Marsiglia, pomeriggio di sabato 4 luglio 1998: va in scena il quarto di finale tra Olanda e Argentina. Le due nazionali si ritrovano in Coppa del Mondo vent’anni dopo la finale di Buenos Aires che consegnò il primo titolo mondiale ai biancocelesti. Il ct argentino Passarella, capitano della nazionale campione nel ’78, manda in campo gli stessi undici che hanno superato ai rigori l’Inghilterra salvo uno, Sensini, che gioca al posto di Vivas. Nella formazione olandese c’è Numan in difesa, mentre parte dalla panchina l’esterno di attacco Overmars. È una sfida che promette spettacolo.
Partiti e attacca l’Olanda, sfruttando a dovere la capacità di pressare alto; al culmine di una prolungata azione offensiva, gli orange hanno un’occasione d’oro quando Jonk libera il tiro dall’area di rigore e coglie il palo della porta avversaria. Dodicesimo minuto: bella azione personale di Ronald de Boer che penetra sulla tre quarti per vie centrali e apre per Bergkamp sulla sinistra, il quale quasi si inginocchia, tocca di testa e libera al centro Kluivert davanti alla porta difesa da Roa. Tocco di piatto, rete, splendido gol del vantaggio olandese.
Passano cinque minuti e Numan stende Ortega in fuga sulla sinistra, rimediando così l’ammonizione. L’Argentina batte la punizione e Veron, lanciato davanti al portiere, è anticipato di un soffio da van der Sar. Sull’azione seguente la sfera è gestita ancora da Veron: ottimo assist per Lopez con la difesa olandese che sbaglia tutto – ma è bravo comunque l’attaccante argentino a scattare con tempismo e a lasciare sul posto Reiziger. Solo davanti a van der Sar – e avrebbe pure l’opzione Batistuta, tutto libero sulla sua destra – Lopez ha anche il tempo di tergiversare un po’ con il pallone tra i piedi, prima di infilare il gol del momentaneo pareggio argentino. Uno a uno, palla al centro.
La nazionale dei Paesi Bassi prova a riportarsi avanti sin da subito con un’azione personale di Davids che parte da metà campo, entra in area, tira e spedisce la sfera poco oltre l’incrocio dei pali. Poi è ancora Olanda, una squadra che sta giocando un gran calcio: Davids, molto ispirato, calcia da fuori area, Roa sbilanciato para un po’ goffamente e Kluivert non riesce a correggere in rete; Jonk sempre da fuori area, ancora para Roa, e stavolta non è nemmeno goffo. Ma l’Argentina c’è: Ortega ha un po’ di spazio sui trenta metri e scaglia una gran conclusione che centra in pieno il palo alla destra di van der Sar. Nel recupero si assiste ad un’altra azione d’attacco della seleccion, palla a Simeone poco oltre il limite dell’area di rigore e conclusione fuori di poco. Termina in parità un primo tempo davvero di pregio.
All’avvio dei secondi quarantacinque minuti i ritmi calano un po’ e allo stesso modo le occasioni da rete. Ne ha una l’Argentina, di occasione, ma enorme: ripartenza velocissima condotta da Veron, palla per Batistuta che si libera magistralmente del proprio marcatore Frank de Boer e poi spara di sinistro un missile a colpo sicuro, verso la porta… che sbatte sul palo! Di nuovo. Tra fine primo tempo e inizio secondo la sfortuna accompagna l’albiceleste.
Intorno a metà ripresa entrambi i tecnici operano i primi cambi: Overmars per R. de Boer, Pineda per Almeyda. Il neo-entrato olandese incide subito sulla sfida quando un suo cross da destra è corretto di testa da Kluivert, obbligando Roa e mettere in angolo con una strepitosa parata; sul corner è Stam a colpire di testa, la palla rimbalza e poi esce di poco. È il minuto settantaseiesimo il momento della possibile svolta: Numan entra fallosamente su Simeone a centrocampo, il cartellino giallo è più che dovuto ma per l’olandese è il secondo, e quindi Numan si avvia anzitempo negli spogliatoi.
