Il giorno in cui la nazionale francese esordisce nel Mondiale casalingo – il 12 giugno, nove di sera, Stadio Velodrome di Marsiglia – sono trascorsi ben dodici anni dall’ultima partita dei bleus in Coppa del Mondo: finale terzo posto a Messico ’86. Era la generazione di Platini, dei campioni d’Europa, della Notte di Siviglia, e i giocatori selezionati per Francia ’98 all’epoca erano ragazzini o bambini. Poi i francesi hanno dovuto assistere alle due successive edizioni della Coppa soltanto alla televisione. Quella sera sugli spalti del Velodrome si canta la Marsigliese – l’inno nazionale più bello al mondo, perché nato nel bel mezzo di una rivoluzione – a squarciagola, ed è una scena impressionante. In campo non c’è storia: tre a zero sulla nazionale sudafricana. Nel primo tempo segna Dugarry di testa, su corner di Zidane; nella ripresa il sudafricano Issa anticipa il proprio portiere, che era sulla traiettoria del tiro, e infila in rete il raddoppio francese, e poi va in gol anche Henry allo scadere, con una pregevole azione personale.
Francia – Arabia Saudita è un perentorio quattro a zero per i transalpini: Henry, Trezeguet, ancora Henry e Lizarazu. Il compito è facilitato dall’espulsione diretta di Al-Khlaiwi al diciannovesimo per un fallaccio su Lizarazu, ma il rosso che fa più clamore è un altro. A venti dal termine, poco dopo il secondo gol francese, Zidane calpesta volontariamente e stupidamente Amin, e l’arbitro lo spedisce negli spogliatoi. Il fuoriclasse, e l’uomo più atteso della selezione, salterà per squalifica il terzo ininfluente incontro del girone con la Danimarca, ma anche l’ottavo di finale della sua nazionale, ed è un’assenza che pesa.
Quella danese è la nazionale che ha inflitto ai francesi la più pesante sconfitta della loro storia in termini punteggio, alle Olimpiadi di Londra del 1908, con un risultato inequivocabile di diciassette a uno (particolare curioso: la rappresentativa era indicata come Francia A, poiché al torneo era presente anche una Francia B, che dai danesi ne prese solo nove). Novant’anni – e molta evoluzione calcistica – dopo, i francesi si impongono per due a uno: rigore di Djorkaeff, rigore di Michael Laudrup, gol decisivo marcato da Petit con un sinistro da fuori area.
Un girone decisamente abbordabile, ma in ogni caso dominato da cima a fondo, conduce i francesi alla fase a eliminazione diretta. Qui i bleus dovranno vedersela con un cliente in previsione piuttosto ostico e che nei fatti confermerà appieno tale nomea: il Paraguay. La nazionale sudamericana presenta al Mondiale una formazione molto coperta e capace di incassare sinora un solo gol al passivo, in un girone difficile; ha una difesa a zona ben organizzata con centrocampisti che ripiegano in massa – fra i quali soltanto uno su cinque assume attitudini offensive -, e in aggiunta schiera fra i pali un autentico fuoriclasse, ovvero Jose Luis Chilavert. In quegli anni è il miglior portiere al mondo (dichiarato tale in tre occasioni dall’IFFHS): nato a Luque, povero sobborgo di Asuncion ma dotato dell’aeroporto cittadino nonché della sede della confederazione calcistica sudamericana, Chilavert gira diverse squadre – anche in Europa – e dà il meglio di sé con gli argentini del Velez Sarsfield. È ricordato per la capacità di fare gol, come diversi suoi colleghi latinoamericani. In carriera segna oltre sessanta reti, delle quali otto in nazionale, tra rigori, punizioni e due altresì su azione, ma questa caratteristica oscura parzialmente e ingiustamente le sue doti come portiere vero e proprio.
Il leitmotiv dell’incontro sarà il seguente: attacca la Francia, i sudamericani difendono – a fine gara ci saranno cinque ammoniti, tutti quanti fra le fila dell’albirroja. I francesi iniziano l’incontro con il giovane terzetto d’attacco composto da Henry, Trezeguet e Diomede, ma non funziona e nell’incontro successivo, con il ritorno di Zidane, qualcosa dello schema francese dovrà per forza cambiare. Nella prima frazione di gioco la Francia costruisce le sue occasioni migliori: Trezeguet si gira bene in area e calcia a fil di palo; Diomede impegna Chilavert in un difficile intervento basso; Djorkaeff fa la barba al palo, mentre Henry, lanciato da solo verso la porta, il palo lo coglie in pieno. I paraguayani ci provano solo da lontano e Chilavert carica i suoi ad ogni istante. Nella ripresa i francesi calano decisamente e, in quanto ad azioni pericolose, producono un tiro di Trezeguet che lambisce il palo e poco altro; dall’altra parte il Paraguay sfiora il gol con Gamarra, che di testa non inquadra la porta da buona posizione. Cresce quindi l’ansia in casa transalpina. Tempi supplementari, la nazionale francese spinge ma Chilavert sembra insuperabile. Sembra. A sette minuti dai tiri di rigore, Trezeguet salta in area senza alcun contrasto: sponda per Blanc, libero, che scaglia in rete e realizza così il primo golden gol della storia dei Mondiali. Uno a zero per la Francia, la partita è finita.
