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Brasile, 2014
IV. Incroci sudamericani

La Confederations Cup che da recente tradizione si disputa un anno prima del Mondiale sui campi del paese organizzatore, quindi quale sorta di prova generale della Coppa, nell’edizione brasiliana si trasforma nel teatro di impreviste quanto imponenti proteste popolari. Già da qualche mese era attivo in Brasile un comitato che organizza gruppi contrari ai grandi eventi in programma, ma nell’estate del 2013 la contestazione deflagra, generata da una manifestazione contro l’aumento del prezzo dei trasporti pubblici locali tenutasi a San Paolo pochi giorni prima del torneo. La polizia interviene brutalmente e lo stesso accade a Brasilia, il giorno in cui si inaugura la manifestazione. Le immagini della violenta repressione accompagnate dal malcontento diffuso conducono in poco tempo a manifestazioni di massa – le più ampie in Brasile da oltre vent’anni – contro la classe politica al potere e volte a denunciare lo sperpero di denaro pubblico in atto. Con un discorso alla nazione la presidente Rousseff accoglie in parte le istanze dei dimostranti e placa gli animi, sebbene i grandi eventi restino al loro posto. Per la cronaca calcistica, la nazionale brasiliana vince il torneo sconfiggendo l’Uruguay in semifinale e la Spagna in finale, tre a zero.

È questo inquieto e forse disilluso Brasile che si è accollato l’onore/onere di organizzare il campionato mondiale di calcio del 2014. Dodici città e dodici stadi, di cui sette nuovi di zecca, ospitano le partite: le città sono sparse in un paese non piccolo e questo produce la necessità di molti spostamenti aerei, altresì esasperati dall’intenzione di garantire incontri calcistici di rilievo a ciascuna delle sedi prescelte. Sono Mondiali parecchio costosi – per Romario, ora politico di rilievo nazionale, rappresentano addirittura il maggior furto della storia. Non si ripeteranno però le scene di protesta viste un anno prima. La Fifa ripropone i fan fest che hanno funzionato bene nelle ultime due edizioni, ovvero raduni di massa opportunamente sponsorizzati in zone iconiche (Copacabana su tutte) per assistere alle partite sui maxischermi e fare festa. Sugli spalti degli stadi brasiliani si scorge una maggioranza di visi bianchi, i quali invece nel paese sono minoranza: la selezione in base al colore della pelle (in realtà ai sensi di classe sociale) l’ha realizzata il costo dei biglietti.

Con la prospettiva di una storica affermazione casalinga, ovviamente ignari di apprestarsi invece a una altrettanto storica delusione, la federcalcio brasiliana affida la panchina della selecao a Felipe Scolari, ultimo ct a guidare i verdeoro al titolo mondiale giusto dieci anni prima del nuovo incarico. Scolari conduce i suoi a una nuova (terza di fila) e a posteriori inutile affermazione nella Coppa delle Confederazioni. Tra questo torneo e il Mondiale, complice anche l’assenza di sfide di qualificazione, la nazionale brasiliana è impegnata in una lunga serie di partite sparse per quattro continenti, poiché dal 2012 le amichevoli della selecao sono inserite in un circuito chiamato Brasil Global Tour ed essenzialmente finalizzato a fare cassa. I brasiliani perdono la prima partita della serie, contro la Svizzera, ma si impongono nelle altre nove, un paio delle quali (Portogallo e Cile) di alto livello.