Con un uomo in più i biancocelesti scorgono spiragli di vittoria: Veron apre per Zanetti, sulla destra, cross per Batistuta e colpo di testa alto. Ma la superiorità numerica argentina dura poco. A tre minuti dal termine Ortega ha la palla in area olandese e prova a dribblare Stam, il quale allunga un po’ la gamba ma non lo tocca; Ortega si lancia a terra, per l’arbitro messicano Brizio Carter – molto bravo nell’occasione – è simulazione. A questo punto accorre van der Sar che apostrofa a brutto muso l’argentino ancora sdraiato. Ortega si rialza di scatto, tocca volontariamente con la testa il volto di van der Sar e stavolta è il portiere olandese a lasciarsi cadere a terra (esagera, non è il primo né l’ultimo in questo Mondiale). La stupidaggine costa a Ortega il cartellino rosso, le due squadre giocano ora dieci contro dieci.
I tempi supplementari incombono. Siamo al minuto ottantanove quando Lopez scatta sulla fascia destra, opera un traversone e Batistuta manca di poco l’impatto di testa. La palla viene recuperata da Frank de Boer che avanza sulla propria tre quarti. Adesso però facciamo un passo indietro.
Spira un’aria fresca e molto invitante in quegli anni all’interno del calcio olandese, la cui selezione nazionale gioca i Mondiali per la terza edizione di fila (mai successo prima). Sotto la guida di Louis van Gaal, l’Ajax vince la Coppa dei Campioni del 1995, poi raggiunge la finale e la semifinale nei due anni successivi, sconfitto in entrambe le occasioni dalla Juventus di Lippi. Adotta un modulo 3-4-3 sui generis – o anche 3-3-4 -, disegnato in campo attraverso triangoli che prevedono un uomo arretrato al centro della difesa (Blind), un vertice basso e uno alto centrocampo (ruoli occupati da Rijkaard e Litmanen), mentre Ronald de Boer assume la posizione di unica punta. È dunque una particolare occupazione degli spazi quella proposta da van Gaal, un calcio ben organizzato fatto di controllo palla, trame di passaggi, attacco, e alla prova dei fatti molto apprezzato. Van der Sar, i gemelli de Boer, Reiziger, Davids, Seedorf, Overmars, Kluivert: frutti del validissimo vivaio del club di Amsterdam, tutti quanti sono stati protagonisti nell’Ajax campione d’Europa e nel contempo sono le colonne della nazionale orange in Francia. Poi in breve tempo la squadra si sfalda, con i giocatori attratti da leghe più remunerative.
Lo stesso van Gaal da un anno a questa parte è andato a cercare nuovi stimoli e successi all’estero, sulla panchina del Barcellona, dove ottiene due titoli spagnoli e la coppa nazionale. È da sottolineare al riguardo come stia ormai assumendo pieno vigore un’ondata di validi tecnici olandesi che sarà capace di far parlare di sé un po’ ovunque, gli eredi di una tradizione iniziata da Michels negli anni Settanta e proseguita nel decennio successivo con Cruyff, Beenhakker, Advocaat. Un’esperienza quindi abbastanza recente, nata con il calcio totale ma in grado di far sentire i suoi effetti nel corso degli anni, e che caratterizza il destino della selezione olandese: se nel passato i tecnici della nazionale erano stati quasi solo stranieri, l’ultimo ct nato fuori dai Paesi Bassi – ad oggi – è stato Happel, in carica durante i Mondiali 1978.
Chi dirige l’Olanda durante la Coppa del ’98 è Guus Hiddink. Allenatore campione d’Europa con il PSV Eindhoven dieci anni prima, diventa il tecnico della nazionale nel ’95 dopo qualche stagione interlocutoria e chiude l’esperienza di ct proprio in Francia. Lascerà il proprio segno anche nei due tornei iridati successivi, con selezioni molto meno blasonate di quella olandese e provenienti dall’altra parte del mondo. Hiddink ha a disposizione un organico di elevato talento, che mostra un bel calcio senza apparenti punti deboli; in campo gli olandesi eseguono triangolazioni e uno-due, sfruttano le fasce. Nel corso della fase offensiva i giocatori si scambiano di posizione per favorire gli inserimenti dalla retrovie e vanno a rete in molti. In generale è una formazione di uomini in grado di ricoprire agevolmente più ruoli, e per tale ragione forse è la nazionale olandese che più assomiglia alla grande Olanda del ’74.