Dirà Chilavert che parte delle colpe sono da attribuire al ct Carpeggiani, reo di non aver sostituito l’infortunato Gamarra (tra l’altro interprete di un ottimo Mondiale) quando ancora aveva un cambio a disposizione; per tale motivo Trezeguet colpisce indisturbato nell’azione che ha deciso l’incontro. Enorme spavento e parecchie energie profuse tra i francesi: cosa sarebbe successo se la Francia fosse uscita già agli ottavi di finale nel Mondiale di casa, contro il Paraguay, ai rigori? È stata anche ipotizzata una risposta in un divertente esercizio di fanta-calcio1)Ronan Boscher, Thomas Pitrel, Matchs de legende (9e): Et si la France avait perdu contre le Paraguay…, So Foot. Ma i francesi hanno superato una prova di non poco conto. Oltre al gioco, qualcosa però è da sistemare anche sulle tribune: i giocatori in blu iniziano a lamentare un supporto non all’altezza da parte dei propri tifosi, riscontrato soprattutto in questa gara giocata a Lens. Il sistema di vendita dei biglietti attraverso tour operator ha determinato un aumento dei costi, e pertanto influisce sulla composizione del pubblico, benestante, compassato e non troppo caloroso. “Bisognerebbe tagliare un po’ di quelle cravatte”, chiosa senza troppi giri di parole Deschamps2)Brizzi Riccardo, Sbetti Nicola, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930 – 2018), Le Monnier, 2018.
L’uomo prescelto per guidare la nazionale in questa cruciale quanto importante passaggio della storia calcistica francese si chiama Aimé Jacquet. È una figura all’apparenza grigia e poco ciarliera; viene criticato spesso e volentieri dalla stampa e preso regolarmente in giro con un pupazzo dal programma televisivo La semaine de Guignols. Dimostrerà invece di essere un ottimo selezionatore, lasciandosi alle spalle le contestazioni senza troppi problemi. “Al giorno d’oggi conta l’immagine, non per me”3)Jacquet Aimé: la solitudine sul tetto del mondo, Storie di Calcio, dichiara. Da giovane ha lavorato anche come operaio, prima di intraprendere la carriera di giocatore professionista spesa soprattutto nelle file del Saint-Etienne. Allena il Bordeaux negli anni Ottanta, con ottimi risultati, poi raggiunge la panchina della Francia sostituendo Houllier, di cui è stato il vice. Pareva un incarico temporaneo, ma quando inizia la Coppa del ’98 è ct dei francesi già da cinque anni. Lascerà il mestiere di allenatore alla fine di quel Mondiale, rivestendo per il futuro solo ruoli di tipo dirigenziale.
Jacquet pensiona i Cantona, i Papin, i Ginola, cioè una generazione di tutto rispetto ma nel contempo deludente, se non fallimentare in nazionale. Eric Cantona in particolare è stato un calciatore molto amato e celebre, anche dopo il ritiro avvenuto a soli trentuno anni; saluta la maglia dei bleus dopo il famoso calcio volante rifilato a un tifoso – ed estremista di destra – del Crystal Palace, che lo insultava mentre stava lasciando il campo in seguito a un’espulsione. Prenderanno il loro posto giocatori in grado di fare la storia del calcio francese come mai prima. Cominciano inoltre a vedersi gli effetti concreti dell’attività del centro tecnico nazionale edificato a Clairefontaine nel 1985: ideato dieci anni prima dall’allenatore della Francia Stefan Kovacs – sull’esempio di centri analoghi funzionanti nel suo paese di origine, la Romania – e fortemente voluto dal presidente della federazione Fernand Sastre, la struttura negli anni regalerà al calcio francese tutta una serie di talenti. Sastre è co-presidente del comitato organizzatore del Mondiale, assieme a Michel Platini, e morirà di cancro proprio durante la Coppa. Il centro di Clairefontaine ha ora il suo nome.
