Il campionato europeo di calcio che precede la Coppa del 2002 – Euro 2000, ospitato congiuntamente da Belgio e Paesi Bassi – è stato definito il miglior torneo internazionale dell’era moderna1)Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012. Un’edizione del torneo senza dubbio avvincente, ricca di memorabili incontri, caratterizzata da un tasso tecnico notevole e soprattutto da novità importanti sotto il profilo tattico. Inizia infatti a diffondersi l’utilizzo del 4-2-3-1 nella disposizione degli uomini in campo, adottato in quell’occasione dalla nazionali francese, olandese e portoghese. Uno schema che godrà di grande fortuna per i vent’anni a seguire: nella sua particolare configurazione consente una decisa duttilità al gioco offensivo, togliendo riferimenti allo schieramento avversario, ma nel contempo richiede uno sforzo in copertura a buona parte degli elementi avanzati; è inoltre un impostazione di gioco facilmente adattabile ad altri schemi, o trasformabile in corso d’opera (4-4-2 con uno degli attaccanti più arretrato; 4-5-1; 4-3-3, come sta accadendo spesso in questa fase storica del gioco). La novità di schierare un’unica punta in campo diventerà uno dei tratti dominanti anche del Mondiale nippo-coreano.
Quattro grandi nazionali approdano in semifinale a Euro 2000. La Francia campione del Mondo si sbarazza della Spagna nei quarti di finale e poi affronta il Portogallo, una formazione emergente e di ottime prospettive. In finale approdano i francesi al termine di una sfida molto tirata e decisa al golden gol con un rigore calciato da Zidane. L’altra semifinale è Olanda – Italia, giocata ad Amsterdam e risoltasi in un incontro storico, uno dei più gradi zero a zero della storia del calcio. Gli orange sono i padroni di casa, schierano la stessa squadra che due anni prima ha disputato un grande Mondiale, paiono imbattibili e sono strafavoriti. Sulla panchina italiana siede Dino Zoff e fra gli azzurri inizia a brillare l’astro di Francesco Totti; interessante è anche il modulo dell’Italia, mutato dal campionato italiano, che consiste in un 3-4-3 in realtà difensivo, con due incontristi a centrocampo e quindi sei/sette giocatori deputati alla fase difensiva, e solo tre/quattro a quella offensiva. Partita al cardiopalma: Italia in dieci dalla mezzora, nella prima frazione è schiacciata dall’Olanda che usufruisce di un rigore, calciato da Frank de Boer e parato da Toldo; altro rigore per gli olandesi nella ripresa tirato da Kluivert sul palo, mentre gli italiani hanno l’occasione migliore dei supplementari con Del Vecchio; shoot-out finali, due tiri dal dischetto parati da Toldo – quel giorno immenso -, il panenka di Totti, una sfida che non si fa mancare niente e che spinge avanti l’Italia.
La finale europea di Rotterdam è il secondo atto della drammatica epopea calcistica che in quegli anni vede contrapposte le nazionali di Francia e Italia – così vicine, così rivali. È una partita molto intesa, non bella nel senso classico della parola; i favoriti sono ovviamente i campioni iridati della Francia, ma a sorpresa gioca meglio l’Italia e alla fine… vince la Francia. Ma nel modo più crudele possibile. In vantaggio nel secondo tempo con una rete di Del Vecchio su cross di Pessotto, gli azzurri sprecano due grosse opportunità per chiudere i conti, entrambe con Del Piero, e poi al terzo minuto di recupero Wiltord scappa sulla sinistra e realizza il pareggio. Si va ai supplementari con stati d’animo visibilmente e inevitabilmente sbilanciati a favore dei francesi, che oltretutto hanno già dimostrato di avere una certa dimestichezza con il golden gol, e all’ottavo minuto del primo tempo Trezeguet con una bella girata manda in rete il gol decisivo. Per gli italiani i bleus diventano un incubo. Francia campione continentale e realizzata la doppietta Mondiale – Europeo, in passato riuscita soltanto (in ordine inverso) ai tedeschi nella prima metà degli anni Settanta: il suggello di un evidente dominio francese sul calcio internazionale del periodo.
