Il campionato mondiale di calcio rimette piede in Germania attraverso un percorso a tratti oscuro, il cui registro varia dal comico al penale. Si narra infatti che, alla vigilia della scelta del paese organizzatore tenutasi nel luglio 2000 a Zurigo, il giornale satirico tedesco Titanic avesse spedito delle lettere ai delegati FIFA nelle quali offriva laute prebende – orologi a cucù e prosciutto della Foresta Nera – in cambio del voto per la Germania. Il giorno successivo il delegato dell’Oceania Dempsey si astenne, motivando il suo gesto con le intollerabili pressioni ricevute: partecipando, avrebbe votato il Sudafrica, paese alla vigilia favorito e inoltre appoggiato dal presidente della federazione internazionale Blatter, e il suo voto avrebbe spostato l’ago della bilancia a beneficio del paese africano. Ma a parte l’intermezzo goliardico, voci di pratiche corruttive poste in atto durante le votazioni si rincorreranno periodicamente nel corso degli anni a venire.
Per cui è Germania 2006. Questa edizione dei Mondiali viene ricordata come la più seguita sino ad allora, un torneo visto quasi ovunque, globalizzato: trasmessa in 214 Stati, vanta un numero totale di spettatori cumulativi pari a 2,29 miliardi di persone e introiti provenienti dai diritti televisivi ancora in crescita rispetto all’edizione del 2002. È un successo anche di pubblico dal vivo poiché durante il torneo gli impianti – tre dei quali nuovi di zecca, a Gelsenkirchen, Amburgo e Monaco di Baviera – sono sempre pieni e la media di persone allo stadio supera le cinquantaduemila presenze. La Coppa si inserisce in un calcio che sta continuando a evolvere in termini di fruizione e relative entrate, e l’esempio lampante del nuovo corso, per quanto sempre più affiancata da altre realtà, rimane l’Inghilterra. Qui prosegue quel processo avviato da oltre un decennio1)Vedi infra Francia, 1998: I. Follow the money che ha visto la ricostruzione degli stadi, il progressivo aumento dei prezzi e la conseguente modifica della composizione sociale dei tifosi allo stadio, con la crescita di professionisti e classe media; si affacciano poi nuovi caratteristici fenomeni impensabili pochi anni prima, come un’età media sempre più alta sugli spalti, oppure una sorta di turismo calcistico. Dal 2005 la Premier League è diventata la principale lega europea per giro d’affari (diritti televisivi, sponsorizzazioni, entrate derivanti dai singoli incontri)2)David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007 e a breve sarà la prima lega anche dal punto di vista tecnico, giocandosi per anni il primato con la Liga spagnola.
Comunque ciò che resta impresso nelle cronache del Mondiale è il diffuso entusiasmo tra la popolazione tedesca – di per sé non sempre sinonimo di passione sfrenata – che accompagna il mese di partite tra nazionali. Milioni di persone si accalcano di fronte ai maxischermi soprattutto quando scende in campo la squadra di casa. Le città che ospitano il torneo sono affollate di turisti e graziate da un clima caldo e soleggiato, così diverso da freddo e pioggia che avevano contraddistinto un bel pezzo del Mondiale 1974. Il cambiamento climatico sta iniziando a produrre i suoi effetti. Quello offerto ai tifosi è un campionato nel complesso piacevole, provvisto di un tasso tecnico elevato, sia nelle squadre, sia nei singoli interpreti, che però riesce a emergere soltanto a sprazzi nel corso degli incontri: testimonianza di tale giudizio è il tempo di gioco effettivo rimasto piuttosto basso, in linea con quanto accaduto nel torneo precedente, e altresì il calo della media gol (2,3 a partita), ormai prossima al minimo storico di 2,2 registrato nel 1990.
Questo entusiasmo popolare riceve poi un progressivo vigore dalle belle prestazioni della nazionale tedesca, giunta all’appuntamento con il Mondiale casalingo circondata da palese scetticismo, ma invece in grado di ribaltare i pregiudizi con la forza dei risultati. La Germania sembra la meno attrezzata delle semifinaliste mondiali, ma l’apparenza non inganni: ha dalla sua il fattore campo, la tradizionale solidità competitiva tedesca nelle gare che contano e anche la sfrontatezza della gioventù.