La Francia giunge all’Europeo del ’96 imbattuta da quasi tre anni e soprattutto nel pieno di una striscia di nove vittorie consecutive, tra le quali un’affermazione in casa dei tedeschi. Gioca un valido torneo ed esce ai rigori contro la Repubblica Ceca in semifinale, senza sconfitte. L’errore decisivo dal dischetto – un tiro debole neutralizzato dal portiere avversario – è opera di Reynald Pedros del Nantes, all’epoca considerato la migliore promessa del calcio transalpino al pari di Zidane. Quell’errore di fatto pone una pietra tombale sulla sua carriera: criticato dai media e fischiato negli stadi – a cominciare dalla successiva partita della Francia, disputata al Parco dei Principi contro il Messico -, termina poco dopo la sua esperienza in nazionale e trascina la carriera senza troppa gloria tra il suo paese e l’Italia. C’è davvero da aver paura a tirare un calcio di rigore.
Il lento avvicinamento al Mondiale non è al livello delle prestazioni precedenti, e forse questo giova ai francesi perché attenua un poco le aspettative. A fine ’96, contro la Danimarca, arriva la prima sconfitta dalla debacle contro la Bulgaria che li aveva esclusi dal Mondiale americano. Il Torneo di Francia si chiude senza vittorie: pari all’esordio con il Brasile, poi sconfitti dagli inglesi e altro pareggio, con l’Italia. Sono sette le amichevoli giocate dai bleus nei primi mesi del 1998. I risultati sono alterni: vittorie su Spagna, Belgio e Finlandia; pari con Norvegia, Svezia e Marocco; sconfitta a Mosca contro la Russia, non molto forte all’epoca.
Ma in quegli anni il calcio francese sta diventando maturo per ottenere qualcosa di importante, e la crescita è testimoniata anzitutto dai risultati delle squadre di club. L’Olympique Marsiglia – in cui militano i giovani Barthez, Desailly e Deschamps – porta in Francia per la prima volta la Coppa dei Campioni, nel 1993. Già finalista due anni prima, l’OM mette in fila quattro titoli francesi consecutivi più un quinto proprio nel 93; verrà però revocato a breve per il tentativo di corruzione nei confronti dei giocatori del Valenciennes, club incontrato poco prima della finale europea, e l’inchiesta metterà fine al ciclo vincente del club marsigliese. Ma nelle successive Coppe dei Campioni si fanno valere anche Monaco, Nantes e Paris Saint-Germain. Il Bordeaux di Zidane, Lizarazu e Dugarry perde la finale di Coppa UEFA, edizione ’96; lo stesso anno il PSG di Djorkaeff conquista la Coppa delle Coppe ai danni del Rapid Vienna, mentre l’anno dopo i parigini raggiungono ancora la finale dello stesso trofeo, battuti però dal Barcellona.
La nuova generazione di giocatori francesi inizia allora a diffondersi e a farsi le ossa nel resto d’Europa – tredici convocati al Mondiale su ventidue giocano all’estero, di cui sette in Italia –, tanto che alla vigilia del quarto di finale tra Francia e Italia, il Corriere dello Sport titolerà: “Abbiamo generato dei mostri”. Il miglior club europeo del quadriennio fra le due Coppe del Mondo, seppur senza dominare, è la Juventus di Marcello Lippi, che alza la Coppa dei Campioni nel 1996 e gioca la finale, sconfitta, nei due anni successivi. Fra i bianconeri edificano la loro esperienza due pedine fondamentali della nazionale francese, ovvero Deschamps e Zidane.
Per la sua nazionale, il ct francese adotta lo schema c.d. ad albero di Natale (4-3-2-1, quindi una variante del 4-3-3), che in certo qual modo anticipa il 4-2-3-1, da lì a breve di gran voga tra gli addetti ai lavori. È la prima volta che l’albero di Natale si impone in un grande torneo per nazionali, ma costituisce il marchio di fabbrica dei francesi solo dai quarti di finale in avanti: prima Jacquet svaria dallo schema a due punte, al 4-3-2-1, sino al 4-3-3 classico con le ali. Lo scopo del ct francese è trovare una formula che dia libertà a Zidane senza destabilizzare la squadra4)Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012. Ci riesce mettendo in campo tre centrocampisti difensivi, affiancando a Zidane un altro creatore di gioco (Djorkaeff) e utilizzando un’unica punta, Guivarch, il cui ruolo non è tanto fare gol – e non ci va neanche vicino -, bensì fungere da punto di riferimento in avanti e trattenere la palla per i fantasisti che si muovono alle sue spalle. Il progetto dà i suoi frutti.
