La bellissima immagine aerea del Cristo Redentore che svetta sul Corcovado, inquadrato in primo piano dalla regia televisiva con l’Estadio Maracanà sullo sfondo, è il dolce preludio alla finale del campionato del Mondo di calcio, edizione 2014. A Rio de Janeiro sono le quattro del 13 luglio: in un piacevole tardo pomeriggio di sole, le nazionali di Germania e Argentina scendono in campo una di fronte all’altra a giocarsi il titolo per la terza volta – ed è record – in meno di trent’anni. L’undici tedesco è così composto: Neuer; Lahm, Boateng, Hummels, Howedes; Kramer, Schweinsteiger, Kroos; Muller, Klose, Ozil. La formazione argentina è questa: Romero; Zabaleta, Demichelis, Garay, Rojo; Perez, Biglia, Mascherano, Lavezzi; Messi; Higuain. I tedeschi lamentano la defezione di Khedira causa infortunio al polpaccio, sostituito da Low con il giovane Kramer. Gioca ancora Perez al posto di Di Maria fra gli argentini, partendo però da sinistra; Aguero ha recuperato dall’infortunio ma titolare resta Lavezzi, schierato sulla fascia destra nello schema 4-4-1-1 adottato da Sabella. Arbitra l’italiano Rizzoli. Ci sarà correttezza in campo, e quindi un clima decisamente diverso da quello diffuso, a essere chiari per volontà essenzialmente argentina, nella finale di ventiquattro anni prima.
Sono giunti a Rio centomila argentini, non tutti sono allo stadio ma il tifo per l’albiceleste è prevalente; ci sono però anche molti tedeschi al Maracanà e i brasiliani, nonostante la sconfitta in semifinale, parteggiano per loro, per non dover assistere alla scena dei nemici argentini che gli alzano la coppa in faccia. In tribuna il cancelliere tedesco Angela Merkel siede a fianco della presidente brasiliana – all’apparenza un po’ disinteressata all’evento, mentre manca la presidente argentina Cristina Fernandez de Kirchner. Sì, sono tre donne, in tal senso il mondo sta cambiando in meglio.
Subito aggressiva la selezione tedesca che opera in pressing e cerca il controllo della sfera. Al terzo minuto gli europei possono sfruttare un calcio di punizione da discreta posizione: discutono in sei prima di calciare, alla fine batte Muller contro la barriera. Con metà dei giocatori tedeschi ammucchiati sulla trequarti avversaria, ne nasce uno scontato contropiede argentino concluso da Higuain, che dalla destra calcia rasoterra poco oltre il palo lontano. L’episodio evidenzia l’accorto atteggiamento degli argentini che restano coperti ma sanno rendersi pericolosi quando prendono palla e verticalizzano immediatamente, come accade al nono minuto: Messi scappa a Hummels sulla destra e mette in mezzo, Schweinsteiger ben piazzato rinvia. Proprio dalla fascia destra, con Messi e Lavezzi, la seleccion crea le azioni d’attacco più interessanti.
La sfida prosegue sul medesimo binario, ovvero la continua pressione tedesca che trova sbocchi solo nei molti cross diretti verso Klose, mentre l’Argentina aspetta bassa e difende bene. Al sedicesimo si registra un episodio in potenza drammatico, ma per fortuna solo buffo. Kramer riceve un colpo in testa dalla spalla di Garay, rimane a terra, poi si rialza e continua la sua gara. Ma dopo alcuni minuti si avvicina all’arbitro e gli chiede se quella che sta giocando sia davvero la finale. Allora Rizzoli avverte il capitano tedesco in merito allo stato del suo compagno e Kramer lascia il campo, con lo sguardo perso nel vuoto, ma comunque senza riportare serie conseguenze; al suo posto entra Schurrle che si piazza a sinistra, con Ozil in mezzo e Muller sulla destra nella nuova configurazione tedesca disegnata sul 4-2-3-1. Dirà poi Kramer di non ricordare più niente, né della partita, né del dopo partita.
