In un girone della prima fase all’apparenza e poi nei fatti non difficile per la nazionale belga, all’interno del quale è affiancata da Algeria, Corea del Sud e Russia, proprio la prima sfida contro la selezione nordafricana diventa per i diavoli rossi l’impegno più arduo e complicato da risolvere. Sotto di un gol al venticinquesimo causa rigore fischiato per trattenuta di Vertonghen su Feghouli, il quale si incarica anche del tiro e spiazza il portiere avversario, i belgi permangono in situazione di svantaggio sino al settantesimo. Poi in dieci minuti trasformano il punteggio: cross di De Bruyne, testa di Fellaini spalle alla porta, rete dell’uno a uno; ripartenza letale belga, con Hazard che porta palla e scarica per Mertens, che davanti al portiere non sbaglia la realizzazione del definitivo due a uno.
La nazionale russa allenata da Fabio Capello procede nel percorso di rafforzamento che dovrebbe accompagnarla all’appuntamento del Mondiale casalingo nel 2018. Mancano però gli uomini di spicco, nella selezione russa, composta esclusivamente da giocatori che militano nel campionato nazionale – un torneo in ripresa ma che resta sempre un passo indietro nei confronti delle principali leghe europee. Di certo l’eliminazione al primo turno rappresenterà una concreta delusione. Un gol di Origi marcato negli ultimi minuti su bell’assist di Hazard dal fondo regala la vittoria ai belgi, in ogni caso meritata. Poi il Belgio vince anche l’ultimo incontro del girone ai danni della Corea del Sud, e ciò nonostante la formazione europea, per di più già qualificata, giochi un tempo in inferiorità numerica per l’espulsione di Defour.
Si parla del Belgio nel capitolo dedicato all’Argentina perché la sfida fra albiceleste e diavoli rossi nei quarti di finale prossimi venturi sarà un momento chiave di questo Mondiale. Il Belgio è una squadra rinata e in forte crescita, benedetta da una nidiata di talenti senza pari nel passato, e degnamente organizzati; non giungeva al Mondiale da dodici anni, l’ultimo Europeo disputato è del 2000, ma poco più di un anno dopo il torneo brasiliano occuperà il primo posto del ranking FIFA (quando nel 2009 era crollato alla sessantaseiesima posizione). In Brasile esordiscono in una fase finale di Coppa una serie di futuri protagonisti del calcio internazionale quali il portiere Courtois, i centrocampisti De Bruyne e Hazard, l’attaccante Lukaku, tutti nati dal 1991 in avanti. L’unico anziano fra i titolari è Van Buyten, difensore del Bayern Monaco, e altresì l’unico reduce dell’ultima partecipazione del Belgio al campionato del Mondo. Si aggiunga poi una solida difesa guidata da Kompany e la presenza di Witsel nel ruolo di uomo d’ordine a metà campo: ecco che il passaggio del turno a punteggio pieno è la logica conseguenza di un potenziale rigoglioso e ancora inespresso appieno.
Prima dell’appuntamento con gli argentini, i belgi sono attesi negli ottavi di finale dalla nazionale statunitense, emersa invece da un girone della prima fase molto ostico. La squadra americana si giova ancora del talento di Bradley e Dempsey, ma al primo incontro del torneo subisce un duro colpo perdendo, causa infortunio, la punta titolare Altidore, terzo marcatore di sempre nella nazionale a stelle e strisce. Allenati da Klinsmann, campioni Concacaf in carica (titolo vinto l’anno prima sulla nazionale di Panama), con il torneo di Brasile 2014 gli Stati Uniti chiudono il loro periodo calcistico finora più fecondo ed entusiasmante, avviato con i Mondiali del 2002.