Però il Brasile ha smesso di sfornare talenti in serie, soprattutto in attacco: non mancano del tutto, ma sono non così tanti come prima, ed è una carenza che si ripete dal 2002. Uno degli esempi, lampante, è rappresentato dal caso di Oscar, regista della formazione e centrale nel progetto di Scolari, che appena due anni dopo il Mondiale, a soli venticinque anni, accetta una sorta di pensionamento anticipato nel campionato cinese. I limiti della selezione, appaiati ad attese ingestibili, trasformano la squadra, secondo il commentatore sportivo Paulo Vinicius Coelho in un “mare di nervi e ansia1)David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019. A differenza del passato, la selezione in verdeoro continua poi a convincere più in difesa che dalla metà in su. Il centrocampo è formato da onesti giocatori, non molto di più, quali Paulinho, Luiz Gustavo, e forse un po’ sopra la media Fernandinho; stesso dicasi per l’attacco dove Hulk, Oscar e Fred sono schierati assieme al giovane Neymar, l’unico autentico fuoriclasse del lotto. Non è un caso che, degli undici gol brasiliani, tre siano marcati da difensori e quattro da Neymar. Quando saltano il miglior fra i difensori e Neymar, salta tutto.

I due centrali di difesa titolari sono Thiago Silva e David Luiz, e offrono ottime garanzie alla fase di copertura brasiliana. Il primo mostra il suo valore nel Milan, poi passa al Paris Saint-Germain e, verso fine carriera, al Chelsea; è un difensore grandioso nel senso della posizione e nell’uno contro uno, dotato anche di un notevole gioco aereo e in generale del piglio del leader. David Luiz – fornito di una bella tecnica, un gran lancio dalle retrovie, ma a volte colpevole di qualche amnesia nella copertura vera e propria – sta per raggiungere il suo connazionale al Paris Saint-Germain, la potenza emergente del panorama calcistico mondiale a suon di quattrini.

Con Marcelo e Dani Alves procede spedita la straordinaria tradizione che il calcio brasiliano ha edificato sugli esterni arretrati. Marcelo è un terzino sinistro che ha tecnica e dribbling ed è molto abile nei cross e in generale negli assist; diventa grande – e fa grande – con il Real Madrid, dove vince cinque campionati e quattro Champions. Nei blancos realizza una splendida catena di gioco sulla fascia sinistra con Cristiano Ronaldo, così come accade in modo analogo a Barcellona, ma sull’altra fascia, tra Dani Alves e Messi. Dani Alves è un calciatore dal carattere bizzarro ed estroverso, senza peli sulla lingua e quindi imprevedibile: nell’aprile di quell’anno, durate una trasferta a Villareal, un coglioncello razzista gli tira una banana: lui la prende, la sbuccia e dà un morso, irridendo in tal modo la stupidità del gesto. Raccoglie centodiciannove presenze in nazionale, terzo di sempre, l’ultima delle quali a fine 2019, ed è nominato miglior giocatore nella vittoriosa Copa America di quell’anno. Dani Alves è uno strepitoso terzino, veloce, instancabile, decisamente tecnico, ma in generale ai Mondiali non brilla: è già in campo nel 2010 senza incidere, salta la Coppa del 2018 per infortunio, mentre nel Mondiale casalingo rimane nell’undici titolare solo sino agli ottavi di finale. Non convince e quindi perde il posto dopo la sofferta affermazione sul Cile a vantaggio di Maicon, il quale però non è più il giocatore esplosivo di quattro anni prima, e lo stesso dicasi per il portiere titolare Julio Cesar.

Nel corso di Brasile 2014 si inizia però ad ammirare lo splendido talento calcistico di Neymar, l’uomo più atteso dai tifosi della selecao che infatti non delude e mette a segno nel complesso quattro reti e un assist (è in calo però nella sfide a eliminazione diretta). Neymar da Silva Santos Júnior è acclamato come l’erede di Pelé, nei confronti del quale si riscontrano alcune similitudini nello stile di gioco: ha dribbling, velocità e senso del gol a livelli sovrumani, ma a differenza del suo illustre predecessore Neymar mostra un brutto carattere, sfoggia atteggiamenti antipatici e attira su di sé una crescente quanto deleteria fama di cascatore. Nel 2011 vince la Copa Libertadores con il Santos, il club di Pelé, e pare quindi un predestinato; poi attraversa l’Atlantico e approda al Barcellona, ma è clamoroso il suo passaggio al Paris Saint-Germain del 2017: il club francese sborsa l’intera clausola rescissoria di 222 milioni di euro per strappare ai catalani l’attaccante brasiliano, una cifra record. Oltre alle doti persuasive del denaro, i parigini sfruttano probabilmente la volontà di Neymar di allontanarsi dall’ombra di Messi, assieme al quale e a Suarez formava un fantastico trio d’attacco che ha deciso la Coppa Campioni del 2015. Proprio ai danni del PSG, nella Champions che precede il suo carissimo trasferimento, Neymar è protagonista in prima persona di una rimonta mai vista: sconfitti quattro a zero all’andata, i blaugrana ribaltano l’esito della sfida vincendo sei a uno al ritorno, con tre reti marcate negli ultimi dieci minuti di gioco.

