Grande favorito della vigilia e molto atteso sul terreno di gioco, ecco il Brasile campione del Mondo in carica che sbarca in Europa per riprendersi la Coppa. Diversi anni dopo Michel Platini rivelerà il segreto di un sorteggio dei gironi pilotato, affinché la selezione padrona di casa e quella brasiliana potessero incontrarsi soltanto in finale. La nazionale verdeoro porta in Francia una squadra di sicuro spessore, più piacevole da vedere e anche più forte di quattro anni prima, maggiormente offensiva. Però ormai è un Brasile televisivo e globalizzato, formato da giocatori sparsi per il mondo, contaminato da altre culture calcistiche, spurio, e pertanto agli occhi dei veri appassionati lo storico fascino della selecao è giocoforza ridotto; è inoltre un Brasile legato mani e piedi alla multinazionale Nike, con la quale la federazione ha sottoscritto un accordo decennale di sponsorizzazione davvero munifico per l’epoca.
Taffarel; Cafu, Aldair, Junior Baiano, Roberto Carlos; Leonardo, Dunga, Cesar Sampaio, Rivaldo; Ronaldo, Bebeto. È questo l’undici di partenza pressoché fisso del Brasile al Mondiale ’98. Non si può però tacere su alcuni difetti che la selecao palesa, innanzitutto un’età media fra i titolari piuttosto alta: Dunga e Bebeto sono già a quota trentaquattro anni e chiuderanno l’esperienza in nazionale con la finale (e lo stesso farà Taffarel), Aldair e Cesar Sampaio superano i trenta. C’è il nucleo duro dei reduci dal Mondiale americano, ma il ciclo è da considerarsi tutt’altro che chiuso grazie ai nuovi talenti, in particolare il Fenomeno. Si incontrano poi tensioni latenti e talvolta evidenti nella squadra: Edmundo lamenta nei propri confronti il boicottaggio dei compagni – e non si fatica a credergli, conoscendo il suo carattere; Dunga critica i troppi eventi ai quali la selezione deve assistere e gli scarsi allenamenti, per di più sempre affollati di pubblico. Non c’è più il clima di unità che aveva accompagnato il torneo americano1)David Espinar, La historia que cambiò la historia, Panenka n. 65. Tale andazzo trova conferma addirittura sul terreno di gioco, durante la partita contro il Marocco, quando Dunga urla infuriato e in favore di telecamera verso Bebeto, che gli risponde a tono. Servirà l’intervento di Cafu e Leonardo per tenere i due a distanza ed evitare una più che probabile scazzottata.
Ma salvo i limiti appena elencati, è davvero una signora squadra quella verdeoro. La forza del Brasile risiede sulle fasce dove imperversano Cafu e Roberto Carlos, per quanto la spinta offensiva lasci buchi indietro; qui i centrali difensivi si dimostrano non sempre impeccabili. Lo schema è un 4-4-2 che tende al 4-2-4. Da notare che entrambi i centrali di metà campo, Dunga e Cesar Sampaio, militano in forza a club del campionato giapponese. Il capitano Dunga rimane il cervello delle squadra e gioca ora più arretrato, ricoprendo così la posizione assegnata quattro anni prima a Mauro Silva.
