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Brasile, 2014
VII. La ricostruzione tedesca

La mannschaft giunge in Brasile forte di un percorso quasi netto nelle qualificazioni: nove vittorie e un solo pareggio, un rocambolesco quattro a quattro conseguito contro la Svezia a Berlino, dopo un parziale vantaggio di quattro a zero per i tedeschi rimasto tale sino a mezzora dal termine (poi la nazionale svedese sarà eliminata ai play-off dal Portogallo). L’ultima sconfitta tedesca risale al 2013, negli Stati Uniti. È valido anche il rendimento che la Germania riesce a ottenere nel corso delle amichevoli pre-mondiali. Si tratta di partite nel complesso impegnative che la vedono vincente nei confronti di Inghilterra, Cile e Armenia, mentre sono pareggiate le sfide con Italia, Polonia e Camerun.

Al contrario, l’appuntamento con gli Europei del 2012 si è risolto in una parziale e imprevista battuta d’arresto. Per la Germania sono tutte vittorie sino in semifinale ed è reale la prospettiva di lanciare una nuova sfida alla selezione spagnola, vincitrice dei due ultimi confronti importanti (finale europea, semifinale mondiale), quindi l’autentico rivale del periodo nonché il punto di riferimento del movimento calcistico per nazionali. Ma i tedeschi incappano nella consueta bestia nera che assume le fattezze di un’Italia in stato di grazia e cadono al penultimo gradino. In ogni caso è dal 2006 che la Germania rimane ininterrotta protagonista dei grandi appuntamenti internazionali. Manca soltanto il suggello di un trionfo.

Principale artefice di tutto ciò, dalla posizione di comando della panchina tedesca, è Joachim Low, vice di Klinsmann dal 2004 e poi commissario tecnico due anni dopo in seguito al Mondiale casalingo: in carica sino al 2021, il suo incarico di allenatore è corrisposto quasi totalmente al cancellierato di Angela Merkel nel governo del paese. Da giocatore Low ha militato come attaccante, tra la fine dei settanta e gli ottanta, nell’interessante Friburgo di quegli anni e poi nel Karlsruhe, una delle prime formazioni tedesche del periodo a superare l’abitudine della difesa a cinque; come tecnico si fa notare alla guida dello Stoccarda, poi allena anche altre formazioni, ma senza conseguire successi di rilievo. Freddo almeno all’apparenza ma di certo calmo, compassato, professionale ed anche elegante, diventa uno dei commissari tecnici più importanti della storia della mannschaft, ovvero coloro i quali – e sono quattro – possono fregiarsi dell’alloro mondiale.

La gestione Low si inserisce appieno nel contesto di novità che sta attraversando il calcio e al cui interno il nostro si ritrova come un pesce nell’acqua. Ricordiamo poi che da un anno a questa parte staziona in Germania un personaggio come Guardiola, precisamente a Monaco, ma in ogni caso non è il solo in terra tedesca a diffondere i principi tattici più innovativi. Low trasporta in nazionale le idee più interessanti: ad esempio, sfruttando anche la disponibilità di un portiere tecnico come Neuer, applica in senso costruttivo il metodo della salida lavolpiana tramite l’uso di un centrocampista che si abbassa a formare un triangolo con i difensori centrali (tecnica che sta prendendo piede anche in altre selezioni presenti al Mondiale)1)Technical and tactical analysis, 2014 FIFA World Cup Brazil – Techinical report and Statistics. Assume la lezione spagnola sul controllo palla, ma a differenza degli iberici vi aggiunge maggiori e improvvise verticalizzazioni. “Vogliamo il possesso, certo, ma questo rappresenta soltanto uno degli elementi nel nostro gioco. Cerchiamo di mantenere la palla bassa, di evitare lanci lunghi e palloni alti, e soprattutto inseguiamo transizioni veloci2)Germany takes ‘tiki-taka’ to another level, USA Today.