Nell’incontro di esordio che li vede opposti al Ghana, appena partiti gli USA passano in vantaggio grazie a un’azione personale di Dempsey che lo porta a tu per tu con il portiere avversario, e poi a segnare; dalla stessa zolla di terreno pareggia Ayew per il Ghana ma poco dopo – e siamo già al minuto ottantasei – c’è il gol di Brooks, di testa su calcio d’angolo, per gli americani, che così vendicano le recenti eliminazioni (2006 e 2010) patite nei confronti della squadra africana. Contro il Portogallo, dopo essere passati in svantaggio al quinto per il gol di Nani, gli USA iniziano a imporre il proprio gioco nel corso della ripresa e ribaltano il punteggio con le reti di Jones e Dempsey; subiscono però il pari dei portoghesi con un colpo di testa di Varela a tempo scaduto. Gli americani perdono poi contro la Germania ma avanzano lo stesso grazie alla differenza reti: non basta infatti ai portoghesi l’affermazione per due a uno sul Ghana.
Belgio – Stati Uniti sarà ricordata per le sedici parate, alcune delle quali determinanti, compiute dal portiere americano Howard, un record. Il Belgio infatti domina, spreca, non segna e addirittura arriva a un soffio dalla beffa finale quando, oltre il novantesimo, l’americano Wondolowski sbaglia incredibilmente un gol da solo e a due passi dalla porta belga. L’incontro si prolunga ai tempi supplementari e diventa risolutivo l’ingresso in campo di Lukaku. La formazione belga finalmente va a segno con un gol di De Bruyne propiziato da un’azione di Lukaku, e raddoppia con lo stesso Lukaku, stavolta grazie all’assist di De Bruyne. Accorcia Green per gli americani i quali sfiorano anche il clamoroso pareggio: il Belgio deve ringraziare il tempestivo intervento di Courtois in uscita su Dempsey, al culmine di una sfida parsa alla vigilia decisamente più semplice per i diavoli rossi.
È il 5 luglio 2014 quando argentini e belgi scendono sul campo dell’Estadio Nacional di Brasilia dedicato all’indimenticabile fuoriclasse Mané Garrincha: l’impianto sportivo è costruito nei pressi dell’Asse Monumentale e dei capolavori di Oscar Niemeyer, degli altri architetti e degli urbanisti che hanno reso reale Brasilia, la città sorta dal nulla, la nuova capitale, il sogno del presidente Kubitschek. L’undici dell’Argentina è il seguente: Romero; Zabaleta, Demichelis, Garay, Basanta; Di Maria, Biglia, Mascherano, Lavezzi; Messi; Higuain. Il Belgio schiera questi titolari: Courtois; Alderweireld, Van Buyten, Kompany, Vertonghen; Witsel, Fellaini; Mirallas, De Bruyne, Hazard; Origi.
Otto minuti di gioco e gli argentini passano avanti: passaggio di Di Maria deviato da un avversario, la palla arriva a Higuain che appena dentro l’area lascia partire un gran tiro di prima infilando in rete. Higuain oggi sarà autore di una splendida prestazione. La risposta del Belgio è abbastanza sterile, si assiste soltanto a una conclusione di De Bruyne che impegna il portiere argentino. Poco oltre la mezzora Di Maria scatta verso l’area avversaria palla al piede, tira ed è molto bravo Kompany a non mollarlo e a rimpallare la conclusione; ma nell’azione l’argentino si è fatto male: Di Maria, apparso sinora in forma strepitosa, lamenta un problema muscolare e deve lasciare il campo – al suo posto entra Perez. Poi Messi guadagna una punizione da posizione favorevolissima, tira il calcio da fermo e sfiora l’incrocio dei pali. Nel resto dell’incontro Messi andrà decisamente a calare, frenato e annullato dall’asfissiante marcatura di Kompany. Verso la fine del tempo torna a presentarsi in attacco il Belgio con un colpo di testa di Mirallas che manda la palla a lambire la parte bassa del palo.