Il temibile reparto offensivo brasiliano deve fare a meno di Romario, grande protagonista a USA ’94. Romario ha subito poco tempo prima un infortunio, una lesione muscolare che potrebbe guarire durante la Coppa, oppure no. È lo stesso tipo di problema che colpì Zico alla vigilia del Mondiale del 1986 e che condizionò il suo torneo. Adesso Zico è l’assistente di Zagallo, il commissario tecnico brasiliano: assieme allo staff decidono di non rischiare e, poco prima di consegnare la lista definitiva dei convocati, comunicano l’intenzione di lasciare l’attaccante a casa. Romario non la prende bene e romperà i rapporti con Zico per anni. L’assenza di Romario trasferisce per intero tutta la pressione del Mondiale sulle spalle di Ronaldo, o Fenomeno, ancora giovane ma già una stella di prima grandezza nel firmamento calcistico internazionale. Assieme a Romario sarebbe stata una coppia d’attacco esplosiva; parte quindi titolare l’attempato Bebeto, che comunque chiude un buon torneo con tre gol e due assist – stessi numeri dell’efficace esterno offensivo Rivaldo. Delude invece Denilson, un’ala esplosa al Torneo di Francia di un anno prima le cui potenzialità – su di tutto un dribbling dirompente – parevano condurlo dritto dritto a diventare il degno erede di Garrincha e Jairzinho. Entra a partita in corso in tutti gli impegni del Brasile al Mondiale, spesso al posto di Bebeto, salvo nella sfida contro la Norvegia in cui è titolare; ma chiude senza gol all’attivo, non incide, e anche il resto della sua carriera sarà sempre al di sotto delle aspettative.
Sulla panchina brasiliana è tornato a sedere, da quattro anni a questa parte e al posto di Parreira, un uomo centrale nella storia del calcio verdeoro, ovvero Mario Zagallo. È al suo sesto Mondiale. Due li ha vinti in campo, interpretando il suo ruolo di ala in uno stile più europeo che sudamericano, perfino nell’aspetto fisico (in realtà è di origine libanese); altri due campionati del Mondo li ha già vissuti come tecnico, all’inizio degli anni Settanta, raccogliendo un titolo e un accesso tra le prime quattro. Nel corso di USA ’94 è stato il direttore tecnico del Brasile, e con tale incarico terminerà la sua gloriosa carriera calcistica nel 2006, nuovamente ai Mondiali e nuovamente al fianco del commissario tecnico Parreira.

Alla luce dei risultati ottenuti nel quadriennio pre-mondiale, le premesse per un bis del Brasile ci sono tutte. I club brasiliani conquistano la Libertadores nel 1995 (Gremio) e poi ancora nelle edizioni ’97 e ’98, con le affermazioni di Cruzeiro e Vasco de Gama. Nel ’95 la nazionale verdeoro sfiora la vittoria in Copa America: dopo aver eliminato la sorpresa Stati Uniti in semifinale, cede in finale soltanto ai rigori di fronte ai padroni di casa dell’Uruguay. Per la celeste condotta da Francescoli è però nient’altro che un fuoco di paglia in mezzo ad anni di decadenza, segnati dalla mancata qualificazione ai Mondiali sia nel ’94, sia nel ’98. Il Brasile chiude comunque imbattuto il 1995, così come era accaduto l’anno prima. Nel ’96 l’unica sconfitta è rimediata nell’ultimo atto della CONCACAF Gold Cup, una competizione che può essere considerata il titolo della confederazione di nord, centro America e Caraibi, e che talvolta vede l’aggiunta di nazionali sudamericane appositamente invitate. Nell’occasione è il Messico a superare i brasiliani, ponendo così fine ad un’imbattibilità che durava da ventisei mesi.
La Copa America edizione ’97 è invece dominata in lungo e in largo dalla selecao: sei vittorie su sei, ventidue gol seganti a fronte di tre subiti; nei quarti il Brasile si sbarazza del Paraguay, poi infligge un devastante sette a a zero al Perù e sconfigge agevolmente in finale la Bolivia, nazione ospitante. In questa competizione Ronaldo segna cinque reti, Leonardo e Romario tre a testa. Il predominio brasiliano di quel periodo è confermato dalla Coppa America successiva, giocata nel ’99, che la selecao stravince di nuovo con apparente facilità. E pare che il Brasile stia costruendo anche per il futuro: campione del Mondo under-17 sia nel 1997 sia nel 1999, dopo essere stato finalista nel ’95.
