Nel quadriennio che separa il Mondiale asiatico da quello tedesco del 2006, due selezioni più di tutte hanno attirato l’attenzione dei tifosi e sono parse in grado di raccogliere costantemente al proprio interno il meglio del calcio per nazionali: si parla di Brasile e Argentina. Le due formazioni hanno dominato lo scacchiere sudamericano e in qualche misura anche il panorama mondiale, considerando i risultati di Olimpiadi e Confederations Cup, torneo questo ormai definitivamente consacrato agli occhi degli appassionati. Ma è stata quasi sempre la selecao campione del Mondo in carica a imporsi.
L’edizione 2005 del trofeo delle Confederazioni trasforma questa competizione nell’autentica anteprima del Mondiale: nei dieci anni seguenti si giocherà sempre l’anno prima della Coppa e sui campi del paese organizzatore, sino a quando nel 2019 sarà abolita per fare spazio nell’immediato futuro a una versione allargata del Mondiale per club. Peccato, perché è stato un torneo con interessanti spunti agonistici e tecnici. Quindi nell’edizione tedesca che precede il Mondiale 2006, la nazionale brasiliana – reduce da una prima fase un po’ deludente – supera tre a due i padroni di casa in semifinale; dall’altra parte l’Argentina sconfigge il Messico ai rigori. La finale fra i due colossi sudamericani si risolve in un’affermazione verdeoro senza appello: dopo un’ora i brasiliani hanno seppellito sotto quattro reti (Adriano, Kakà, Ronaldinho, ancora Adriano) la seleccion, capace di segnare solo il gol della bandiera con Aimar.
Il massimo trofeo dell’America del Sud, la Copa America, finisce nella mani dei brasiliani sia nel 2004 che nel 2007, e sempre ai danni degli argentini. Preferendo concentrare le forze sul girone di qualificazione mondiale, la selecao manda in Perù per la coppa del 2004 le seconde linee; l’Argentina ancora di Bielsa è nel pieno delle forze, ma non basta: avanti due a uno all’ottantasettesimo minuto, subisce il pari brasiliano con Adriano (miglior marcatore del torneo) e soccombe ai rigori. Un mese prima, proprio nell’ambito del girone unico sudamericano valido per Germania 2006, il Brasile dei migliori aveva già sconfitto l’Argentina, tre a uno – risultato poi restituito dalla seleccion dodici mesi più tardi a Buenos Aires. L’anno dopo il Mondiale un Brasile operaio guidato da Dunga, senza le stelle in attacco salvo un Robinho in grande spolvero, batte di nuovo l’Uruguay in semifinale ai tiri di rigore e si presenta all’ultimo atto da sfavorito. Durante il torneo l’Argentina ha raccolto cinque vittorie su cinque partite, segnando sedici gol e incassandone appena tre. Il tabellino di tre a zero a vantaggio del Brasile, con il quale si chiude la finale e la Coppa, è tanto inaspettato quanto pesante da digerire per gli argentini.
L’unica soddisfazione del quadriennio per i colori biancocelesti è giunto dal torneo calcistico dei Giochi Olimpici di Atene 2004 (forse perché la nazionale brasiliana lì era assente). Dopo aver sconfitto nettamente l’Italia – poi medaglia di bronzo – in semifinale, l’Argentina si assicura la vittoria di una competizione stra-dominata (neanche un gol passivo) in una sfida tutta sudamericana con il Paraguay decisa da un gol di Tevez. L’oro del calcio affianca quello – storico e ben più prestigioso – vinto dagli argentini nella pallacanestro dopo aver superato in finale la selezione italiana.
Da Germania 2006 per la prima volta la squadra detentrice della Coppa deve affrontare comunque il girone di qualificazione. Quello sudamericano è quindi controllato da cima a fondo da Brasile e Argentina, che chiudono a pari merito e con sei punti di vantaggio sulla terza classificata. Se serve precisarlo, in terra tedesca sono unanimemente identificate come le principali pretendenti al titolo, con i brasiliani in pole-position.
Sulla prestigiosa panchina albiceleste siede da un paio d’anni José Pekerman: grandissimo curriculum accumulato nei trascorsi con le giovanili argentine, lascerà però la nazionale subito dopo il Mondiale nonostante le resistenze della federazione. L’Argentina di Pekerman scende in campo con la difesa a quattro in cui spiccano il centrale Ayala e l’esterno sinistro Sorin, capitano della squadra. Il centrocampo è impostato con un rombo che comprende, nella terminologia calcistica argentina, un volante (il centrocampista arretrato), due carrileros ai lati e un enganche, cioè colui che letteralmente aggancia centrocampo e attacco. Punti fissi della squadra sono i vertici del rombo, ovvero Mascherano e Riquelme, nonché l’attaccante Crespo.
