Salta al contenuto

Corea/Giappone, 2002
IX. Meraviglioso Brasile, è il quinto titolo

Brasile – Germania, la finale del Mondiale edizione 2002, nobilita un torneo essenzialmente povero di sfide in grado di smuovere la passione popolare. Questa partita è ricordata come il primo confronto diretto tra le due formazioni – ovvero le selezioni più titolate e più presenti al campionato del Mondo, assieme all’Italia – nel corso di una fase finale della Coppa: fa specie quindi che siano trascorsi oltre settant’anni e diciassette edizioni del torneo prima che l’incrocio si potesse realizzare. Volendo però essere precisi, durante il Mondiale tedesco del 1974 un precedente in realtà si è già verificato: il 30 giugno, ad Hannover, il Brasile aveva affrontato la nazionale tedesca – ma quella orientale, nell’unica edizione iridata alla quale ha preso parte la Germania dell’Est, poi annessa alla parte occidentale. Comunque è la settima finale mondiale per brasiliani e tedeschi, un record, e il pronostico si tinge nettamente di verdeoro.

Il Brasile, in maglietta giallo-verde tradizionale e pantaloncini azzurri, schiera il seguente undici: Marcos; Lucio, Edmilson, Roque Junior; Cafu, Kleberson, Gilberto Silva, Roberto Carlos; Ronaldinho, Ronaldo, Rivaldo. Casacca bianca e pantaloncini neri ordinari, la Germania mette in campo: Kahn; Frings, Ramelow, Linke, Metzelder; Schneider, Hamann, Jeremies, Bode; Neuville, Klose. L’arbitro dell’incontro è l’italiano Pierluigi Collina, un’autentica celebrità del periodo al pari dei calciatori più noti: l’Istituto di statistiche del calcio (IFFHS) gli attribuisce il titolo di arbitro dell’anno per sei volte di fila, dal 1998 al 2003. Collina gode di un’immagine ben riconoscibile – calvo, occhi blu, segaligno – e una mimica convincente; è teatrale quel poco che basta e autorevole, e senza dubbio è stato sinora il più famoso e carismatico direttore di gara di tutta la storia del gioco.

È domenica 30 giugno 2002, le ore venti locali – in Germania sono le tredici, in Brasile le otto del mattino -, e si gioca a Yokohama, Tokyo, International Stadium. In tribuna siede anche l’imperatore del Giappone Akihito, accompagnato da un pubblico nettamente filo-brasiliano; si accendono sugli spalti interminabili luci per via dei flash delle foto scattate, quasi una volontaria conferma del noto stereotipo sul rapporto tra giapponesi e apparecchi fotografici. Poco prima del fischio di inizio la regia televisiva, davvero profetica, mostra in replica le immagini della stretta di mano tra Kahn e Ronaldo: diventerà la chiave di lettura dell’intero Mondiale.

Primo minuto di gioco e si assiste subito a un’ottima discesa sulla sinistra di Ronaldinho, che è al rientro dopo il turno di squalifica: guadagna un calcio d’angolo, senza esito. Poco dopo è Kleberson a scappare sulla fascia, stavolta quella destra, ma il suo cross è troppo sul portiere e Kahn blocca facilmente. Lo stesso Kleberson all’ottavo sfrutta male un errato disimpegno della difesa tedesca, tirando dal limite dell’area in bocca a Kahn. Si presenta in avanti la Germania al nono minuto, con una bella azione condotta sulla destra da Neuville e Metzelder, poi è ancora Neuville che mette in mezzo dove Cafu anticipa Klose, pronto a battere a rete. Nei primi minuti di gioco Collina sventola due volte il giallo – a Roque Junior, che blocca in modo scorretto una pericolosa ripartenza tedesca, e a Klose, reo di una gomitata nei confronti di Edmilson. È chiaro l’intento di Collina di prevenire il gioco violento immediatamente.

