia, 1998: VIII. Zidane vola, Ronaldo collassa, e la Francia è campione, Zinedine Zidane ha vissuto alcune stagioni non troppo fortunate con la Juventus: nessun trofeo all’attivo e due scudetti sfuggiti per poco a vantaggio dei club romani. In mezzo però c’è stata un altra vittoria con la nazionale, l’Europeo del 2000, conquistato con il suo preminente ruolo di leader della squadra, sempre un po’ nascosto ma fondamentale. Passa al Real Madrid battendo ogni record di prezzo mai sborsato sin lì per un un calciatore. Nella capitale spagnola vince finalmente la Champions League, al primo tentativo e decidendo la finale con un gol bellissimo; l’anno successivo mette in bacheca il titolo spagnolo, poi nessun’altra vittoria e un rendimento palesemente in calo nelle due ultime stagioni. Ma Zidane ha ormai assunto il ruolo di fenomeno calcistico planetario, tanto che sui di lui viene realizzato un curioso documentario di una certa notorietà (Zidane, un portrait du 21e siecle) che lo inquadra in soggettiva per l’intera durata di un incontro, Real Madrid – Villareal del 2005 (ma Zidane dirà al riguardo: “Quella partita, è stata una partita di merda”3)Franck Annese, “Moi je n’ai rien demandé! Je voulais etre chauffeur livreur”, So Foot n. 108.
Quando a metà 2005 Zidane decide di tornare in nazionale, L’Equipe titola “Il revient” con la sua foto a tutta pagina; Henry dice che Dio è tornato. Sarebbe più corretto sostenere che Dio l’ha mandato. “Una notte, alle tre, mi sono svegliato all’improvviso e ho parlato con qualcuno” così si esprime Zidane “ma finché campo non rivelerò di chi si tratta, è troppo folle. È qualcuno che voi con ogni probabilità non avrete mai occasione di incontrare. Nelle ore che sono seguite, sono rimasto da solo con quella persona, a casa, e ho preso la decisione di ritornare. Non ho mai provato qualcosa di simile prima di allora, mi sono sentito spinto da questa forza che ha dettato la mia scelta. Per me è stata una rivelazione e ho dovuto obbedire ai consigli provenienti da quella voce”4)Ian McCourt, World Cup stunning moments: Zinedine Zidane’s head butt, The Guardian. Poi dichiara sul proprio sito web che si riferiva a suo fratello (quale? Non precisato), ma non appare molto credibile. Da gennaio 2006 si prepara per la Coppa allenandosi duramente, perché chi dice no a se stesso non può dire sì a Dio, e oltre tutto Zinedine in arabo significa bellezza della fede. Il Mondiale di Zidane è strepitoso: prima della finale viene nominato miglior giocatore del torneo e il New York Times, in quei giorni, lo definisce “the coolest man on the planet”5)George Vecsey, French in the final, as a spirit moves them, The New York Times. In caso di vittoria sarebbe giudicato il più grande di sempre? È possibile. Ha già annunciato il ritiro dal calcio prima del torneo e gode del privilegio di disputare la sua ultima partita ufficiale nell’atto decisivo del campionato mondiale. La vittoria sembra a un passo: sarebbe un finale perfetto, ma qualcuno ha scritto un copione diverso.
Zidane nel 2006 è il sacro che emerge nel calcio. In una famosa affermazione Pasolini sosteneva che il calcio è l’ultima rappresentazione rimasta del sacro, in quanto rito che così delimita il sacro, lo rende accettabile. Attenzione perché il termine deriva da un lemma di origine indoeuropea e significa essenzialmente separato: il sacro è qualcosa per cui gli uomini provano timore e allo stesso tempo ne sono attratti; è quindi il contrario del razionale; è l’imponderabile, l’indefinibile, la follia. “Zidane è un mito” ha detto Domenech “un mito capace di far esplodere le emozioni nella gente, e non solo quelle positive”6)Callum Rice-Coates, Zinedine Zidane: myth, god and king, These Football Times, e così dentro se stesso.