Nel 4-3-3 (o talvolta 4-4-2) di Hiddink, il ruolo di portiere è ricoperto da van der Sar, il miglior portiere olandese di sempre. Dopo l’Ajax passa alla Juventus, ma senza troppa fortuna, e la sua carriera sembra in ribasso quando trascorre alcune stagioni al Fulham; invece si riprende alla grande tra i pali del Manchester United, dove raccoglierà lo scettro di Schmeichel. Centotrenta volte presenze in nazionale, van der Sar è un portiere completo e dotato di una particolare attitudine nel giocare la palla con i piedi. La coppia di centrali in difesa è di sicuro valore: Japp Stam, alto, roccioso, forte di testa e negli anticipi, e Frank de Boer, il degno erede, nell’interpretazione del ruolo, dei suoi connazionali Haan, Krol e Koeman. Sulla fascia sinistra – ma schierato anche in posizione più avanzata – opera Cocu, oppure Numan, mentre a destra è schierato Reiziger.
Edgar Davids, detto Pitbull a sintetizzare con un soprannome tutta la sua forza agonistica, non è da subito fra i titolari, ma diventa centrale nel gioco e nella mediana olandese. Da quell’anno alla Juventus dopo un’esperienza non felice nel Milan, è un giocatore dal gran fisico e dalla corsa inesauribile, un lottatore, un temerario, e con i bianconeri troverà un’ottima intesa in campo con Zidane. Il talento complessivo della squadra poi è tale che un giocatore come Clarence Seedorf trova poco spazio e gioca solo alcuni scampoli di Mondiale, tra l’altro l’unico della sua lunga carriera. Seedorf è un centrocampista davvero completo, è l’unico calciatore ad aver vinto la Coppa dei Campioni con tre squadre diverse (Ajax, Real Madrid e Milan, due volte); nato in Suriname, suo nonno era figlio di uno schiavo che, una volta liberato dal padrone tedesco, ne prese il cognome. Anche Davids e Kluivert sono originari del Suriname, l’ex colonia olandese del Sudamerica ricevuta dagli inglesi nel 1667 in cambio di New York, e indipendente dagli anni Settanta del secolo scorso. Accompagnano Davids a centrocampo l’altro dei de Boer, Ronald, e Jonk, mentre in alcuni occasioni gioca Winter.
In attacco scendono in campo vari uomini, quali Zenden, van Hooijdonk, Hasselbaink, ma sono soprattutto in tre vestire la maglia di titolare: Overmars a destra, già al suo secondo Mondiale da protagonista nonostante la giovane età; in posizione di punta centrale Kluivert, un attaccante dal chiaro valore ma decisamente incostante; e Dennis Bergkamp. Diventato ormai uno dei migliori talenti a livello internazionale, Bergkamp gioca un torneo splendido, segnando tre reti e sfornando altrettanti assist ai suoi compagni. È stato definito come uno di quei pochi giocatori che, quasi contro natura, provano la stessa gioia nel fornire un assist quanto nell’andare a rete1)Rob Smyth, World Cup stunning moments: Dennis Bergkamp’s wonder goal, The Guardian. È un perfezionista dell’allenamento. Nell’anno mondiale conquista campionato e FA Cup con la maglia dell’Arsenal, in Inghilterra, dove è venerato come un idolo.
La nazionale olandese vince il proprio girone di qualificazione davanti agli eterni rivali e vicini di casa del Belgio, superati in entrambe le partite (e poi ritrovati ai Mondiali). Fanno effetto le amichevoli che precedono la Coppa: l’Olanda sconfigge gli Stati Uniti e il Messico, pareggia con il Camerun, poi rifila cinque reti (a uno) sia al Paraguay che alla Nigeria, due squadre di buon livello. Il girone della prima fase al campionato mondiale è superato senza particolari difficoltà con un pareggio, una vittoria di larga misura e un altro pareggio concesso solo nel finale.