All’avvio di ripresa si scatena Higuain: prima con un’azione personale e seguente tiro, deviato da Van Buyten, con palla che scorre vicino al palo; poi sfondando in area belga e calciando a rete, alto ma di pochissimo. Quando manca mezzora alla fine il ct Wilmots cambia faccia all’attacco belga togliendo Mirallas e Origi per inserire Mertens e Lukaku, e dopo altri quindici minuti avvicenda Hazard con Chadli. Per tutto il torneo Wilmots ha mostrato evidenti dubbi sulla composizione del reparto offensivo, confermati dalle prestazioni altalenanti dei suoi attaccanti, forse a loro volta influenzati negativamente dal clima di incertezza. L’Argentina è partita meglio nel secondo tempo, ma con il passare dei minuti il Belgio riprende ad attaccare senza però combinare granché, salvo un colpo di testa di Fellaini terminato alto; ora gli argentini impostano una prudente gara sulla difensiva. Gli ultimi sussulti sono nei minuti di recupero: Messi potrebbe chiudere la sfida solo davanti a Courtois, ma il portiere respinge la sfera in uscita; poi Lukaku scappa sulla sinistra e mette in mezzo, Garay spazza, e Fellaini sulla respinta calcia fuori. Vince l’Argentina, uno a zero.
Soprattutto nella ripresa la partita ha perso vigore, è diventata anche fallosa, e in generale non ha entusiasmato, con i belgi apparsi un gradino sotto le aspettative, in particolare tra gli uomini decisivi in ottica offensiva. Grazie al talento in attacco e alla concretezza in copertura – le principali armi a disposizione – l’Argentina ha oltrepassato un duro ostacolo, e così ha guadagnato l’approdo alla semifinale mondiale.

In prospettiva, e volendo forzare un poco le conclusioni, il Mondiale degli argentini passa attraverso la partita dei quarti di finale e lì si decide per intero. Messi ha giocato una prima fase del campionato straordinaria, Di Maria è con tutta evidenza l’elemento essenziale della seleccion. Poi Di Maria patisce l’infortunio che chiuderà anzitempo il suo torneo, mentre Messi progressivamente si affievolisce sino a scomparire nei momenti che indirizzano il destino della Coppa. Dal primo tempo contro il Belgio, l’Argentina regge fino agli sgoccioli dei supplementari in finale, seppur senza riuscir più a segnare nemmeno un gol: ciò che ottiene è tanto, ma non basta.
Messi e Di Maria sono entrambi originari di Rosario, la città matta per il calcio, ma provenienti da sponde opposte: uno è del Newell’s, l’altro del Central – per quanto a dirla tutta Messi sia più di Barcellona che di qualsiasi altra città nel mondo. Lionel Messi in campo è un fenomeno sin dalla prima età ed è un bambino anomalo: parla poco, ricorda a memoria e con ossessione i soprannomi dei compagni, come testimonia il bel documentario che Federico Buffa ha dedicato a Rosario. Gli viene diagnosticato un problema fisico della crescita e le costose cure per risolverlo sono garantite solo dal club catalano, che così si assicura il ragazzo dall’età di tredici anni. Il talento non passa inosservato e gli spagnoli vorrebbero naturalizzarlo. Si accorge di lui però anche Pekerman che insiste affinché la federazione argentina organizzi un’amichevole a livello giovanile per averlo tra i suoi. Poi Messi esordisce in nazionale maggiore a diciotto anni nel 2005, contro l’Ungheria, quando entra al sessantaquattresimo ed è espulso un minuto dopo per fallo di reazione. Ma in ogni caso la costruzione, la crescita, la maturazione calcistica nonché umana, avvengono al di fuori dei confini argentini.
Lunga è la lista di trofei e di record, immenso il talento: Messi detto la Pulce ha uno straordinario senso del gol – impressiona, quando calcia a rete, la sua innaturale capacità di mettere quasi sempre la sfera nel posto migliore – che lo innalza per ben otto volte quale miglior realizzatore della Liga; ha una tecnica gigantesca, la velocità unita alla forza e all’istinto nel non mollare mai la sfera, ed è letale anche sui calci da fermo. I suoi anni migliori scorrono tra il 2008 e il 2011, durante i quali a tratti sfoggia prestazioni forse mai viste prima sui campi di calcio, che poi saprà replicare in futuro seppur in maniera meno assidua. Nel corso del Mondiale è il giocatore più forte del pianeta assieme a Cristiano Ronaldo, con il quale stabilisce una celebrata rivalità che vedrà comunque il portoghese venir fuori alla distanza. I due giocatori abbattono ogni primato, giovandosi – oltre all’indubbio valore – di una spiccata tutela dagli interventi fallosi rispetto al passato e della differenza sempre più marcata tra le squadre di vertice e le altre: d’altra parte sono gli stessi anni in cui Higuain ottiene il record stagionale di gol in Serie A (trentasei, nel 2016), eguagliato da Immobile quattro anni dopo. Senza dubbio Messi e Cristiano Ronaldo segnano questi anni calcistici, anche se a dirla tutta il loro dominio è altresì alimentato artificialmente da stampa, sponsor e vox populi (si veda al riguardo il Pallone d’oro assegnato senza alcuna logica a Messi nel 2010).