Al momento gli anni trascorsi a Barcellona sono stati calcisticamente i migliori di Neymar, anche a causa di diversi infortuni che in seguito lo hanno tormentato parecchio. Il talento brasiliano sembrava prossimo a rubare la scena a Messi e Cristiano Ronaldo, non ci è riuscito, e forse l’attimo propizio è passato. Neymar ha già giocato oltre cento partite con la maglia del Brasile, è il secondo marcatore di sempre dietro al solo Pelé e il sorpasso è probabile, ma con la lieve differenza che alla sua età attuale Pelé aveva già vinto tre Mondiali. Manca ancora a Neymar una grande affermazione con la maglia del suo paese, se si esclude la medaglia d’oro alle Olimpiadi del 2016, a dirla tutta però un titolo non così significativo per un calciatore.

L’esordio brasiliano al Mondiale di casa avviene il 12 giugno a San Paolo, contro la Croazia, e dopo dieci minuti il Brasile è sotto: passaggio di Olic dalla fascia, intervento sbagliato dell’attaccante croato Jelavic che sbaglia il colpo a rete, la palla scorre ma sulla corsa interviene Marcelo che rimedia all’errore avversario correggendo nella propria porta. Però già alla mezzora i brasiliani pervengono al pareggio grazie a un sinistro rasoterra di Neymar dalla distanza, molto preciso e a fil di palo, seppur un po’ lento. A venti minuti dalla fine dell’incontro viene fischiato a favore del Brasile un rigore generoso, al limite del puro omaggio, causato un presunto fallo di Lovren su Hulk. Calcia Neymar, il portiere tocca la sfera ma non basta, e il gol scatena la gioia dei tifosi che compongono una marea gialla sugli spalti poiché quasi tutti indossano la maglietta della nazionale – e sarà così per tutto il torneo. Poi Oscar fissa il risultato sul tre a uno. Nell’altra sfida del girone il Messico batte il Camerun uno a zero grazie a un gol di Peralta nella ripresa che segue altre due reti messicane annullate ingiustamente nel corso della prima frazione.

Brasile – Messico, secondo incontro del girone, termina zero a zero. Nel primo tempo sotto i riflettori ci sono i portieri: Julio Cesar compie una bella parata su tiro da fuori di Herrera, ma Ochoa, su colpo di testa di Neymar, sfodera un intervento eccezionale che ricorda da vicino – nella dinamica e nella perizia mostrata – la parata di Banks su Pelé nel 1970 durante Brasile – Inghilterra. Ochoa è di gran lunga il migliore in campo grazie ad almeno altre tre parate decisive. I brasiliani attaccano soprattutto nella ripresa, rischiano qualcosa nelle battute finali, ma il risultato non si sblocca. La Croazia si riprende subito e travolge quattro a zero la selezione del Camerun, sfruttando una superiorità numerica a proprio favore durata per oltre un tempo: Song ha infatti rifilato una gomitata sulla schiena di Mandzukic a palla lontana, ma piuttosto vicino gli occhi dell’arbitro.