I tedeschi infatti lanciano direttamente in prima squadra alcuni giovani promettenti. Lucas Podolski è un attaccante, segna tre reti e viene giudicato il migliore fra le nuove leve in campo nel campionato del Mondo. Manterrà nel tempo l’originale caratteristica di giocare decisamente meglio in nazionale (terzo all time per presenze e marcature) che nei vari club in cui sarà ingaggiato. Di origine polacca e trasferitosi con la famiglia in Germania quando aveva solo due anni, preserva comunque il ricordo del suo luogo di nascita: agli Europei del 2008, dopo aver segnato due gol alla selezione polacca, eviterà di esultare. Ci sono poi altri giovani che faranno parecchia strada: Lahm, terzino sinistro con capacità di accentrarsi, del quale si inizia ad ammirare il consistente potenziale tattico e tecnico; Mertesacker, centrale difensivo in procinto di passare al Werder Brema (detto per inciso, la fase difensiva tedesca nel torneo mostra alcuni passaggi a vuoto, ma regge); Schweinsteiger, centrocampista, tre assist e due reti nel corso della Coppa. Insomma, si iniziano a scorgere i fondamenti di una ricostruzione calcistica tedesca già in atto e che nel futuro diventerà evidente a suon di risultati. Per quanto vice-campioni del Mondo in carica, la finale di quattro anni prima è dai più considerata come un evento in parte casuale, figlio di una buona mannschaft ma anche delle contingenze emerse nel torneo asiatico; ora invece i cambiamenti sembrano promettenti e duraturi. E uno stimolo ulteriore giunge dalle grandi prove della nazionale femminile tedesca e dal suo leader, la formidabile attaccante Brigit Prinz: campione del Mondo nel 2003 (finale vinta ai danni della Svezia grazie al golden gol) e nel 2007 (sul Brasile), semifinalista alle Olimpiadi del 2004.
Non mancano però gli elementi più esperti nel 4–4-2 agli ordini di Jurgen Klinsmann, selezionatore dei tedeschi con base in California, dove vive. È una relativa novità, nonostante si stia avviando verso le trentasette primavere, l’uomo che difenderà la porta tedesca ovvero Jens Lehmann, che per tanti anni ha conteso il posto a Khan e ora l’ha scalzato nelle gerarchie della nazionale. Lehmann ha il carattere poco accomodante del suo predecessore, ha rimediato diverse espulsioni in carriera ma ripagherà la scelta del commissario tecnico con ottime prestazioni. Tra i titolari, i reduci del Mondiale 2002 sono Friedrich, Metzelder, Schneider, Frings e Ballack – in posizione più arretrata rispetto quattro anni prima, ma ancora punto riferimento della squadra -, oltre a Neuville, attaccante inserito a partita in corso durante tutti gli incontri. E poi c’è Klose, miglior marcatore del campionato del Mondo con cinque reti, piacevole sorpresa in Corea e Giappone ma qui sui prati di casa ai suoi massimi livelli.
Miroslav Klose è nato in Polonia in una famiglia di etnia tedesca che si sposta verso ovest nel 1986; è e resterà sempre una persona semplice, una sorta anti-divo. Condivide con il compagno di attacco non solo l’origine polacca ma anche una carriera in cui ha dato il meglio di sé con la nazionale, per quanto in modo non così marcato come nel caso di Podolski; se poi sommiamo le reti infilate dai due con la casacca della Germania, arriviamo alla cifra spropositata di centocinquanta gol. Klose gioca in tre squadre tedesche di club, Kaiserslautern, Werder Brema, Bayern, chiude nella Lazio e la sua migliore stagione è quella appena conclusa nel 2006, durante la quale segna venticinque reti in campionato. Ma in nazionale tocca vertici unici: settantuno gol in totale, superato lo storico primato di Gerd Muller (che però ha giocato meno della metà delle sue partite); record assoluto di gol in Coppa del Mondo raggiunto a Brasile 2014 con sedici realizzazioni, marcate nel corso di quattro Mondiali – e anche questo è un record, condiviso con Pelè e Seeler. Klose resta famoso per l’abilità nei colpi di testa, ma bisogna riconoscergli anche una notevole intelligenza tattica.