Bene o male la Germania è la squadra di giovani del 2010 con quattro anni di esperienza in più. Low offre alla sua nazionale una spiccata capacità di mutare l’assetto di gioco – una tendenza comunque piuttosto diffusa tra le selezioni in gara, ma che nel caso della Germania può giovarsi delle notevoli doti degli interpreti selezionati, molti dei quali sono giocatori in grado di ricoprire più ruoli in campo e pure provvisti di una tecnica non comune; questa caratteristica inoltre spazza via definitivamente ogni stereotipo su di una selezione dotata in primis di forza fisica, benché fosse un pregiudizio scorretto anche nel passato. Denota intelligenza l’intuizione, applicata nell’ultima parte di torneo, di rinunciare ad alcune peculiarità tattiche riguardanti lo schema di gioco, per tornare invece alla tradizione. La formazione tipo sarà pronta per i quarti di finale ma sarà parimenti decisivo il ruolo dei giocatori provenienti dalla panchina: non solo di chi ha conquistato un posto lungo la strada come Schweinsteiger e Klose, bensì anche di chi entrerà a gara in corso, come Schurrle e Gotze.

La squadra tedesca inizia il torneo con una difesa a tre, poi Low cambia togliendo Mertesacker e arretrando Lahm nel suo ruolo tipico di esterno nel reparto difensivo, mentre in precedenza era schierato come play basso. Mats Hummels, del Borussia Dortmund e poi del Bayern, gioca come centrale difensivo, è un soggetto di evidenti e pregevoli doti tecniche e disputa un ottimo torneo. Prendendo come riferimento la partita di semifinale, completano la difesa titolare – ora a quattro – Boateng al centro e Howedes sulla fascia. Trova spazio nel corso del torneo anche Mustafi. A metà campo viene reinserito Schweinsteiger, grande centrocampista tutto aggressività e tecnica, che chiuderà la sua esperienza in nazionale con centoventuno presenze e ventiquattro gol. In mediana ci sono poi Kroos e Khedira, altro validissimo giocatore molto abile nell’individuare la posizione giusta in campo e garantire così equilibrio alla squadra, con un fisico possente ma col tempo minato da infortuni. Le continue rotazioni che il centrocampo tedesco riesce a giostrare, assieme al controllo del gioco, diventano uno dei fattori decisivi nel successo tedesco. In attacco assume ancora una volta importanza la presenza dell’attempato Klose: ciò accade dai quarti di finale in poi, mentre in precedenza la Germania ha giocato senza una vera e propria punta. Inamovibili poi in attacco sono Muller e Ozil. Costui non replica le prestazioni del 2010, e pur mantenendosi sempre ad alti livelli, considerando l’intera carriera con ogni probabilità non ha reso secondo le premesse. Però Ozil resta comunque un grande uomo-assist, uno dei migliori nella sua generazione. Sopravvalutato o sottovalutato? Non so dire neanch’io.

Poi, è come se la Germania del 2014 abbia fatto tesoro della lezione ricevuta dalla selezioni che l’hanno eliminata nelle ultime due edizioni della Coppa del Mondo, nel senso di seguito illustrato. Intanto, ha iniziato a porre come preminente il ruolo del collettivo, il senso di squadra, e la compattezza. Esprimono bene il concetto, per quanto riferite a una squadra di club, queste parole di Matthias Sammer: “Quando lavoravo per la federazione tedesca, abbiamo analizzato con cura il Barcellona, dalla personalità del loro allenatore sino al loro stile di gioco. La squadra aveva un’identità. Aveva individualità, qualità, forza, stile e classe3)Miguel Delaney, How Pep Guardiola’s 2008 Barcelona appointment changed football forever, The Indipendent. Con, in aggiunta, due peculiarità. Al pari della Spagna del 2010, fondata essenzialmente sul blocco Barcellona, nel 2014 la Germania è assemblata assumendo quale riferimento unico il Bayern Monaco, tuttalpiù aggiungendo un spruzzata di Borussia Dortmund. E nonostante il talento presente in avanti, il peso degli uomini decisivi si fa sentire soprattutto dalla cintola in giù, come accaduto all’Italia del 2006: il pensiero va a Neuer, a Lahm, a Kroos – ma senza scordare qui l’indispensabile apporto garantito in attacco da Muller.

Manuel Neuer è il principale portiere del Mondiale 2014, rassegna che interviene nel pieno dei suoi anni d’oro: viene eletto miglior portiere al mondo ininterrottamente dal 2013 al 2016, e poi ancora nel 2020. Senza dubbio Neuer è il portiere del decennio, e dunque fra i migliori di sempre. Prima in forza allo Schalke 04, poi dal 2011 difende i pali del Bayern, con il quale vince due Champions League e una sfilza di titoli tedeschi, nove ad oggi. Ha oltrepassato le cento presenze con la maglia della mannschaft. Grande e grosso ma nel contempo reattivo ed atletico, ottimo nelle uscite, Neuer sarà però ricordato dai posteri soprattutto per la sua caratteristica capacità di gestire il pallone con i piedi che lo ha trasformato nel modello per una generazione di portieri.

