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Germania, 2006
V. La Francia all’improvviso

Sarà allora il caso di osservarla da vicino, e pezzo per pezzo, questa Francia capace di estromettere il Brasile dal Mondiale 2006. Il reparto arretrato è fondato sull’usato sicuro del portiere Barthez e di Thuram, autore di un torneo di spessore. Thuram cambierà club durante l’estate, passando dalla Juventus al Barcellona, per poi lasciare il calcio da lì a un paio d’anni in seguito alla diagnosi di una malformazione cardiaca. Sulla fascia opera Abidal, nel prossimo futuro elemento fisso della difesa di un grande Barcellona e poi impegnato in un’ardua lotta, comunque vinta, contro un tumore al fegato. Completano l’elenco dei difensori titolari due elementi di affidamento quali Gallas e Sagnol.

Nel valido centrocampo francese si può facilmente individuare in Patrick Vieira un elemento di spicco. Nato in Senegal, Vieira iniziare a calciare il pallone lungo le polverose strade di Dakar, prima di trasferirsi con la famiglia in Francia ancora bambino. I migliori anni calcistici li trascorre all’Arsenal, dove arriva nel ’96 e riesce a imprimere sin da subito il suo marchio sul gioco della squadra; poi durante l’annata 2005/06 veste la maglia della Juventus e quindi passa all’Inter, ma dopo il Mondiale ’06 non sarà più in grado di raggiungere le vette toccate in precedenza. Mondiale che lo vede protagonista assoluto: due gol, due assist, come detto giocatore chiave della Francia, con la sua tecnica e la sua forza fisica. In totale veste la maglietta dei bleus centosette volte. Al suo fianco corre Makelele, anch’egli di origine africana (è nato a Kinshasa, il padre è stato nazionale dello Zaire) e cresciuto nella periferia parigina; è un ottimo recuperatore di palloni dalle leve corte e rapide, tassello molto importante nel Real Madrid di inizio millennio sotto la guida di Del Bosque, e poi in forza al Chelsea.

La terza linea (che sia centrocampo o attacco fate voi) del 4-2-3-1 francese in Germania prevede a destra Ribery e a sinistra Malouda. Franck Ribery, con le sue ormai celebri cicatrici sul volto – lascito di un incidente automobilistico dell’infanzia, soffia il posto a Wiltord dalla terza partita ed è una delle rivelazioni del Mondiale. Da lì in avanti diventa l’interprete di una grande carriera condotta per tanti anni nel Bayern Monaco, dove vince una Champions League e nove titoli tedeschi. Florent Malouda, giocatore del Lione e poi del Chelsea, chiuderà curiosamente il suo percorso calcistico una decina di anni dopo con la maglietta del suo paese di origine, ovvero la Guyana Francese, che essendo un possedimento d’oltremare della Francia non è affiliata alla federazione internazionale. Ah, in mezzo a loro due c’è Zinedine Zidane.

Punta unica e uomo centrale nello sviluppo del gioco francese, tre gol all’attivo, fra i principali protagonisti del torneo: si sta parlando adesso di Thierry Henry. Questi è un attaccante forte al centro o di lato, o che sia avanzato o un po’ più arretrato; sa realizzare e al contempo è un proficuo uomo-assist; può fare reparto da solo ma è altrettanto efficace in coppia e in una linea a tre, e come se non bastasse risulta micidiale nell’uno contro uno. A suo dire si inserisce – e poi sviluppa da sé – in un filone avviato pochi anni prima da attaccanti come Romario, Weah e Ronaldo: “Sono stati i primi ad allontanarsi dall’area di rigore per recuperare la palla, svariare sulle fasce, attrarre e disorientare i difensori centrali con le loro corse, le loro accelerazioni, i loro dribbling1)Thierry Marchand, Philippe Auclair, A game for individuals, intervista a Henry, The Blizzard n. 15. In campo Henry è in grado di muoversi ovunque e di sorprendere gli avversari con accelerazioni improvvise e incontrollabili.