La formazione base, come detto individuata per le ultime tre sfide del torneo, varia molto nelle altre partite anche in virtù dell’assenza forzata di Zidane. Fabian Barthez del Monaco è il portiere ed è di ottimo livello. La difesa, strepitosa nel suo complesso, trova in Thuram e Desailly due interpreti molto forti fisicamente, implacabili e straordinari. Il primo è nato a Guadalupe e giovanissimo arriva in Francia. Esordisce in nazionale nel ’94 assieme a Zidane e chiude la sua esperienza con la maglia blu nel 2008, collezionando 142 presenze (record) e due gol, piuttosto importanti; nell’anno mondiale milita nel Parma, dove forma una fantastica coppia centrale difensiva con Cannavaro, mentre in nazionale è utilizzato sulla fascia destra. Impegnato politicamente e contro il razzismo, al termine della carriera Lilian Thuram scriverà anche un libro dedicato a personaggi storici di colore che raggiunge una discreta notorietà. Dice di sé stesso che, se non fosse diventato un calciatore, con ogni probabilità sarebbe stato un sacerdote o un politico.
Passato al Milan dopo la vittoriosa Coppa dei Campioni con l’Olympique (e che rivincerà con i rossoneri l’anno seguente), Marcel Desailly è un difensore centrale davvero difficile da superare e in grado di giocare a centrocampo con analogo profitto. Chiusa l’esperienza da professionista, tornerà a vivere in Africa, nel Ghana, dove è nato. L’altro difensore centrale è Laurent Blanc, il capitano e il più vecchio della squadra dopo il portiere di riserva Lama: il suo spostamento dal centrocampo al reparto arretrato è stata un’idea di Jacquet quando lo allenava al Montpellier. Completa la difesa Lizarazu del Bayern Monaco, mentre raccolgono presenze anche Candela e Lebeouf, che gioca la finale.
Gli uomini fissi a centrocampo sono Deschamps e Petit – biondo capellone molto valido in forza all’Arsenal. Didier Deschamps rappresenta un tassello decisivo di questa formazione: ha visione di gioco, corsa, capacità di recuperare palloni e distribuirli, il tutto racchiuso in un fisico minuto e all’apparenza insignificante. Vince molto come giocatore, ma sarà capace di guidare la sua nazionale a un secondo titolo mondiale vent’anni dopo il primo, questa volta come allenatore. Fra gli altri uomini impiegati a centrocampo incontriamo Boghossian, Pires, Vieira e soprattutto Karembeu del Real Madrid. Canaco, cioè originario della Nuova Caledonia (Oceania), Karembeu raggiunge il territorio metropolitano a diciassette anni mentre la sua terra di origine è scossa da moti anti-francesi per l’ottenimento dell’indipendenza. Poco dopo i Mondiali, grazie allo scrittore Didier Daeninckx, scopre un fatto sconvolgente: nel corso dell’esposizione coloniale di Parigi del 1931, il suo bisnonno, e i fratelli di questi, erano stati esposti al pubblico in una gabbia con addosso un perizoma quali esempi di selvaggi e cannibali (che ovviamente non erano, ma avevano l’espresso divieto di parlare francese e di farsi il segno della croce, per rendere credibile la scena). Karembeu ha sempre rifiutato di cantare la Marsigliese perché, sostiene, conosce la storia del suo paese e le terribili esperienze che ha dovuto subire il suo popolo5)Christopher Weir, Christian Karembeu,: the outsider who divided France, These Football Times. È così: un inno rivoluzionario può anche trasformarsi nel simbolo dell’oppressione più brutale.
Nel reparto offensivo, al fianco di Zidane c’è Djorkaeff, un attaccante o centrocampista avanzato (come molti della sua generazione) che milita nell’Inter e chiude un buon Mondiale con un gol e tre assist all’attivo. Manca un vero e proprio attacco titolare. Jacquet inserirà Guivarch nel momento decisivo del torneo, ma si alternano anche Dugarry, Henry, Trezeguet e Diomede.
Dopo una prima fase spumeggiante, e prima dell’atto finale, è proprio il reparto avanzato a rendere evidenti alcuni tentennamenti dell’intera squadra: i soli tre gol segnati nelle partite a eliminazione diretta provengono esclusivamente da difensori. Però saranno appena due le reti incassate in tutto il torneo – un record per la squadra campione poi soltanto eguagliato, dall’Italia nel 2006 e della Spagna quattro anni dopo. Accanto a un centrocampo capace di imporsi per lunghe fasi di gioco, e alla crescita progressiva di Zidane, la Francia costruisce le sue fortune proprio a partire dalla solidità del reparto arretrato.