Mascherano lascerà il segno sul campo di gioco ancora per molti anni: proviene dalle giovanili del River Plate, nell’estate mondiale passa dal Corinthians al West Ham, ma deve ancora raggiungere i club in cui si esprimerà ai suoi massimi. Riquelme è il dieci classico, il trequartista, molto apprezzato da nostalgici e puristi; la carriera nel complesso lascia qualche il perplessità, non il Mondiale 2006, durante il quale si inserisce alla perfezione nei meccanismi della squadra e chiude con la bellezza di quattro assist. Indicato fra i migliori attaccanti del torneo con tre gol all’attivo, Hernan Crespo ha condotto una pregevole carriera – che nel 2006 ha già raggiunto il suo picco – soprattutto in Italia: capocannoniere nel 2000/01 con la Lazio, nelle fila del Milan segna una doppietta (purtroppo per lui inutile) nella finale di Champions League del 2005; durante la stagione che precede il Mondiale, l’unica giocata al di fuori della penisola, conquista il titolo inglese con la maglia del Chelsea. Completano il centrocampo argentino Cambiasso e Maxi Rodriguez, autore di tre reti; oppure Gonzalez, o ancora Scaloni. Saviola o Tevez assumono il ruolo di partner in attacco di Crespo, mentre si affaccia per la prima volta in Coppa del Mondo il giovane, incontenibile talento di Lionel Messi.
La selezione argentina chiude in vetta il girone della prima fase, a pari punti con l’Olanda ma premiata da una migliore differenza reti. All’esordio contro la Costa d’Avorio, la seleccion parte alla grande: al quarto d’ora coglie un palo di testa con Ayala su calcio d’angolo (poi forse la sfera supera la linea di porta, prima di venir respinta dal portiere); a metà del primo tempo c’è una punizione di Riquelme, un rimpallo, la palla poi resta nell’area piccola e Crespo è lesto a spedirla in rete. Qui gli ivoriani si riprendono, attaccano e costruiscono un’importante occasione quando Yaya Toure davanti al portiere avversario colpisce di testa, basso – ma forse sarebbe stato più produttivo uno stop e un tiro. Poi al trentottesimo un meraviglioso passaggio di Riquelme mette Saviola in porta, tocco di prima, palla che rotola in rete e raddoppio argentino. Sul finire il gol di Drogba determina il risultato di due a uno; gli ivoriani se la sono giocata, gli argentini hanno vinto e possono davvero rallegrasi di questo impegnativo successo.
Nel secondo incontro del girone l’Argentina sommerge sotto sei reti la Serbia-Montenegro: segnano nel primo tempo Maxi Rodriguez, Cambiasso e ancora Maxi Rodriguez; nella ripresa Crespo, Tevez (di pregio, con due uomini saltati in dribbling) e Messi, anche autore dell’assist a Crespo. È impresso nella memoria il gol capolavoro di Cambiasso poiché frutto di una prodigiosa costruzione collettiva di ventiquattro passaggi consecutivi dalla propria area a quella avversaria, con la capacità di spostare gli avversari sulla fascia sinistra, di scardinarne la difesa e, a quel punto, di colpirli. Nel commentare l’incontro, la testata argentina Clarin titola: Simplemente, la perfeccion. E in effetti quella argentina dimostra di essere una formazione completa, ricca di tecnica e pronta a giocarsi le carte per la vittoria finale. Invece la nazionale di Serbia e Montenegro, giunta al Mondiale con ben altre ambizioni dopo un girone di qualificazione vinto davanti alla Spagna e concluso con un solo gol incassato, torna subito a casa; a breve le due federazioni si divideranno, seguendo pertanto la strada già intrapresa dai rispettivi paesi.
Prima avversaria degli argentini durante la fase a eliminazione diretta, nella selezione messicana desta interesse la figura del tecnico La Volpe, e più che altro a posteriori. All’epoca infatti non è molto conosciuto al di fuori degli addetti ai lavori, ma col tempo cresceranno attorno al suo nome notorietà ed estimatori: un po’ per i suoi modi coloriti e le sue intemperanze verbali, soprattutto perché è l’ideatore sin dagli anni Ottanta di un accorgimento tattico detto salida lavolpiana. Come un po’ tutte le innovazioni calcistiche, ha un fondamento datato e al contempo anticipa il gioco di venti-trent’anni: consiste nel tentativo di uscire il più delle volte palla al piede dalla difesa; o come meglio la illustra Pep Guardiola: “Ricardo La Volpe, argentino e allenatore del Messico, ha deciso che la sua difesa esca giocando. […] Non che inizi giocando, che è altra cosa. Devono farlo assieme. Come gli sposi quando escono insieme”1)Josep Guardiola, Salir de novios, El Pais 13/6/2006.