Non è ovviamente il primo, ma Neuer spinge talmente in avanti questa interpretazione del ruolo, così funzionale al nuovo dettato tecnico-tattico in auge, da assumere un valore rivoluzionario. Anche e soprattutto in virtù delle sue prestazioni si diffonde fra gli addetti ai lavori il termine di sweeper-keeper (libero-portiere), cioè un elemento della squadra non più destinato solo a parare, ma anche a servire come ulteriore appoggio ai compagni, e inoltre chiamato a controllare lo spazio alle spalle della propria difesa, e poi ancora, impegnato affinché la difesa stessa mantenga una posizione alta in campo in fase di possesso. Traendo l’esempio dal gioco degli scacchi, questa attitudine è stata definita intelligentemente come l’utilizzo del re quale pezzo per attaccare e non solo destinato a essere protetto: si ottiene quindi la disponibilità di un pezzo in più sulla scacchiera, tutto a proprio vantaggio4)Paddy Vipond, How Manuel Neuer, Germany’s 11th man, is revolutionising goalkeeping, The Guardian. Le responsabilità del portiere aumentano, fulgido esempio di quel processo evolutivo attraverso il quale un giocatore ha un determinato ruolo ma nel contempo detiene più funzioni. Neuer conclude il torneo con all’attivo un numero impressionante di passaggi completati, duecentoquarantaquattro, qualcosa di mai visto prima. Il suo stile diventa evidente a tutti nell’incontro che contrappone la Germania all’Algeria, durante il quale – dati statistici alla mano – l’estremo tedesco copre una fetta di terreno pari circa un terzo di campo.

Per tre volte di fila nell’all star team del Mondiale (2006, 2010 e 2014), Philip Lahm è uno dei grandi del gioco. Dopo la finale lascia la maglia bianca della nazionale, a trent’anni, da capitano e con centotredici presenze alle spalle. Nato calcisticamente nell’ottimo settore giovanile del Bayern Monaco, quieto e silenzioso, Lahm esprime più di tutto una prodigiosa intelligenza tattica, riconosciuta su tutti da Guardiola. È proprio il tecnico catalano ad adattarlo con successo come centrocampista difensivo dal suo originale ruolo di terzino, rivestito per anni. Ma Lahm è essenzialmente un giocatore universale.

Toni Kroos disputa un torneo grandioso condito da due gol e quattro assist. Divide di fatto la sua splendida carriera tra il centrocampo del Bayern e quello del Real Madrid, squadre con le quali raccoglie nel complesso quattro Coppe dei Campioni; anch’egli naviga già oltre le cento presenze con la maglia della Germania. Kroos ha una notevole visione di gioco accompagnata dal senso della posizione, è versatile ed è capace di interpretare al meglio entrambe le fasi di gioco. Essenziale, pulito, semplice nelle movenze e nei tocchi di palla, ma decisivo.

Come ruolo, come attitudine, e anche come fisico, Thomas Muller è il calciatore più simile a Cruyff che sia apparso sui campi di calcio dopo il ritiro dell’olandese, seppur non raggiunga appieno il suo talento e soprattutto il suo carisma; neanche l’eleganza nell’interpretare il mestiere è paragonabile a quella di Cruyff, ma questo è un altro discorso, poiché per Muller l’essere sgraziato in campo – talvolta al limite del buffo – pare l’indispensabile connubio all’essere efficace. Difficile individuarne il ruolo: centravanti, regista, ala, anche centrocampista, lui stesso ritiene che la propria zona di intervento sia oltre la linea dei centrocampisti avversari, e ciò basta come indicazione. Di sé ha fornito la pregnante definizione di raumdeuter, che letteralmente vuol dire interprete dello spazio.

Modernissimo nella sua idea di calcio, Muller ha un grande senso del gioco, tempismo, possiede un fisico resistente ed è veloce. Diventa protagonista assoluto di due Mondiali consecutivi, e qui in Brasile segna cinque reti e fornisce tre assist; in totale i gol in nazionale sono al momento trentanove. È un altro frutto, l’ennesimo, di quella fucina di talenti rappresentata dall’accademia del Bayern Monaco, l’unica squadra della sua carriera. Resta in ogni caso un personaggio enigmatico, nella figura e nell’approccio al gioco. Jupp Heynckes, che lo allena per alcune stagioni, offre di Muller uno spaccato significativo: “È incomprensibile. Sembra un ragazzino di dieci anni, gioca al calcio come se non ne avesse la minima conoscenza e vive in modo stralunato, in un mondo completamente suo5)Federico Corona, Strano, unico: dieci anni di Thomas Muller, QuattroTreTre.