Reduce da un pessimo Europeo nel 2004, la Germania disputa una lunga serie di amichevoli nell’anno che separa la Confederations Cup dal Mondiale, mostrando qualche scricchiolio: cinque vittorie, tre pareggi, tre sconfitte. Ma nel Mondiale casalingo le sue ambizioni non tardano a palesarsi. Le gerarchie del girone della prima fase sono messe subito in chiaro con le affermazioni di Germania ed Ecuador su Costa Rica e Polonia. Per la prima volta da Messico ’70 l’incontro di apertura del torneo torna a essere la prima partita della selezione di casa e non della squadra campione in carica, e la sfida tra tedeschi e costaricani diventa la partita inaugurale con più gol sin lì ai Mondiali (almeno da quando non si inizia con più partite in contemporanea, cioè dal 1966). Vince la Germania quattro a due. Il primo gol in assoluto è marcato da Lahm e rimarrà fra i più belli del torneo: dribbling, tiro scoccato dal vertice dell’area di rigore, parabola arcuata che tocca il palo lontano ed entra in rete. Nell’altra sfida l’Ecuador segna un gol per tempo con Tenorio e Delgado, la Polonia si sveglia un po’ tardi e oltre tutto la fortuna non l’assiste quando coglie i legni per due volte negli ultimi cinque minuti di gara.
Nel corso del secondo incontro i tedeschi devono attendere i minuti di recupero per aver ragione dei polacchi grazie a Neuville che devia sotto rete un cross di Odonkor; però è stata una Germania propositiva e all’attacco, soprattutto nel primo tempo. L’ultima sfida vede opposte Germania ed Ecuador nell’agevole posizione di formazioni già qualificate (i sudamericani hanno infatti sconfitto in modo convincente la selezione costaricense): la sfida è dominata dalla mannschaft che si impone per tre a zero. Percorso netto – tre vittorie su tre – e i tedeschi approdano alla fase a eliminazione diretta.
Il Mondiale del 2006 offre il destro per parlare di due indiscutibili protagonisti del calcio del periodo: Zlatan Ibrahimovic e Andriy Shevchenko. In campo nel suo secondo e ultimo torneo iridato, e mai un gol ai Mondiali, il talento di Ibrahimovic è già emerso da qualche tempo ma sarà un percorso in crescendo. In lui lo strapotere fisico si accompagna sul terreno di gioco a senso del gol, fantasia, capacità di far salire la squadra, ma Ibrahimovic non incarna soltanto una forza corporea poiché in campo impone carisma e presenza: “Io devo essere arrabbiato per giocare bene. Devo urlare e fare casino”3)Javier Prieto Santos, Don’t mess with the Zlatan, So Foot n. 99. Segna due decenni di calcio internazionale. Nella sua lunghissima carriera Ibrahimovic vince un po’ ovunque ma manca sempre l’appuntamento con la Champions League; è nettamente il miglior giocatore svedese dopo la generazione dei Cinquanta, ottiene il primato di reti in nazionale senza mai raggiungere però particolari traguardi. Sbruffone, oltre gli schemi, capace di costruirsi un personaggio riconosciuto dappertutto, ha qualcosa di Alì – che è un suo idolo – salvo l’impegno politico. Ha origine in una famiglia problematica; trascorre l’infanzia nel difficile quartiere popolare di Rosengard, a Malmoe, pieno di figli di immigrati come lui, e lo ricorda con sincerità e orgoglio: “Puoi portare un ragazzo fuori dal ghetto, ma non potrai mai portare il ghetto al di fuori di un ragazzo”4)Jordan Florit, A – Z of the 2000s: Zlatan Ibrahimovic, These Football Times.
Shevchenko disputa nel 2006 il suo solo Mondiale, e con discreti risultati (due reti, un assist), forse perché sente che l’occasione sarà l’unica nel dipanarsi di un percorso splendido ma sulla china discendente. Cresce nella Dinamo Kiev e poi gioca tanti anni con la maglia del Milan, dove è amato e ai suoi massimi: tocca le ventiquattro reti in tre differenti stagioni di Serie A e si laurea due volte capocannoniere. Shevchenko è un attaccante veloce e capace di reggere da solo tutto l’attacco di una squadra; non sembra eccellere in niente di particolare, poiché davvero eccelle in tutto. Corretto, volenteroso, resta impresso il primo piano del suo sguardo concentrato e trepidante prima di segnare a Buffon il rigore che decide a favore del Milan la finale Champions 2003. Con la nazionale realizza quarantotto reti; dopo il calcio tenta la strada della carriera politica ma non sfonda, quindi torna al calcio e diventa commissario tecnico della sua Ucraina.