Una prima parte del torneo prodigiosa pare rappresentare il viatico a un Mondiale contrassegnato in eterno dal suo nome, nonostante abbia accusato alcuni problemi sotto l’aspetto fisico nella stagione appena conclusa. Messi è il miglior in campo nelle prima quattro partite, segna quattro gol e sforna un assist, poi si blocca: viene eletto lo stesso miglior giocatore in assoluto del torneo, ma la faccia con la quale ritira il premio la dice lunga sul suo stato d’animo. Riceverà analogo attestato nella Copa America di un anno dopo, nuovamente dopo una sconfitta in finale, e stavolta nemmeno si presenterà alla premiazione, mostrando una certa dignità. Conduce un rapporto difficile e contraddittorio con l’albiceleste, per quanto in nazionale Messi detenga il record di sempre sia in fatto di presenze che di reti. In due anni perde tre finali importanti di fila (Mondiale e due Coppe America): di poco, ma le perde; dopo la terza, durante la quale ha spedito il rigore sopra la traversa, annuncia il ritiro dalla seleccion, poi ci ripensa. È però decisivo nel vittorioso Sudamericano del 2021. Visto il ruolo, vista la maglietta indossata, sarà per sempre inseguito da un paragone ingombrante che forse lo ha inconsciamente limitato. Ma Messi non è Maradona. Poco importa: si può essere fantastici, grandissimi del gioco senza per forza essere il più grande.
Angel Di Maria detto il Fideo (lo spaghetto in virtù di un aspetto longilineo) assume in modo indifferente in campo il ruolo di ala o di mezzala – nel Real di Ancelotti copre contemporaneamente entrambi i ruoli. Rappresenta lo straordinario incrocio tra un’ala tradizionale e un regista, tecnicamente simile a Rivelino volendo cercare un riferimento nel passato, benché molto più veloce. Di Maria sarebbe potuto poteva diventare la reincarnazione moderna di Garrincha – attenzione, non la riproduzione: perché Di Maria unisce una tecnica offensiva che lo rende decisivo in fase avanzata, grazie a un dribbling esplosivo, all’intelligenza tattica, all’abilità negli assist, accompagnata però dalla capacità di essere utile in copertura. In breve, è il legame di una squadra. Ma purtroppo è discontinuo, pare quasi, a un occhio puramente esterno, che in ultima analisi non sia pienamente consapevole o realmente convinto dei suoi mezzi.
Come detto cresce nel Rosario Central e arriva in Europa al Benfica; passa al Real Madrid dove gioca quattro anni di gran calcio, per essere poi ceduto a fronte di una bella cifra, ma troppo presto. La stagione successiva diventa però per Di Maria un anno sbagliato in una squadra sbagliata, ovvero il Manchester United di quel periodo, e quindi trova successivamente casa al Paris Saint-Germain. In nazionale veleggia oltre le cento presenze. Nella finale di Copa America del 2021 segna la rete che riporta a Buenos Aires un trofeo internazionale dopo ventotto anni. Mai apprezzato correttamente per quanto vale (“Per anni Di Maria è stato sottovalutato. Forse perché non sembra proprio un calciatore, mentre al contrario, sotto certi punti di vista, mostra una sorprendente somiglianza con Franz Kafka”1)Jonathan Wilson, Angel Di María a tactical schemer focused more on structure than star quality, The Guardian), in questo Mondiale brasiliano, giocato a livelli altissimi, il suo valore esplode fragoroso nella sua assenza.