La partita è gradevole in queste prime battute, le squadre non si risparmiano e sorprende soprattutto l’attivismo tedesco, sottolineato da un pressing efficace sui portatori di palla brasiliani e dalla spinta sulle fasce ad opera di Frings e Bode. Fra i tedeschi, tutti all’apparenza molto attenti e carichi, emerge uno scatenato Schneider che svaria per il campo: scappa a Gilberto Silva, mette al centro e obbliga la retroguardia brasiliana ad un nuovo anticipo decisivo, stavolta con Lucio; poco dopo scatta sulla destra e costringe Roberto Carlos al fallo tattico. Ma nonostante il possesso palla tedesco, il Brasile resta in agguato e le azioni offensive più pericolose sono tutte di marca sudamericana. Ronaldinho è palla al piede poco oltre l’area e Ronaldo gli scatta a fianco: Ronaldinho lo vede e sforna un assist gigantesco che taglia fuori tutti i tedeschi e mette Ronaldo solo davanti a Khan, un po’ spostato sulla destra: Ronaldo tocca male di prima, con l’esterno destro, la palla esce e neanche di poco. È stata una grande occasione per passare in vantaggio, sprecata, ma il talento brasiliano è lì, presente, pronto all’uso. Al ventinovesimo Ronaldo tenta di sfondare centralmente, Linke intercetta e la palla giunge a Ronaldinho – il migliore dei suoi in questa prima frazione di gioco – che serve di prima Ronaldo in area, lanciato verso la porta: Ronaldo non trattiene e non riesce a concludere, Kahn in uscita agguanta la sfera.

L’ultimo quarto d’ora pare scorrere via all’insegna dell’equilibrio, senza azioni d’attacco degne di menzione e con diversi falli, sebbene la partita non sia cattiva – infatti, sino al termine, Collina non sentirà la necessità si sollevare altri cartellini. La qualità del gioco è in calo sino a quando il Brasile, a cinque minuti dall’intervallo, decide di mostrare nuovamente tutta la potenza calcistica di cui dispone. Al quarantunesimo Cafu, dalla propria area, lancia lungo verso Kleberson, inseguito da Metzelder: il brasiliano giunge al limite, calcia rasoterra e manda fuori non di tanto. Ancora Kleberson, tre minuti dopo, colpisce di piatto da fuori area per una conclusione arcuata che si stampa sulla traversa! Poi nel recupero c’è un cross basso di Roberto Carlos, che forse intendeva tirare a rete, ma in tal modo Ronaldo si trova la palla sui piedi nel pieno dell’area piccola: conclude immediatamente e Kahn, con uno splendido intervento di piede, per l’ennesima volta nel torneo salva la porta tedesca. Il primo tempo si chiude con i botti ma non smuove il punteggio di zero a zero.

Collina e Kahn – sportbible.com

Volendo semplificare, il tema di fondo di questa finale mondiale è: collettivo e forza atletica dei tedeschi contro talento individuale brasiliano. Sul piano del gioco il parziale di parità si può anche considerare corretto, ma la netta predominanza di occasioni da gol per i brasiliani, nonché un finale di frazione di pura marca verdeoro, rendono il risultato piuttosto stretto per la compagine sudamericana. Con un po’ di precisione e fortuna in più, il Brasile sarebbe in vantaggio; dall’altra parte, una Germania con Ballack in campo forse avrebbe aggiunto, alla tenacia e all’attenzione tattica già possedute, quelle dosi di talento e fantasia indispensabili per fare la differenza. Gli attaccanti tedeschi paiono infatti molto isolati dal resto della squadra. L’atteggiamento, la composizione e lo stile delle due squadre ricorda da vicino la finale del Mondiale ’62 tra Brasile e Cecoslovacchia: in quel frangente, dopo un primo tempo concluso uno a uno, i brasiliani segnarono due gol nella ripresa (Zito e Vavà) e confermarono il titolo. In ogni caso il Brasile sembra padrone del suo destino, sembra che saranno i piedi e la testa dei brasiliani a decidere le sorti di questa Coppa del Mondo. Decideranno invece gli episodi.