Con l’assegnazione della panchina a Cesare Maldini in sostituzione di Arrigo Sacchi, la nazionale italiana vive il proprio Termidoro, una controrivoluzione calcistica che significa il ritorno alla tradizione di stampo difensivista ed erede del catenaccio. Si tratta nel contempo di un atto dovuto, però, poiché riferito a un tecnico capace di condurre gli azzurri under-21 alla conquista di tre titoli europei di fila – ’92, ’94 e ’96 –, oltre tutto piene testimonianze della splendida fioritura di talenti nel calcio italiano di quegli anni. Ma un’Italia potenzialmente campione e con il miglior attacco di tutto il lotto delle partecipanti, in terra francese risulterà frenata da un gioco troppo coperto, di rimessa e francamente anacronistico: libero tradizionale; alcune marcature a uomo; lanci lunghi a pescare le punte. Nulla di strano, quindi, nell’imbattersi in commenti di questo tenore: “[l’Italia] non è riuscita a giocare in alcun modo il calcio spettacolare per il quale i club italiani sono conosciuti e che chiunque si sarebbe aspettato, leggendo la lista di tutti i talenti presenti in squadra”6)Team analysis – Italy, FIFA Technical Report France 1998. Complice la nomina nel 2000 di Trapattoni quale selezionatore, la nazionale italiana tornerà in modo pieno e definitivo alla modernità calcistica solo con la guida tecnica di Lippi, dall’anno 2004.
L’abbondanza nel reparto offensivo trova in Christian Vieri l’unico punto fisso. Esploso nell’Atalanta, tra il ’96 e il ’99 cambia squadra ogni stagione (Juventus, Atletico Madrid, Lazio e Inter, dove finalmente si accasa per un po’ di anni) e lascia il segno ovunque; Vieri è un giocatore potente, massiccio, forte di testa e al tiro, fra i migliori attaccanti al mondo a cavallo del millennio. Poi il ct azzurro può scegliere tra Roberto Baggio, Chiesa, Del Piero, Inzaghi, e ognuno sarebbe stato titolare nelle altre nazionali del campionato. La difesa è il cardine dell’Italia ed è sulla carta come sempre di altissimo livello, nonostante l’assenza di Ferrara e l’infortunio di Nesta a Mondiale in corso. I titolari sono Bergomi nel ruolo di libero, Cannavaro, Costacurta e Paolo Maldini, il figlio del selezionatore per il quale, però, ogni dubbio di nepotismo è privo di fondamento. Il reparto debole può essere individuato nel centrocampo. Fra i selezionati, sei uomini sono della Juventus, è la squadra più rappresentata ma in campo non c’è un blocco.
Per raggiungere il Mondiale nella vicina Francia, la nazionale italiana deve passare da un delicato spareggio – almeno per la tradizione dell’avversario – con la Russia. All’andata l’incontro termina uno a uno: nel gelo di Mosca esordisce in maglia azzurra Gianluigi Buffon, in sostituzione dell’infortunato Pagliuca. Al ritorno è uno a zero per l’Italia, e arriva quindi il pass per il campionato mondiale. Qui però la prova del campo, almeno all’esordio, si rileva più complessa di quanto previsto.
Nella partita contro il Cile, l’Italia va in vantaggio dopo pochi minuti: Maldini recupera la sfera e lancia in avanti, geniale tocco di Roby Baggio di prima che mette Vieri di fronte al portiere, tocco ancora di prima, gol. Poi però gli azzurri cominciano a subire i colpi di testa degli avanti cileni e, tra il primo e il secondo tempo, i sudamericani la ribaltano con una doppietta di Salas. Verso la fine dell’incontro un calcio di rigore di Baggio, concesso per fallo di mano ravvicinato di Fuentes su cross dello stesso Baggio, fissa il definitivo due a due. Il Divin Codino (ormai però reciso dalla restante chioma) ha giocato una gran partita. Sono più facili gli incontri che vedono opposta l’Italia alle altre due squadre del girone, conclusi inoltre con un buon numero di marcature. Contro il Camerun, che resta in dieci per un tempo, finisce tre a azero per gli italiani: doppietta di Vieri e gol di Di Biagio, autore di un’ottima prestazione. Contro l’Austria è due a uno con le reti di Vieri e R. Baggio, oltre al gol austriaco su rigore nel recupero. Baggio è entrato dalla panchina, la maglia di titolare è stata affidata a Del Piero che appare però decisamente fuori forma; ma il vero trascinatore degli azzurri è a tutti gli effetti Vieri.