Cresce nel Monaco, poi gioca per molti anni nell’Arsenal (dal ’99 al 2007) e sino al 2010 nel Barcellona, squadre quest’ultime che, in quell’inizio di secolo, sanno lasciare il segno nel panorama calcistico. Nell’Arsenal di Wenger detto degli invincibili in quanto chiude imbattuto la stagione 2003/04, Henry vince il titolo di miglior realizzatore per quattro volte e nel campionato 2002/03 mette insieme la strabiliante accoppiata di ventiquattro gol e venti assist. Sfiora la Champions nell’anno mondiale con il club londinese, ma conquista il massimo trofeo europeo tre anni dopo con i blaugrana di Barcellona: qui compone un fantastico trio di attacco completato da Messi ed E’too. Mette assieme centoventitré presenze in nazionale e cinquantuno reti, un record. Se necessario precisarlo, è stato fra i più forti giocatori al mondo di tutto il decennio.

Breve intermezzo: si può facilmente notare come, allo stesso modo di otto anni prima, la rappresentativa francese sia sempre una compagine dai chiari connotati multietnici. Pochi mesi prima della Coppa proprio in Francia la questione sociale dell’immigrazione ha ottenuto l’attenzione forzata di tutto il paese e di tutto il mondo: è l’autunno 2005 e le periferie delle grandi città sono sconvolte da proteste violente e protratte per venti giorni di fila che squarciano così il velo sulle drammatiche condizioni di vita in quei luoghi. Vista la provenienza di molti giocatori, il calcio non è rimasto totalmente alieno dagli eventi. In risposta al ministro dell’interno e futuro presidente Sarkozy, il quale aveva definito feccia, spazzatura i rivoltosi, Thuram dichiara che se quelle persone sono feccia, ebbene, lo è anche lui stesso. Sempre Thuram, assieme a Vieira, l’anno dopo il Mondiale inviterà allo stadio una settantina di clandestini (detti sans-papiers), appena espulsi da uno stabile occupato, per seguire la partita della nazionale francese con l’Italia valida per le qualificazioni europee, scatenando in patria un ridda di polemiche.

Il momento chiave nella storia della selezione francese al Mondiale 2006 è collocabile all’agosto di un anno prima: durante l’amichevole giocata a Montpellier contro la Costa d’Avorio e vinta dai bleus tre a zero, ricompaiono in campo alcuni pezzi grossi che avevano dato addio alla maglia della nazionale dopo gli Europei del 2004, ovvero Zidane (che segna anche un gol), Thuram e Makelele. Con il loro rientro, la Francia imprime un’accelerata anche nel percorso di qualificazione mondiale, sin lì a tratti claudicante. I francesi ottengono una vittoria decisiva a Dublino sugli irlandesi per uno a zero grazie a un gol di Henry, e chiudono poi in testa un girone equilibrato che alla fine vede giungere a poca distanza Francia, Svizzera, la sorpresa Israele e Irlanda, in quest’ordine. Non forniscono troppe indicazioni le amichevoli che i transalpini disputano prima della Coppa: affermazioni su Costa Rica, Messico, Danimarca e Cina; pareggio con la Germania; sconfitta subita dalla Slovacchia, per di più in casa.

Resta ancora da vedere chi siede sulla panchina francese nel ruolo di commissario tecnico. Si chiama Raymond Domenech e non è un nome provvisto di notorietà: figlio di un catalano rifugiatosi in Francia per sfuggire alla dittatura di Franco, Domenech è un ex calciatore professionista appassionato di teatro nonché attore, che per molti anni ha allenato la selezione under-21 e che dopo l’esperienza con la nazionale maggiore di fatto chiuderà con il mestiere. Un personaggio sfaccettato, spigoloso e talvolta difficile da arginare o anche solo da comprendere. Anni prima, inviato al Mondiale americano dalla federazione, compare nelle cronache la notizia del suo arresto e del successivo rilascio su cauzione: davanti allo stadio aveva tentato di rivendere abusivamente i biglietti gratuiti di Corea del Sud – Bolivia, come un bagarino qualsiasi. (Si dirà: e chi poteva essere interessato a una sfida del genere, se non un poliziotto in borghese? Invece all’impianto di Boston quel giorno c’erano cinquantacinquemila persone).