Portiere di riserva della selezione campione del Mondo 1978, La Volpe prende per mano il Messico nel 2002 e l’anno successivo lo conduce alla vittoria nella Gold Cup: nel torneo batte due volte il Brasile (under-23, però), anche in finale, giocata a Città del Messico e vinta grazie al golden gol di Osorno. Il suo Messico è l’unica selezione del torneo tedesco a mantenere la difesa a tre, mentre ventisette formazioni su trentadue schierano dietro quattro uomini e le restanti partono con la difesa a tre, ma poi utilizzano sistemi di transizione verso la difesa a quattro o a cinque. Il 3-4-3 messicano è comunque flessibile – agli ottavi diventa un 3-5-2 – e trova in Pardo l’uomo chiave a metà campo. Comanda la difesa Rafael Marquez del Barcellona: ha iniziato la carriera da professionista nell’Atlas di Guadalajara guidato proprio da La Volpe, a suo dire l’allenatore più importante che abbia mai avuto2)Vincenzo Lacerenza, Le mille facce di Ricardo La Volpe, QuattroTreTre; giocherà cinque Mondiali e 147 partite in nazionale, nelle quali segna il ragguardevole numero, per un difensore, di diciassette reti. Davanti il Messico schiera Omar Bravo, autore di due reti ma in panchina contro gli argentini, oppure Borgetti e Fonseca.
Non è troppo esaltante il cammino messicano durante il primo turno mondiale, contraddistinto da un’unica vittoria ottenuta all’esordio ai danni dell’Iran, tre a uno, ma grazie anche agli ottimi interventi del portiere Sanchez. Invece nella gara degli ottavi in programma a Lipsia i messicani, in tandem con gli argentini, costruiscono una bella partita, combattuta, tra le migliori dell’intero campionato.
Parte molto bene la tricolor con un colpo di testa di Borgetti fuori di poco, e poi con il gol del vantaggio: punizione di Pardo prolungata di testa da Mendez in area, spunta Marquez che tutto solo calcia in rete. I sudamericani hanno la capacità e la fortuna di rimediare subito, dopo appena quattro minuti, quando un calcio d’angolo di Riquelme è sfruttato con tempismo da Crespo che si allunga e di destro corregge in rete. Uno a uno, palla al centro, avvio di gara da togliere il fiato. Sempre nel primo tempo Cambiasso serve una gran palla a Crespo il cui pallonetto sul portiere termina a lato di un niente; per il Messico ci prova Borgetti da fuori area e Abbondanzieri, estremo argentino, salva la porta con una splendida parata. Pesa però tra i messicani l’uscita anzitempo dal campo di Pardo causa infortunio.
Nella ripresa continuano le occasioni da rete. Borgetti ha la palla buona, su lancio di Morales, ma esce bene Abbondanzieri; Riquelme imbecca Saviola e stavolta l’uscita decisiva è di Sanchez; e ancora è il messicano Pineda che scappa agli avversari sulla sinistra, crossa per Fonseca che colpisce di testa ma spedisce fuori. Pekerman stravolge l’attacco della sua squadra e nel contempo ne aumenta le forze, inserendo Tevez, Aimar e Messi: costui mostra cose pregevoli nello spezzone di gara in cui è impiegato e un suo gol, annullato per precedente fuorigioco di Aimar, forse è buono. La partita si risolve ai tempi supplementari. Ottavo minuto, traversone di Sorin che taglia il campo e giunge a Maxi Rodriguez, appostato intorno al vertice dell’area di rigore, sulla destra: stop di petto, tiro al volo e parabola arcuata che conclude il suo percorso precisamente nella rete messicana. È un altro gol splendido, ma stavolta di fattura individuale. Il punteggio non cambia più sino al termine e l’Argentina si impone per due a uno, superando così uno scoglio difficile. Le potenzialità del Messico, esplose tutte assieme e al momento giusto, non sono bastate per avere ragione su avversari ben più quotati: la Tri ancora una volta va fuori agli ottavi, è la quarta di fila ed è ben lontana dall’essere l’ultima.
Il quarto di finale che si disputa all’Olympiastadion di Berlino venerdì 30 giugno 2006, alle cinque del pomeriggio, è il grande classico del calcio mondiale tra i padroni di casa della Germania e l’Argentina, favorita dal pronostico. Quale naturale conseguenza dell’enorme posta messa in palio dalla sfida, poiché ci sono buone probabilità che da questa partita emerga la prossima selezione campione del Mondo, il clima è decisamente teso; e forse a causa della tensione diffusa tra le contendenti, il primo tempo della gara evidenzia un confronto fra due squadre guardinghe e pronte ad annullarsi a vicenda. Succede davvero poco in campo in questi quarantacinque minuti: creano qualcosa di più i tedeschi e costruiscono la migliore occasione da gol con Schneider che scodella in area per Ballack, il cui colpo di testa termina fuori non di molto.