Intanto, al ventunesimo, a sorpresa l’Argentina è arrivata a un soffio dal gol del vantaggio. Retropassaggio sbagliato e suicida di testa verso il proprio portiere compiuto da Kroos, autore forse del suo unico errore in tutto il torneo, ma potenzialmente devastante; Higuain va sulla sfera, è tutto solo davanti a Neuer, ma calcia fuori! L’occasione da rete sprecata dalla seleccion è gigantesca e induce tutti gli argentini a portarsi le mani nei capelli, poiché difficilmente i tedeschi offriranno di nuovo un regalo di questo tipo. La mannschaft ora accusa alcune difficoltà. Un primo cartellino giallo è sventolato a Schweinsteiger per fallo su Lavezzi, che pare in forma e fa impazzire i tedeschi, e poi un altro giallo lo riceve Howedes. Alla mezzora Messi sulla destra serve Lavezzi, palla in mezzo per Higuain che stavolta tocca in rete ma il gol è annullato per fuorigioco, con l’attaccante argentino che esulta inutilmente. Risponde la Germania: dalla fascia Muller passa indietro a Schurrle che tira a rete e Romero respinge, ma sulla traiettoria del tiro Ozil era in posizione irregolare. Poi è ancora Messi a sfondare sul lato destro, dove i tedeschi stanno soffrendo terribilmente.
Ma dopo i rischi corsi, la Germania si desta e chiude il tempo in crescita e in attacco: calcio d’angolo, arriva Howedes tutto solo e impatta la sfera di testa, molto bene, con Romero che resta immobile, e prende in pieno il palo! È la migliore occasione tedesca di tutto il primo tempo, forse l’unica vera e propria palla-gol che hanno avuto, e proprio con il giocatore, il difensore, che in questi quarantacinque minuti ha sofferto di più.
Il riposo interrompe una partita molto tattica con ruoli ben definiti, cioè i tedeschi che controllano il gioco e hanno una netta prevalenza nel possesso della sfera – a fine gara il bilancio sarà 60 a 40 pro Germania – e gli argentini che giocano di rimessa ma con efficacia, tanto da rendersi maggiormente pericolosi degli avversari. È stato comunque un primo tempo piacevole e di sicuro la parte migliore di tutto l’incontro. La squadra tedesca è condotta in prima persona da Schweinsteiger e Lahm; gli attaccanti invece sono latitanti, quasi sempre sovrastati dai difensori argentini. Fra gli avanti in biancoceleste – veramente stasera in completo blu -, Messi si è acceso ma solo a sprazzi, mentre sulla prestazione di Higuain grava il fardello del gol sbagliato. Chiave di lettura principale della partita è il modo in cui gli argentini sono stati finora in grado di imbrigliare ad hoc il gioco della formazione tedesca, la quale forse sta pagando l’eccessiva sicurezza, l’assenza di Khedira e il cambio di modulo in corso d’opera – elencati in ordine sparso. Soprattutto il centrocampo dei latinoamericani, in fase di non possesso, pare impeccabile.
La ripresa delle ostilità calcistica offre una sorpresa: Lavezzi, giudicabile come il migliore in campo in assoluto, lascia il terreno di gioco per Aguero; non ci sono questioni di tipo fisico, è una scelta tecnica di Sabella che trasforma la disposizione tattica dei suoi in un 4-3-1-2, con Messi alle spalle di Higuain e del neo-entrato. La seleccion si mostra più propositiva per almeno mezzora – ma con un’evidente tendenza al ribasso man mano che il tempo scorre; come idea poteva anche funzionare: però, valutando lo prestazione odierna di Lavezzi e lo stato di forma di Aguero nel torneo, sembra un azzardo eccessivo, e in ultima analisi sarà un errore. Come detto, l’Argentina inizia il secondo tempo in gran spolvero, i tedeschi soffrono il gioco verticale della seleccion. Biglia serve Messi sul filo del fuorigioco, la Pulce riceve, si presenta libero davanti a Neuer ma spedisce fuori. Brutto errore e da lì in avanti Messi si eclissa. Intanto si gode ancora dell’immagine del Cristo Redentore, braccia spalancate davanti al sole gigantesco e il cielo rosso al tramonto.