Domenech adotta il 4-2-3-1 tanto in voga in quel periodo; costruisce il gioco della Francia su rapide e letali transizioni tra la fase difensiva e quella offensiva, trovando nel centrocampo il cuore del progetto con: Makelele dedicato alla rottura del gioco avversario, Vieira quale raccordo e, più avanti, la fantasia Malouda e Ribery, il tutto poi coordinato dal genio di Zidane. Il tecnico dimostra di avere le idee molto chiare, tanto che l’elenco degli undici titolari subisce pochissime variazioni. Ai più Domenech sta antipatico, e fra questi può annoverarsi gran parte della stampa specializzata del suo paese, ma lui non si sforza minimamente per superare questo giudizio. Si dice sia poco apprezzato dai giocatori della nazionale: i dissidi esploderanno con fragore quattro anni dopo in Sudafrica, ma lì in terra tedesca fila tutto liscio e l’esito della spedizione sarà quasi perfetto.

La Francia che si presenta a Germania 2006 è a tutti gli effetti una squadra solida, forte un po’ ovunque, colma di esperienza e tuttavia scarsamente considerata alla viglia dagli addetti ai lavori – un po’ alla stessa stregua dell’Italia. A differenza dei brasiliani, l’età avanzata non sembra essere un problema, e il discorso vale in particolare per gli elementi centrali nel progetto francese: Barthez è trentacinquenne, Zidane e Thuram di primavere ne hanno trentaquattro, Makelele trentatré, Vieira trenta. Anzi, l’età è trasformata in forza: non c’è appagamento, ma soltanto la consapevolezza – accompagnata probabilmente da leggerezza – di non essere chiamati a dimostrare alcunché. Parte in sordina la Francia, nascondendosi, ma cresce alla distanza e inizia a colpire con determinazione nel momento in cui serve.

Nel girone della prima fase del Mondiale la Francia ritrova gli svizzeri, come detto già incrociati nelle qualificazioni, e poi una squadra che desta un qualche interesse: la Corea del Sud. Reduci dall’inattesa semifinale di quattro anni prima, gli asiatici sono chiamati a dimostrare il loro valore lontano dai campi di casa. A metà campo la Corea schiera Park, titolare nel torneo casalingo e cresciuto ulteriormente in questo quadriennio, prima al PSV Eindhoven e poi dal 2005 al Manchester United, dove resterà parecchi anni. Park è uno dei migliori calciatori asiatici di sempre, è veloce, abilissimo nel pressing, e in Germania la sua importanza per la selezione coreana emerge in tutta evidenza.

La quarta squadra è il Togo, rappresentativa dell’Africa occidentale, nel corso del ventesimo secolo prima colonia tedesca e poi francese. La selezione del Togo disputa la sua prima Coppa e lo fa in maniera abbastanza contorta. Spicca nella squadra il gigante Adebayor, punta dell’Arsenal, ma si verificano diversi problemi nei mesi che precedono i Mondiali: il tecnico nigeriano Keshi è cacciato dopo una deludente Coppa d’Africa, i giocatori mugugnano, taluni imputano ad Adebayor di essersi montato la testa. Come spesso accade a rappresentative provenienti da paesi poveri e calcisticamente arretrati, il malumore è generato da opposte pretese sui premi in denaro. Così durante il ritiro pre-mondiale il nuovo allenatore Pfister, tedesco, molla tutti su due piedi dichiarando non poter gestire un ambiente così turbolento; poi ritorna su suoi passi alla vigilia della gara d’esordio grazie all’intervento del primo ministro togolese, Edem Kodjo, volato appositamente in Germania per risolvere la grana2)James Kelly, How Angola and Togo briefly flirted with the world’s best, These Football Times.