Olanda – Belgio è l’incontro di esordio, una sfida già giocata nella fase a gironi del Mondiale di quattro anni prima e all’epoca vinta dal Belgio. Stavolta termina a reti inviolate. Gli orange sfiorano il gol soprattutto nella ripresa: Deflandre salva la propria porta per due volte sulla linea, Bergkamp (partito dalla panchina) sfiora l’incrocio dei pali. Kluivert invece lascia il campo a dieci dal termine, espulso per aver colpito Staelens che, a dire dell’olandese, l’ha provocato urlandogli qualcosa sulla sua vita privata del passato2)Terry Crouch, James Corbett, The World Cup: the complete history, deCoubertin Books, 2014. La deduzione è del tutto personale, ma potrebbe essere stata un’offesa legata a un evento davvero triste, un incidente d’auto in cui, per la sua guida imprudente, il giovane Kluivert tempo prima aveva provocato la morte di un uomo.
Messa di fronte alla nazionale sudcoreana, l’Olanda dilaga (cinque a zero) e Bergkamp inizia a mostrare lampi del suo splendido stato di forma. Gli olandesi affrontano poi il Messico nella terza sfida del girone. Vanno in vantaggio sin da subito grazie a una fulminea azione in verticale condotta da Ronald de Boer e poi da Bergkamp, che libera in maniera deliziosa Cocu davanti a portiere, e raddoppiano al ventesimo con R. de Boer. Giocano alla grande gli orange, sfiorano a più riprese la terza rete – cogliendo anche un palo con Cocu – e poi si rilassano: a un quarto d’ora dal termine i messicani accorciano le distanze, al quarto di recupero siglano il pari, ma il passaggio dei Paesi Bassi alla fase successiva del torneo era ormai sicuro.

Per gli olandesi si preannuncia un ottavo di finale molto interessante al cospetto della temibile nazionale jugoslava. Si chiama ancora in tal modo, ma in realtà con Jugoslavia il riferimento è soltanto a Serbia più Montenegro (poi nel 2003 il paese cambierà nome proprio in Serbia Montenegro, e infine nel 2006 anche le due entità superstiti si separeranno), per cui è per lo meno azzardato assegnare una continuità storica fra la vecchia federazione e quella attuale, dal punto di vista calcistico e non solo. Ad ogni modo la selezione jugoslava del ’98 assembla un bel misto, con giocatori esperti come il difensore Mihajlovic, il centrocampista Jugovic (di notevole spessore e autore di ottime prestazioni in squadre del campionato italiano), l’attaccante Mijatovic, e le vecchie glorie un po’ in declino quali Stojkovic e Savicevic. Fra le nuove leve invece, si assiste all’emergere di Dejan Stankovic in mediana e di Ognjenovic della Stella Rossa, un attaccante scomparso in breve tempo: lo acquista il Real Madrid, ci resta due anni e mezzo in cui gioca poco e segna appena un gol, poi gira un po’ il mondo, ma va bene anche così.
La Jugoslavia è sorteggiata in un difficile girone di qualificazione che chiude al secondo posto dietro la Spagna (ma davanti a cechi e slovacchi), per cui deve affrontare la sfida di spareggio per giocare il Mondiale. Gioca quindi con l’Ungheria, che regola in maniera perentoria: sette a uno a Budapest e dodici gol infilati nel complesso delle due sfide. All’esordio in terra di Francia, gli slavi sconfiggono l’Iran per uno a zero in virtù di una punizione dello specialista Mihajlovic. Contro la Germania impressionano: avanti due a zero a inizio della ripresa (Stankovic, Stojkovic), subiscono negli ultimi venti minuti il ritorno dei tedeschi, che pareggiano grazie a un’autorete di Mihajlovic e un gol di Bierhoff. Gli Jugoslavi sconfiggono infine gli USA con un gol di Komljenovic, lesto a ribadire in rete una respinta del portiere su punizione ancora di Mihajlovic, autentico trascinatore della squadra; gli statunitensi disputano comunque una valida partita. Nella primavera dell’anno seguente gli americani e altri paesi della NATO bombarderanno per più giorni la Serbia e il Montenegro nell’ambito del conflitto per il Kosovo. L’evento segnerà l’epilogo delle tristi guerre jugoslave che hanno devastato i Balcani per tutti i Novanta.