L’unica sconfitta rimediata dal Brasile nell’anno pre-mondiale avviene a Oslo per mano della Norvegia. Nel 1997 il Brasile gioca tante partite, ventiquattro, forse pure troppe, ma si può facilmente intuire che la Nike non abbia investito una barca di soldi per lasciare i nazionali brasiliani a prendere il sole sulle spiagge di Rio. È un anno di tornei di rilievo, oltre al sudamericano: si disputa la prima Confederations Cup sotto il controllo della FIFA, e il Brasile fa suo anche questo trofeo, passeggiando sei a zero sulla selezione australiana. Sempre nel ’97 i brasiliani volano oltreoceano per il Tournoi de France. I primi due incontri, pareggiati contro Francia e Italia, rendono inutile la vitoria sull’Inghilterra ai fini della conquista del quadrangolare, ma sono quelle le partite che consegnano il torneo alla storia.
Contro i francesi il gol del vantaggio verdeoro, una punizione da trentacinque metri di Roberto Carlos, è qualcosa di strabiliante. Il terzino brasiliano piazza il pallone in modo da colpirne la valvola, prende una lunghissima rincorsa e sferra un calcio violento, di esterno sinistro; la palla assume un’incredibile traiettoria che gira ben fuori dalla proiezione dello specchio della porta e poi rientra verso la rete, tocca il palo e si infila dentro, con Barthez che guarda attonito. Un gol forse unico, difficile da rivedere. La sfida con l’Italia si trasforma in un incontro bellissimo, giocato a viso aperto, con splendidi numeri e pieno di emozioni degne di essere ricordate. Nel primo tempo gli azzurri passano avanti con Del Piero, di testa su cross di Vieri, e raddoppiano grazie a una punizione di Albertini deviata da Aldair; il Brasile accorcia con un tiro di Roberto Carlos toccato nella propria porta da Lombardo. Ripresa e tre a uno per l’Italia ancora con Del Piero, su rigore. Poi Ronaldo e Romario, in entrambi i casi con magistrali serpentine in area, fissano il fantastico tre a tre finale.
Questo Brasile straripante inizia però a zoppicare un pochetto proprio nei mesi che precedono il Mondiale francese. Nel febbraio ’98 gioca negli USA un’altra edizione della Gold Cup – un torneo che a quanto pare va un po’ indigesto alla selezione verdeoro – ed esce in semifinale, eliminata dai padroni di casa, ma dopo aver raggranellato nel girone eliminatorio due pareggi poco incoraggianti al cospetto di Giamaica e Guatemala. A marzo vince in Germania due a uno, ma in aprile cede uno a zero contro l’Argentina di fronte al proprio pubblico. Il tre a zero sulla debole Andorra, una settimana prima di esordire ai Mondiali, è poco indicativo in merito al reale stato di forma dei campioni in carica.
E succede allora che nella partita inaugurale dell’intero torneo, contro una Scozia non irresistibile, qualche difficoltà il Brasile la attraversi. L’incontro si mette subito in discesa per i sudamericani: calcio d’angolo di Bebeto molto tagliato, inserimento di Cesar Sampaio che di testa infila il gol, e siamo solo al quarto minuto. Poi Ronaldo, apparso sin dall’inizio in forma smagliante, impegna l’estremo scozzese. Ma verso la fine del primo tempo i britannici pareggiano con Collins su calcio rigore, fischiato per un fallo inutile commesso da Junior Baiano (la palla era infatti già nelle mani di Taffarel). Il Brasile sigla il due a uno decisivo nel corso della ripresa, grazie a un fortunato autogol: tocco di Cafu a tu per tu con il portiere Leighton, respinta, la palla poi carambola sullo scozzese Boyd e termina in rete.
Il discorso qualificazione è però chiuso con estrema autorevolezza nella partita contro la nazionale marocchina. Ronaldo riceve da Rivaldo, fa rimbalzare il pallone e poi scarica in rete dal limite dell’area; lo stesso Rivaldo raddoppia su assist di Cafu; e poi gol di Bebeto, servito da Ronaldo al culmine di una travolgente azione sulla fascia del Fenomeno. Tre a zero. Ronaldo rimedia anche un calcione dal marocchino Chiba che lascia i segni dei tacchetti ben evidenti sulla coscia del brasiliano, e poteva anche andare peggio. Dopo l’ininfluente sconfitta con la Norvegia, il Brasile sbarca alla fase di eliminazione diretta dove affronterà il Cile in una sfida tutta sudamericana.