La ripresa è di un altro tenore. Appena partiti Sorin prende un giallo che gli farà saltare l’eventuale semifinale, e poi, dopo solo quattro minuti di gioco, ecco la svolta: Riquelme calcia dalla bandierina, irrompe Ayala da dietro, colpo di testa e rete. L’Argentina è in vantaggio uno a zero. I tedeschi reagiscono: viene negato un possibile rigore a favore degli europei quando Ayala strattona Ballack in area; lo stesso Ballack ha sui piedi la palla buona dinnanzi alla porta sguarnita del portiere uscito a vuoto, seppur protetta da molti argentini, ma non sfrutta a dovere l’occasione. Nell’episodio Abbondanzieri si fa male e deve essere sostituito dal portiere di riserva Franco.
Pekerman sarà molto criticato per i cambi effettuati in questo incontro: è stato anche sfortunato – oltre ad Abbondanzieri deve infatti far fronte a un altro problema fisico, occorso a Crespo – ma è probabile che, salvo il portiere, li abbia sbagliati in pieno. Inserisce Cambiasso – un centrocampista di copertura – per Riquelme, oggi molto limitato da un’efficace Frings, e rimedia all’infortunio di Crespo con l’ingresso di Cruz, che sarà impalpabile. L’altro attaccante in campo è Tevez; in tal modo vedranno tutto l’incontro dalla panchina Saviola, Aimar e soprattutto Messi, apparso sinora in ottima forma e a suo agio nella competizione nonostante l’età acerba. Comunque l’Argentina ottiene la grande opportunità di chiudere il discorso a un quarto d’ora dalla fine quando, su gentile omaggio del reparto arretrato tedesco in fase di costruzione, la palla giunge a Maxi Rodriguez che dall’area calcia però sull’esterno della rete. Era il caso di sfruttarla meglio, questa occasione. Infatti passano cinque minuti e Ballack crossa da sinistra, assist di testa di Borowski per Klose che, sempre di testa, infila nell’angolino basso della porta argentina. Tutto molto bello, è l’uno e uno che resuscita la Germania e conduce la partita ai tempi supplementari.
Giova sottolineare come in questo Mondiale un numero elevato di gol venga realizzato sul finire degli incontri: ben 44 reti su 147 sono segnate negli ultimi quindici minuti di gioco. È una tendenza sempre più diffusa nel calcio degli ultimi anni, frutto in particolare di condizioni atletiche efficienti che consentono quindi di produrre sforzi per tutto l’arco dell’incontro, e tutto ciò richiede poi che le squadre siano capaci di mantenere disciplina e concentrazione a oltranza. Ma tornando a quel pomeriggio berlinese, i trenta minuti supplementari non lasciano particolari eventi da riportare se non dei tentativi da fuori area, e quindi è il momento dei tiri di rigore.
La telecamera scova la scena di Kahn, guardiano della porta tedesca quattro anni prima, che dà forza la suo successore Lehmann. Sino a quel momento entrambe le nazionali vantano un record di tre vittorie su tre sfide decise ai rigori nel corso dei Mondiali, e quindi è un confronto tra specialiste. Inizia la Germania e Neuville segna; risponde Cruz, rete, e poi ancora realizza Ballack – il ct Klinsmann e Low, suo secondo, si stringono le braccia intorno alle spalle e alzano il pugno. Tocca ad Ayala, che onestamente ha la faccia di chi vorrebbe volentieri essere da tutt’altra parte, e tira basso e lento: Lehmann intuisce, addirittura blocca la sfera e i componenti della panchina tedesca adesso saltano. Poi Podolski spiazza Franco; Maxi Rodriguez, ed è gol; Borowski segna, ora esulta pure il primo ministro tedesco Angela Merkel dalla tribuna. Va sul dischetto Cambiasso e dovrebbe per forza segnare al fine di tenere in vita la seleccion. Lehmann fa un balletto sulla linea di porta, si distende sulla sua sinistra e para il tiro; poi, mentre Cambiasso disperato ha le mani tra i capelli e lo stadio esplode di gioia, si allontana dalla porta agitando l’indice come a voler precisare: “già lo sapevo…”. Se lo dici tu. Cinque a tre complessivo, la Germania vola in semifinale.