C’è un tentativo di una Germania un po’ imballata al quarto d’ora, ovvero un cross di Muller dalla destra per Klose che colpisce di testa e la presa di Romero è semplice. Mascherano riceve l’ammonizione per un fallo su Klose che a metà campo gli era scappato via, e poi il giallo arriva anche per Aguero che entra duro su Schweinsteiger, in una delle poche occasioni in cui si noterà la presenza in campo dell’attaccante argentino. Al momento è una mannschaft lenta rispetto al solito; fisicamente sembrano messi meglio gli argentini, ma è solo un’impressione. In ogni caso l’intensità dell’incontro sta calando al crescere della tensione e anche del gioco duro; i tifosi argentini sugli spalti ne approfittano per intonare il canto che ricorda la vittoria sul Brasile del 19901)Vedi infra Italia, 1990: IV. Argentina, ancora tu, i brasiliani rispondono con i fischi. Al settantacinquesimo un tentativo di Messi da fuori area, ben contrastato da Howedes, esce nettamente. Poi Sabella manda in campo Palacio al posto di Higuain.
Ecco che però negli ultimi minuti della frazione di gioco, come accaduto nel primo tempo e come accadrà anche in seguito, la Germania fiuta l’odore degli attimi decisivi e si getta in attacco, destabilizzando l’assetto difensivo degli argentini. Senza dubbio questa Germania è una squadra dal forte carattere. A dieci dal termine Muller, in crescita rispetto al primo tempo, pesca nel cuore dell’area Schurrle, ma costui tergiversa ed è contrastato con successo dai difensori avversari; poco dopo Ozil scappa a destra, mette dietro per Kroos che è indisturbato ma cerca di piazzarla anziché concludere con forza, e indirizza fuori una buona possibilità. I tecnici operano altri cambi: Gago al posto di Perez per gli argentini; fra i tedeschi, Klose lascia il campo e al suo posto entra Gotze. È l’ultima apparizione di Klose in nazionale, e lo stesso vale per Lahm e Mertesacker, il quale entrerà in campo nel corso dell’ultimo minuto dei supplementari. Una finale mondiale, due semifinali: Klose si accomoda in panchina e aspetta di vedere se potrà concludere la sua strepitosa esperienza in nazionale con il titolo di campione del Mondo.
Fischio ripetuto dell’arbitro, Germania – Argentina è ancora sullo zero a zero. Per la settima volta nella storia del campionato, per la terza volta consecutiva, non bastano novanta minuti per designare la vincitrice tra le due contendenti e la finale di Coppa del Mondo prosegue con i tempi supplementari. Le due squadre iniziano subito con grande intensità. La Germania ha una chiara possibilità di segnare grazie a un assist di Gotze per Schurrle – segnarsi i nomi, prego -, ma il tiro di quest’ultimo è respinto da Romero. Risponde l’Argentina e servono due ottimi interventi difensivi di Boateng (cresciuto progressivamente nell’incontro) e Hummels per evitare danni. Importante palla-gol argentina al settimo minuto: lancio in area di Garay verso Palacio e questa volta Hummels manca la sfera; è pronta l’uscita a coprire lo specchio con tutta la sua mole di Neuer, che però è scavalcato da Palacio con un pallonetto: la sfera esce di poco, a fil di palo, seppur sotto il controllo di Boateng.