Inizia il secondo tempo e inizia anche a piovere. Come all’avvio della frazione precedente, la Germania parte all’attacco: ci prova quindi con Jeremies, che è libero di colpire di testa su azione d’angolo, ma il pallone viene provvidenzialmente deviato da Edmilson. Al minuto quarantotto Neuville calcia una punizione da lontanissimo: è un’esecuzione pregevole e di pari livello è il balzo di Marcos, il quale tocca la palla il giusto per deviarla sul palo della propria porta. Vicinissima al gol, questa Germania sta giocando al massimo delle sue possibilità, mostra alcune pregevoli combinazioni in avanti e tenta ancora il tiro prima con Frings, al cinquantaquattresimo, e poi con Hamann due minuti dopo. Il gioco è poi interrotto a lungo a causa di uno scontro tra Jeremies e Cafu che ha provocato una ferita sul polpaccio del tedesco. Il Brasile è vagamente abulico, offuscato e nel mezzo di quei passaggi a vuoto, sorta di amnesie collettive, che ogni tanto ne hanno interrotto il gioco durante il torneo. Si registra soltanto un ottimo scambio tra Cafu e Ronaldinho, il quale lancia Cafu in area sulla destra e il suo tiro troppo strozzato si perde sul fondo, e poco altro.

Minuto sessantasette. Ronaldo è in zona d’attacco, perde la palla ma la recupera in modo caparbio su Hamann, che cincischia colpevolmente; Ronaldo passa a Rivaldo e il tiro di questi, da fuori area, non sembra niente di particolare. Kahn è sulla traiettoria, si china per bloccare la sfera: ma attenzione, il pallone gli rimbalza davanti, sfugge alla sua presa, Kahn ora è carponi che tenta disperatamente di recuperare la sfera e si tuffa invano, poiché Ronaldo – che intelligentemente, da autentico uomo d’area ha seguito l’azione – adesso è lì di fronte al portiere tedesco, tutto solo, a toccare la palla, a metterla in rete! È il momento che segna il torneo. Autore di un campionato mondiale gigantesco e fin lì di una prestazione più che valida anche in finale, Kahn compie l’incredibile errore che, come tutti gli sbagli dei portieri, ha il peso di una pietra tombale e a conti fatti lo marcherà per sempre (anche se non è giusto). Si scoprirà che il portiere tedesco sta giocando con i legamenti dell’anulare destro rotti, ma Kahn, colmo di onestà, non attribuirà mai la colpa dell’errore a questo infortunio. Ronaldo invece mette definitivamente il suo nome sulla storia del trofeo. Brasile uno – Germania zero.

I tedeschi sono ammirevoli nel provarci lo stesso dopo il duro colpo subito e con mezzi tecnici inferiori, così viene quasi voglia di tifare per loro, una volta almeno nella vita. Jeremies, indomito e fra i migliori in campo, ci prova da fuori area e la palla deviata da un avversario termina non di molto fuori. Voller inserisce Bierhoff per Klose, insufficiente, e poi un altro attaccante, Asamoah, per Jeremies che forse non ne ha più. Gli europei collezionano inutilmente calci d’angolo sino a che si giunge al minuto settantanove. Kleberson in questa finale è stato autore di una prestazione superba: scappa sulla destra e mette la palla al centro, dove c’è Rivaldo che con un velo delizioso lascia la palla alle sue spalle, a Ronaldo. Stop dal limite, rasoterra a fil di palo – un’esecuzione perfetta – e rete, due a zero per il Brasile. Stavolta Kahn non può davvero fare alcunché per evitare il gol. Ronaldo corre, agita il dito, allarga le braccia e la nazionale brasiliana vola con il suo Fenomeno verso il quinto titolo mondiale.

Restano da giocare gli ultimi dieci minuti dell’incontro ma ormai il destino del Mondiale asiatico è scritto. Al minuto ottantatré si assiste a una girata in area di Bierhoff, a colpo sicuro, e ad una strepitosa deviazione bassa in angolo di Marcos, il cui apporto alla conquista del titolo in questa finale e in tutto il torneo è stato determinante, ma colpevolmente sottovaluto da molti addetti ai lavori. Sul corner che segue, Hamann calcia da fuori area e manda a lato; poi Ziege prende il posto di Bode. Il ct Scolari opera il primo cambio per la sua squadra a cinque dal termine, inserendo Juninho per Ronaldinho; offre poi la meritata passerella finale all’uomo del match, Ronaldo, sostituito da Denilson. Triplice fischio finale, la Germania deve arrendersi per la quarta volta nell’ultimo atto del campionato (un record), il Brasile è campione del Mondo.