Però durante i rigori è successo qualcosa di insolito e di stupefacente. Prima di ogni turno argentino, Lehmann ha estratto dai calzettoni un bigliettino, l’ha guardato e poi l’ha rimesso via. Su quel foglietto, da lui vergato al mattino grazie a un database del preparatore dei portieri Kopke e dall’allenatore olandese Stevens3)The piece of paper that helped Germany turn the page, FIFA.com, sono state riportate le abitudini di tiro degli argentini. Soltanto due dei sette uomini elencati nella lista si presentano sul dischetto (calciando però dove descritto negli appunti, e quello di Ayala è parato), ma poco importa perché l’idea funziona, gli argentini restano disorientati dalla trovata: “sembrava che Lehmann sapesse in anticipo dove avrebbero calciato il rigore e questa illusione è stata sufficiente a diffondere il panico”4)Jonathan Wilson, Angels with dirty faces: the footballing history of Argentina, Orion Books, 2016. Niente di strano che lo stesso Lehmann abbia cominciato a credere di saper prevedere le intenzioni dei rigoristi avversari, come dimostra il gesto compiuto subito dopo il decisivo rigore parato a Cambiasso. La pura forza dell’autosuggestione, perché Cambiasso su quella lista non c’era!
L’episodio del foglietto può allora spiegare anche il nervosismo finale dei biancocelesti. Dopo aver calciato il rigore, Borowski ha fatto segno agli argentini di stare in silenzio; al riguardo, Ballack sostiene che durante i rigori, i sudamericani abbiano preso a urlare insulti in spagnolo rivolti ai giocatori tedeschi che si avviavano agli undici metri5)Michael Walker, Argentina crash out in mass brawl, The Guardian. Alcuni istanti dopo la decisiva parata di Lehmann, in mezzo al campo scoppia fra le due squadre una rissa, sedata in fretta ma intensa, e che coinvolge parecchi: fra questi l’accompagnatore dei tedeschi Bierhoff, l’argentino Cufre poi espulso, e anche Frings, che forse lì nel mucchio qualcosa l’ha combinato… Gli argentini se ne vanno, i tedeschi continuano i festeggiamenti per l’importante affermazione con un’esultanza tipo gioco del bowling – uno fa finta di tirare la palla, gli altri si buttano a terra come birilli. E oggigiorno la lista di Lehmann è esposta sotto teca, nell’Haus der Geschichte in Bonn, ovvero il Museo di Storia della Repubblica Federale di Germania.

Due titoli vinti e tre finali disputate negli ultimi tre campionati mondiali; tre coppe America conquistate nelle ultime quattro edizioni del torneo (tenuto conto dell’edizione monca giocata nel 2001, è come se in dieci anni le avesse vinte tutte): è scontato che chiunque aspetti con impazienza di vedere la selezione brasiliana sui campi tedeschi nel 2006. Un’attesa fondata non solo sui titoli, bensì anche sulla possibilità di schierare un reparto avanzato a priori prodigioso e che in Germania dovrebbe sbaragliare qualsiasi forma di concorrenza.
L’allenatore Parreira, già ct della selecao campione del Mondo nel 1994, adotta un approccio molto diverso da quello che gli ha garantito di vincere la Coppa dodici anni prima e resuscita lo schema di gioco 4-2-4 abbandonato di fatto nel 1982. L’obiettivo è far coesistere tutte e quattro le stelle dell’attacco brasiliano, ma in ultima analisi non funziona: forse non è nelle corde del tecnico, come dimostra il cambiamento di rotta che Parreira imprime nel momento più importante del torneo, e probabilmente l’attacco brasiliano del 2006 è stato un po’ sopravvalutato all’epoca. Il miglior del lotto risulta ancora una volta Ronaldo, che è giù di forma, ha accumulato qualche chilo di troppo e non ha più vent’anni, ma realizza lo stesso tre gol e un assist. Testimone nel merito è l’imbarazzante episodio verificatosi alla viglia del campionato, quando il presidente Lula si collega in diretta da Brasilia per far i suoi auguri alla squadra e chiede a Parreira se è vero che Ronaldo sia diventato troppo pingue. Assente durante il fatto, Ronaldo risponderà: “Si dice che io sia grasso, come si dice che il presidente beva troppo”. Pare che questa polemica, della quale parleranno per giorni in Brasile, abbia spaccato la squadra6)Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, Baldini&Castoldi, 2014.
Fra gli altri componenti dell’attacco verdeoro, Ronaldinho è svogliato e combina pochino. Kakà e Adriano stanno vivendo i loro anni migliori a Milano, uno sulla sponda rossonera e l’altro su quella nerazzurra. Kakà possiede un indubbio talento – che non dura però per molte stagioni – ma non riuscirà mai davvero a diventare un leader della selecao e lì al Mondiale non sa incidere come dovrebbe; l’anno seguente sarà comunque grande protagonista nel Milan campione d’Europa. Adriano ha appena disputato le due migliori stagioni della sua carriera, con la maglia dell’Inter, e chiude il Mondiale con due reti. Proviene da Vila Cruzeiro, una favela di Rio de Janeiro, e col tempo saranno rese pubbliche le piaghe che ne hanno frenato il percorso professionale, consistenti nella dipendenza all’alcool e nella depressione, soprattutto dopo la morte del padre. Scende in campo anche Robinho, giovane ma già da un anno al Real Madrid: la previsione nei suoi confronti di un futuro radioso non sarà rispettata. Passando agli altri reparti, i titolari della mediana verdeoro sono Ze Roberto ed Emerson, esperti centrocampisti arretrati, ma non molto di più; principali riserve sono Juninho Pernambucano, famoso per le sue punizioni, e Gilberto Silva. Per tre quarti la difesa titolare è quella campione in carica, però gli anni si accumulano (sulle spalle di Cafu e di Roberto Carlos, e sulle loro incursioni di fascia, ce ne sono in tutto quasi settanta), mentre il portiere Dida in quel periodo è stabilmente tra i migliori interpreti del ruolo.