Nonostante il clima burrascoso che li circonda, i nazionali togolesi sanno farsi valere nel corso della prima partita del Mondiale contro la Corea del Sud: all’intervallo sono avanti uno a zero e hanno sfiorato anche il raddoppio; poi nella ripresa il capitano Abalo viene espulso, i coreani pareggiano sulla conseguente punizione e quindi segnano il gol del sorpasso con Ahn. Sconfitta onorevole per due a uno, ma intanto i soldi pattuiti non arrivano. I giocatori del Togo minacciano allora apertamente il boicottaggio e per superare l’impasse deve intervenire la FIFA con la promessa di pagare direttamente i nazionali al posto dell’inconcludente federazione togolese. La formazione africana può quindi scendere in campo per la seconda partita del girone opposta alla Svizzera, ed è sconfitta due a zero. Il Togo è eliminato e mancherà le successive qualificazioni alla Coppa del Mondo, ma purtroppo tristi eventi riporteranno sotto i riflettori questa selezione calcistica africana negli anni a seguire.

Francia – Svizzera è una partita deludente che termina zero a zero. I francesi palesano alcune distrazioni in difesa, gli svizzeri si mangiano dei gol e nella ripresa reclamano un rigore abbastanza netto per una spinta di Sagnol su Frei mentre sta per colpire di testa a rete. Il pareggio comunque è il giusto esito dell’incontro. Francia – Corea del Sud viene aperta dopo nove minuti dal vantaggio siglato da Henry; alla mezzora ci sarebbe il secondo gol francese con Vieira, ma l’arbitro non si accorge che la palla ha superato la linea di porta prima di essere respinta. I francesi giocano bene nella prima frazione ma non affondano il colpo e con il passare dei minuti diventano sempre meno efficaci: pagano allora pegno a dieci dal termine quando Park mette in rete il pallone dell’uno a uno, risultato che regge sino al termine. Poco dopo il pareggio coreano Zidane è ammonito e salterà l’incontro successivo per squalifica, ma è sembrato lento e poco ispirato.

Il percorso francese continua a essere accompagnato da dubbi e servirebbe una vittoria sul Togo con almeno due gol di scarto per assicurarsi il passaggio del turno. I bleus hanno solo due punti, benché debbano ancora disputare l’incontro sulla carta più semplice – ma memori della sconfitta di quattro anni prima contro il Senegal, sarà il caso di non prendere l’impegno sotto gamba. Ad ogni modo la Svizzera mette fine alle aspirazioni coreane superando gli asiatici due a zero (gol di Senderos e Frei) e chiude in testa il girone, mostrando un’inattesa solidità. La Francia impiega più di un tempo ad avere ragione sul Togo grazie ai gol di Vieira ed Henry, ma è una partita che domina da cima a fondo. È anche la prima vittoria francese in Coppa del Mondo dalla finale di Parigi del 1998. Ma da qui in avanti la storia della spedizione francese ai Mondiali 2006 assume all’improvviso una piega del tutto diversa e la trama del racconto comincia ad assomigliare paurosamente – per gli avversari – al cammino della nazionale italiana nel campionato del 1982.

Come seconda classificata del girone, la Francia è attesa agli ottavi dalla Spagna. È un avversario temibilissimo: Casillas in porta; Puyol e Sergio Ramos in difesa; Xabi Alonso e Xavi a metà campo, oltre a Senna che si alterna con il diciannovenne Fabregas; Torres e Villa in attacco, tre gol al testa nel campionato del 2006 e protagonisti rispettivamente di Europeo e Mondiale a venire. L’unico equivoco che attraversa i pensieri del tecnico Aragones è rinvenibile nella fase offensiva, dove parte con tre uomini e poi nella sfida decisiva schiera Raul dietro le punte. Ma Raul è ormai in calo e rappresenta un po’ il punto debole della squadra, insieme ad esterni di difesa non eccelsi.