Ibra e Sheva, come li si chiamava all’epoca, incrociano il destino di Germania e Italia. La quarta sfida fra tedeschi e svedesi in Coppa del Mondo è l’ottavo di finale 2006: nei precedenti, la Germania si è imposta nel ’34 e nel ’74, ma la Svezia ha vinto la semifinale della Coppa del 1958. I tedeschi nel primo tempo sono arrembanti. Podolski porta in vantaggio i suoi al quarto e raddoppia dopo otto minuti grazie a un assist di Klose, che è riuscito ad attrarre verso di sé gli avversari prima di servire il compagno. In mezzo però la Svezia avrebbe potuto pareggiare, ma Larsson ha sprecato. Al ventottesimo Lucic prende un giallo, sette minuti dopo ne riceve un secondo – francamente un po’ esagerato – e lascia la Svezia in dieci. Il portiere Isaksson evita la disfatta e nel finale Ibrahimovic ha un guizzo, ma Lehmann respinge. Ibra però denuncia problemi fisici, sinora ha giocato una partita e mezzo nel campionato ed è partito lo stesso come titolare in questo incontro, benché acciaccato; uscirà a un quarto d’ora dal termine senza aver inciso. A inizio ripresa gli scandinavi vedono svanire la grande occasione di riaprire il discorso sull’esito dell’incontro quando Larsson, non in grande giornata, tira un calcio di rigore e spedisce la palla alta. La Svezia esce dal campo, la Germania va vicina al tre a zero e sbarca ai quarti.
La selezione ucraina di Shevchenko riporta una squadra est-europea fra le prime otto al mondo e in un periodo difficile per il calcio di quella scuola, sottolineato dalle eliminazioni al primo turno di Croazia, Polonia, Repubblica Ceca e Serbia-Montenegro. Guidata in panchina da Oleg Blokhin, fornita di due validi uomini anche a centrocampo quali Tymoschchuk e Kalinichenko, l’Ucraina affronta agli ottavi la Svizzera in una partita noiosa. Agli svizzeri causa infortunio manca uno degli elementi migliori, il difensore Senderos, e dopo mezzora si fa male anche il suo sostituto Djourou. Sheva nel primo tempo prende la traversa su colpo di testa e subito dopo Frei pareggia il conto dei legni cogliendo l’incrocio su punizione; gli ucraini sono più propositivi, sfiorano il gol nella ripresa ancora con Shevchenko e con Gusev, ma lo zero a zero non si sblocca e conduce infine l’incontro ai tiri di rigore. Il primo a calciare è proprio Sheva, e sbaglia. Gli elvetici però falliscono tutti i rigori a disposizione, gli ucraini ne infilano tre e si aggiudicano l’incontro. Svizzera fuori agli ottavi, non solo da imbattuta ma senza aver incassato nemmeno un gol.
Preceduto dalla notizia del tentativo di suicidio dell’ex juventino e nazionale Pessotto, fatto che desta molto clamore fra gli azzurri e fra gli addetti ai lavori, il quarto di finale toccato in sorte agli ucraini è proprio contro l’Italia. Sei giri di orologio e la squadra italiana passa in vantaggio grazie a un gol di Zambrotta, autore di un ottimo Mondiale e, quella sera, di una prestazione semplicemente inarrestabile; la rete nasce sulla trequarti da un tacco di Totti che libera Zambrotta, il quale avanza, scaglia un gran tiro da fuori area e infila la sfera in basso nella porta ucraina. Nel primo tempo il controllo italiano è completo, ma gli azzurri giocano un po’ al risparmio. Così accade che gli italiani tardino – metaforicamente – a uscire dagli spogliatoi e il primo quarto d’ora della ripresa è tutto di marca ucraina: colpo di testa di Gusin e parata Buffon, che tuffandosi sbatte anche la testa sul palo; Gusev si presenta da solo al cospetto dell’estremo italiano che respinge, poi calcia Tymoshchuk e salva Zambrotta sulla linea di porta. Poi l’Italia riprende a macinare gioco e perviene al raddoppio con Toni, che infila di testa un cross pennellato di Totti; il tempo di una traversa colta dall’Ucraina e quindi l’Italia segna ancora un’altra rete, sempre firmata da Toni, al culmine di una pregevole azione sulla fascia del solito Zambrotta. È tre a zero.