Oh, sia chiaro: tutti i limiti del Brasile ’06 sono analizzati a posteriori e risentono delle enormi aspettative che la squadra ha attirato attorno a sé prima del Mondiale. È d’obbligo precisarlo, perché il Brasile giunge ai quarti di finale vincendo quattro partite su quattro, segnando dieci gol e incassandone sono uno. Pur non immune da pecche, a quel punto del torneo è una squadra lanciatissima e continua a essere la principale candidata per il titolo.
Il girone della prima fase è oltrepassato nel complesso facilmente, come spesso accade ai brasiliani, e in crescendo. Gli ottavi di finale mettono il Brasile di fronte alla nazionale del Ghana, nella quale manca però per squalifica Essien: il giocatore, in forza al Chelsea, è un tassello importante dell’ottimo centrocampo ghanese, dove troviamo anche Appiah (campione del Mondo under-17 nel 1995) e Muntari. I brasiliani mettono in chiaro le cose dopo soli cinque minuti, con un assist di Kakà per Ronaldo che scatta in posizione regolare, si fa parecchi metri tutto solo per poi saltare il portiere e depositare in rete. Agli africani non mancherebbero le occasioni per pareggiare, ma le sprecano con Amoah e soprattutto con Mensah, che colpisce indisturbato di testa praticamente di fronte a Dida e riesce a centrargli lo stinco – neanche a farlo apposta ci sarebbe riuscito. Entrambi i ghanesi concludono il loro tentativi a rete facendosi il segno della croce perché evidentemente in quell’ambito Dio reclamava un saluto rituale. Pertanto allo scadere del primo tempo Adriano, imbeccato da Cafu, spinge in rete il raddoppio brasiliano. A metà partita Emerson è sostituito a causa di un infortunio e salterà anche l’incontro successivo; poi alla fine Ze Roberto marca il definivo tre a zero per il Brasile.
Alle ore ventuno del primo luglio, in quel di Francoforte, si gioca Francia – Brasile, partita valida per i quarti di finale della Coppa del Mondo FIFA edizione 2006. Ecco le formazioni. Francia: Barthez; Sagnol, Thuram, Gallas, Abidal; Vieira, Makelele; Ribery, Zidane, Malouda; Henry. Brasile: Dida; Cafu, Lucio, Juan, Roberto Carlos; Juninho Pernambucano, Gilberto Silva, Ze Roberto; Kakà; Ronaldo, Ronaldinho. Per sopperire all’assenza di Emerson, Parreira ha ridisegnato la squadra con un più prudente 4-3-1-2: Adriano si siede in panchina, Kakà è dietro le punte, a metà campo compaiono Gilberto Silva e Juninho. Con questa scelta la squadra risulterà snaturata rispetto al modulo sinora impiegato; forse il ct brasiliano teme il centrocampo francese, e infatti e proprio lì che si deciderà l’incontro. La sfida è un passaggio decisivo nel Mondiale.
Passa neanche un minuto di gioco e Zidane mostra ai brasiliani e ai tifosi il suo eccezionale stato di forma, eseguendo una serpentina a metà campo che lascia sul campo gli avversari, e poi tenta un lancio verso Henry, senza esito. Ma sono i sudamericani a iniziare meglio l’incontro grazie a un pressing alto e a un ritmo di gioco intenso, fronteggiati però dall’efficace uso del fuorigioco da parte della retroguardia francese. Ronaldinho, che in verdeoro non segna un gol da un anno (finale di Confederations Cup), pare ispirato e all’undicesimo su punizione pesca in area Ronaldo, il cui colpo di testa finisce alto. Sette minuti dopo è di nuovo Ronaldinho a lanciare il Fenomeno, anticipato in uscita da Barthez.