Gli spagnoli dominano un girone facile con tre vittorie su tre partite, otto gol segnati e uno solo subito. Risolvono il confronto con l’avversario più accreditato, l’Ucraina, vincendo quattro a zero (grazie anche al vantaggio della superiorità numerica per un tempo). Contro la Tunisia la Spagna è a sorpresa sotto sino a venti minuti dal termine, ma attacca senza sosta, perviene al pareggio con Raul e vince grazie a due gol di Torres, dei quali il primo consiste in un pregevole tocco di esterno sull’uscita del portiere. Già qualificati, gli iberici sconfiggono uno a zero anche l’Arabia Saudita e con estrema facilità. La seconda qualificata del girone è l’Ucraina, che si riprende bene dalla batosta iniziale rifilando a sua volta quattro reti alla selezione saudita. La sfida decisiva la vede opposta alla Tunisia, sulla cui panchina siede Lemerre, il tecnico della Francia quattro anni prima: a metà gara i tunisini restano in dieci per l’espulsione di Jaziri, poi l’Ucraina si impone uno a zero grazie a un rigore marcato da Shevchenko.

Poco prima della sfida degli ottavi di finale, il tecnico Aragones definisce la Franca vecchia e sdentata, o qualcosa del genere: viste le prestazioni del primo turno, la squadra favorita è inevitabilmente quella spagnola, però sarebbe sempre opportuno dosare un poco i giudizi. Allo stadio di Hannover, lo sguardo che Zidane lancia ai suoi compagni dopo l’esecuzione dell’inno segnala che qualcosa è cambiato, e il campo lo mostra subito: i francesi iniziano alla grande, sono energici, attivi, ispirati, e Zidane sta portando la luce alla squadra. La Francia crea occasioni, fra queste un’azione avviata da Zidane per Henry che crossa basso in mezzo, dove Ribery e Vieira sfiorano il tocco decisivo a rete. Ma è invece la Spagna a passare in vantaggio, al ventottesimo: fallo ingenuo in area di Thuram su Pablo Ibanez spalle alla porta, calcio di rigore tirato da Villa, ed è uno a zero. Passano dieci minuti e la Francia pareggia. L’azione è splendida, Ribery passa la sfera a Vieira a metà campo e scatta, Vieira controlla e subito taglia fuori gli spagnoli con un assist per lo stesso ibery che si invola verso la porta, salta Casillas e mette in rete.

Nella ripresa è ancora la Francia a gestire il gioco e a sfiorare il gol: Zidane mette Malouda davanti al portiere, lob del francese e una grandiosa parata di Casillas salva la porta spagnola. Aragones fiuta il pericolo e al minuto cinquantaquattro toglie Raul e Villa, inserendo Joaquin e Luis Garcia, poi termina i cambi ben prima del novantesimo quando Senna prende il posto di Xavi; nella Francia Domenech manda in campo Govou per Malouda. Ribery è in grande serata, i francesi sembrano avere la partita in pugno ma a venti dal termine torna spingere la Spagna e Joaquin ha sui piedi una grande possibilità quando conclude dall’area a fil di palo. La partita va in crescendo e viene definita al minuto ottantatré: punizione di Zidane in area deviata da Perna, la palla giunge a Vieira che è defilato però a due passi dalla porta; il centrocampista colpisce di testa, la sfera tocca Sergio Ramos e finisce in rete per il vantaggio francese. Ora la Spagna si getta in avanti collezionando calci d’angolo ma Barthez è molto sicuro nelle uscite alte e sventa i tentativi avversari. E poi nel recupero Zidane scappa in contropiede, entra in area spagnola, scarta Puyol e con estrema sicurezza deposita in rete il tre a uno per la Francia.

È stata una partita appassionante, contesa da due ottime squadre e di grande valore, nella quale la Francia come per incanto è esplosa eseguendo una splendida prestazione. Uscire agli ottavi di finale, con questi uomini e in piena forma – la Coppa del Mondo di calcio sembra maledetta in eterno per gli spagnoli. Non è così.