Torna ai Mondiali dopo sedici anni il Cile, e lo fa schierando in attacco una coppia di tutto rispetto, composta da Salas e Zamorano. Parte bene sfiorando la vittoria con l’Italia, poi impatta con Austria e Camerun, sempre recuperato – e tra l’altro contro gli africani chiude la partita con due uomini in più, ma senza riuscire a sfruttare il vantaggio numerico. Quindi, dopo il convincente esordio, la selezione cilena pare in repentino calo e l’apparenza diventa certezza nell’ottavo contro il Brasile: nonostante un avvio a testa alta dei cileni, la selecao infila tre gol nel solo primo tempo. Punizione di Dunga, testa di Cesar Baiano, ed è il primo della serie; punizione di Roberto Carlos, rimpallo su Bebeto, palla ancora a Cesar Sampaio al limite dell’area, tiro di piatto, e sono due; fallo del portiere Tapia su Ronaldo lanciato a rete, rigore, batte lo stesso Ronaldo, ed è tre a zero. Nella ripresa Salas realizza il classico gol della bandiera e poi segna ancora Ronaldo – che nel frattempo ha preso pure un palo – per il definitivo quattro a uno. Non c’è più alcun dubbio che il Brasile faccia tremendamente sul serio anche in terra di Francia. E Ronaldo straripa, furoreggia.
È una gran bella partita quella che Brasile e Danimarca giocano nei quarti di finale. I danesi risulteranno essere la sorpresa maggiore del torneo, dopo la Croazia. L’inizio del campionato non è granché – vittoria striminzita sull’Arabia Saudita, poi un pareggio con il Sudafrica e una sconfitta con la Francia -, ma la loro potenza si manifesta appieno nell’ottavo contro la Nigeria: sfavoriti dal pronostico, gli scandinavi mettono in scena una prestazione sontuosa, regolando quattro a uno la compagine africana. Bastano tre minuti e la Danimarca prende d’infilata la difesa avversaria con un lancio in avanti per Michael Laudrup, che scarica indietro verso Moller, ed è gol. Altri dieci minuti e la Danimarca raddoppia: punizione di Moller, Rufai respinge corto e centrale, Brian Laudrup accorre e corregge in rete. Nella ripresa un prodigioso assist di Michael Laudrup mette Sand, per vie centrali, davanti al portiere a siglare il tre a zero. E poi a un quarto d’ora dalla fine, con la compagine nigeriana andata completamente nel pallone, la Danimarca dilaga grazie a Helveg, prima dell’unico gol nigeriano siglato da Babangida. La Nigeria torna a casa anzitempo e in malo modo, la sorprendente Danimarca avanza.
È una nazionale anzianotta composta da alcune storiche colonne, quella danese, fra le quali l’estremo difensore Peter Schmeichel. Gran portiere, dotato di un atteggiamento spavaldo e di un fisico possente che utilizza appieno per coprire la porta, sfruttando così a proprio vantaggio nell’ambito calcistico l’esperienza accumulata quale portiere di pallamano. Nella sua autobiografia ha dichiarato: “Non si può sottovalutare l’importanza dell’aspetto psicologico durante le partite di calcio. Per me è fondamentale che gli avversari siano intimiditi dalla mia presenza tra i pali”2)Schmeichel Peter: the Great Dane, Storie di Calcio. Schmeichel è particolarmente abile anche nel rilanciare l’azione d’attacco per approfittare delle possibilità di contropiede. Veste la maglia della nazionale quattordici anni ed è il primatista in termini di presenze. L’anno dopo il Mondiale alzerà la Coppa dei Campioni al cielo con il Manchester United e sempre con i red devils raccoglie nel complesso cinque titoli inglesi e tre coppe d’Inghilterra.