Un primo tentativo francese si materializza al quattordicesimo: angolo di Zidane, respinta di Dida, tiro di Ribery da fuori area poco oltre la traversa. In fase di avvio i bleus hanno lasciato il pallino del gioco ai brasiliani senza però soffrire troppo; poi progressivamente gli europei iniziano a prendere il controllo del centrocampo, con Zidane e Vieira sugli scudi e l’azione efficace della catena di destra composta da Sagnol e Ribery, e iniziano anche ad attaccare. Ronaldo e Kakà sono fuori dalla gara. Cafu, in difficoltà nei confronti di Abidal, rimedia l’ammonizione. Col passare dei minuti i brasiliani smettono di pressare, arretrano, si eclissano; Zidane sale in cattedra, la Francia gestisce l’incontro senza riuscire però a creare troppe occasioni da rete, bloccata da un Brasile che difende con ordine e sfrutta a sua volta a dovere la tattica del fuorigioco.
Ma sul finire del tempo le azioni dei francesi sanno farsi pericolose. Al minuto trentotto ci prova di testa Malouda su punizione di Zidane. Tre minuti dopo Abidal penetra pericolosamente in area e scarica il pallone in mezzo, deviato dalla difesa brasiliana. Zidane parte palla al piede dalla sua trequarti, avanza, salta due avversari e serve un magnifico assist per Vieria che viene steso da Juan: l’arbitro sventola il giallo, i francesi chiedono il rosso per fallo da ultimo uomo. Il direttore di gara è lo spagnolo Medina Cantalejo, assistito da due connazionali poiché da questa edizione del torneo le terne sono composte quasi sempre da arbitri dallo stesso paese. Calcio di punizione di Henry deviato da Ronaldo in barriera con il braccio e altro cartellino giallo a gravare sulla formazione brasiliana; il nuovo tiro da fermo è opera di Zidane, però la palla non supera i giocatori in barriera.
Giunge l’intervallo a chiudere una prima frazione di gara nella quale a dirla tutta non è accaduto tantissimo, ma che ha attirato l’attenzione poiché sorprendentemente pare che sia rimasta soltanto una squadra in campo, quella europea. E l’andazzo non muta nei secondi quarantacinque minuti, nonostante qualche estemporanea sortita tentata dai brasiliani. Poco dopo il fischio di inizio un calcio di punizione di Zidane è intercettato di testa da Vieria – che però ha anticipato Henry, messo in posizione più favorevole – e la palla va a sfiorare il palo alla destra di Dida. È la miglior occasione da rete creata sinora dai francesi. Dieci minuti dopo la Francia batte un’altra punizione – fischiata per un fallo di Cafu su Malouda – sulla fascia sinistra del proprio fronte d’attacco, a circa trenta metri dalla porta brasiliana. Batte ovviamente Zidane, calcia sul palo lontano e mentre la palla è in volo – ma bisogna guardare attentamente per accorgersi di questo fatto – Roberto Carlos rimane piegato in due, lasciando così scattare Henry indisturbato sulla destra: la palla gli arriva, è a tu per tu con Dida, tocca al volo di piatto di piatto destro e gonfia la rete. Uno a zero! È il giusto vantaggio francese ed è anche il primo assist in assoluto che Zidane è riuscito a servire ad Henry.
A questo punto dell’incontro la nazionale francese potrebbe anche dilagare e forse non se ne rende conto a sufficienza. Al sessantunesimo Ribery, strepitoso nel corso di questa ripresa, sfugge agli avversai sulla fascia sinistra sino alla linea di fondo, mette in mezzo per Zidane che viene anticipato da Juan, ma correndo un rischio enorme perché così sfiora l’autogol. Il Brasile torna al 4-2-4 quando Adriano prende il posto di Juninho; tiene palla la selecao, mentre la Francia aspetta e prepara il contropiede, ma i brasiliani non conducono alcun vero pericolo alla porta di Barthez. Anzi, al settantesimo la Francia è nuovamente vicina al raddoppio: Henry corre sulla destra, mette in mezzo per Ribery e l’uscita tempestiva di Dida evita il probabile gol. Un fallo di frustrazione di Lucio su Henry determina l’ammonizione del brasiliano che invece meriterebbe l’espulsione. Poi i tecnici operano diversi cambi: Cicinho e Robinho per Cafu e Kakà; dall’altra parte, Govou e Wiltord per Ribery e Malouda.
Per assistere alla prima vera occasione da rete brasiliana nella ripresa bisogna attendere il minuto ottantuno, momento in cui Robinho è servito nel cuore dell’area francese da Ronaldinho, ma manda fuori e di molto. Però la selecao si è svegliata – alla buonora – e nell’intenso finale di partita la Francia rischia di pagare salato il fatto di non aver chiuso prima le danze. All’ottantacinquesimo Ze Roberto attacca, passa poco oltre il limite a Ronaldo, rasoterra che esce sul fondo. Parreira guarda preoccupato l’orologio. A tre minuti dal novantesimo Ronaldo inizia a dribblare avversari e viene steso da Thuram (ammonito) al limite dell’area di rigore: calcia Ronaldinho, Barthez resta immobile, la palla passa di un niente sopra la traversa. Tenta una risposta la Francia con l’onnipresente Zidane che serve un assist per Saha e la sua conclusione è bloccata da Dida. Sul ribaltamento di fronte, Ronaldo calcia da fuori area, Barthez si allunga sulla sua destra e para, poi Gallas anticipa l’accorrente Gilberto Silva; sull’azione azione successiva Cicinho scarica in mezzo, Ze Roberto – perso dai francesi – devia al volo, palla a lato. E per la gioia delle coronarie francesi può bastare così.