Muller segna al Portogallo

Un girone ostico attende i tedeschi all’avvio del loro Mondiale brasiliano. Ma durante la sfida di esordio, in programma a Salvador contro il Portogallo, la Germania offre sin da subito un calcio spettacolare che nel corso del torneo saprà ripetere, a tali travolgenti livelli, soltanto in semifinale. Dieci minuti e la Germania passa in vantaggio grazie a un rigore, fischiato per fallo di Joao Pereira su Gotze (gli tira la maglia mentre sta per concludere a rete di fronte al portiere) e realizzato da Muller. Raddoppia dopo altri dieci minuti con Hummels, su calcio d’angolo battuto da Kroos. Cristiano Ronaldo è disinnescato, i portoghesi sono comprensibilmente nervosi e poco prima della sosta di metà gara Pepe rifila una manata in faccia a Muller e poi va testa contro testa a rimbrottare l’avversario, rimediando un rosso che lascia i suoi in dieci e nello sconforto completo. Lo stesso Muller, nei minuti di recupero, sfrutta un errato rinvio di Bruno Alves e segna il tre a zero. Completa, nella ripresa, la giornata perfetta tedesca il quarto gol ancora a firma Muller, nonché tripletta personale: cross di Schurrle, corta respinta di Rui Patricio e correzione in rete.

I giochi si fanno però decisamente più complicati al cospetto del Ghana, in una sfida che, come già accaduto quattro anni prima in Sudafrica, contrappone sui lati opposti della barricata i fratelli Boateng. Nel primo tempo non accade poi molto, salvo ricordare un ottimo intervento di Neuer su tiro di Muntari; nel secondo, di tutto. Cinquantunesimo minuto: lancio di Muller per Gotze che a due passi dal portiere tocca di testa davvero male, ma la palla gli rimbalza sul ginocchio e finisce lo stesso in rete. Bizzarro, ma alla fine ciò che conta è il risultato e la Germania è passata in vantaggio. Trascorrono tre minuti e su cross di Afful l’unico a saltare, in mezzo ai giocatori tedeschi, è Ayew che colpisce di testa e mette in rete. Altri dieci minuti ed ecco l’imprevedibile diventare realtà: Muntari serve Gyan, la difesa tedesca è messa male e colta di sorpresa, per cui l’attaccante ghanese giunge al cospetto di Neuer – e lo trafigge. Raddrizza però la situazione per i tedeschi Klose, appena entrato in campo, quando al minuto settantuno da grande uomo d’area corregge in rete un calcio d’angolo di Kroos prolungato di testa da Howedes. Destata da un brutto incubo con rapidità, la nazionale tedesca ora sfiora anche la vittoria: è prodigioso Asamoah in scivolata su Muller- oggi ben contenuto da Boye con una marcatura quasi a uomo – pronto a colpire a rete, e poi Klose ha un’ulteriore occasione ma la sua conclusione va fuori di poco. Molto avvincente, Germania – Ghana termina due a due.

Low sfida il suo predecessore Klinsmann nella partita che chiude il girone tra Germania e Stati Uniti, con i giochi ancora aperti: alla fine passeranno il turno entrambe le selezioni. Conti alla mano le due squadre potrebbero pure accordarsi per un pareggio che vorrebbe dire qualificazione certa, ma i tedeschi evitano di ripetere quanto combinato nel 19826)Vedi infra Spagna, 1982: II. Good news from Africa e così di addossarsi nuovamente l’onta di un confronto dall’esito a dir poco dubbio. La partita comunque non è troppo intensa, a differenza delle precedenti. La spunta la Germania con un gol al minuto cinquantacinque di Muller, che raccoglie al limite dell’area una respinta del portiere avversario e conclude di prima all’angolino basso.