Ecco che la Francia è venuta a galla come un’autentica potenza in grado di far fuori una forte Spagna e poi, nei quarti di finale, il Brasile gran favorito per la riconquista del titolo. Adesso i francesi e il loro capitano-condottiero non possono più nascondersi perché è chiaro a tutti che i bleus hanno oltrepassato il Reno per puntare direttamente al loro secondo titolo mondiale.

La sfida tra Francia e Portogallo rappresenta la seconda semifinale del Mondiale 2006, semifinali che vedono in lizza soltanto squadre europee: un evento che non si verificava dal 1982 e che ribalta completamente l’andamento della Coppa del Mondo di quattro anni prima. Germania 2006 è il Mondiale della restaurazione, il potere del calcio per nazionali ritorna alle forze tradizionali. Entrambe le selezioni mandano in campo l’undici migliore: per i portoghesi è la formazione che ha superato l’Olanda, mentre i francesi schierano gli stessi uomini che hanno battuto il Brasile. Non è di buon auspicio per il Portogallo il ricordo di due importanti semifinali, però in ambito continentale, perse contro i bleus (Europei 1984 e 2000, tornei poi vinti dai francesi), oltre al fatto di non riuscire a batterli da più di trent’anni.

Si gioca nel nuovo stadio di Monaco di Baviera terminato un anno prima e al momento dedicato – previa firma di un cospicuo assegno – a una grossa compagnia assicurativa tedesca. La pratica commerciale di dare il nome di impianti sportivi a uno sponsor (i c.d. naming rights nella definizione giuridica inglese) è già in uso da molti anni negli Stati Uniti e sta iniziando a diffondersi anche in Europa, dove a breve sarà utilizzata un po’ ovunque. La Germania fa da apripista, ma durante il Mondiale la FIFA vieta questo tipo di sponsorizzazione poiché intende mantenere il controllo esclusivo delle attività commerciali collegate alla manifestazioni, e pertanto questo come altri stadi tedeschi usati durante la Coppa si chiama ufficialmente FIFA World Cup Stadium. Comunque l’Allianz Arena di Monaco è uno splendido impianto che rinnova, pur senza eguagliare, quanto realizzato nei primi Settanta con l’Olympiastadion. L’elemento che maggiormente lo caratterizza è costituito da un rivestimento esterno di pannelli trasparenti che ricoprono completamente la struttura e permettono giochi di luce e cambi di colore.

Allora, la semifinale. La prima occasione è per i francesi, con un lancio dalla retrovie per Malouda che tira basso sul palo lontano, ma manda fuori. Rispondono i portoghesi: azione di Cristiano Ronaldo sulla sinistra, palla per Maniche e conclusione alta di poco; Figo dal limite impegna severamente Barthez, e sulla respinta i portoghesi mancano il tocco decisivo. In mezzo si assiste a un’azione francese con Zidane che libera Ribery, poi Malouda, cross e palla sfiorata da Henry. Minuto trentatré, Henry scatta in orizzontale dentro l’area di rigore e salta Ricardo Carvalho, il quale da terra e con un intervento sgraziato lo mette giù. L’arbitro assegna il tiro dagli undici metri a favore dei francesi. Zidane va sul dischetto, Ricardo intuisce l’angolo ma il tiro è ottimo, basso e angolato, e la Francia passa in vantaggio. Dopo i festeggiamenti con i compagni, Zidane alza le braccia e lo sguardo al cielo.