È totalmente inatteso quindi l’esito che il Mondiale di Corea e Giappone riserva alle protagoniste di quell’esaltante torneo continentale: le grandi di Euro 2000 non lasceranno altra traccia se non quella delle loro sconfitte. La nazionale olandese in Estremo Oriente nemmeno ci mette piede, ed è l’assenza più rilevante del torneo (altre assenze di un qualche peso, poi, riguardano Romania e Colombia). La mancata qualificazione orange rappresenta il clamoroso fallimento del ct Louis van Gaal, chiamato con molte aspettative sulla panchina dei Paesi Bassi in sostituzione di Rijkaard, che si era dimesso dopo l’eliminazione in semifinale nel corso degli Europei casalinghi. Giunge terza nel proprio girone la nazionale olandese, preceduta dal Portogallo – contro i quali raccolgono solo un punto in due partite – e dalla sorpresa delle qualificazioni: l’Irlanda.
Già all’andata gli irlandesi sfiorano la vittoria all’Amsterdam Arena grazie a una prestazione maiuscola: avanti due zero, solo nel finale l’Olanda riesce a raggiungere il pareggio. Diventa decisiva la sfida giocata il primo settembre 2001 al Lansdowne Road di Dublino. L’Olanda schiera come punta titolare un attaccante che si sta mettendo in luce per le sue notevoli qualità, Ruud van Nistelrooy, proveniente dal PSV Eindhoven e appena acquistato dal Manchester United; mancano però Frank de Boer e Davids, entrambi risultati positivi all’antidoping nei mesi precedenti e di conseguenza squalificati. È un’altra partita di calcio rimasta impressa nella memoria, senza esagerare. All’inizio la nazionale orange non sfrutta alcune buone occasioni, fra le quali una molto propizia capitata sui piedi di Kluivert con la palla che lambisce il palo; ma l’incontro pare mettersi in discesa per gli olandesi quando l’irlandese Kelly è espulso per doppia ammonizione, al tredicesimo della ripresa. Poco dopo un possibile fallo da rigore del portiere Given su van Nistelrooy non viene fischiato; al ventiduesimo la svolta: cross di Finnan in area, McAteer è solo, dimenticato dai difensori olandesi, e segna l’uno a zero. L’Olanda, con uomo in più ma prossima al disastro, inizia allora ad attaccare a testa bassa: Given esce su van Nistelrooy, la palla giunge in mezzo a Kluivert che a porta sguarnita dal portiere, tira a lato. Al fischio finale esplode lo stadio, l’Irlanda ha vinto! Poi per l’approdo al Mondiale sarà necessario un ulteriore passaggio, ovvero lo spareggio intercontinentale con l’Iran guidato dal croato Blazevic: forte del due a zero in casa, l’Eire perde a Teheran con il minimo scarto e stacca il biglietto per la Coppa del Mondo.
È il caso quindi di parlare della nazionale irlandese, che non sarà una grande d’Europa ma in Asia riesce a cavarsela discretamente. L’Eire è la solita formazione disciplinata e ben organizzata, provvista di esperienza (i giocatori militano tutti in Inghilterra) e priva di grossi nomi, salvo alcuni: Robbie Keane, attaccante del Leeds United che dopo il mondiale passerà al Tottenham, e che conquisterà il record presenze e gol con la sua nazionale; oppure Damien Duff, altro attaccante, in forza al Blackburn Rovers. Manca invece l’altro Keane, Roy, il capitano della squadra: già in campo nel Mondiale del ’94, nel frattempo è diventato un perno del centrocampo del Manchester United ed è il leader naturale della formazione irlandese. Ma ha un carattere tutt’altro che semplice.
Keane, che ha contribuito alla qualificazione della sua squadra, gioca l’ultima amichevole ufficiale con i suoi compagni e poi si imbarca per Saipan, un’isola sperduta in pieno Oceano Pacifico e teatro di una battaglia della Seconda guerra mondiale, dove la nazionale irlandese dovrebbe preparare il Mondiale (da cui il nome dato alla vicenda, Saipan incident). Alla partenza è piuttosto nervoso: critica le capacità organizzative della sua federazione – un pensiero per altro abbastanza diffuso in quegli anni fra i giocatori irlandesi -, nonché la gestione della squadra e le competenze allenatore. Durante il volo intercontinentale dichiara di aver visto lo splendido film di Michael Mann su Muhammad Alì (Alì, 2001) che lo rende ancora più bellicoso2)Barry Glendenning, World Cup stunning moments: Roy Keane walks out on Ireland, The Guardian, ma la goccia che fa traboccare il vaso è proprio il soggiorno a Saipan: il materiale di gioco non è arrivato in tempo sull’isola, i campi sono duri e rocciosi, e il tempo di riposo che stanno trascorrendo, anziché di reale allenamento, pare a Keane soltanto tempo sprecato. Una prima minaccia di abbandono è sventata grazie all’intervento del primo ministro irlandese, ma quando l’Irish Times rende pubblico il malumore di Keane, il commissario tecnico McCarthy lo affronta al cospetto del resto della squadra. I due hanno un pesante faccia a faccia: accusato di scarso impegno, Keane non lesina al suo allenatore una lunga sequela di insulti (“La parte più dura del corpo di Roy è la lingua. Ha la lingua più crudele che si possa immaginare”3)Andrea Romano, Icons – Roy Keane, QuattroTreTre, parole di Alex Ferguson). Roy Keane viene spedito a casa – o se ne va di sua volontà, non è mai stato chiarito: la notizia fa il giro del mondo, la squadra è schierata con McCarthy e l’Irlanda calcistica giocherà il Mondiale senza il suo uomo migliore.