Ad attendere l’Italia negli ottavi di finale c’è la Norvegia: avversario non eccezionale da prendere però con le molle, e imbattuta da diciassette partite di fila. La formazione scandinava torna ai Mondiali dopo appena quattro anni (sarà l’ultima partecipazione, almeno sinora) grazie a un girone di qualificazione non proibitivo, risolto comunque con autorevolezza; schiera in attacco Tore-Andre Flo e Solskjaer (che al Mondiale gioca a tratti), entrambi attivi in Premier League. All’inizio stenta, la Norvegia, e ottiene due pareggi contro Marocco e Scozia, ma nel primo caso rischia parecchio: gli africani dominano, vanno due volte in vantaggio e per due volte regalano il pareggio agli avversari (autorete di testa completamente inutile; errore in presa bassa del portiere), poi rischiano addirittura la sconfitta. Invece nell’ultima sfida del girone contro il Brasile i nordici giocano bene, approfittando anche del fatto che i sudamericani sono già qualificati, ma a circa dieci dal termine si ritrovano in svantaggio per il gol di Bebeto. La corsa norvegese nella Coppa del Mondo parrebbe al capolinea a tutto vantaggio della nazionale marocchina. Gli ultimi minuti diventano però i momenti più gloriosi nell’intera storia del calcio norvegese: gol del pareggio di Tore-Andre Flo; rigore per fallo subito dallo stesso Flo, Rekdal dal dischetto e rete che vale il passaggio del turno, per la prima volta. La Norvegia non ha mai perso contro il Brasile, sconfitto anche un anno prima in amichevole.
Fa molto caldo nel pomeriggio marsigliese e la partita è abbastanza brutta. L’Italia riesce a vincerla grazie a un gol di Vieri al minuto diciotto: su lancio da centrocampo, la punta italiana è bravissima a scattare palla al piede verso la porta, resistere al ritorno del difensore e battere il portiere. Poi gli azzurri non concretizzano varie occasioni da rete, soprattutto con Del Piero, e a sprazzi soffrono i norvegesi – a un quarto d’ora dal termine Flo di testa impegna Pagliuca in una difficile parata bassa. È quindi la terza eliminazione su tre partecipazione ai Mondiali per i norvegesi da parte della nazionale italiana, a dir poco la loro bestia nera. Fra gli italiani ancora una volta si distinguono in positivo Di Biagio e Vieri, oltre al portiere; di nuovo insufficiente Del Piero, mentre Baggio non si è alzato dalla panchina. È un fatto che lascia per lo meno perplessi. Il dualismo fra Baggio e Del Piero, e la scelta di schierare quest’ultimo anche nel successivo incontro, diventa il principale elemento di discussione in patria. Cesare Maldini tradisce al riguardo un preoccupante quanto immotivato nervosismo: litiga a partita in corso con alcuni tifosi che dagli spalti invocano l’ingresso di Baggio, poi intrattiene un battibecco anche con l’inviato RAI a fine partita.
Ad ogni modo l’Italia, pur senza impressionare nessuno, ai quarti di finale della Coppa ancora una volta ci è arrivata. E l’altro Mondiale giocato in casa dei transalpini, sessant’anni prima, l’Italia l’aveva vinto: era la fortissima nazionale di Vittorio Pozzo campione in carica, la squadra che si presentava al pubblico con il triste, vergognoso ma obbligatorio saluto fascista, e veniva nel contempo contestata dagli esuli antifascisti presenti sulle tribune. In quel torneo l’Italia sconfisse la stessa Norvegia e poi la Francia nei quarti di finale, ovvero la squadra che la attende per l’analoga partita dell’anno ’98. C’è poi un’altra analogia da registrare, cioè la vittoria di un italiano al Tour de France, che nel 1938 fu conquistato da Gino Bartali. Lo stesso potrebbe accadere, e infatti accadrà di lì a poco tempo, grazie a un meraviglioso e purtroppo compianto ciclista, Marco Pantani. Il tutto sembra quindi di buon auspicio.

Parigi, Stade de France, venerdì 3 luglio, ore 16 e 30: quarto di finale mondiale tra Francia e Italia. Tra i francesi torna Zidane e prendono posto nell’undici titolare Karembeu e Guivarch; ecco la formazione: Barthez; Thuram, Blanc, Desailly, Lizarazu; Karembeu, Deschamps, Petit; Zidane, Djorkaeff; Guivarch. Nell’Italia Pessotto è schierato al posto di Albertini – spesso usato fuori ruolo – ed è destinato alla marcatura a uomo su Zidane, all’interno di un’impostazione più coperta del solito e così composta: Pagliuca; Cannavaro, Costacurta, Bergomi, Maldini; Moriero, D.Baggio, Di Biagio, Pessotto; Del Piero, Vieri. Alcuni uomini in campo (Thuram, Zidane, Cannavaro, Vieri, Dugarry che parte dalla panchina) sono reduci da un’altra Italia – Francia, semifinale europea under-21, a Montpellier quattro anni prima: sulla panchina italiana sedeva lo stesso Maldini, su quella francese Raymond Domenech. Finì zero a zero, vinse l’Italia ai rigori.