Bisogna prestare la dovuta attenzione a questa Italia che è in crescita, pare sicura di sé ed ha appena superato Australia e Ucraina, cioè due outsider, spesso il tallone di Achille degli azzurri. E bisogna nel contempo dare ormai il giusto credito a una Germania capace di eliminare l’Argentina. A questo punto vien da pensare che il torneo sia stato soltanto la semplice premessa di un preciso momento: c’è in programma un incrocio, una sfida sentita, avvincente e carica di ricordi, la cui aura inizia ad allargarsi sin dalla sera del 30 giugno – il giorno dei rispettivi quarti di finale – per illuminare tutto il calcio. La semifinale mondiale dell’edizione 2006 è Italia – Germania.

È la sera di martedì 4 luglio e si gioca al Westfalenstadion di Dortmund, lo stadio del Borussia con il suo assordante muro di tifosi attaccato alle porte, un luogo in cui la nazionale tedesca non ha mai perso. L’Italia schiera il seguente undici: Buffon; Zambrotta, Cannavaro, Materazzi, Grosso; Camoranesi, Gattuso, Pirlo, Perrotta; Totti; Toni. La Germania manda in campo: Lehmann; Friedrich, Mertesacker, Metzelder, Lahm; Schneider, Ballack, Kehl, Borowski; Klose, Podolski. Arbitra il messicano Archundia. Schweinsteiger parte dalla panchina, mentre nell’Italia Materazzi rientra dalla squalifica scontata nei quarti, e per il resto le due squadre presentano i giocatori titolari, o quasi. Fra i tedeschi manca infatti Frings, squalificato, e come mai? Non ha ricevuto cartellini gialli o rossi nell’incontro precedente. Beh, è successo che il quotidiano la Repubblica sia riuscito a scovare delle immagini televisive che mostrano Frings piuttosto attivo nella rissa finale con gli argentini e soprattutto colpevole di un pugno, anche solo allo stato di tentativo, scagliato verso Cruz. La FIFA prende un po’ di tempo e poi decide per la squalifica grazie quindi alla prova tv. Ma in Germania non la prendono bene e in vista della partita monta sulla stampa scandalistica locale una polemica anti-italiana con toni vagamente razzisti – facilmente trascurabile stante la fonte da cui proviene – che però aggiunge un ulteriore giro di vite alla tensione della sfida.
L’avvio di gara vede un’Italia intraprendente che applica un pressing alto, capace di mettere in difficoltà la difesa e il portiere tedeschi; la Germania è però aggressiva a centrocampo, gli italiani in questa fase lasciano il controllo del pallone ai tedeschi e cercano, nel gioco offensivo di rimessa, lo scambio veloce per mandare fuori tempo gli avversari. Il primo tentativo a rete è di marca italiana, consistente in una punizione di Totti dalla lunga distanza che Lehmann blocca. Tra Klose e Podolski l’intesa funziona, e un passaggio in area del primo verso il secondo è intercettato da un grande intervento di Cannavaro. Subito dopo l’Italia crea una limpidissima occasione da rete: gran lancio di Totti per Perrotta che è solo in direzione del portiere, ma si allunga troppo la sfera e Lehmann in uscita salva porta. Gli attacchi in velocità degli azzurri sembrano in grado di far male. Al ventunesimo minuto un cross di Kehl è deviato alto da Podolski, il quale è in ottima forma, e poco dopo Pirlo serve a Materazzi una buona opportunità di testa, ma senza esito. Bene sinora Ballack e Borowski per i tedeschi, Cannavaro, Camoranesi e Totti per gli italiani
Dopo una prima parte equilibrata, intorno alla metà del tempo sale in cattedra il centrocampo italiano soprattutto sull’asse Pirlo – Totti e il registro dell’incontro muta. Una punizione di Pirlo libera Totti al tiro in area di rigore, ma è respinto dalla difesa; alla mezzora Grosso scappa sulla fascia e Metzelder anticipa di un soffio Toni, pronto a toccare a rete. L’Italia preme e sfrutta la spinta delle fasce, ma al minuto trentaquattro, nel momento migliore degli azzurri, ecco che la Germania giunge a sfiorare il gol: errore inusuale di Pirlo a centrocampo e contrattacco tedesco con la palla che arriva a Schneider, libero sulla destra; l’esterno tedesco entra in area e scaglia un tiro teso che termina di poco alto – ma a guardare bene, e la cosa è sfuggita ai più inclusi arbitro e assistente, Buffon ha toccato la sfera compiendo una parata prodigiosa. Borowski riceve la prima ammonizione dell’incontro per fallo su Totti a centrocampo. Poi una punizione di Pirlo dalla trequarti è corretta da Camoranesi che svetta all’altezza del primo palo in anticipo sugli avversari e la palla sfiora di poco la traversa tedesca. L’Italia è stata sempre – e sarà – molto efficace sulla palle da fermo durante tutto il torneo.