L’Argentina del 2014 è una squadra spaccata in due, come quattro anni prima: il talento sta tutto in avanti, mentre da metà in giù è composta da onesti comprimari. A fare da collante, oltre a Di Maria, è l’esperienza di Javier Mascherano, centoquarantasette presenze in nazionale con la quale ha esordito nel 2003 e per la terza volta al Mondiale (ne giocherà un quarto): ormai da anni è l’elemento chiave della seleccion. Dal 2007 al 2010 gioca nel Liverpool, poi passa al Barcellona dove Guardiola lo arretra a centrale difensivo per avere lì un giocatore tecnico in grado di impostare, e Mascherano assolve in maniera egregia il compito affidatogli. Detto el Jefecito, duro nei tackle, è un grande e intelligente interprete delle partite. Fra gli altri attaccanti in biancoceleste, emergono le potenzialità di Higuain e Aguero. Il primo è dotato di un magnifico senso del gol, è veloce e agile nonostante un fisico un po’ tozzo; però conserva la preoccupante tendenza a scomparire nelle partite decisive, in contesti nei quali forse è un po’ condizionato dall’emozione. Aguero del Manchester City, club con il quale conquista cinque titoli inglesi, è forte in tutti i fondamentali e con l’Argentina segna nel complesso quarantadue gol (terzo di sempre). Porta a termine però un Mondiale sottotono e senza gol all’attivo, condizionato soprattutto da un infortunio occorso alla terza partita.
Forse meno forte delle selezioni schierate nelle due precedenti edizioni della Coppa, ma trascinata dallo splendore calcistico di Messi e Di Maria, e dall’equilibrio garantito da Mascherano (tra l’altro, tutti e tre campioni olimpici nel 2008), questa Argentina può tranquillamente proiettarsi in direzione del titolo mondiale. La seleccion biancoceleste si dispone in campo con uno schema 4-4-1-1 che tende al 4-3-3; in avanti è schierato Higuain, sulla sinistra Lavezzi, ma trovano spazio anche Palacio e Aguero. Poi ci sono alcuni cambi in corso d’opera e i principali, dai quarti di finale in poi, riguardano l’ingresso in pianta stabile di Demichelis al centro della difesa e di Biglia a metà campo al posto di Fernandez e di Gago. Da non trascurare il più che valido Mondiale disputato dal portiere Romero.
Il commissario tecnico dell’Argentina si chiama Alejandro Sabella. Prima della seleccion ha allenato soltanto l’Estudiantes, con ottimi risultati però, vincendo la Libertadores del 2009 e il campionato di apertura l’anno dopo. Nel 2011 sostituisce Batista sulla panchina della nazionale dopo una Copa America deludente per l’albiceleste. Fa tutto molto bene – primo posto nel girone Conmebol e qualificazione mondiale sicura – fino a sfiorare la perfezione in Brasile. Con il Mondiale chiude la sua carriera di allenatore. Soffre di problemi cardiaci Sabella e muore a fine 2020, pochi giorni dopo il decesso di Maradona.
La nazionale della Bosnia-Erzegovina, l’avversaria dell’Argentina all’esordio, è l’unica debuttante del Mondiale brasiliano, per quanto in realtà avesse già partecipato alla manifestazione nell’ambito della selezione jugoslava e quindi è come se non ci fossero autentiche novità nel torneo delle selezioni calcistiche più forti al mondo. È comunque una squadra di interesse non trascurabile quella bosniaca, con elementi di caratura internazionale quali il centrocampista Pjanic e l’attaccante Dzeko. L’Argentina passa in vantaggio sin dai primi minuti: punizione dalla fascia di Messi, sfiora Aguero di testa e la palla rimbalza sulla gamba del bosniaco Kolasinac, finendo in rete. Sempre nel primo tempo Romero salva il risultato con un ottimo intervento su colpo di testa di Lulic. Poi nella ripresa si assiste a uno strepitoso gol di Messi: parte palla al piede dalla trequarti, riceve il passaggio di ritorno da Higuain, salta una paio di uomini e conclude a rete dal limite dell’area, con la la sfera che tocca il palo ed entra in porta. Accorcia alla fine Ibisevic, due a uno per i sudamericani. Poi gli argentini sono chiamati ad affrontare l’Iran in una sfida alla fine dei conti tutt’altro che agevole. L’albiceleste crea occasioni ma rischia seriamente di andare sotto nella ripresa quando l’iraniano Dejagah, con uno splendido colpo di testa in corsa su lancio da dietro, richiede a Romero un altrettanto splendido colpo di reni a salvare la propria porta. La tenzone è risolta al novantunesimo ancora grazie a un capolavoro di Messi, una parabola arcuata calciata da destra che si insacca a fil di palo.