La Francia è tutta in bianco, l’Italia tutta in blu; arbitra lo scozzese Dallas. Inizino le danze. I francesi partono alla grande, spingono in attacco e sono decisamente più aggressivi. La prima conclusione è al terzo minuto, di Zidane dall’area di rigore, alta. Il dieci francese ci riprova poco dopo con un gran stop in area, sulla destra, e un tiro basso che impegna Pagliuca in allungamento; sul corner, girata di Petit e ancora un grande intervento dell’estremo italiano salva la porta azzurra. Ci prova poi anche Guivarch ma Pagliuca blocca senza troppi problemi. Al nono risponde l’Italia: Moriero sulla destra, cross, Vieri colpisce di testa, contrastato da Thuram, e spedisce fuori a poca distanza da Barthez.
La furia francese dura fino al quarto d’ora, colleziona calci d’angolo senza però concretizzare. L’Italia è molto attenta in difesa, ma ha davvero poche idee: lanci lunghi per le punte – regolarmente preda dei difensori francesi – e qualche tentativo di spinta sulla fasce con Maldini e Moriero. Senza ora affrettare il pressing, la Francia controlla il gioco a centrocampo; Zidane, benché non sempre preciso, fa sentire la sua presenza un po’ ovunque, Thuram e Lizarazu sfruttano le corsie esterne. Al ventiquattresimo si registra una penetrazione in area di Djorkaeff e Karembeu, ma Pagliuca esce e blocca; quattro minuti dopo Bergomi è costretto al fallo da giallo per bloccare sul nascere un pericoloso contropiede di Zidane. Gli azzurri si ripresentano al tiro al minuto trentatré con Vieri, molto potente ma centrale, e poco dopo il portiere francese è costretto a un difficile anticipo nell’area piccola sempre su Vieri, pronto alla conclusione.
In fase di recupero prende vita l’occasione migliore per i francesi: Deschamps scambia con Djorkaeff, ancora Deschamps e grande apertura per lo stesso Djorkaeff che penetra libero in area ma strozza troppo il tiro e la palla esce, neanche di poco. Jacquet urla in mondovisione il suo disappunto. Zero a zero all’intervallo, la Francia ha tenuto in mano l’incontro ma l’Italia ha retto, e in qualche rara circostanza è riuscita anche a rendersi pericolosa.
Nella ripresa il gioco diventa spezzettato e le azioni meno fluide. Cannavaro è gigantesco, ma altrettanto si può dire per il reparto arretrato francese, e in generale le difese comandano e le occasioni da rete latitano. Al sesto Guivarch colpisce di testa su corner e manda alto di poco, poi è ammonito per una gomitata a Cannavaro, che per un po’ gioca con una garza attorno alla testa (poi la toglie). Albertini avvicenda un poco incisivo Dino Baggio. Al ventesimo è il turno di Karembeu che, liberato da Zidane, calcia male fuori.
Girandola di sostituzioni. Jacquet prova a dar smalto a un attacco un po’ imballato inserendo i due giovani gioielli del Monaco, Henry e Trezeguet, per Karembeu e Guivarch, e schierando la squadra con una sorta di 4-2-2-2 alla brasiliana. La Francia riprende a spingere, se non a dominare, ed Henry ci prova due volte in pochi minuti (una a lato, l’altra rimpallata), ma sono attacchi confusi, più frutto di iniziative personali che di un piano corale. Roberto Baggio sostituisce un Del Piero che di fatto non è sceso in campo. Baggio si piazza in posizione più arretrata, e questo giova agli azzurri, mentre Vieri è decisamente stanco. L’Italia chiude però in ripresa: una grande occasione si presenta al trentasettesimo, quando una punizione calciata dalla sinistra da Baggio viene corretta di testa da Di Biagio, con la palla che sfiora l’incrocio dei pali a Barthez battuto; nel recupero ci prova anche Pessotto (poi sostituito da Di Livio), mentre sempre oltre il novantesimo l’Italia batte il suo primo tiro dalla bandierina, a riprova di un’attitudine offensiva per lo meno blanda. Entrambe le squadre spingono sino alla fine ma lo zero a zero non si sblocca.