Si va negli spogliatoi sullo zero a zero nel mezzo di una partita davvero intensa, molto fisica, giocata a ritmi alti e a viso aperto; una bella partita, seppur con poche occasioni da rete. A parte un buon inizio, i tedeschi sono riusciti a esprimersi a sprazzi, mentre l’Italia sembra in grado di poter controllare il gioco e di colpire. Ma qualcosa cambia nella ripresa.
La selezione italiana si presenta in campo più lenta e un po’ imballata, come già visto altre volte in questo Mondiale nei minuti che aprono il secondo tempo. I tedeschi sono più propositivi: Kehl ci prova da fuori area e manda a lato; Klose penetra in area azzurra ed è tempestiva l’uscita di Buffon al fine di evitare guai; Podolski si gira in area, conclude, l’estremo italiano respinge e sulla ribattuta Friedrich indirizza alto. Dall’altra parte Pirlo apre per Grosso che si ritrova solo davanti al portiere in uscita, ma viene fischiato un fuorigioco dubbio. Poi un altro giallo per la Germania è alzato davanti a Metzelder causa entrata da dietro su Toni. L’incontro adesso è bloccato, le idee sono poche. Gli azzurri finiscono troppo spesso in fuorigioco e la manovra non è più fluida. A venti dal termine Lippi manda in campo Gilardino per Toni, troppo statico in questa ripresa. Klinsmann inserisce Schweinsteiger al posto di Borowski, poi dieci minuti dopo l’altro esterno di centrocampo, Schneider, lascia il campo a beneficio di Odonkor. Il ct tedesco è molto elegante in pantaloni neri e camicia bianca, ed ha sempre al proprio fianco il suo vice Low, acchittato nello stesso stile.
È il minuto settantacinque e Kehl anticipa di testa Totti in area di rigore; l’Italia si sta risvegliando, pochi istanti e ci prova anche Pirlo. La regia televisiva inquadra il primo ministro italiano Romano Prodi al fianco del cancelliere tedesco, Angela Merkel, eletta da pochi mesi e ancora in carica mentre scrivo. A dieci dalla fine si assiste all’unico errore arbitrale di una certa rilevanza nell’ambito di una partita comunque facile e corretta: in occasione di un anticipo di testa eseguito da Cannavaro ai danni di un avversario, viene fischiato un fallo inesistente, che tra l’altro essendo avvenuto in area, avrebbe dovuto condurre al rigore. La punizione dal limite di Ballack finisce alta. Ottantacinquesimo, Pirlo avanza per linee centrali, palla a Gilardino, poi Totti che apre verso Perrotta come nel primo tempo ed è nuovamente solo in area: Lehmann esce alla disperata e anticipa di pugno il centrocampista italiano prima che possa tentare un controllo o il tiro. Due minuti dal fischio finale e Lahm chiude in modo provvidenziale su Gilardino, pronto ancora una volta a presentarsi indisturbato al cospetto di Lehmann. La difesa tedesca sta iniziando a traballare paurosamente.