Mentre i brasiliani festeggiano a lungo in mezzo a un mare di bandiere verdeoro, c’è un uomo che è rimasto in piedi dentro una delle due porte, a testa bassa, una mano sul fianco e l’altra che tiene una bottiglietta mentre, incurante, si svuota terra; poi lancia questa inutile bottiglia contro la rete, si appoggia al palo sconsolato, e resta ancora lì. Sì, è Oliver Kahn. Muove una compassione tremenda l’immagine di questo omone scorbutico dai tratti duri, questo grande portiere così affranto che non ha neanche la forza di piangere. I compagni vanno a consolarlo, ci prova anche un addetto FIFA e si avvicina a lui addirittura Cafu, il capitano della squadra che gli ha appena portato via il titolo grazie – come tutto il mondo sta pensando – al suo errore; ma niente, sembra non voler andarsene mai più da quella maledetta porta di un campo di calcio. Ma che fai grande portiere, piccolo grande uomo? Stai forse provando a vincere il tempo, a fermarlo, a cancellarlo? “Niente può consolarmi per quello che ho fatto. Ho commesso un errore, il solo in sette partite, e sono stato severamente punito. Pesa davvero tanto quando lo commetti in una finale e lo so, avrei dovuto trattenere quel pallone, ma cosa devo dirvi: la vita va avanti lo stesso1)Ronaldo fulfils phenomenal resurrection, FIFA.com. Giusto così Kahn, vattene pure da quella porta perché la vita va avanti lo stesso.

Il presidente della FIFA Blatter e la leggenda del calcio brasiliano Pelé consegnano il trofeo nella mani di Cafu, il quale si presenta sul podio con una scritta sulla maglietta che omaggia Jardim Irene, la favela di San Paolo in cui è nato e cresciuto. Poi, dopo aver dichiarato in mondovisione tutto il suo amore per la moglie Regina, alza nel cielo giapponese la Coppa del Mondo.

Vince il Mondiale il Brasile, ed è l’epilogo corretto. È stata la selezione più forte dall’inizio alla fine del campionato, ha sconfitto due pesi massimi del livello di Inghilterra e Germania e ha confermato la propria supremazia anche nell’ultimo atto del torneo. L’impresa della selecao emerge in tutta la sua importanza osservando il ruolino di marcia tenuto in terra asiatica: diciotto gol fatti e quattro subiti, vinti tutti gli incontri disputati (così come l’Uruguay nel ’30, l’Italia nel ’38 e lo stesso Brasile nel ’70) ma su un totale di sette partite, un risultato mai raggiunto né prima né dopo. E nonostante ciò, il Brasile del 2002 negli anni a venire non riuscirà mai a iscrivere il proprio nome fra le nazionali capaci di marcare la storia del gioco, almeno nell’immaginario collettivo.

Con il quinto titolo mondiale in bacheca, la nazionale brasiliana stacca nettamente le prime dirette avversarie, ovvero Italia e Germania ferme a tre, e tocca uno dei massimi vertici del suo percorso calcistico. La storia del calcio in Brasile è il dispiegarsi di una meravigliosa vicenda d’amore tra un gioco e un popolo. Importato ovviamente da marinai britannici nel corso dei commerci transoceanici, il gioco attecchisce grazie ad alcuni appassionati e lungimiranti pionieri, sempre di origine britannica: a fine Ottocento l’inglese Charles Miller fonda in Brasile la prima scuola di calcio; lo scozzese Thomas Donohoe organizza la prima partita; Oscar Cox diffonde il calcio a Rio de Janeiro. Il primo incontro ufficiale della selezione brasiliana, la selecao, è datato 1914. Cinque anni dopo vince il suo primo titolo sudamericano grazie alle gesta di un mitico e prodigioso attaccante, Arthur Friedenreich, e ripete l’impresa nel 1922. Ma il campionato continentale, antesignano della futura Copa America, diventerà terra di conquista dei brasiliani soltanto a partire dagli anni Novanta del secolo: dovranno infatti attendere il 1949 per fregiarsi di un terzo titolo, e poi aspettare ulteriori quarant’anni per una nuova vittoria. Tutt’altro discorso investe il campionato del Mondo.