Gli irlandesi affrontano un girone che vede la Germania come naturale favorita e l’Arabia Saudita come ultima ruota del carro: la sfida per il passaggio del turno è con il Camerun, che incontrano in occasione della prima partita. Gli europei soffrono gli africani per tutta la prima frazione e quindi il Camerun va in vantaggio con Mboma, magistralmente servito da una magia di Eto’o; nella ripresa un tiro da fuori di Holland entra nell’angolino basso della rete avversaria e fissa l’uno a uno finale. Decisivo è quanto accade nel recupero del secondo incontro che vede l’Irlanda opposta alla nazionale tedesca e sotto di un gol: lancio lungo dalle retrovie, tocco di testa di Quinn a liberare Keane che si infila con prepotenza fra due difensori tedeschi – un po’ statici – e segna. Lo stadio di Kashima, casa dei Kashima Antlers, pare pieno soltanto di irlandesi in tripudio. Dopo due pareggi l’Irlanda regola per tre a zero un’Arabia Saudita poco competitiva e si assicura il passaggio agli ottavi di finale, grazia anche alla sconfitta patita dai camerunensi contro la Germania. È la terza volta che l’Irlanda gioca il Mondiale, e in tutte e tre le occasioni ha superato la fase a gironi del torneo.
Non solo qualificazione alla fase finale della Coppa, ma anche l’approdo fra le prime sedici al mondo: niente da obiettare, è senza dubbio un bel lavoro quello che sta conducendo il ct McCarthy; una fetta ben consistente di tifosi però continuerà a identificarlo soltanto come il colpevole della lesa maestà nei confronti di Roy Keane. Pertanto a fine 2002 McCarthy sarà esonerato, sfruttando come giustificazione le difficoltà incontrate nel percorso per gli Europei del 2004. Dopo aver allenato diverse squadre inglesi, McCarthy tornerà sulla panchina dell’Eire parecchi anni dopo, nel 2018, per tentare di riportare la squadra ad un Mondiale che manca proprio dall’edizione 2002. E forse a quel punto anche i più ostinati riusciranno a perdonarlo.

Campione del Mondo in carica, campione d’Europa, vincitrice della Confederations Cup un anno prima e neo-campione mondiale under-17, la Francia si presenta all’appuntamento del 2002 senza passare dalle qualificazioni – e sarà l’ultima volta per la formazione che detiene il trofeo – in una solidissima posizione di forza. Secondo Cruyff i bleus sono un passo avanti a tutte le pretendenti4)Gareth Bland, The story of France’s failure at World Cup 2002, These Football Times. Roger Lemerre, prima vice di Jacquet e poi da quattro anni a questa parte commissario tecnico dei francesi, schiera un 4-2-3-1 per gran parte composto da giocatori iridati; ne sono parte i giovani attaccanti Henry e Trezeguet, ulteriormente maturati e cresciuti: entrambi hanno appena vinto il titolo capocannoniere nelle leghe di appartenenza, inglese (con l’Arsenal) e italiana (con la Juventus), e hanno anche conquistato il campionato. Se non bastasse, il reparto offensivo comprende anche il miglior marcatore stagionale nella Ligue 1, Cissé dell’Auxerre. La formazione francese mette in campo grande esperienza: nel primo incontro si contano in totale 652 presenze in nazionale, benché i difensori titolari inizino a essere un po’ attempati, nessuno di loro infatti ha meno di trent’anni.