È stato un secondo tempo nervoso, spezzettato e meno piacevole della prima frazione, forse perché troppo teso, salvo venir ravvivato nell’ultimo quarto d’ora di gioco. Ma i tempi supplementari resteranno nella testa dei tifosi come l’Azteca del ’70.
Nonostante una ripresa nel complesso sotto tono e interpretata con spirito non abbastanza pugnace da parte della selezione italiana, apparsa un po’ nascosta, Lippi pensa di potersi aggiudicare la sfida e comincia mandare in campo degli attaccanti: inizia quindi i supplementari con Iaquinta al posto di Camoranesi, gravato di un ammonizione e ormai stanco. Il campo gli dà ragione e l’Italia mette sotto assedio i tedeschi. Iaquinta serve sulla destra Gilardino che scappa al difensore, arriva davanti al Lehmann tocca di sinistro e prende il palo; la palla rimbalza, passa alle spalle del portiere tedesco e poi è rinviata dalla difesa. Passa un minuto e Pirlo batte un calcio d’angolo, il pallone è ribattuto, arriva sui piedi Zambrotta dal limite che calcia e coglie in pieno la traversa!
La Germania però si scuote e le due nazionali attaccano, in un supplementare giocato da entrambe per vincere. L’Italia non concede niente in difesa, spinge sulla destra con Zambrotta e Iaquinta, mentre al quattordicesimo minuto Del Piero entra in campo in campo al posto di Perrotta e si piazza sulla sinistra in uno schieramento italiano che ha preso la forma del 4–2–4. Sul finire del tempo la mancata sanzione di un fallo su Totti al limite dell’area tedesca innesca una pericolosa ripartenza della Germania: cross di Odonkor da destra, Podolski è libero e di testa indirizza fuori, un errore da mani nei capelli.
Le squadre sono evidentemente stanche quando inizia il secondo tempo supplementare ma continuano a non risparmiarsi. La Germania inserisce Neuville per un Klose esausto. Attaccano gli azzurri, Pirlo per Totti e poi lancio per Del Piero, palla al piede a tu per tu con Lehmann: l’attaccante italiano non trova lo spazio per il tiro, quindi scarica su Iaquinta, la cui conclusione è ribattuta dai difensori. Ribaltamento di fronte: Kehl per Podolski che dalla sinistra sfodera una gran conclusione, probabilmente con le ultime forze residue, ed è straordinaria la risposta di Buffon con la palla alzata sopra la traversa. Dall’altra parte Iaquinta manovra sulla fascia destra, mette in mezzo per Del Piero che viene anticipato da Friedrich in calcio d’angolo; poi ancora Del Piero che conclude dal limite e manda a lato un’occasione molto propizia. Ora l’attacco azzurro sta scuotendo la partita.
Mancano tre minuti al centoventesimo quando Pirlo a trenta metri dalla porta tedesca difende il pallone, salta un avversario e scocca un tiro che Lehmann devia in volo sul fondo. Pirlo è stato autore di un partita gigantesca, vero deus ex machina di tutta la squadra italiana, ma questa semifinale racchiude anche una grandiosa prestazione di portieri. Del Piero batte dalla bandierina, la difesa respinge e la palla è preda di Pirlo al limite dell’area: Pirlo inizia a muoversi in orizzontale verso l’esterno, attirando uomini su di sé e in attesa del momento esatto, di un corridoio che forse soltanto lui al mondo è capace di vedere, e quando con la coda dell’occhio scorge Grosso solo nell’area tedesca, è arrivato il momento di infilare la sfera in quel corridoio. È l’appuntamento con la storia. Palla a Grosso, tiro di prima con il sinistro sul palo lontano, Lehmann si protende con tutto il suo corpo ma invano, e la palla termina in rete. Rete dell’Italia! Grosso corre per il campo facendo segno di no con il dito, urlando non ci credo, piangendo – gli azzurri sono avanti uno a zero a un minuto dalla fine.