È proprio la squadra beffata trentadue anni prima nella così detta vergogna di Gijon a incrociare il cammino dei tedeschi negli ottavi di finale, ovvero l’Algeria, senza alcun dubbio desiderosa di servire agli europei il piatto della vendetta. Trascinati in attacco da Feghouli e Slimani, gli algerini si piazzano secondi nel girone, dietro al Belgio sempre vincente; decisiva risulta l’affermazione sulla Corea del Sud per quattro a due (con un parziale di tre a zero dopo soli trentotto minuti). Poi nell’ultima partita del girone gli algerini incontrano la Russia, che in precedenza aveva pareggiato con i coreani: i russi passano avanti nel punteggio sin dai primi minuti di gioco grazie a un colpo di testa di Kokorin; l’Algeria rischia il doppio svantaggio nella ripresa – nell’occasione è molto bravo il portiere M’Bolhi su Samedov – e poi perviene al pareggio: uscita a vuoto del portiere russo Akinfeev, tocco di testa di Slimani, rete. In quella che sulla carta sarebbe stata la partita più semplice di tutto il torneo, la Germania si ritroverà a soffrire maledettamente e a lottare sino all’ultimo, tra l’altro di nuovo a fronte di una selezione africana – ma i tedeschi spesso accusano difficoltà contro le africane. Rappresenta un momento chiave per il percorso tedesco nel Mondiale, anche per le scelte di formazione che ne seguiranno.

Germania – Algeria si gioca a Porto Alegre il 30 giugno 2014. Due le sfide pregresse che, guarda caso, sono state vinte entrambe dagli algerini: un’amichevole nel ’64 e l’incontro nel girone della prima fase durante il Mondiale spagnolo. Rilevante fra i tedeschi è l’assenza di Hummels per attacco febbrile. La compagine nordafricana riesce sin dall’avvio ad essere pericolosa, a sorprendere gli avversari e praticamente a dominare quasi per intero la prima frazione di gioco. Così si assiste a Soudani che scappa via tutto solo sulla fascia sinistra e obbliga Neuer all’intervento fuori area in tackle; poi Feghouli penetra pericolosamente a destra in area tedesca ma calcia alto anziché dare in mezzo verso compagni ben posizionati; e ancora è Ghoulam a sfondare a sinistra, tirare e sfiorare il palo lontano. Qualche tentativo tedesco c’è, ma poco pericoloso; bisogna attendere sino al quarantesimo minuto affinché la Germania esca dal guscio di apatia nel quale si è infilata: tiro da fuori di Kroos e pronta parata di M’Bolhi, il quale poi chiude anche lo specchio alla conclusione di Gotze che ha raccolto la respinta del portiere. Poi Gotze lascia il proprio posto a Schurrle nel corso dell’intervallo.

Forse strigliati a dovere da Low, i tedeschi iniziano la ripresa con altro piglio, spingono, e producono una grande conclusione con Lahm, alla quale risponde splendidamente la parata di M’Bolhi. A metà tempo l’Algeria è di nuovo in grado di mettere in difficoltà la retroguardia degli europei, ma il finale dei tempi regolamentari è tutto di marca tedesca, grazie anche all’inserimento di Khedira che rinforza il centrocampo, e al mutamento di schema in direzione della difesa a quattro. Muller in acrobazia colpisce di testa a botta sicura e un grande riflesso del portiere algerino, oggi in giornata memorabile, mantiene inviolata la porta degli africani; sempre Muller, progressivamente in crescita, controlla la sfera in area e tocca di esterno ma indirizza fuori di niente; Schweinsteiger ha un’ottima possibilità di testa al novantesimo da posizione molto favorevole, per di più incontrastato, non la sfrutta a dovere e la sfera è bloccata dal portiere.

La Germania ha sofferto nel primo tempo, ha creato diverse occasioni da rete nel secondo, ma il risultato non si è mosso dallo zero a zero, conducendo il confronto a un’ulteriore mezzora di gioco e alla concreta prospettiva dei calci di rigore. Una situazione molto pericolosa per i tedeschi, quanto allettante per gli algerini. Ma proprio all’avvio del primo tempo supplementare la mannschaft coglie il guizzo risolutore: Muller da sinistra trova l’assist giusto per l’inserimento di Schurrle, che tocca di tacco – chissà quanto volontario – davanti al portiere e infila in rete. È un gol di pura liberazione, il gol della svolta che spalanca ai tedeschi le porte dei quarti di finale.