Bastano due partite e l’Argentina è già qualificata; la Nigeria, prossima avversaria, quasi: per mettere in discussione il passaggio del turno dovrebbe infatti perdere, nel contempo l’Iran dovrebbe vincere e da lì in poi avrebbe rilievo la differenza reti. Ma la formazione asiatica perde tre a uno contro la Bosnia e il discorso si chiude senza bisogno di ulteriori calcoli. Dopo l’iniziale pareggio a reti bianche tra Iran e Nigeria, la sfida che ha deciso il destino del girone per ciò che concerne la seconda qualificata è stata infatti Nigeria – Bosnia Erzegovina, vinta dagli africani uno a zero grazie al gol di Odemwingie. Ma nell’occasione i bosniaci hanno validi motivi per recriminare: disputano una buona prestazione, segnano con Dzeko un gol regolare annullato per fuorigioco e attaccano sino alla fine: all’ultimo istante di gioco lo stesso Dzeko conclude da ottima posizione davanti alla porta avversaria, il tiro è deviato dall’estremo Enyeama, la palla sbatte sul palo e poi esce.
Argentina – Nigeria si risolve in un confronto zeppo di reti. Al terzo di gioco Messi raccoglie una palla rimbalzata sul palo dopo una conclusione di Di Maria e porta così subito in vantaggio l’albiceleste. Passa un minuto e Musa pareggia con un bel tiro a giro. Poi Lionel Messi, che a questo punto del torneo sta assumendo le sembianze di un alieno approdato per caso al campionato mondiale degli esseri umani, calcia una punizione all’angolino, tolta dallo specchio della porta dal portiere, che poi però nulla può su di un successivo, analogo tentativo. Durante l’intervallo, nel tunnel degli spogliatoi, Enyeama scherzerà con il direttore di gara Rizzoli a favore di telecamera, lamentandosi delle troppe punizioni concesse a uno come Messi. Nella seconda frazione Musa marca il nuovo momentaneo pareggio per gli africani e realizza una doppietta che a sorpresa riuscirà a replicare nella fase finale della Coppa quattro anni più tardi. E poi Rojo, su azione d’angolo, regala all’Argentina vittoria e qualificazione a punteggio pieno.
I giochi cominciano veramente farsi duri nell’ottavo di finale che accoppia gli argentini alla selezione svizzera, qualificatasi però alla fase a eliminazione diretta non senza difficoltà. La partita decisiva a posteriori è stata la prima, contro l’Ecuador: la Svizzera si è imposta due a uno e in rimonta, grazie a un gol di Seferovic marcato all’ultimo minuto di gioco dopo che, nell’azione appena precedente, l’Ecuador aveva seriamente sfiorato un nuovo vantaggio. Poi la Svizzera perde male contro la Francia e infine regola tre a zero il poco impegnativo Honduras, sconfitto anche dagli ecuadoriani. Nella formazione elvetica incontriamo un giovane e interessante esterno in forza al Bayern di nome Shaqiri, autore di una tripletta contro l’Honduras; e poi Lichsteiner, terzino della Juventus, tutta corsa e aggressività, ma provvisto anche di buona tecnica, e i validi centrocampisti del Napoli Inler e Behrami.