La Germania non ha alternativa che buttarsi in avanti ma ormai è a pezzi fisicamente e moralmente; Ballack ci prova ma il suo tiro termina fuori. Allo scadere Cannavaro interviene di testa in anticipo in area di rigore, la palla sta per giungere a Podolski sulla trequarti ma Cannavaro – fantastico stasera, e nel frattempo forse si è pure sdoppiato – è ancora in anticipo e ruba la palla ai tedeschi. Interviene Totti che passa in avanti per Gilardino e a questo punto siamo quasi al limite dell’area tedesca. Gilardino ha solo un avversario davanti a sé, potrebbe anche puntare verso il fondo per perdere tempo ma sente un’ombra azzurra che gli passa dietro le spalle, e quest’ombra è l’accorrente Del Piero: lo serve senza guardare, tocco sotto preciso di prima di Del Piero con la palla che scavalca il portiere avversario e termina in rete, due a zero per l’Italia. Lo stadio sembra scosso da un terremoto. Del Piero scarica la tensione scalciando ed esultando a bordo campo, la partita è finita, una tifosa tedesca sugli spalti, affranta, piange con le mani sul viso; gli azzurri si abbracciano, i tedeschi sono distrutti, fermi sul campo, mentre Klinsmann prova a consolarli. L’Italia è in finale di Coppa del Mondo.

Nel calcio il mito si nutre della ripetizione. Dopo la semifinale del 1970 e la finale del 1982, al Westfalenstadion è andata in scena un’altra sfida storica, sempre con lo stesso esito ma ancora una volta diversa dalle precedenti nell’andamento, nella trama, nei motivi. Questa Italia – Germania apre idealmente il secolo XXI del calcio per nazionali e resterà iscritta fra le partite più note di tutte le edizioni dei Mondiali. È sicuramente la partita che segna il torneo, oltre a essere la più emozionante, la più bella – per quanto, al di là del valore in sé, la più importante sarà l’incombente finale; forse non tecnicamente eccelsa, ma di pathos enorme, difficilmente eguagliabile, autentica epica del calcio.
La nazionale italiana sfodera la prestazione ideale, perfetta per le sue potenzialità, la migliore partita del torneo e nel momento chiave, contro un avversario magari inferiore tecnicamente ma molto motivato dall’ambiente e dalla recente affermazione sugli argentini. Una Germania che già assaporava il gusto del titolo mondiale davanti ai propri tifosi. Sono stati premiati il coraggio e l’intuizione del ct Lippi nell’aver puntato tutto quanto sulla vittoria nei supplementari, trasformando l’Italia in una squadra a completa vocazione offensiva. E si conferma la recente regola che vede gli azzurri in finale di Coppa del Mondo ogni dodici anni: ’70, ’82, ’94 – persa, vinta, persa.
Non ha demeritato la Germania e ha retto fin quasi ai tiri di rigore che per tradizione la vedono favorita, ma l’esito dell’incontro è stato giusto così. Questa nuova sconfitta patita contro gli azzurri certifica senza ombra di dubbio che l’Italia è la bestia nera della nazionale tedesca: la solida e vincente mannschaft, così combattiva e sicura di sé contro ogni avversario, soffre maledettamente il confronto gli azzurri quando il livello della sfida cresce assieme alla posta in palio. È un complesso di inferiorità che probabilmente stenta a scomparire, se consideriamo la semifinale europea del 2012 e altresì la faticosa affermazione ottenuta dai tedeschi nel 2016 dopo diciotto tiri di rigore, ma con una differenza fra gli organici a disposizione a favore dei tedeschi neanche degna di imbastire un confronto. Non solo, ma l’eliminazione per mano dell’Italia davanti al proprio pubblico e nei modi appena narrati, rappresenta con ogni probabilità la sconfitta più dura da accettare nell’intera storia del calcio tedesco, in modo analogo a quanto occorso sedici anni prima alla nazionale italiana durante la semifinale persa nel Mondiale di casa.
Tutto questo è stato e sarà per sempre Italia – Germania due a zero dopo i tempi supplementari, semifinale del Mondiale 2006, niente di più, niente di meno che una nuova pietra miliare del gioco del calcio.
29 maggio 2021
immagine in evidenza: gol di Del Piero
References
1. | ↑ | Vedi infra Francia, 1998: I. Follow the money |
2. | ↑ | David Goldblatt, The ball is round, Penguin Books, 2007 |
3. | ↑ | Javier Prieto Santos, Don’t mess with the Zlatan, So Foot n. 99 |
4. | ↑ | Jordan Florit, A – Z of the 2000s: Zlatan Ibrahimovic, These Football Times |