Al diciottesimo minuto dei supplementari di Italia – Francia, Zidane e Materazzi escono dall’area dopo un’azione francese; Zidane si rivolge sarcastico all’italiano, riferendosi alla sua stretta marcatura, e gli dice “Se ci tieni tanto alla mia maglietta, dopo te la darò”, al che Materazzi risponde “Preferisco la puttana di tua sorella”. Zidane è poco più avanti, si gira, si abbassa e pianta una testata in pieno petto a Materazzi. È uno degli eventi più clamorosi dell’intera storia della Coppa del Mondo di calcio. Materazzi è riverso sul prato, l’arbitro accorre, Buffon – uno dei pochi in campo ad essersi accorto dell’accaduto – invita il guardalinee a esprimersi. L’arbitro va verso l’assistente, il connazionale Garcia, poi torna davanti a Zidane ed estrae il cartellino rosso. Si dice che per ricostruire il fatto siano stati usati i monitor a bordo campo, ma non è così. Intervistato sull’accaduto, il direttore di gara Elizondo racconterà invece di aver ricevuto il resoconto dell’evento via auricolare dal quarto uomo che ha visto tutto, Medina Cantalejo, che ancora una volta ricompare nel racconto di questo Mondiale, e che poi sia andato dall’assistente a dirgli tutt’altro: essendo stato distante dall’azione incriminata, Elizondo aveva bisogno di inscenare una conferma fittizia agli occhi del mondo7)Sam Kelly, The Final Whistler, intervista a Horacio Elizondo, The Blizzard n. 11. Domenech applaude polemico, Malouda è ammonito per proteste. Zidane chiude la sua carriera calcistica con un’espulsione durante la finale mondiale e torna negli spogliatoi sfilando a fianco della Coppa. Gli dei se ne vanno.
Zizou è un uomo abbastanza timido, e come molti timidi è soggetto a scatti d’ira; si può dire che abbia nascosta in sé una natura collerica, che esprime in maniera coerente: da ragazzino viene sbattuto fuori in due partite per colpi di testa rifilati ad avversari8)Patrick Fort, Jean Philippe, Zidane – The biography, Ebury Press, 2018, e lo stesso accade nel 2000 quando sferra una testata al tedesco Kientz dell’Amburgo; si rammenti pure il rosso che rischia di rovinargli il Mondiale ’98 (stavolta però senza testata). Ma ultimamente pare guarito. Sarebbe facile liquidare l’incidente con Materazzi sostenendo che Zidane non trattiene la rabbia: chissà quante altre volte ha ricevuto insulti in un campo di calcio, senza reagire. E invece quella notte a Berlino, di fronte al mondo, a un passo dal possibile trionfo e dopo tutta la fatica spesa per compiere quel prodigioso percorso, per dimostrare di essere il più grande, ecco che Zidane manda tutto a puttane. Ma perché?
Forse perché se parli di Dio, devi accettare tutto quello che ne consegue, poiché un Dio su misura è un’illusione per fanatici e falliti; insomma, non hai più il controllo. Devi accettare un Dio che ti porta anche nell’imponderabile, nella follia – nel sacro -, un Dio burlone, pazzo, clown – e d’altronde Dio è il più solo degli esseri. Devi accettare un Dio che prende per i fondelli, che quindi ha servito a Zidane un raffinato e crudele scherzo, niente di più e niente di meno, uno scherzo maledettamente, genialmente riuscito e per sempre a marcare il ricordo della Coppa del Mondo 2006.
“Nessuno umili a lagrima o a rimbrotto / la confessione della maestria / di Dio che con magnifica ironia / mi dette insieme i volumi e la notte” (Jorge Luis Borges, Poesia dei doni).