L’ultimo turno vede ancora in lizza tre squadre con differenti possibilità di successo, poiché a Brasile e Messico è sufficiente un pari, mentre la Croazia deve per forza vincere. Inoltre ai brasiliani spetta l’impegno più semplice contro la compagine africana ormai fuori dai giochi, e infatti i padroni di casa risolvono la questione con un netto quattro a uno orchestrato da un Neymar scatenato. Il Camerun perde la sesta partita di fila alla fase finale di un campionato del Mondo: dopo la grandi gesta del 1990, i camerunensi non sono mai più riusciti a oltrepassare il primo turno della Coppa.

Fra messicani e croati l’incontro resta a reti bianche per tutto il primo tempo, nonostante una traversa colta da Herrera per i centroamericani, e lo stesso parziale permane per buona parte della ripresa. Ma i i messicani crescono con il trascorrere del tempo e dal settantaduesimo, in dieci muniti, sfondano su tutti i fronti: Marquez, Guardado ed Hernandez infilano per tre volte la porta avversaria, poi alla fine Perisic marca il tre a uno. La Croazia schiera diversi uomini che assumeranno il ruolo di protagonisti assoluti nella Coppa a venire, ma qui la squadra non gira, un po’ per l’obiettiva difficoltà del girone toccato in sorte, forse soprattutto perché non ha ancora quel grado di consapevolezza necessario per puntare in alto. Brasile e Messico allora chiudono a pari punti, con il Brasile primo classificato grazie alla differenza reti. Niente di eccezionale sin qui, ma compito pienamente assolto per la selecao.

L’esultanza di David Luiz – fifa.com

Nella fase a eliminazione diretta del Mondiale 2014, tutto un pezzo del tabellone è occupato da selezioni di marca Conmebol – Brasile, Cile, Colombia, Uruguay -, e da questi incroci sudamericani, da questa mini Copa America verrà fuori una delle semifinaliste. Favorita d’obbligo è la selezione brasiliana che riporta l’importante e non semplice affermazione sui cileni; la partita ha mostrato però alcune evidente crepe nell’edificio della selecao, seppur al netto del valore dell’avversario. Ai quarti di finale il Brasile è atteso dalla Colombia, la squadra latinoamericana che più gli assomiglia in alcuni tratti caratteristici: abbondanza di fantasisti, composizione multietnica, persino il colore delle magliette. La Colombia non è mai arrivata così avanti nei Mondiali di calcio.

Ritornata alla fase finale della Coppa dopo sedici anni, la Colombia propone una squadra nuovamente competitiva ad alti livelli come per l’appunto non accadeva dagli anni novanta. Sulla panchina siede da un paio d’anni Josè Pekerman, argentino, di nuovo ai Mondiali dopo l’esperienza del 2006 con la nazionale del suo paese di origine – esperienza valida, ma chiusa con l’amaro in bocca. Il percorso colombiano in Brasile è illuminato dalle gesta di James Rodriguez, giovane trequartista che chiude la competizione come miglior marcatore con sei reti, alle quali aggiunge anche due assist. Ha ventitré anni, impressiona e il futuro sembra tutto nei suoi piedi, ma senza dubbio all’ombra del Mondiale le prospettive parevano più allettanti: negli anni ha un po’ deluso, forse limitato da un fisico carente per gli standard del calcio attuale di alto livello, forse da una personalità calcistica non pienamente realizzata. Dopo il campionato del Mondo va al Real Madrid, poi al Bayern Monaco: è nel pieno del calcio che conta, conquista titoli, ma mai da autentico protagonista.