Si aprono naturalmente ampi spazi per gli attacchi tedeschi che però non sono portati a termine, e l’Algeria riesce anche a sfiorare il gol del pari con Mostefa su calcio d’angolo. Alla fine Ozil, al termine di un’azione di contropiede, chiude il discorso di una dura, avvincente e sincera battaglia calcistica, fra le migliori sfide di tutto il campionato. Onore all’Algeria per essere andata oltre i propri limiti, giù il cappello per una Germania che con classe, determinazione e merito ha avuto ragione di un vero rompicapo calcistico. C’è comunque ancora il tempo per vedere il gol di Djabou a fissare il risultato sul definitivo due a uno, un gol ormai buono soltanto per l’orgoglio degli algerini, i quali inevitabilmente qualche rimpianto sul prato dello stadio di Porto Alegre lo hanno lasciato per sempre.

Accantoniamo ora per alcune righe il racconto del percorso tedesco per concentrarci sulla spedizione francese al Mondiale 2014. Spedizione che è rimasta in forse sino all’ultimo: seconda dietro la Spagna nel girone di qualificazione, la Francia gioca lo spareggio contro l’Ucraina, perde due a zero in trasferta ma recupera autorevolmente con un sonoro tre a zero nella sfida di ritorno. In ogni caso quella francese è una squadra in fase di ricostruzione che, sotto la direzione di Didier Deschamps, si sta riproponendo con forza sullo scenario calcistico grazie alla comparsa di nuovi, importanti talenti. Inizia a brillare la stella Pogba, ventuno anni, eletto miglior giovane del torneo; calcano poi per la prima volta il palcoscenico di una grande competizione internazionale anche Varane e Griezmann, nati rispettivamente nel ’91 e nel ’93. L’elemento principale in attacco è Karim Benzema, con tre gol e due assist all’attivo durante il campionato: protagonista di tanti anni di successi con addosso la maglia del Real, è il miglior partner di sempre di Cristiano Ronaldo ma sembra in grado di continuare a migliorare con il tempo, sino a brillare di luce propria quando il portoghese lascerà il club madrileno. Non sarà però convocato quattro anni dopo, perdendo così il treno giusto con la maglia della sua nazionale, ovvero il Mondiale in Russia.

I francesi esordiscono contro l’Honduras, presente per la seconda volta di fila ai Mondiali, e lo fanno senza alcun problema: tre a zero, doppietta di Benzema, con i centroamericani per un tempo in dieci causa espulsione di Wilson Palacios, colpevole del fallo di rigore su Pogba che ha permesso alla Francia di andare in vantaggio. La partita viene però ricordata soprattutto per il primo utilizzo della goal technology, una novità del torneo, ovvero il sistema che consente di verificare se la palla ha passato o meno la linea di porta: in tal modo viene convalidato il raddoppio francese, un autorete del portiere Valladares su conclusione di Benzema. Qualche giorno dopo al Francia esprime tutta la sua potenza travolgendo la Svizzera cinque a due, con un parziale di cinque a zero e in aggiunta un rigore fallito, e con i gol svizzeri marcati negli ultimi dieci minuti a rendere un po’ meno pesante la batosta ricevuta. Poi il terzo incontro, Francia – Ecuador, finisce zero a zero.

Agli ottavi di finale la Francia scende in campo contro la Nigeria. Il continente africano porta due selezioni alla fase a eliminazione diretta – l’altra, come detto, è l’Algeria: seppur eliminate entrambe, pare un passo avanti, ma in realtà il movimento calcistico africano sta piano piano regredendo e la crisi sarà palese fra quattro anni. La formazione nigeriana è tornata a essere competitiva dopo i fasti degli anni novanta ed è campione d’Africa in carica, titolo vinto un anno prima del Mondiale sulla sorpresa Burkina Faso. I francesi impiegano parecchio ad avere ragione sulla Nigeria, in una partita che per due terzi è combattuta ed equilibrata, nonostante la predilezione degli africani per un atteggiamento coperto e difensivo. Ma l’ultima parte di gara vede i francesi salire in cattedra, soprattutto grazie all’ingresso in campo di Griezmann e allo spostamento di Benzema al centro dell’attacco. Pertanto al minuto settantanove Pogba sfrutta l’uscita sbagliata del portiere nigeriano, sin lì molto attento, e infila di testa il gol del vantaggio. Poi nei minuti di recupero c’è l’autorete Yobo, e la Francia vince l’incontro per due a zero.