Il Brasile è presente alla fase finale del Mondiale sin dalla prima edizione del torneo nel 1930 ed è l’unica nazionale a non aver mai saltato un appuntamento con la Coppa più importante. Scontri interni alla federazione, causati in particolare dalla contrapposizione tra Rio e San Paolo, non permettono però ai brasiliani di schierare formazioni competitive nel corso dei primi due campionati. Ma durante gli anni Trenta, la spinta nazionalista intrapresa dal governo di Getulio Vargas produce effetti anche nell’ambiente calcistico, tramite il rafforzamento del ruolo della nazionale e la definitiva scomparsa delle restrizioni di carattere razzista, sorte sin dagli albori e utilizzate per ostacolare l’impiego di giocatori di colore. Il calcio brasiliano diventa invece una delle espressioni più peculiari dei tanti mulatti che formano il tessuto sociale del paese. Nasce e col tempo prende piede un preciso stile fatto di fantasia, estro e bellezza, un marchio, un emblema del Brasile in tutto il mondo, quell’interpretazione del gioco grazie alla quale, secondo il sociologo e antropologo Gilberto Freyre, uno sport inglese è stato trasformato in “una danza di sorprese irrazionali2)Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, Baldini&Castoldi, 2014. Il carattere multietnico del Brasile, oltre all’enorme base di massa su cui può contare, si trasforma nella forza del suo movimento calcistico.

La crescita della nazionale brasiliana passa attraverso prestazioni di ottimo livello ma dall’esito deludente durante i Mondiali ’38, ’50 e ‘ 54, prima di dar vita a un magnifico e irripetibile periodo tra il 1958 e 1970 nel quale la selecao porta in patria tre titoli mondiali su quattro edizioni. Spiccano le formazioni e il gioco messi in campo in apertura e chiusura del ciclo. La squadra del 1958 è completa, equilibrata e forte in ogni reparto, ricca di individualità e nel contempo capace di portare a compimento la rivoluzione di un nuovo metodo di gioco, il 4-2-4, sviluppata in parallelo tra Brasile e Ungheria. La squadra del 1970 è invece pressoché unica nella sua geniale follia, o utopia realizzata, tesa a far convivere sul terreno di gioco cinque fantasisti quali Gerson, Jairzinho, Rivellino, Pelé, Tostao (“il Brasile ’70 era come la musica”, Rivellino3)Joachim Barbier, Louis Genot, Brasil 70 – Le Commandement des 10, So Foot n. 108; “giocavamo in modo inimmaginabile”, Jairzinho4)Germano D’Acquisto, L’uragano Jairzinho, Rivista Undici). Prima del nuovo ciclo vincente inaugurato nel 1994 e proseguito con successo sino a Corea/Giappone 2002, la selecao vive un lungo periodo di difficoltà nel quale manca la finale mondiale per cinque edizioni di fila, ma è in grado di offrire agli appassionati il mito di una squadra splendente, il Brasile del 19825)Vedi infra Spagna, 1982: V. La battaglia dei tre Imperatori (parte seconda).

Pare che il trionfo in terra asiatica sia semplicemente un’ulteriore, glorioso tassello di un dominio destinato a continuare negli anni a venire. È un’illusione perché l’inizio di una fase di declino è prossima: inclusa l’edizione del 2018, il Brasile non riuscirà più ad accedere alla finale Mondiale e raggiungerà, quale massimo risultato, la semifinale sui campi di casa del 2014 – il cui tremendo esito avrebbe con ogni probabilità reso preferibile un’eliminazione al primo turno. Il calcio odierno è sempre più diffuso, complesso, organizzato, e quindi difficile: per vincere non è sufficiente il nome, il prestigio o un stile di gioco inimitabile quanto ormai rintracciabile soltanto nei libri di storia calcistica.

Ma intanto, nell’anno di grazia 2002, il Brasile si crogiola nel suo nuovo trionfo, con i suoi talenti, una fama planetaria ineguagliabile e soprattutto con il suo penta, il quinto titolo mondiale. Che qualcuno venga a prenderci, se ne è capace. Perché finora nessuno ci è riuscito.

24 dicembre 2020

References   [ + ]

1. Ronaldo fulfils phenomenal resurrection, FIFA.com
2. Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, Baldini&Castoldi, 2014
3. Joachim Barbier, Louis Genot, Brasil 70 – Le Commandement des 10, So Foot n. 108
4. Germano D’Acquisto, L’uragano Jairzinho, Rivista Undici
5. Vedi infra Spagna, 1982: V. La battaglia dei tre Imperatori (parte seconda)