La selezione colombiana vanta poi diversi altri elementi di valore certo. Juan Cuadrado (una rete e quattro assist al suo attivo) è la classica ala tutto dribbling e cross, veloce e versatile tanto da adattarsi senza particolari problemi anche nel ruolo di terzino; gioca nella Fiorentina, poi trascorrerà molti anni nella Juventus. È d’obbligo citare poi il portiere Ospina, i difensori Yepes e Zapata, l’esterno Zuniga, l’attaccante Bacca – tutti quanti interpreti di carriere trascorse nelle principali leghe europee. A causa di un infortunio occorso a gennaio (rottura del legamento crociato), manca però Falcao, ovvero il giocatore che diventerà il miglior marcatore nella storia della nazionale colombiana. Attaccante forte nel fisico e devastante in campo durante le stagioni che hanno preceduto il Mondiale con le maglie di Porto e Atletico Madrid, l’infortunio ne segna in modo irreparabile la carriera, restituendo un atleta mai più in grado di raggiungere le vette passate. È un’assenza che pesa molto sugli equilibri della squadra, anche perché non c’è in Colombia una punta degna di sostituirlo a dovere. Necessariamente ci si chiede cosa sarebbe stata la Colombia del 2014 con quel James Rodriguez in stato di grazia affiancato dal migliore Falcao.

La strada colombiana verso i quarti di finale passa attraverso un difficile girone della prima fase superato nel complesso con autorevolezza, e un ottavo di finale impegnativo – ma anch’esso portato a casa con merito. Un percorso che non passa inosservato. La partita d’esordio contro la Grecia è vinta tre a zero e nei fatti è meno semplice di quanto ci racconti il risultato finale. I colombiani passano subito in vantaggio grazie al gol di Armero, ma tremano sulla conclusione del greco Kone che costringe Ospina a una grande parata; poi si assiste a tentativi a rete in entrambe le direzioni. Nella ripresa raddoppia Gutierrez su azione d’angolo, dall’altra parte Dekas coglie la traversa di testa a porta vuota, e poi nei minuti di recupero va a segno James. Colombia – Costa d’Avorio è risolta dai sudamericani nel secondo tempo: James infila di testa su calcio d’angolo battuto da Cuadrado, che è in gran forma e in precedenza ha anche timbrato la traversa; raddoppia Quintero, poi Gervinho con ottima azione personale, dopo aver saltato tre avversari fissa il risultato sul due a uno.

Contro la nazionale del Giappone, il parziale è fermo sull’uno a uno a fine primo tempo, poi la Colombia dilaga: finisce quattro a uno. Brasile ’14 rappresenta una passaggio avaro di gioie per le squadre asiatiche, poiché nessuna di queste selezioni raggiunge l’approdo alle sfide a eliminazione diretta. L’incontro fra colombiani e giapponesi resta poi nella memoria per l’ingresso in campo del più anziano giocatore nella storia dei Mondiali, il portiere Mondragon che ha quarantatré anni ed era stato fra i selezionati colombiani sin dal 1994 (ma è un record che sarà superato solo quattro anni più tardi).

L’ottavo di finale fra Colombia e Uruguay si gioca a Rio de Janeiro, in quello Stadio Maracanà diventato mito per il calcio uruguagio perché teatro del suo secondo (e ancora ultimo) titolo mondiale. L’impianto che prende il nome da un fiume che passa nelle vicinanze, ma in realtà dedicato al giornalista Mario Filho, è stato ricostruito e l’enorme capienza di un tempo, poi progressivamente ridotta, adesso si attesta a poco più di ottantamila posti. La copertura è diventata completa, dall’esterno la struttura non pare cambiata molto ma all’interno l’impatto visivo è completamente diverso.

Fra gli uruguaiani è assente però proprio l’uomo migliore a disposizione, Suarez, fuori per squalifica: in sua vece gioca Forlan che ha trentacinque anni, è ben lontano dal giocatore di quattro anni prima e non a caso sgambetta ormai sui prati del campionato giapponese; lascerà il campo all’inizio del secondo tempo per Stuani. Al minuto ventotto della prima frazione James realizza una rete meravigliosa. Distante venticinque metri dalla porta, il colombiano ferma la sfera di petto e in torsione calcia al volo di sinistro mettendo la palla direttamente sotto la traversa. Raddoppia sempre James al cinquantesimo con una conclusione a rete dall’area di rigore su assist di testa di Cuadrado, poi si assiste al consueto balletto dei giocatori che segue le marcature colombiane. In svantaggio di due reti, l’Uruguay inizia a giocare a calcio e crea diverse occasioni da rete; sale in cattedra allora Ospina, autore di importanti interventi sulle conclusioni di Rodriguez, Pereira e Cavani, e il risultato non muta. In fin dei conti la celeste ha espresso una prestazione generosa in questo ottavo di finale, ma è un gradino sotto la Colombia e ai piedi del suo trascinatore, James Rodriguez, oggi straordinario e accolto da un’ovazione al minuto ottantacinque mentre esce dal campo.