Oltre a un ottimo portiere, la Danimarca schiera una valida difesa nella quale spiccano Hogh ed Helveg, ma è in mediana il reparto sul quale edifica maggiormente le proprie fortune. Qui incontriamo: il giovane esterno Jorgensen, in forza all’Udinese, il cui talento emerge in questa Coppa; Brian Laudrup, autore di uno splendido torneo (due gol e tre assist), vertice di una carriera non straordinaria e che per altro pareva ormai alla frutta; Michael Laudrup, per il quale il Mondiale francese è il sipario della sua gloriosa esperienza come calciatore.
Siamo a Nantes e Brasile e Danimarca iniziano subito con i fuochi d’artificio. Secondo minuto di gioco: Brian Laudrup batte a sorpresa una punizione in fase d’attacco per il fratello Michael che va verso il fondo, scarica basso in mezzo e Jorgensen sotto porta tocca in rete. Uno a zero. Undicesimo: Ronaldo riceve dalla difesa nel cerchio di metà campo, avanza e trova un gran passaggio per Bebeto – perso però dalla retroguardia degli scandinavi, che tra l’altro è schierata e quindi non è stata presa in contropiede; Bebeto dalla trequarti arriva in area da solo e infila Schmeichel, uno a uno. Passa un quarto d’ora e Dunga recupera una gran palla in zona d’attacco, lascia la sfera a Ronaldo che finta il tiro e poi apre per Rivaldo, sulla sinistra; l’esterno brasiliano entra in area e scavalca con un tocco sotto l’estremo danese in uscita per il due a uno brasiliano.
Il Brasile è implacabile, sembra ormai lanciato ma non è così. Una Danimarca mai doma prova ad agguantare il pareggio in varie occasioni e al quinto della ripresa ci riesce. Nielsen porta palla in attacco per via centrali, subisce il contrasto di un avversario e la sfera arriva in area di rigore, dove Roberto Carlos tenta il rinvio con un’improvvida rovesciata: ovviamente manca in pieno la palla, che giunge sui piedi di Brian Laudrup, solo davanti a Taffarel, ed è due a due. Poi al minuto sessanta Dunga passa a Rivaldo, in posizione centrale e ben fuori dall’area: Rivaldo tenta il tiro e la palla finisce la sua corsa nell’angolino basso alla sinistra di Schmeichel – non sembrava irresistibile, ma il portiere danese si protende invano e non ci arriva. Succede anche ai migliori. La Danimarca ribadisce il suo più che valido Mondiale sfiorando il pareggio con due enormi occasioni, e sempre con lo stesso uomo, il difensore Rieper: servito da Helveg nel cuore dell’area brasiliana e da posizione favorevolissima, calcia fuori; a tempo quasi scaduto, colpisce di testa e prende la traversa.
Finisce tre a due per il Brasile, e gli scandinavi salutano una Coppa del Mondo giocata con classe e leggerezza, il cui esito è andato ben oltre le aspettative della vigilia. La prestazione della Danimarca ai Mondiali del ’98 chiude altresì simbolicamente un periodo meraviglioso (forse irripetibile?) per il calcio danese, iniziato nella prima metà degli Ottanta e coronato dal titolo europeo vinto nel 1992.

L’antica colonia greca oggi chiamata Marsiglia, la più antica fra le grandi città francesi, ospita la semifinale mondiale fra Brasile e Olanda nella serata del 7 luglio 1998. Già semifinale (di fatto) della Coppa del Mondo 1974, e nell’occasione testimone di una storica affermazione della compagine olandese, Brasile – Olanda si ripete a distanza di soli quattro anni dal quarto di finale del Mondiale americano (vinto dai verdeoro brasiliani).