Le nazionali di Olanda e Jugoslavia si incontreranno anche due anni dopo nel corso dei campionati europei – e lì non ci sarà storia, la partita verrà dominata in lungo e in largo dagli orange – mentre invece l’ottavo di finale del Mondiale risulta molto combattuto. Alla fine del primo tempo l’Olanda passa in vantaggio: Frank de Boer lancia da centrocampo per Bergkamp, che in area jugoslava vince lo scontro con Mirkovic e calcia in rete. Poi, all’avvio della ripresa, accade di tutto. Komlienovic devia di testa verso la porta un cross su punizione di Stojkovic e segna il pareggio jugoslavo. Poco dopo Stam strattona in area Jugovic. Calcio di rigore e ghiotta occasione per gli slavi di ribaltare le sorti della gara… ma il pallone calciato di Mijatovic sbatte sulla traversa e poi rimbalza fuori. Sul rilancio in avanti, Bergkamp commette fallo su Mihajlovic e poi calpesta l’avversario a terra; l’arbitro non sanziona l’attaccante l’olandese, che poteva (o meglio, doveva) essere espulso, e invece ammonisce Mirkovic per proteste.
L’Olanda continua ad attaccare per il resto del tempo e un gol di Cocu è annullato per fallo di Bergkamp su Saveljic. La pressione olandese trova però il giusto premio a tempo ormai scaduto: il portiere slavo Kralj salva la propria porta su pericolosa conclusione di Overmars; dal successivo angolo la palla giunge a Davids poco oltre il vertice dell’area di rigore, tiro rasoterra e gol che decide l’incontro. Due a uno. Ma non sarà l’ultima rete del Mondiale che l’Olanda riesce a segnare quando la partita è ormai agli sgoccioli.
È quindi il momento di tornare a quel pomeriggio marsigliese. Abbiamo lasciato le nazionali di Olanda e Argentina mentre si stanno giocando gli ultimi scampoli di tempi regolamentari prima della probabile prosecuzione dell’incontro, nel quarto di finale del Mondiale: dieci contro dieci in campo e uno a uno nel punteggio. Frank de Boer avanza, sfera ai piedi; Bergkamp in avanti lo guarda, De Boer lo guarda – per un istante – e Bergkamp capisce che riceverà la palla e inizia a correre più che può per staccare il difensore avversario. De Boer fa partire un lancio di sessanta metri per il compagno, in area avversaria. Bergkamp, che da venti minuti pare uscito dall’incontro, scomparso, in pochi attimi compie invece qualcosa di sontuoso, realizzando un compendio del gioco del calcio.
Tre tocchi – questione di equilibrio, dirà3)David Winner, Dennis la malice, intervista a Dennis Bergkamp, So Foot hors-serie n. 11: con il collo del piede Bergkamp intercetta il lancio; con l’interno manda fuori tempo l’argentino Ayala; con l’esterno infila in rete. Un gol magnifico, rimasto negli annali. Quando la palla è già dentro, il portiere resta per alcuni istanti con il braccio destro proteso, quasi a dichiarare platealmente che il tempo di esecuzione dell’olandese è stato qualcosa di incontrollabile, di ingestibile per i comuni mortali. Bergkamp corre braccia al cielo, poi si sdraia sul prato del Velodrome con i compagni che lo sommergono. Barry Davies, telecronista della BBC, esplode: “Beautifully pulled down by Bergkaaamp! Oooh what a goal! Dennis Bergkamp has won it for Holland! That was absolutely brilliant! From adversity to triumph for the Dutch. They who were silent are now in song”. L’Olanda è in semifinale del Mondiale.
Si chiude due a uno per gli orange una magnifica partita dalla quale entrambe le formazioni, Olanda e Argentina, escono a testa alta. Vent’anni son trascorsi dall’ultima volta in cui la nazionale dei Paesi Bassi è entrata fra le prime quattro selezioni al mondo. La grande Olanda torna quindi a far sentire la sua voce anche ai Mondiali, dopo la delusione del ’90 e il buon torneo del ’94: gli olandesi giocheranno la semifinale con i campioni in carica del Brasile, proprio la formazione che li ha eliminati quattro anni prima, ma questa Olanda pare davvero in grado di battere chiunque.
23 maggio 2020
References
1. | ↑ | Rob Smyth, World Cup stunning moments: Dennis Bergkamp’s wonder goal, The Guardian |
2. | ↑ | Terry Crouch, James Corbett, The World Cup: the complete history, deCoubertin Books, 2014 |
3. | ↑ | David Winner, Dennis la malice, intervista a Dennis Bergkamp, So Foot hors-serie n. 11 |