La possibilità di giocare gli ultimi dieci minuti della finale contro i francesi in dieci e senza il loro uomo migliore, non consente comunque agli italiani di creare chiare occasioni da rete; nel secondo supplementare l’Italia non ha più giocato, fino all’ultimo i bleus mostrano di godere stasera di un’evidente tenuta fisica superiore. Ma è tutto invano. Il titolo mondiale sarà deciso ai rigori, per la seconda volta nella storia dopo Brasile – Italia del 1994.
I tiri di rigore della finale 2006 sono la conclusione di una sfida sportiva e di un’epopea affascinanti, meravigliose e indimenticabili, il redde rationem della rivalità che accompagna Italia e Francia nel calcio a cavallo del millennio. Sembra il finale di The Dark Side Of The Moon, il disco dei Pink Floyd: in mezzo a scenari sonori sempre più spogli, desertici e desolati, i Pink Floyd cantano che tutto, ma proprio tutto, ciò che siamo, siamo stati e saremo, quello che ci circonda e quello che vogliamo, sotto il sole è meraviglioso e in sintonia – ma il sole è eclissato dalla Luna. Qualcuno deve pur perdere.
Poiché è in vantaggio di un uomo, l’Italia deve eliminare uno dei giocatori in campo e sceglie Gattuso, il quale racconterà di aver trascorso tutta la serie dei rigori sotto la panchina per la tensione9)Massimo Rota, Franco Dassisti, Il Mondiale è un’altra cosa. La Coppa del Mondo raccontata dagli azzurri, Bompiani, 2014. Buffon e Barthez si abbracciano. Inizia a calciare l’Italia, va sul dischetto Pirlo e segna. Wiltord è il primo per la Francia, gol. Tocca a Materazzi, l’uomo che ha marcato con il suo nome la finale dall’inizio alla fine, ed è ancora in prima linea: Barthez intuisce l’angolo ma il tiro è perfetto, a fil di palo, ed è gol. Ora per i francesi si presenta agli undici metri David Trezeguet.
Autore in carriera di trentaquattro gol con la nazionale – circa uno ogni due partite, Trezeguet è un ottimo attaccante con un gran senso del gol. Gioca per dieci anni nella Juventus dove spesso compone una splendida coppia d’attacco con Del Piero; nella stagione pre-mondiale Trezeguet ha segnato ventitré gol in campionato e sei in Champions League. Sin qui Germania 2006 non è stato in alcun modo il suo torneo: per Domenech è una riserva, infatti lo ha inserito nel recupero contro la Corea e per intero soltanto nella partita contro il Togo, poi basta. Anche nel corso dei tornei conquistati con la maglia della Francia (’98 e 2000) è sceso in campo solo per scampoli di partita, ma nell’Europeo di sei anni prima è stato l’elemento decisivo nell’imbastire l’atroce beffa ai danni dell’Italia che ha consegnato il trofeo ai bleus: entrato in campo a un quarto d’ora dal termine, è lui che funge da torre a favore di Wiltord per la rete del pareggio all’ultimo istante, ed è sempre è lui a siglare il golden gol che chiude l’incontro.
Tre anni fa Trezeguet ha sbagliato uno dei tiri di rigore nella finale di Champions persa dalla Juventus, Lippi era sulla panchina bianconera e nella notte di Berlino, mentre l’attaccante francese si avvicina al dischetto, pensa: “Mi devi qualcosa”10)Lippi relives Italy’s triumph, FIFA.com. Esegue anche un buon rigore ma non sorretto dalla buona sorte, poiché la palla coglie la parte bassa della traversa, rimbalza quasi sulla linea – ma dalla parte di campo sbagliata per i francesi – e poi va fuori. Buffon stringe il pugno, Trezeguet si guarda attorno incredulo. E allora l’Italia è in vantaggio due a uno.