Sin dalle prime battute dell’incontro si intuisce che non sarà semplice per l’Argentina venire a capo del confronto con la Svizzera: nell’ambito di una partita piuttosto bloccata e avara di emozioni, gli elvetici non lesinano l’uso di maniere dure per frenare la diffusa classe argentina, ma nel contempo tentano anche alcune sortite offensive. Anzi, nel primo tempo le occasioni migliori sono degli europei: ispirate da Shaqiri, assurto al ruolo di autentico trascinatore, la palla buona giunge sui piedi prima di Xhaka e poi di Drmic, ma nel primo caso c’è la parata di Romero, nel secondo l’errore del giocatore svizzero. Vanno meglio invece gli argentini nella ripresa. Di Maria cresce, Higuain sfiora il gol di testa su cross di Rojo, obbligando Benaglio alla parata. Il portiere svizzero blocca anche una pericolosa conclusione di Messi a un quarto d’ora dalla fine.
Ma nei tempi supplementari in campo rimane solo l’Argentina. Il gran tiro di Di Maria che obbliga Benaglio ad una parata di analogo valore, nel corso del secondo supplementare, è solo la premessa al vantaggio della seleccion. Il minuto è il centodiciotto e il gol può facilmente essere preso a simbolo dell’Argentina di Messi e Di Maria, volendo come una possibile staffetta, ma trasformatosi altresì a posteriori nella loro ultima espressione di gioco in comune. A tratti oggi in ombra, ben contenuto da Behrami, Messi intraprende un’azione personale per vie centrali, velocissimo, poi scarica sulla destra per Di Maria che conclude di prima rasoterra e manda la sfera in rete. Si assiste alla classica esultanza di Di Maria con le dita delle mani disposte a cuore, e poi la regia televisiva passa sul primo piano di Lichsteiner, aggrappato alla rete della propria porta, lo sguardo esausto quanto disperato. Non è comunque finita. Di Maria sfiora il raddoppio con un tiro scoccato dalla trequarti mentre il portiere svizzero si era lanciato in avanti per sfruttare un’eventuale superiorità numerica alla ricerca del pareggio. Poco dopo c’è un cross verso la porta argentina, Dzemaili impatta di testa e prende il palo! – poi la palla torna in campo, sbatte sulla gamba dello stesso Dzemaili e finisce fuori. Ed è fatta per l’Argentina.

Un tardo pomeriggio piovoso e freddo nell’inverno australe di San Paolo è il contesto della semifinale mondiale tra Argentina e Olanda. Fra i sudamericani Rojo rientra dal turno di sospensione e riprende il posto di titolare ai danni di Basanta, mentre Perez sostituisce l’infortunato Di Maria. Fra gli europei de Jong recupera dall’infortunio ma uscirà dal campo dopo un’ora, sostituito da Clasie; Depay siede in panchina e vi resterà per tutto l’incontro. Un minuto di silenzio precede il fischio di inizio, la stessa ragione per la quale gli argentini giocano con il lutto al braccio, ovvero il ricordo del grande Alfredo Di Stefano spentosi due giorni prima, il 7 luglio.
Sono due selezioni arrivate al penultimo atto del torneo con evidenti sintomi di fiato corto e l’andamento della partita corrisponde alle condizioni atmosferiche che la circondano: non entusiasma, si trascina, vive di una tensione soprattutto riflessa (per la posta in gioco, il blasone delle contendenti, i precedenti) anziché palpabile – l’esatto opposto dell’enorme impatto storico ed emozionale della semifinale gemella. Pochi sono gli spunti da raccontare: basti dire al riguardo che bisogna attendere novantanove minuti di gioco per vedere il primo tiro in porta dell’Olanda, per di più una conclusione dalla distanza di Robben bloccata senza alcun problema da Romero. Brillano soprattutto le difese e il dato rappresenta comunque un attestato di merito per i rispettivi reparti. L’attacco argentino è una copia smunta e infedele delle prestazioni precedenti. La selezione olandese poi, chiusa e attenta più a non subire che a costruire, esagera nell’atteggiamento attendista: Sneijder risulta eccessivamente sacrificato, in aggiunta ad un van Persie oggi inconsistente.