Germania – Francia, quarto di finale della Coppa del Mondo FIFA edizione 2014, è partita di grande fascino e già semifinale mondiale per due edizioni consecutive nel corso degli anni ottanta del secolo precedente, incontri entrambe le volte risolti a favore dei tedeschi. La Francia sinora ha impressionato; la Germania incute rispetto e nel complesso, seppur con qualche ombra comparsa dopo l’ottavo con l’Algeria, è riconosciuta d’obbligo come una seria pretendente al titolo. Viste le prestazioni mostrate dai francesi nel torneo, si pensava di assistere a un maggiore equilibrio in campo, invece l’incontro alla fine è vinto piuttosto agevolmente dai tedeschi che, una volta in vantaggio, controllano il gioco per buona parte della gara senza patemi; oltretutto si giovano di un assetto di gioco ideale, appena individuato e impostato sul 4-3-3. Insomma, la sfida non è avvincente come sperato – e semplicemente perché la nazionale tedesca è superiore.

Tredici minuti di gioco e la Germania segna il gol fatale: punizione dalla trequarti di Kroos, la palla giunge a Hummels – autore di una grande partita – che salta e colpisce di testa, mentre Varane lo contrasta vanamente, e palla in rete. Pur subendo il ritmo dei tedeschi, la Francia poco prima aveva goduto di una buona occasione, sui piedi di Benzema; ma ora, in situazione di svantaggio, non riesce a rendersi pericolosa per diversi minuti. I bleus si riprendono solo nel finale del tempo e costruiscono interessanti tentativi a rete con Valbuena, al quale risponde alla grande Neuer, e con Benzema. È il momento migliore – e l’unico – per la Francia, che nella ripresa prova a spingere ma senza costrutto. Va più vicina al gol la formazione tedesca con Muller e Schurrle, entrato al posto di Klose. Vi è poi un’ultima disperata occasione francese nel tempo di recupero, consistente in un tiro di Benzema scoccato dall’area ma defilato a sinistra, e parato con sicurezza da Neuer.

I tedeschi sono in evidente crescita complessiva, di condizione come di gioco, e si impongono uno a zero: ancora una volta sono loro ad avere la meglio sui francesi in una sfida del campionato del Mondo. La Germania approda alla semifinale mondiale e lo fa per la quarta edizione consecutiva della Coppa. Nessuna squadra ci era mai riuscita.

Hummels dopo il gol alla Francia – sportingnews.com

L’incredibile vittoria della mannschaft sul Brasile in semifinale di lì a quattro giorni – che però richiederebbe un necessario complemento nell’ultimo atto del torneo – è il capolavoro di una generazione, di una programmazione, di un sistema. E pertanto non nasce per caso.

Nell’ottobre del 1998, dopo due edizioni mondiali poco soddisfacenti segnate dalle eliminazioni ai quarti per mano di Bulgaria e Croazia, la federazione tedesca (la DFB) ha lanciato un ampio programma finalizzato a ricostruire la gestione del calcio in Germania; la svolta avviene a partire dal 2001, a un anno da un Europeo parecchio negativo. L’obiettivo centrale del piano è di riempire ogni angolo del territorio tedesco con centri di allenamento per giovani futuri calciatori e viene perseguito in collaborazione con gli istituti scolastici ed anche con i club professionistici: a ogni società di Bundesliga viene infatti chiesto di istituire una propria accademia giovanile. Insieme viene migliorata ed implementata l’attività di formazione per i tecnici. I risultati sono impressionanti: dal 2002 al 2014 la DFB costruisce cinquantadue centri di eccellenza e 366 centri regionali, nei quali operano a tempo pieno 1300 preparatori.

Come detto il programma è gestito in collaborazione con le società, le quali a loro volta dal ’99 possono approfittare di una legge sull’azionariato popolare che permette un sistema di gestione amministrativa-finanziaria innovativo e funzionale. L’esempio migliore è rinvenibile nel Bayern Monaco, club vincente a livello locale e continentale, ricco, e organizzato attraverso una proprietà diffusa, per almeno la metà delle azioni, tra i tifosi: ciò garantisce coinvolgimento e solidità. Il tutto in un contesto di stadi generalmente pieni, prezzi dei biglietti accettabili e violenza ridotta ai minimi termini. In prospettiva però, paradossalmente proprio a causa dei bilanci in ordine e quindi dei limiti di spesa, fra i club tedeschi inizierà a crearsi un vuoto sempre più ampio alle spalle dei bavaresi.