Il primo dei tempi supplementari è equilibrato e giocato ad un buon ritmo, nonostante lo spauracchio del golden gol. Dopo cinque minuti Lizarazu entra pericolosamente in area italiana ma è fermato da Cannavaro. È il dodicesimo quando si assiste all’azione che potrebbe cambiare le sorti di questo Mondiale. Albertini apre per Baggio, che scatta, arriva davanti al portiere sulla destra e colpisce al volo (e c’era anche Moriero pronto a ricevere in mezzo). La sfera supera Barthez, il quale, vanamente proteso, non può far altro che seguirne il percorso come tutto il resto del mondo: parabola arcuata, palo lontano sfiorato, fuori.
Probabilmente a corto di fiato, la nazionale francese cala nel corso del secondo tempo e l’Italia gioca meglio, provando finalmente a imbastire quelle azioni manovrate che quasi mai le erano riuscite nei novanta regolamentari; gli azzurri creano potenziali pericoli nell’area francese ma senza dar vita ad autentiche occasioni da rete, poiché continuano ad attaccare con pochi uomini. L’occasione d’oro è però francese, a poco dal termine: geniale assist di Henry per Djorkaeff sulla destra, in area e perso dai difensori italiani; Djorkaeff ci va leggermente titubante – con il braccino si direbbe per i tennisti – e Pagliuca con una grande uscita devia il pallone in angolo. Niente da fare, la semifinalista del Mondiale sarà decisa ai tiri di rigore.
Inizia la Francia, subito con Zidane, ed è gol in basso a sinistra. Risponde l’Italia con Roberto Baggio – tutti ovviamente pensano a Pasadena – ed è gol in basso a destra. Lizarazu calcia maluccio, Pagliuca addirittura blocca il tiro, ma la possibilità del vantaggio italiano dura niente: Albertini esegue il rigore in modo quasi identico a Lizarazu e Barthez respinge. Trezeguet gol, Costacurta gol, Henry gol, Vieri gol (Deschamps da dietro ha fatto segno a Barthez di buttarsi sulla sua sinistra, ha ragione, ma il tiro è comunque imparabile). La parità pare inossidabile.
Quinto tiro dal dischetto, lo calcia Blanc e mette in rete. Tocca a Di Biagio: deve segnare a tutti i costi per tenere in vita l’Italia e condurre i rigori a oltranza. Rincorsa breve, tiro… traversa piena! La palla, calciata forte, si impenna e sorvola l’aria di rigore; Barthez ha un attimo di smarrimento, poi capisce che la partita è finita, corre esultando verso i suoi compagni, mentre Di Biagio è supino a terra con le mani sul volto. Questa dura battaglia calcistica porta infine il nome della Francia: lo stadio è in festa, allez les bleus.
È stata sì una partita chiusa sullo zero a zero, ma intensa, appassionante, e altresì definita un capolavoro di tattica all’italiana per merito di entrambe le contendenti7)Le meilleur 0-0 de l’histoire, So Foot n. 156. Fra le due squadre ha prevalso la formazione che obbiettivamente meritava a di più; i francesi si lanciano, e questa volta l’apporto del pubblico è stato all’altezza della situazione. Per l’Italia è la terza eliminazione consecutiva ai rigori. La maledizione dei tiri dal dischetto sarà giocoforza per sempre il principale tratto distintivo dei Mondiali azzurri negli anni Novanta, ma in questa occasione la nazionale italiana può rimproverarsi un atteggiamento troppo remissivo nei confronti degli avversari. Alla fine sono abbracci tra i due tecnici, tra i giocatori, in un clima di amicizia e grande correttezza.
L’incontro segna l’avvio di un’epopea, la splendida rivalità tra Italia e Francia che marcherà tutta una fase della storia calcistica. Oltre a questa sfida, il cui esito vale di per sé già un pezzo di Coppa, negli otto anni successivi le due nazionali si giocheranno direttamente un titolo europeo e ancora un altro titolo mondiale. E questo avverrà attraverso incontri epocali, combattuti, sentiti, ma più di tutto sempre incredibilmente drammatici.
23 maggio 2020
References
1. | ↑ | Ronan Boscher, Thomas Pitrel, Matchs de legende (9e): Et si la France avait perdu contre le Paraguay…, So Foot |
2. | ↑ | Brizzi Riccardo, Sbetti Nicola, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930 – 2018), Le Monnier, 2018 |
3. | ↑ | Jacquet Aimé: la solitudine sul tetto del mondo, Storie di Calcio |
4. | ↑ | Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012 |
5. | ↑ | Christopher Weir, Christian Karembeu,: the outsider who divided France, These Football Times |
6. | ↑ | Team analysis – Italy, FIFA Technical Report France 1998 |
7. | ↑ | Le meilleur 0-0 de l’histoire, So Foot n. 156 |