Il primo tempo supplementare è stato la copia del primo regolamentare, con tanto possesso tedesco intervallato da efficaci lampi offensivi degli argentini; invece nel secondo supplementare pare sia rimasta soltanto una squadra a credere alla vittoria prima dei rigori, cioè la nazionale tedesca. E per questo sarà premiata. La seleccion argentina, gravata dagli sforzi della gare precedenti, ha già dato tutto, gli ultimi colpi li ha battuti nei quindici minuti precedenti; e poi comincia a essere troppo fallosa: Aguero colpisce Schweinsteiger sotto l’occhio, scende il sangue, e rischia pertanto il secondo giallo, così come Mascherano poco prima per un intervento duro sempre su Schweinsteiger; poi ancora Palacio ferma Lahm tirandolo per la maglietta.
Arriviamo allora al minuto ottavo del secondo tempo supplementare, e all’ottavo minuto bisogna fermarsi un attimo per raccontare le particolari storie di due giocatori, Andre Schurrle e Mario Gotze, perché saranno proprio loro gli uomini del momento. Schurrle è in campo in qualità di sostituto di un sostituto; è protagonista di un gran Mondiale di cui forse si sono accorti in pochi ma, partendo sempre dalla panchina, ha segnato tre gol, tra i quali quello importantissimo che ha sbloccato la difficile partita contro Algeria. È un soggetto polivalente, abbastanza simile a Muller; gira diverse squadre di club, senza raccogliere molti titoli. Pochi mesi dopo la Coppa, a fine 2014, succede l’imprevisto che muta in modo irreversibile il corso della sua carriera: durante una trasferta in Polonia, dopo aver mangiato del pollo contaminato Schurrle contrae salmonellosi e da lì in poi non riuscirà più ad esprimersi sul campo di calcio come prima. Passa gli ultimi anni da professionista tra inquietudini e dubbi, sino a decidere di smettere a soli ventinove anni.
Mario Gotze ha perso il posto di titolare della mannschaft dopo la partita degli ottavi contro gli algerini. Quando Low lo ha mandato in campo intorno al novantesimo della finale, gli ha detto: “Vai e fai vedere che sei meglio di Messi”. Gotze è giovane nel 2014, è nato infatti nel ’92 e un futuro di fuoriclasse di portata internazionale pare appartenergli senza ombra di dubbio; invece negli anni successivi ha una parabola discendente imprevista e repentina, con qualche sporadico segnale di ripresa che non inverte una rotta evidente. Patisce infortuni, soffre di un problema al metabolismo difficile da gestire per un’atleta, e inevitabilmente i limiti fisici si trasmettono al cervello, generando insicurezza.
All’apparenza due storie di insuccesso e dal triste epilogo, quelle di Schurrle e di Gotze – che sono tra l’altro amici -, e in parte è proprio così. Ma, verrebbe da dire, cos’altro puoi o vuoi fare nella vita dopo quello che è successo all’ottavo minuto della finale mondiale 2014… Schurrle prende palla a centrocampo, avanza sulla fascia sinistra, e nel frattempo Gotze, sfuggendo al controllo di Demichelis, scatta verso l’area di rigore. Schurrle lo vede e lancia la sfera verso di lui, verso Gotze che ora è solo nel cuore dell’area argentina, in prossimità dell’area piccola e spostato sulla sinistra; Gotze prende davvero di parola l’invito del suo tecnico: salta e stoppa di petto, si gira e tira al volo di sinistra, quasi con la punta, veloce ad anticipare l’uscita del portiere. Un’esecuzione splendida, istantanea, decisa e soprattutto precisa: la palla corre verso il palo lungo alla sinistra di Romero ed entra in rete. Rete! Germania uno, Argentina zero. È il gol che può valere la Coppa del Mondo.
Prima volta in tutto il campionato nella quale gli argentini si ritrovano in svantaggio, primo gol incassato nella fase a eliminazione diretta, e fa terribilmente male. La compagine sudamericana tenta una reazione che si appoggia soprattutto sulla spinta di Rojo, attivo lungo la fascia destra: proprio su Rojo deve uscire prontamente in presa Neuer, ma niente di veramente pericoloso. Muller sfodera una grande azione sulla sinistra ma la conclude con un misto insipido tra un tiro e un passaggio in mezzo, quindi senza esito. Cercato dalle telecamere, Messi ha un’aria disperata, mentre sugli spalti un bambino con la maglia argentina piange. In pieno recupero Mascherano avanza imperioso e serve sulla trequarti tedesca Messi, che viene steso da Schweinsteiger. L’ultima possibilità argentina è questo calcio di punizione, però piuttosto distante dalla porta tedesca: tira Messi, il pallone finisce altissimo. Scende il sipario sulla finale mondiale – la Germania ha vinto.