Pochi giorni prima dell’inizio del torneo, ecco però aprirsi una prima crepa nel solido edificio dei transalpini: Zidane si è infortunato nel corso di un’amichevole contro la Corea. Il talento della nazionale – ancora stabilmente fra i due/tre migliori calciatori al mondo -, autore due anni prima di un grande Europeo e fresco vincitore della Champions League con la maglia del Real Madrid, deve saltare l’esordio mondiale, così come la seconda partita del girone. In aggiunta manca il possibile sostituto di Zizou, ovvero Pires dell’Arsenal, anch’egli vittima di un problema fisico e pertanto neanche convocato per il Mondiale. Lemerre proverà a rimpiazzare Zidane prima con Djorkaeff (già trentaquattrenne e sul crinale discendente della carriera), poi con Micoud, ma nessun rimedio risulta efficace.
Pertanto la selezione francese apre il campionato del Mondo, la sera del 31 maggio 2002 al World Cup Stadium di Seul, orfana del suo uomo chiave. Dall’altra parte del campo c’è il Senegal, i cui giocatori titolari – sconosciuti ai più – militano tutti nel campionato francese. Gli africani paiono in palla, nonostante partano nettamente sfavoriti, e tengono il campo senza timore; ma la prima vera azione pericolosa è di marca francese: azione centrale, Petit verso Henry, poi per Trezeguet, tiro e palo pieno alla sinistra del portiere.
L’evento decisivo dell’incontro prende forma alla mezzora di gioco. Djorkaeff perde palla a metà campo, quindi il senegalese Diouf scappa sulla fascia sinistra palla al piede, corre sino al fondo e serve in mezzo, dove il compagno Diop è stretto tra Lizarazu e Petit, che lo anticipa. La sfera sarebbe diretta a fondo campo, ma rimbalza su Barthez alla distanza di un metro, ritorna in mezzo e Diop ha gioco facile a spedirla in rete. L’autore del gol corre verso la bandierina, si toglie la maglietta e la pone a terra, invitando i compagni a circondarla; poi tutti assieme iniziano a danzare. Che sorpresa, il Senegal si è portato in vantaggio!
Sotto nel punteggio i francesi hanno poche idee, non creano granché, ma a partire dalla ripresa la pressione dei campioni in carica cresce. Trezeguet con un bel colpo di testa manda a lato di poco, poi all’undicesimo Henry indirizza fuori, sempre di testa, da buona posizione. Al ventesimo è però il Senegal a sfiorare il gol del raddoppio: Fadiga entra in area sulla sinistra, disorienta Lebeouf con un po’ di finte e poi scaglia una fiondata verso la porta francese che si stampa sulla traversa; si rivolge al cielo, il senegalese, forse a chiedere spiegazioni (o per bestemmiare). Un minuto dopo è Henry dalla parte opposta a cogliere la traversa, in questo caso senza chiamare in causa la divinità. Il Senegal mantiene lo stesso undici sino al termine; Henry ha ancora una buona possibilità allo scadere, ma il portiere senegalese Sylva è reattivo e para. Fischio finale, il Senegal ha vinto uno a zero.
Sarà stata anche un po’ sfortunata la squadra francese (dinamica del gol incassato, due legni colpiti a uno) e senza dubbio deludente, ma viste le premesse è un tonfo clamoroso, inaudito, storico: i campioni di tutto sono sconfitti all’esordio da un’africana – e nemmeno accreditata come la migliore del lotto. Per di più, una loro ex colonia. Ci sarebbe comunque ancora lo spazio per tentare un recupero e invece, da lì in avanti, per i francesi non c’è nient’altro che tracollo.
Al minuto venticinque del secondo incontro – di fronte, l’Uruguay – la Francia rimane in dieci: Henry cerca di avviare una ripartenza dalla propria trequarti, non controlla la sfera e preso dalla foga entra in tackle in modo piuttosto duro e con il piede a martello su Romero. L’uruguaiano vola in aria, l’arbitro sventola il rosso diretto, che ci può stare, ed Henry chiude così il suo disastroso torneo. I sudamericani avevano sfiorato il vantaggio poco prima con un tiro di Recoba, respinto da Barthez. Nonostante l’uomo in meno, i bleus giungono a pochi centimetri dal gol quando un calcio di punizione di Petit termina la propria corsa sul palo. Nella ripresa le due squadre cercano a più riprese la via del gol e sino alle fasi finali, quando Wiltord, servito in area da Lizarazu, è contrastato in maniera decisiva da un difensore avversario. È uno zero a zero che a Francia e Uruguay, entrambe reduci da una sconfitta nella prima gara, serve davvero poco.