Il Brasile è schierato nella formazione tipo sopra elencata, salvo Cafu, assente per squalifica dopo aver rimediato un ammonizione evitabile per perdita di tempo, sul finire della sfida con i danesi. La selezione brasiliana evidenzia un’insolita carenza di terzini quando la maglia di Cafu è affidata a Ze Carlos, trentenne, poco tempo prima alle dipendenze di una fabbrica metallurgica oppure venditore di cocomeri, e soltanto da un anno in forza a una compagine della massima serie brasiliana. Noto fra i compagni di squadra per la sua considerevole capacità di imitare il verso degli animali3)Giuseppe Pastore, Classici: Brasile – Olanda ’98, L’Ultimo Uomo, sarà la sua prima e unica presenza con la maglia verdeoro – e in una semifinale mondiale. Durante la partita soffre molto il dinamismo di Zenden, il giovane esterno d’attacco olandese schierato al posto di Overmars, che è infortunato ed è già approdato ai Mondiali in precarie condizioni fisiche. Fra gli orange, poi, Numan è squalificato, quindi Cocu gioca arretrato (ma con la solita licenza di avanzare), ed ecco come scende in campo la nazionale dei Paesi Bassi: van der Sar; Reiziger, Stam, F. de Boer, Cocu; Davids, R. de Boer, Jonk; Zenden, Kluivert, Bergkamp.
È un primo tempo tutto sommato deludente, viste le premesse rappresentate dalle due squadre in campo; l’Olanda controlla il gioco e sfodera la sua solita trama di passaggi, ma le occasioni da rete sono scarse. Zenden serve bene Bergkamp che, di fronte alla porta, manca di poco l’appuntamento con il pallone; Ronaldo scatta in area ma Stam blocca il suo tiro in scivolata; Kluivert di testa manda il pallone poco alto sopra la traversa. Verso la fine della prima frazione è ancora Zenden a rendersi pericoloso: scatta sula sinistra e passa al centro, la sfera sta per raggiungere R. de Boer pronto a ribadire in rete ma Roberto Carlos lo anticipa, dimostrando così di essere anche un gran difensore.
Il secondo tempo è invece di tutt’altro tenore, decisamente più intenso e appagante del primo. Sono trascorsi appena ventidue secondi dal fischio di avvio quando Rivaldo, dalla tre quarti di sinistra, lancia verso Ronaldo in mezzo: Frank de Boer avanza cercando di mettere in fuorigioco l’attaccante brasiliano ma viene tagliato fuori, Cocu insegue invano Ronaldo che scatta fulmineo, controlla di sinistro e con lo stesso piede infila van der Sar sotto le gambe, velocissimo, chirurgico, implacabile. La tipica esultanza del Fenomeno a braccia aperte fotografa l’uno a zero brasiliano. Poco dopo l’Olanda ha già un’ottima occasione per pareggiare: calcio d’angolo, Kluivert tocca di testa e la palla arriva a R. de Boer, lasciato colpevolmente solo nell’area piccola, e la sua conclusione ravvicinata è respinta d’istinto da Taffarel; poi si vede Roberto Carlos agitare le mani giunte, come a dire “ma che stiamo combinando?”.
Hiddinik manda in campo Winter per Reiziger, avanzando il baricentro olandese e rischiando nel contempo le pericolose ripartenze brasiliane. Al settantesimo Rivaldo serve ancora magistralmente in campo aperto Ronaldo, sfuggito a tutta la difesa olandese. Non a Davids però, che lo insegue, opera un prodigioso recupero e quando Ronaldo è ormai a tu per tu con van der Sar, entra in tackle da dietro diritto sulla palla e salva la sua nazionale. Le occasioni ora fioccano da una parte e dell’altra. Una grossa opportunità per chiudere l’incontro è servita da Denilson (subentrato a Bebeto) sui piedi di Rivaldo, che a due passi dal portiere avversario prima si accartoccia sulla palla, poi riesce a toccare verso la rete ma van der Sar para. Di là un assist di van Hooijdonk, che ha sostituito Zenden, consente a Kluivert di concludere da buona posizione ma il tiro termina alto.