Tira De Rossi, gol; tira Abidal, ed è ancora gol, però il francese pare lo stesso sconsolato, come se il destino fosse già scritto e a lui manifesto; Del Piero segna; Sagnol segna, e a differenza del compagno di squadra, esulta. È il momento del quinto rigore dell’Italia, potrebbe essere il rigore decisivo, il tiro in grado di regalare agli azzurri il quarto titolo mondiale. Finora gli italiani sono stati impeccabili, hanno mostrato una freddezza e una precisione che mai avevano raggiunto nelle altre sfide chiuse ai rigori in Coppa del Mondo, e perse, nel 1990, 1994 e 1998. E chi va sul dischetto? Fabio Grosso.
Al momento della scelta Grosso è rimasto attonito e ha chiesto a Lippi per quale ragione dovesse essere il quinto rigorista; il ct gli ha risposto che lui è l’uomo dell’ultimo minuto. È quanto accaduto in due passaggi chiave del percorso italiano in Germania: negli ottavi di finale, quando al termine di una difficile partita ferma sullo zero a zero e in inferiorità numerica, Grosso inventa l’azione che conduce al rigore per l’Italia; e in semifinale, quando Grosso segna lo storico gol del vantaggio azzurro. In forza al Palermo, diligente terzino ma nulla di più, anche dopo il Mondiale Grosso non raggiungerà mai livelli di autentica eccellenza a livello internazionale. Grosso è una delle sorprese del torneo, però il termine è riduttivo: spesso calciatori discreti, validi o poco più, hanno vinto un titolo mondiale, ma mai come nel caso di Grosso nella Coppa del 2006 hanno raggiunto l’obiettivo assumendo un ruolo così decisivo.
“Ho imposto a me stesso di rimanere calmo, perché l’esperienza non conta niente in momenti come quello. Certo, devi possedere la tecnica, ma più di tutto è necessario raggiungere uno stato mentale molto particolare, nei secondi che precedono il tiro”11)Grosso strikes gold for Italy, FIFA.com. Deve mordere la testa del serpente che gli impedisce di respirare (Nietzsche, Così parlò Zarathustra), altrimenti in quella condizione di attesa, di incertezza, di rimorso, vi resterà in eterno. Mordilo, mordilo! Staccagli la testa, mordilo! Cogli l’attimo, Fabio.
Grosso corre verso il dischetto e calcia di sinistro; Barthez si butta sulla sua destra, ma inutilmente e già guarda dalla parte opposta, già guarda la palla che sfila per andare a sbattere sull’asticella che tende la rete. È gol. Il campionato è finito, l’Italia è campione del Mondo.
29 maggio 2021
immagine in evidenza: Grosso segna il rigore decisivo
References
1. | ↑ | Enrico Sisti, Javier Marias “Perchè siete bellissimi”, la Repubblica 6/7/2006 |
2. | ↑ | Vedi infra Francia, 1998: VIII. Zidane vola, Ronaldo collassa, e la Francia è campione |
3. | ↑ | Franck Annese, “Moi je n’ai rien demandé! Je voulais etre chauffeur livreur”, So Foot n. 108 |
4. | ↑ | Ian McCourt, World Cup stunning moments: Zinedine Zidane’s head butt, The Guardian |
5. | ↑ | George Vecsey, French in the final, as a spirit moves them, The New York Times |
6. | ↑ | Callum Rice-Coates, Zinedine Zidane: myth, god and king, These Football Times |
7. | ↑ | Sam Kelly, The Final Whistler, intervista a Horacio Elizondo, The Blizzard n. 11 |
8. | ↑ | Patrick Fort, Jean Philippe, Zidane – The biography, Ebury Press, 2018 |
9. | ↑ | Massimo Rota, Franco Dassisti, Il Mondiale è un’altra cosa. La Coppa del Mondo raccontata dagli azzurri, Bompiani, 2014 |
10. | ↑ | Lippi relives Italy’s triumph, FIFA.com |
11. | ↑ | Grosso strikes gold for Italy, FIFA.com |