Ma il calcio tedesco di inizio millennio è attraversato da una onda di sviluppo anche dal punto di vista tecnico, come già accennato, della quale il mondo si è accorto dalla Coppa del 2010, se non prima per i più attenti: la Germania vince gli Europei under-21 del 2009 e nella finale contro l’Inghilterra sono scesi in campo diversi futuri campioni del Mondo quali Neuer, Howedes, Boateng, Hummels, Khedira, Ozil. Un certo merito è riconosciuto al lavoro dell’ex commissario tecnico Klinsmann per aver portato in nazionale metodi di allenamento e di analisi considerati innovativi per i tempi, ma in generale i tecnici tedeschi si ritagliano uno spazio via via crescente a livello internazionale. Nel 2013 la finale di Champions è decisa da un derby tra il Bayern di Heynckes e il Borussia Dortmund di Klopp. Quest’ultimo, con il suo calcio fatto di pressing martellante e ben organizzato, e di contrattacchi, diventa uno degli allenatori più influenti del decennio e conquista il titolo europeo nel 2019 alla guida del Liverpool. Il programma della federazione crea intanto le premesse per la comparsa di una vera e propria scuola, per cui emergono nomi quali Tuchel, Nagelsmann, Flick, che sapranno monopolizzare la Champions League delle edizioni 2020 e 2021.

Non è poi da sottovalutare la costante crescita di importanza del calcio femminile in Germania, due volte campione del Mondo nel primo decennio del secolo e capace di condurre la nazionale al titolo olimpico nel 2016 a Rio; nell’occasione la selezione maschile – nella particolare versione che viene presentata alle Olimpiadi – riuscirà comunque a issarsi sino alla finale, poi sconfitta ai rigori dai padroni di casa brasiliani in un’illusoria rivincita della semifinale mondiale. La Germania resta al momento l’unica selezione calcistica ad aver vinto un titolo mondiale sia con gli uomini che con le donne.

E infine, allargando il discorso al versante politico e sociale, la nazionale tedesca ha saputo approfittare del tessuto etnico ormai parte integrante del paese. Forse non paragonabile alla realtà della nazionale francese, ma il mosaico etnico che compone i giocatori in maglia bianca è di per sé rilevante: Podolski e Klose sono di origine polacca, Ozil di origine turca, Mustafi albanese; il padre di Khedira è tunisino mentre quello di Boateng è ghaniano. È una possibilità che la nazionale tedesca ha quindi colto, un approccio favorito anche dalla riforma delle norme sulla cittadinanza in senso estensivo voluta dal governo Schroeder nel 2000.

In breve è così che si vincono i Mondiali di calcio nel ventunesimo secolo. Il discorso vale anche per una federazione da sempre vincente come quella tedesca – estendendo come al solito i successi della parte occidentale, nel periodo della divisione, all’intera nazione. Già semifinalista nel 1934 durante la seconda edizione della Coppa, la selezione tedesca viene esclusa dalla Fifa fino al 1950, causa comprensibile ostracismo conseguente alle responsabilità belliche. La prima amichevole internazionale della neonata federazione tedesco-occidentale è giocata nel novembre ’50 contro la Svizzera. Poi lo storico e inaspettato titolo mondiale del 1954 – che col tempo tempo è diventato anche un simbolo della rinascita, della ricostruzione, della conquistata civiltà dopo l’orrore nazista e la guerra, e dunque di orgoglio nazionale – avvia un’impressionante serie di successi in Coppa del Mondo: tre titoli e sette finali nel complesso, più l’ottava qui in Brasile, racchiusi in due prodigiosi cicli vincenti (1954 – 1990; 2002 – 2014); non stupisce che siano considerati fallimenti i quarti di finale. A questo si aggiungono tre titoli continentali. Brasile 2014 è l’ennesimo tassello di un percorso straordinario e senza pari.

1 marzo 2022

References   [ + ]

1. Technical and tactical analysis, 2014 FIFA World Cup Brazil – Techinical report and Statistics
2. Germany takes ‘tiki-taka’ to another level, USA Today
3. Miguel Delaney, How Pep Guardiola’s 2008 Barcelona appointment changed football forever, The Indipendent
4. Paddy Vipond, How Manuel Neuer, Germany’s 11th man, is revolutionising goalkeeping, The Guardian
5. Federico Corona, Strano, unico: dieci anni di Thomas Muller, QuattroTreTre
6. Vedi infra Spagna, 1982: II. Good news from Africa