La partita ora è davvero bella e a tre dal termine la nazionale olandese raggiunge il meritato pareggio: Davids (monumentale in questo incontro) e Cocu recuperano palla a centrocampo, poi R. de Boer riceve sulla destra, cross, Kluivert svetta fra i centrali brasiliani e infila l’uno a uno. È il terzo gol dell’Olanda segnato allo scadere in tre partite nella fase a eliminazione diretta, tutti quanti decisivi; gli orange vanno addirittura vicini all’incredibile vantaggio con Begkamp, anticipato molto bene da Taffarel in uscita.
Nel primo supplementare è il Brasile che cerca con maggiore veemenza la via del gol, trascinato dalla spinta di uno strepitoso Roberto Carlos: in una di questa azioni d’attacco, Ronaldo ci prova in rovesciata e la sua conclusione è alzata in angolo da Frank de Boer, con Zagallo che si mette le mani fra i capelli per la possibilità sfumata. Poi nuovamente Ronaldo dal limite dell’area impegna van der Sar in una plastica deviazione. Ma è di marca olandese il tentativo che più si avvicina al golden gol: F. de Boer serve Kluivert, l’attaccante entra in area, tira in direzione del secondo palo e manda il pallone fuori di un niente.
Nella seconda frazione Ronaldo ha ancora la forza di mostrare al mondo una fantastica galoppata verso la porta olandese, seminando avversari lungo il percorso, prima dell’intervento decisivo in tackle – analogo a quello di Davids – di Frank de Boer. Entra in campo anche Seedorf per uno stremato Jonk, così come alla frutta sono i suoi compagni di squadra. L’uno a uno regge sino alla fine e la finalista del Mondiale sarà decisa ai tiri di rigore.
Calcia per primo Ronaldo e segna. Frank de Boer va sul dischetto, mette in rete ma Taffarel ha intuito la direzione. Rivaldo infila il suo rigore, così come Bergkamp, e Taffarel di nuovo ha intuito il tiro. Emerson, entrato alla fine dei regolamentari al posto di Leonardo, non sbaglia il proprio rigore. Ora tocca a Cocu, che deve risistemare il pallone sul dischetto e poi tira angolato ma a mezza altezza, e stavolta Taffarel non solo intuisce ma respinge il tiro dell’avversario. Il Brasile adesso è in vantaggio.
Agli undici metri si presenta Dunga e deposita in rete. Ronald de Boer va sul dischetto, tira sulla sinistra, basso, e Taffarel grandioso para ancora. È finita qui. Si chiude così una nuova splendida sfida di questo torneo: i rigori terminano quattro a due per il Brasile, tutti i giocatori sommergono in campo Taffarel, l’uomo decisivo, mentre Zagallo e Zico si abbracciano, assieme al loro staff.
Anche stavolta, come accaduto due decenni prima, gli olandesi hanno portato al Mondiale una nazionale divertente, di grande valore, soprattutto in grado di puntare al colpaccio che invece hanno di nuovo soltanto sfiorato. Qualche rimpianto per forza affiora. Tornano a casa ancora una volta con le valigie cariche solo di complimenti dei quali, con ogni probabilità, a questo punto non sanno davvero più che farsene. I brasiliani ritornano invece a giocarsi il titolo per la seconda volta consecutiva, come era accaduto nel ’58 e nel ’62, quattro anni dopo la finale di Los Angeles: sono favoriti, sono tornati vincenti e puntano dritti alla conquista della quinta Coppa del Mondo.
23 maggio 2020
References
1. | ↑ | David Espinar, La historia que cambiò la historia, Panenka n. 65 |
2. | ↑ | Schmeichel Peter: the Great Dane, Storie di Calcio |
3. | ↑ | Giuseppe Pastore, Classici: Brasile – Olanda ’98, L’Ultimo Uomo |