Secondo tempo. Su errore del centrocampo portoghese, Henry recupera palla nella metà campo avversaria con la squadra sbilanciata, si fa un bel pezzo di campo, entra in area e la sua conclusione viene deviata da Ricardo. Era un’ottima possibilità per i francesi. Poi è il turno di Ribery con un tiro da fuori area ed è ancora attento l’estremo portoghese. I lusitani hanno un’occasione con Postiga che si gira in area e calcia sull’esterno della rete. Passata metà della ripresa, Scolari prova a scuotere i suoi e tenta la mossa di schierare una punta in più, togliendo Pauleta e Costinha e inserendo Simao e Postiga. La Francia cambia gli esterni di centrocampo, un mossa usuale di Domenech: fuori Malouda e Ribery, dentro Wiltord e Govou.

Al minuto settantotto ecco prendere forma la grande occasione portoghese di raddrizzare l’incontro e rimettere in discussione la finale. Punizione di Cristiano Ronaldo dalla distanza, il tiro è centrale e Barthez potrebbe bloccare però non trattiene: la palla si impenna, Figo ha la porta spalancata davanti agli occhi e sta per deviare in rete di testa ma salta anche Postiga proprio davanti a lui, gli preclude una conclusione agevole, e la palla finisce alta sopra la traversa. Poi nei minuti di recupero c’è un’ultima occasione per Fernando Meira che calcia fuori, ma ormai è andata.

Sul prato di Monaco si abbracciano Figo e Zidane, Henry e Cristiano Ronaldo, a testimoniare il bel clima diffuso fra i giocatori e la correttezza di una sfida conclusa con appena due cartellini gialli, il primo dei quali sventolato al minuto ottantatré. Vince la Francia, uno a zero, una partita bloccata sino alla fine e quindi in ultima analisi poco spettacolare: dopo un promettente avvio della squadra portoghese, il confronto si è messo sul binario giusto per i francesi, che hanno avuto buon gioco nel gestire l’incontro, ridurre i rischi e tenere a bada gli avversari. Senza ripetere le prestazioni sontuose sfoderate nei due incontri precedenti, una selezione francese meno arrembante anche a causa dei diffidati pesanti (Zidane, Thuram, Viera, Sagnol, Ribery e Saha, unico del lotto ammonito che quindi salterà finale, ma è una riserva) è lo stesso in grado di passare anche l’ostacolo portoghese.

Portogallo che invece vede scappare via il grande sogno di una finale mondiale senza imbastire un’autentica reazione dopo la rete francese e pertanto senza riuscire a scalfire i ritmi bassi funzionali al controllo avversario, in un misto di impotenza e, almeno in apparenza, di rassegnazione poco comprensibile. In svantaggio per la prima volta in tutto il torneo, alla squadra portoghese forse manca quel pizzico di forza mentale utile per ribaltare un parziale sfavorevole a questi livelli. È qualcosa di analogo a quanto avvenuto nella finale europea di due anni prima e può essere motivo di rammarico per il Portogallo ad alto tasso tecnico visto in questo Mondiale. La sconfitta, tra l’altro la prima del ct Scolari in Coppa del Mondo dopo dodici risultati utili fra nazionale brasiliana (sette) e portoghese (cinque), è anche il frutto dell’anemico gioco offensivo dei lusitani capaci nella fase a eliminazione diretta di infilare solo un gol, nel primo tempo degli ottavi di finale. A discapito dei portoghesi bisogna precisare come in tutta la seconda fase del campionato siano segnati pochi gol, e diverse di queste reti provengono da calcio da fermo. Ma l’equilibrio rende lo stesso appassionanti molte sfide.

La Francia scenderà in campo a giocarsi il titolo mondiale per la seconda volta nella sua storia calcistica. Alcuni dei protagonisti del 2006 – Barthez, Henry, Thuram, Trezeguet, Vieira – erano già nella selezione campione del Mondo del 1998, e fra questi il leader indiscusso della nazionale francese, ora ed allora, Zinedine Zidane.

29 maggio 2021

immagine in evidenza: Zidane abbracciato da Ribery

References   [ + ]

1. Thierry Marchand, Philippe Auclair, A game for individuals, intervista a Henry, The Blizzard n. 15
2. James Kelly, How Angola and Togo briefly flirted with the world’s best, These Football Times