Tedeschi campioni del Mondo per la quarta volta nella storia, un titolo meritato per un percorso contraddistinto da diciotto gol fatti e quattro subiti. Il giorno dopo la finale una grande folla sotto il sole acclama con gioia i neo-campioni per le strade di Berlino e alla Porta di Brandeburgo. Ma la finale è stata davvero equilibrata: l’Argentina, sfavorita nettamente alla vigilia, qualche motivo per mangiarsi le mani ce l’ha poiché ha disputato una partita molto attenta e disciplinata, e ha avuto pure le opportunità per segnare. Tra l’altro l’andamento della sfida è stato identico a quello dell’ultimo atto nel torneo precedente. È poi la quarta sconfitta consecutiva degli argentini contro i tedeschi ai Mondiali, la terza negli ultimi tre campionati. Iniziano a soffrirli parecchio. Però per la nazionale argentina il problema autentico è ormai costituito dalle ripetute sconfitte in finale, con conseguente fame di titoli che morde sempre di più, stante l’ultima affermazione che risale alla Copa America del ’93: ha perso le finali continentali nel 2004 e nel 2007, in mezzo la Confederations Cup del 2005, e dopo la Coppa del Mondo perderà finali anche nei due anni a seguire. E in tutti questi anni i talenti in maglia biancoceleste non sono certo mancati.
Il valore di questo Mondiale è racchiuso nella storia delle quattro semifinaliste: sono tutte selezioni già titolate – dieci nel complesso – salvo l’Olanda, che assume il ruolo della grande incompiuta nella Fifa World Cup con tre finali, due semifinali e mai una vittoria. È il riepilogo dei rapporti di forza che periodicamente la Coppa disegna nelle sue gare di semifinale: 1970, 1990, 2014. Manca l’Italia, in decadenza. È un Mondiale dal sapore latinoamericano vinto alla fine ancora da un’europea, per la terza volta di fila, ed il terzo titolo consecutivo alla stessa confederazione, l’Uefa, rappresenta una novità assoluta. Germania e Argentina hanno chiuso davanti a tutte, seguite da un manipolo di squadre: le nuove sudamericane Cile e Colombia; le arrembanti Belgio e Francia; la conferma Olanda; il Brasile del fattore campo. Il tutto in un contesto di ampio equilibrio, per il quale la metà degli incontri a eliminazione diretta (otto) ha richiesto i tempi supplementari, mentre quattro sono stati poi decisi ai tiri di rigore. Poi c’è l’altro portato storico del torneo, come già detto altrove: la selecao brasiliana non è più la squadra da battere. C’è stato un passaggio di consegne tra Brasile e Germania come selezione di riferimento? Sul momento pare proprio di sì, ma gli eventi del Mondiale successivo apriranno un grosso dubbio al riguardo.
In questo torneo è evidente il rafforzamento dei tratti del nuovo calcio. Fioccano i gol e sono parecchie le partite divertenti, soprattutto nella prima fase – poi inizia a prevalere la prudenza. Ma cresce la media-gol raggiungendo il livello di 2,7 reti a partita, come nel 1998; oltre metà dei gol sono segnati dagli attaccanti, una percentuale mai raggiunta negli ultimi tornei, frutto anche di una prodigiosa generazione di grandi attaccanti. Si è visto spesso un possesso palla non sterile, l’attenzione al pressing, e poi un elemento importante di ulteriore novità, quasi a controbilanciare alcune forzature dominanti: l’efficacia delle transizioni veloci, che in trentaquattro occasioni si sono concluse con una marcatura. Non è in contraddizione con i canoni del nuovo calcio, ma in aggiunta, perché il cuore del discorso è la velocità di gioco. Non a caso Brasile 2014 è stato definito come il più veloce Mondiale di sempre2)Trends, 2014 FIFA World Cup Brazil – Techinical report and Statistics. Comunque, in soldoni, rispetto alle ultime edizioni è migliorato il livello spettacolare del Mondiale.