Pertanto nel primo tempo si può solo segnalare un tentativo su punizione di Messi parato dal portiere olandese. Nella ripresa, proprio al novantesimo, ecco concretizzarsi la migliore occasione olandese propiziata da un’azione personale di Robben, tacco di Sneijder, palla ancora a Robben in area di rigore e provvidenziale entrata in tackle scivolato di Mascherano – oggi il migliore in campo – a salvare la porta argentina. Zero a zero, si prosegue. Robben cerca di combinare qualcosa per i suoi nel primo tempo supplementare, ma nei secondi quindici minuti le migliori possibilità sono di marca argentina. Maxi Rodriguez (entrato al posto di Lavezzi) serve Palacio (anch’egli entrato a gioco in corso, al posto di Perez), ma Palacio spreca tutto eseguendo un colpo di testa di testa facile preda di Cillessen. Poi compare anche Messi, pressoché assente per tutto l’incontro, che scappa sulla sinistra e mette in mezzo per Maxi Rodriguez, ma ancora una volta il tiro non è granché e l’intervento del portiere olandese diventa abbastanza semplice. Il risultato di zero a zero al termine di centoventi minuti di gioco è nel rispetto della tradizione: l’Argentina non ha mai preso un gol nei tempi supplementari in Coppa del Mondo e nel medesimo frangente l’Olanda non ha mai segnato. Si va quindi ai tiri dal dischetto.
Per questi tiri di rigore però van Gaal deve, volente o nolente, rinunciare alla mossa che con ogni probabilità ha deciso la sfida dei quarti di finale, ovvero il cambio in corsa del portiere, poiché ha esaurito le sostituzioni a disposizione. Inizia la formazione dei Paesi Bassi con Vlaar che, seppur autore di una bella partita, non ha mai calciato un rigore prima di ora: Romero para la conclusione. Poi realizzano Messi, Robben e Garay. Anche Sneijder non è uno specialista, ma qui gran merito va ascritto al balzo sulla propria destra del portiere argentino che così respinge la conclusione. Le speranze olandesi sono agli sgoccioli. Aguero, che ha sostituito Higuain, mette in rete, così come Kuyt. È infine il turno a Maxi Rodriguez: l’estremo olandese tocca ma la sfera finisce lo stesso in rete. Quattro a due per l’Argentina ai tiri di rigore nei quali il portiere Romero, come Goyocoechea ventiquattro anni prima, è stato l’elemento decisivo assieme alla precisione al tiro dei suoi compagni, per condurre in tal modo l’albiceleste alla finale mondiale.
Dopo un girone della prima fase abbastanza facile, l’Argentina è stata chiamata a difficili scontri diretti opposta a compagini europee che è riuscita a eliminare una dopo l’altra ma in partite impegnative, concluse due volte su tre ai tempi supplementari. E ha sprecato energie. Nella fase finale di un Mondiale, quando l’Argentina arriva in semifinale vince sempre (quinta volta) e più di tutto adesso ritorna a giocarsi un titolo importante per la prima volta dall’inizio degli anni Novanta del secolo precedente (finale di Coppa del Mondo nel 1990, Copa America tre anni dopo). È una soddisfazione anche per Julio Grondona, lo storico capo della federazione argentina dal ’79 che morirà pochi giorni dopo la finale, il 30 luglio, a causa di un aneurisma aortico.
Gli argentini hanno dimostrato di trovarsi a proprio agio nella tensione dei tiri di rigore. Su cinque sfide decise ai rigori in Coppa del Mondo, l’Argentina ne ha vinte quattro, un record che condivide assieme ai nazionali tedeschi. Proprio la Germania ha loro inflitto l’unica sconfitta della serie, nel 2006, ma oltre tutto li ha eliminati anche dal Mondiale precedente, nel 2010. E chi aspetta l’Argentina in finale?
1 marzo 2022
References
1. | ↑ | Jonathan Wilson, Angel Di María a tactical schemer focused more on structure than star quality, The Guardian |