Quattro vittorie su quattro, undici reti a segno – contro la Colombia il Brasile è atteso a un altro incrocio sudamericano di spessore. Ecco allora la cronaca di quella sfida. Settimo minuto, angolo di Neymar, sfiora di testa David Luiz e sulla palla giunge tutto solo Thiago Silva – beatamente perso da Sanchez – che tocca di coscia e mette in rete. Uno a zero per il Brasile. Passano pochi minuti e la Colombia sfiora il pareggio con Cuadrado (oggi però nel complesso non sufficiente), il cui tiro lambisce il palo alla sinistra di Julio Cesar. Ma è il Brasile che impone il proprio gioco in questa prima frazione: Hulk, servito da Neymar, è a tu per tu con Ospina, ed è bravo ancora una volta l’estremo colombiano a respingere la conclusione a rete; di nuovo Hulk dall’area di rigore con un tiro basso respinto dal portiere; poi ci prova Neymar su punizione e manda alto.

Secondo tempo. Una delle novità di questo campionato è costituito da una bomboletta spray data in dotazione agli arbitri per tracciare sul terreno di gioco dei segni – che poi si cancellano da soli – e garantire così la distanza regolamentare nei calci di punizione, ovvero i canonici nove metri e quindici centimetri (più o meno). Con la barriera alla giusta distanza e il divieto ai giocatori di staccarsi anzitempo, i calci da fermo assumono un’importanza crescente. Al minuto sessantanove David Luiz esegue un calcio di punizione da oltre trenta metri: colpisce di piatto destro generando una splendida parabola arcuata che finisce in rete. Due a zero per il Brasile – corsa e urlo sfrenato dell’autore del gol che scarica in tal modo tutta la tensione accumulata fino a scalciare la bandierina del corner, e poi alla fine deve comunque inginocchiarsi, ringraziare iddio, insomma le solite scene, vabbè.

Doppio vantaggio, ma ora la selecao cala sia come gioco, sia dal punto di vista atletico, soffre e comincia a lasciare spazi agli avversari. Oggi però la Colombia non è all’altezza delle gare precedenti, probabilmente zavorrata da alcuni errori di formazione commessi da Pekerman (Ibarbo anziché Jackson Martinez, Guarin per Aguilar), così come accaduto alla guida della seleccion argentina ai quarti della Coppa 2006: sarà sfortuna, sarà una sorta di annebbiamento nei momenti decisivi, in ogni caso la storia per Pekerman si ripete. A dieci minuti dal termine un fallo di Julio Cesar su Bacca lanciato a rete da James consente a quest’ultimo di presentarsi al dischetto del rigore e accorciare il parziale. In ipotesi la sfida si riapre, ma nel tempo restante non ci sono altre occasioni da rete degne del racconto. Accade invece uno degli episodi decisivi di questo Mondiale: Zuniga affibbia un colpo con il ginocchio sulla schiena di Neymar che crolla a terra e viene portato via in barella dolorante, affranto e in lacrime. Diagnosi, frattura di una vertebra.