Un dato interessante che ci consegna il tradizionale rapporto Fifa riguarda il calo costante degli infortuni nel corso dell’intera fase finale del Mondiale, passati da un massimo di 2,7 di media a incontro durante il torneo 2002, a 1,7 in questa edizione. È una riduzione del 40%3)Medical report, 2014 FIFA World Cup Brazil – Techinical report and Statistics ed è un ulteriore contributo al piacevole godimento e svolgimento del gioco. E poi cresce ancora l’importanza delle sostituzioni, tanto che prende piede sempre di più l’idea per la quale un intelligente e tempestivo utilizzo dei cambi possa diventare un’arma per stravolgere l’andamento di un incontro e per determinarne radicalmente l’esito. Si registra il record di marcature provenienti dalla panchina: alla fine saranno trentadue. L’esempio lampante è quello di Schurrle e Gotze, l’accoppiata di giocatori non titolari che ha preso la scena in finale; oltre tutto con il suo gol Gotze è stato il primo calciatore di sempre a decidere un Mondiale nella posizione di subentrato a gioco in corso.
Intanto, il mondo del calcio che i tedeschi hanno conquistato – esplode. Quel processo di diffusione, commercializzazione e globalizzazione del gioco già evidenziato periodicamente su questi schermi (1974; 1998) compie un nuovo, prodigioso salto in avanti e trova nel campionato del Mondo l’immediato riflesso. Tre virgola due miliardi di esseri umani hanno visto almeno un pezzo di Brasile 2014: vuol dire la maggior parte della popolazione adulta del pianeta. In parallelo emerge ormai consolidato l’uso di internet per la fruizione mediata del gioco, se si considera, fra gli altri dati, come tra maggio e giugno 2014 il sito della Fifa abbia registrato l’accesso di quarantanove milioni di visitatori mensili unici, cifra ragguardevole all’epoca, segnando inoltre un aumento sul periodo precedente del 136%4)Brizzi Riccardo, Sbetti Nicola, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930 – 2018), Le Monnier, 2018.
Il calcio è sempre più inserito nel mercato internazionale e riflette di conseguenza il sistema di divisione del lavoro applicato su scala internazionale. Prendiamo i palloni. La maggior parte dei palloni da football del mondo sono prodotti in un unico posto che si chiama Sialkot, è in Pakistan ed è l’antica Segala conquistata da Alessandro Magno e poi capitale di uno dei successivi regni indo-greci. Verso la fine dei Novanta erano sorte polemiche a causa delle voci documentate di un massiccio sfruttamento della forza lavoro in condizioni pessime, ma in particolare per l’utilizzo di bambini nel processo di produzione; poi la situazione è migliorata, almeno lì – altrove, lontano dai riflettori, non credo. Il sistema calcio intravvede possibilità di sviluppo in campi a sé estranei, commerciali e non, li trasforma in realtà attigue e li invade, generando profitti: è così per i videogiochi; per il settore delle scommesse; per il mondo ancora vergine e ai più sconosciuto, all’epoca, dell’elaborazione dati; e per i social-media, di lì a breve indispensabile approdo di qualsiasi attore calcistico.