Danimarca – Francia si gioca a Incheon, la città che ospita il porto e l’aeroporto (su di un’isola) di Seul, e che ormai è diventata un enorme sobborgo della capitale sudcoreana. Per la Francia è l’ultima spiaggia: deve assolutamente vincere, e poi fare i conti con l’esito dell’altro incontro; torna Zidane, è protagonista in campo, ma non basta. Sullo zero a zero Wiltord si costruisce una buona occasione con una discesa in area, ma conclude sul portiere. A metà del primo temo attaccano i danesi: cross di Tofting, i francesi scordano Rommendahl sulla destra, che infila in rete. Poi Zidane sfiora il gol con una palombella da fuori area.
La prima frazione si chiude con la Francia in svantaggio. Nella ripresa Barthez è chiamato a un gran salvataggio su Tomasson, ma il gol è solo rimandato: assist di Gronkjaer (entrato a metà gara al posto di Jorgensen e trasformatosi in una spina continua nel fianco destro francese), tocco a rete di Tomasson. Dieci minuti dopo Trezeguet coglie per la Francia l’ennesimo legno del suo mondiale asiatico, e la partita si chiude sul due a zero per gli scandinavi.
Passano il turno a sorpresa le nazionali di Danimarca e Senegal. I francesi tornano a casa dopo appena tre incontri, gravati da errori, una certa dose di sfortuna e un approccio totalmente errato al Mondiale, figlio forse di eccessiva supponenza e arroganza. Lemerre paga per tutti e viene esonerato. Per trovare l’ultima squadra eliminata al primo turno da campione in carica bisogna risalire al 1966 (il Brasile, nella fattispecie bi-campione), ma soprattutto è la prima volta che i detentori del titolo lasciano il torneo senza vincere un incontro e senza segnare nemmeno un gol. Avvia altresì la singolare tradizione che vedrà sino ai giorni nostri, salvo nell’edizione successiva, la squadra campione sempre fuori al primo turno.
È una Waterloo epocale per i francesi, che si inserisce nel progressivo sgretolarsi di quell’idea di nazionale (e di nazione) multietnica e vincente, così in auge solo quattro anni prima. Il 6 ottobre 2001, pochi giorni dopo l’attacco terroristico all’America, era stata organizzata a Parigi un’amichevole tra la nazionale francese e l’Algeria, la storica colonia martoriata dai francesi nella lunga guerra di liberazione. È la prima sfida tra le squadre; l’evento vorrebbe rappresentare una sorta di pacificazione attraverso il calcio e sotto l’egida di Zinedine Zidane, l’eroe dei bleus figlio dell’immigrazione algerina. Ma finisce tutt’altro che in pace. Lo stadio è pieno di algerini che fischiano l’inno dei padroni di casa, i giocatori francesi non la prendono bene e segnano quattro gol; ci sono tentativi di invasione del campo da parte dei tifosi algerini, lanci bottigliette d’acqua verso la tribuna dove siede il primo ministro Jospin e la partita viene così interrotta a un quarto d’ora dal termine, con gli agenti antisommossa schierati sul prato verde dello Stade de France. Fischi alla Marsigliese negli stadi francesi si ripeteranno anche negli anni a seguire, durante le partite disputate dai bleus con il Marocco (2007) e con la Tunisia (2008)5)Andrea Costanzo, Come la politica ha usato il calcio in Francia, l’Ultimo Uomo, mentre nel 2019 le vittorie algerine in Coppa d’Africa saranno il pretesto per violenti disordini lungo le strade francesi.
L’anno del Mondiale asiatico è anche l’anno delle elezioni presidenziali francesi, nel corso delle quali un candidato di estrema destra raggiunge il ballottaggio, poi sconfitto. C’è pure un rigurgito neofascista ad accompagnare tutto il resto: le cicatrici del colonialismo ancora sanguinanti, l’estremismo islamista in cerca di proseliti, la mai risolta questione dei ghetti urbani incubatori della rabbia immigrata… e la nazionale fuori al primo turno nel campionato nel Mondo. Per la Francia, la trionfale passerella sugli Champs-Elysees del luglio ’98 sembra ormai diventata solo un ricordo relegato nei libri di storia.
24 dicembre 2020
References
1. | ↑ | Jonathan Wilson, La piramide rovesciata, Edizioni Libreria dello Sport, 2012 |
2. | ↑ | Barry Glendenning, World Cup stunning moments: Roy Keane walks out on Ireland, The Guardian |
3. | ↑ | Andrea Romano, Icons – Roy Keane, QuattroTreTre |
4. | ↑ | Gareth Bland, The story of France’s failure at World Cup 2002, These Football Times |
5. | ↑ | Andrea Costanzo, Come la politica ha usato il calcio in Francia, l’Ultimo Uomo |