Vince il Brasile per due a uno una partita tesa, importante e avvincente ma non bella, disputata in un tempo di gioco effettivo incredibilmente basso, appena trentanove minuti. Troppi i cinquantaquattro falli nel computo finale, con una prevalenza brasiliana che darà vita a parecchie recriminazioni di parte avversa, ma francamente eccessive. Si ricordano alcuni interventi duri al limite dell’intimidazione di Fernandinho su James, oltre a fallaccio che ha messo a fine al Mondiale di Neymar. In questo contesto, le ammonizioni comminate dall’arbitro spagnolo Velasco sono state solo quattro, ma una di queste, rivolta a Thiago Silva, assume un peso non trascurabile. Thiago Silva commette un fallo abbastanza inutile e del quale forse non si è nemmeno accorto, un contrasto sul portiere avversario mentre sta rilanciando lungo, ma è sotto diffida e salterà la semifinale per squalifica. Josè Mourinho prevede allora la necessità di spostare a destra David Luiz per far posto a Dante ed è profetico, benché non il solo, quando identifica in questo inconveniente, nell’assenza del capitano l’autentica, pesante complicazione che i brasiliani dovranno tentare di risolvere nell’incontro a venire2)Cassiano Gobbet, The mirror crack’d, The Blizzard n. 14.

Sono quindi segnali di ripresa e di forza quelli che si registrano sul versante delle selezioni sudamericane durante il torneo brasiliano del 2014, dopo due Mondiali piuttosto insoddisfacenti. Una finalista sudamericana non si vedeva dalla Coppa del 2002, mentre per ritrovare due selezioni in semifinale bisogna tornare al 1978 (le altre volte in cui era accaduto, erano le edizioni del 1930, 1950, 1962, 1970). Tre sudamericane su otto sono arrivate ai quarti di finale. Ma questa ondata non ritornerà nel Mondiale di quattro anni dopo.

Le affermazioni brasiliane su Cile e Colombia passano un po’ in secondo piano nella narrazione comune del campionato, ma non sono da sottovalutare perché ottenute su selezioni nuove e molto interessanti: proprio con la Colombia la selecao gioca la sua migliore partita del torneo e pare aver raggiunto una discreta condizione tecnica. Ma la storia mondiale brasiliano svolta, si ferma e si condensa nella semifinale. I giocatori in verdeoro di questa Coppa diventeranno per sempre “quelli che hanno preso sette gol dalla Germania nel 2014”.

Stavolta la sconfitta storica si trasforma in un dramma solo sportivo e quindi senza le esagerazioni dialettiche e non del passato; la sconfitta del Brasile calcistico, però, è un anticipo plastico di quanto accadrà al paese negli anni successivi, nonostante l’esito felice delle Olimpiadi di Rio de Janeiro. All’inizio del 2016 viene votata la messa in stato di accusa della presidente Rousseff per corruzione: prende il suo posto il vice-presidente Temer, un conservatore, che pronuncerà il discorso inaugurale dei Giochi sommerso dai fischi. Gli scandali per corruzione proseguono, l’ex presidente Lula viene arrestato; dilaga nel frattempo la criminalità collegata al traffico di droga e così la violenza di strada; e infine il destro Bolsonaro viene eletto alla presidenza. Sembra che il Brasile non abbia più voglia di essere il paese del futuro.

Nonostante cinque titoli mondiali messi in bacheca, la nazionale brasiliana non ha mai vinto il titolo sui terreni di casa, nonostante abbia ospitato il campionato del Mondo per due volte. Visti gli esiti, è possibile che questa del 2014 sia l’ultima. In ogni caso l’accesso alle semifinali, ovvero l’ingresso fra le prima quattro selezioni al mondo, rimane un grande risultato sportivo per la formazione brasiliana: è il miglior piazzamento dalla vittoria del 2002 sino almeno al prossimo campionato, quello del 2022, e dunque nell’arco di un ventennio. Ma non cancella la desolazione per il disastro.

1 marzo 2022

immagine in evidenza: Colombia – Uruguay

References   [ + ]

1. David Goldblatt, The age of football, McMillan, 2019
2. Cassiano Gobbet, The mirror crack’d, The Blizzard n. 14