Le squadre di calcio, i club principali, sono vere e proprie imprese: vengono studiate da importanti analisti finanziari (assume notorietà il dettagliato e competente rapporto annuale che la Deloitte dedica alle entrate delle maggiori società) e soprattutto iniziano a generare direttamente profitti. Pertanto diventano oggetto di processi di acquisizione, come ogni altra azienda inserita nel sistema di concorrenza globale. I club europei, i più remunerativi, ricevono l’attenzione di investitori provenienti da ovest e soprattutto da est: quindi, oltre a nuovi padroni americani (vedi Manchester United e Liverpool), si assiste a società che passano in mano a potentati economici di marca russa (Chelsea), mediorientale (Manchester City, che prima ancora è stato thailandese, Paris Saint-Germain), cinese (Inter), ma questi sono solo alcuni esempi. Per di più l’assetto proprietario di PSG e City è facilmente riconducibile ai governi – monarchie autoritarie – di Qatar e Dubai. E l’assegnazione dei futuri campionati del Mondo riprende quasi alla lettera l’elenco appena abbozzato.
Ma il cuore del calcio rimane nettamente europeo. Ci provano in Cina in quel periodo a sviluppare un competitivo campionato locale e a tal fine vengono acquistati da club cinesi alcuni giocatori di fama internazionale, a costi faraonici e decisamente insensati; poi ci ripensano, su direttiva giunta dall’alto, ma in ogni caso non stava veramente funzionando. È evidente che la possibile emersione di nuove leghe calcistiche nazionali incontra un limite invalicabile se posta di fronte dell’enorme crescita – sotto tutti i punti di vista – di poche squadre europee, ormai proiettate verso la fama planetaria grazie alla diffusione dei mezzi di comunicazione di massa. Le entrate del calcio in Europa stanno per superare o già superano quelle derivanti da tradizionali settori dello spettacolo, dell’intrattenimento, della cultura, quali editoria, cinema e musica.
E – attenzione – il calcio diventa sempre più centrale nell’ambito del discorso politico e della sua propaganda, ma non soltanto come strumento di vero e proprio consenso (perché non sarebbe una novità). Nel 2016, nella Cina di Xi Jinping, viene varato un piano che ha l’obiettivo immediato di diffondere il calcio fra giovani e a medio termine di trasformare la nazionale cinese in una potenza calcistica, finalità da raggiungere entro il 20505)Giorgio Cuscito, La Cina nel pallone, Limes n. 5/2016 Il potere del calcio. Non necessariamente il vertice del Partito Comunista Cinese è tifoso (però pare che Xi sia appassionato al gioco per davvero); significa utilizzare il calcio come strumento di soft power nell’agone internazionale, l’approccio che per forza di cose accompagna il processo di potenza e di proiezione imperialista di un paese, nel caso di specie la Cina. Dunque, il calcio è un’ulteriore freccia a disposizione dell’armamentario ideologico dei governi e in questa ottica vanno interpretati anche i massicci investimenti nel gioco portati a termine dalle autocrazie mediorientali. Ma ancora non basta. Sembra che in prospettiva il successo in ambito calcistico – o meglio, la sua narrazione, indirizzata a precisi fini più o meno occultati – stia diventando una sorta di indicatore per giudicare la condizione di salute, di forza, di benessere di un nazione, come illustrato a perfezione nelle parole di David Goldblatt: “sotto l’implacabile occhio della copertura televisiva, le prestazioni delle nazionali sono trattate da politici, stampa e opinione pubblica come rituali patriottici, e come la misura dello stato della nazione”6)David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019.
Che si diceva già in Fever Pitch, il film del ’97?
“– It’s only a game.
– Don’t say that! Please! That is the worst, most stupid thing anyone could say! It quite clearly isn’t only a game”.
1 marzo 2022
References
1. | ↑ | Vedi infra Italia, 1990: IV. Argentina, ancora tu |
2. | ↑ | Trends, 2014 FIFA World Cup Brazil – Techinical report and Statistics |
3. | ↑ | Medical report, 2014 FIFA World Cup Brazil – Techinical report and Statistics |
4. | ↑ | Brizzi Riccardo, Sbetti Nicola, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930 – 2018), Le Monnier, 2018 |
5. | ↑ | Giorgio Cuscito, La Cina nel pallone, Limes n. 5/2016 Il potere del calcio |
6. | ↑ | David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019 |