La Francia ha vinto, passa in semifinale e per il Brasile la sconfitta rappresenta la prima battuta d’arresto in Coppa del Mondo dopo otto anni e undici vittorie consecutive (la sconfitta ancora precedente risale al 1990, giusto per sottolineare le imprese brasiliane negli ultimi campionati): i verdeoro sono stati però superati ben oltre il risultato da una selezione francese che stasera è stata maestosa. Ronaldinho dirà: “Avevamo una squadra davvero eccellente in Germania, ma dall’altra parte c’era Zidane”7)Lea Ruiz, “Mes dents sont un peu ma marque”, So Foot n. 108. Non solo, ma lui sopra tutti. Contro il Brasile, Zidane sfodera una prestazione meravigliosa, danza in campo come un Dio greco, come Dioniso; è mancato solo il gol, ma la sua prova è qualcosa di paragonabile a quanto fece Maradona contro l’Inghilterra nel 1986.

Definire un fallimento le esperienze di Argentina e Brasile al Mondiale 2006 sarebbe eccessivo, poiché nel giudizio è comunque da considerare l’ingresso fra le prime otto nazionali al mondo, risultato di per sé non trascurabile; ritornando però con la mente a obiettivi e attese maturati alla vigilia, di sicuro le disquisizioni lessicali lasciano un po’ il tempo che trovano. Una parziale scusante di questo esito per forza insoddisfacente è rintracciabile nel grande equilibrio che caratterizza le battute finali del torneo, un equilibrio fra nazionali che non si riscontra dai tempi di Italia ’90. Il Mondiale in Germania si chiuderà infatti con cinque squadre imbattute: Svizzera, Argentina, Inghilterra, Francia e Italia. È un numero record.
All’alba dei quarti di finale, ben sette qualificate su otto (si esclude dal novero l’Ucraina) dimostrano in quel momento di avere tutte le credenziali per arrivare sino in fondo. E il generale bilanciamento delle forze in campo viene testimoniato dall’esito degli incontri: dai quarti in avanti, tre partite su sette sono decise ai tiri di rigore, un’altra ai tempi supplementari. A voler però incrinare il livellamento è il dato che due delle partite citate si chiudano con uno scarto maggiore di un gol, e non a caso entrambi i risultati sono opera della nazionale italiana.
Contro la Germania, l’Argentina aveva alle spalle due finali giocate qualche Mondiale fa (’86 e ’90) e dall’esito opposto, ma di lì in avanti inizierà a patire maledettamente le maglie bianche tedesche. La Francia diventa la bestia nera ufficiale dei brasiliani. L’eliminazione appena narrata fa il paio con l’ultima sconfitta subita dai brasiliani in Coppa, proprio contro i francesi nella finale del 1998, e si può aggiungere alla lista l’esito del quarto di finale disputato a Messico ’86. Ma le partite delle due grandi sudamericane ai quarti di Germania ’06 racchiudono in sé un impatto storico e annunciano un cambiamento: l’alba dell’era europea nel calcio internazionale. Dalla Coppa del 2006 a quella del 2018, quindi nelle ultime quattro edizioni giocate al momento in cui scrivo, Brasile e Argentina troveranno lungo la strada un pugno di nazionali europee (per la precisione centroeuropee) che prima o dopo riusciranno sempre a estrometterle dal campionato del Mondo.
29 maggio 2021
immagine in evidenza: il gol di Henry a Dida – sandiegouniontribune.com
References
1. | ↑ | Josep Guardiola, Salir de novios, El Pais 13/6/2006 |
2. | ↑ | Vincenzo Lacerenza, Le mille facce di Ricardo La Volpe, QuattroTreTre |
3. | ↑ | The piece of paper that helped Germany turn the page, FIFA.com |
4. | ↑ | Jonathan Wilson, Angels with dirty faces: the footballing history of Argentina, Orion Books, 2016 |
5. | ↑ | Michael Walker, Argentina crash out in mass brawl, The Guardian |
6. | ↑ | Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, Baldini&Castoldi, 2014 |
7. | ↑ | Lea Ruiz, “Mes dents sont un peu ma marque”, So Foot n. 108 |