L’altra gara di esordio nel girone della morte di Brasile 2014 è Cile – Australia, ovvero le due selezioni che, rispetto a Spagna e Olanda, rivestono giocoforza il ruolo di sfavorite. I cileni passano in vantaggio dopo meno di un quarto d’ora grazie a Sanchez, facendo il bello e il cattivo tempo in area avversaria mentre gli australiani osservano. Due minuti dopo è ancora Sanchez con una bella azione centrale a servire la sfera a Valdivia, il quale conclude a rete per il momentaneo due a zero. L’Australia però non molla: sempre nel primo tempo accorcia con un gol di Cahill di testa; poi nella ripresa ha la grande occasione per pareggiare con Bresciano, le cui conclusioni (due) sono efficacemente respinte dal portiere cileno Bravo. Nel recupero Beausejour chiude i conti – il risultato è tre a uno per il Cile.
Diventa subito decisiva la sfida con una Spagna duramente colpita dai cinque gol appena incassati; è anche la replica dell’incontro giocato quattro anni prima, vinto dagli europei, e si risolve in un confronto molto piacevole. Le ferite sul corpo spagnolo sono tutt’altro che rimarginate, tanto che Del Bosque lascia in panchina due mostri sacri come Piqué e Xavi, schierando al loro posto Javi Martinez e Pedro, mentre una terza colonna della roja, Xabi Alonso, verrà tolto all’intervallo per inserire Koke. Ma i cambiamenti non danno i frutti sperati. È un Cile intraprendente all’avvio che attacca e sfiora il gol con Vargas e Jara; dall’altra parte la palla buona è sui piedi di Xabi Alonso, che calcia addosso a Bravo in uscita. Ventesimo minuto: ripartenza cilena che taglia fuori la formazione spagnola – Vidal, Sanchez, Aranguiz e infine Vargas è davanti a Casillas, rete, uno a zero per il Cile. Diego Costa sfiora il pari con una conclusione al volo terminata sull’esterno della rete, e poi alla fine del primo tempo i cileni colpiscono ancora: punizione calciata da Sanchez, Casillas para ma la palla giunge sui piedi di Aranguiz che ha il tempo di fermare la sfera e di colpirla di esterno a rete. Cile due, Spagna zero.
All’inizio della ripresa la Spagna tenta di tirarsi fuori da una situazione disperata, si getta in avanti ma spreca l’opportunità di riaprire l’incontro con Busquets che spedisce fuori una deviazione a poco più di un metro dalla linea di porta. Il Cile è più guardingo in questo secondo tempo ma si avvicina comunque al terzo gol con Isla. Ci sono poi delle belle parate di Bravo su Cazorla (due) e su Iniesta: la Spagna lotta con caparbietà e onore sino alla fine, ma non basta. La sfida si chiude con i cori dei tifosi cileni e con la formazione sudamericana che festeggia in campo il passaggio anticipato agli ottavi di finale, altresì esaltata da una notevole prova di forza che la proietta fra le compagini più promettenti del torneo.
Al momento in cui scrivo queste righe, i primi nove giocatori cileni con il maggior numero di presenze in nazionale di sempre sono scesi in campo come protagonisti al Mondiale 2014. È il marchio indelebile lasciato da una splendida generazione che, nel corso degli anni dieci, è riuscita ad attirare gli occhi del mondo calcistico sulla propria selezione, sul Cile, come mai era accaduto prima. Arturo Vidal è un centrocampista e può essere giudicato come il miglior calciatore cileno di sempre. È un giocatore roccioso e grintoso, abile a recuperare palloni e ottimo nell’anticipo, ma nel contempo con pregevole tecnica, e in più capace di fornire assist e di infilare in rete. Non sempre irreprensibile fuori dal campo – elemento che forse ne ha un po’ frenato una carriera comunque notevole – durante il Mondiale gioca nella Juventus, e poi andrà al Bayern Monaco, al Barcellona, all’Inter.
Altra stella dei cileni è Alexis Sanchez, agile attaccante dotato di un ottimo dribbling che raccoglie ad oggi centoquarantaquattro presenze e quarantasei gol in nazionale, record in entrambi i casi. Precoce, esplode all’Udinese e poi però il suo talento splende sempre un po’ a sprazzi nei grandi club in cui viene ingaggiato (Barcellona, Arsenal); la sua miglior stagione sarà proprio quella successiva al Mondiale brasiliano, durante il quale però è in gran forma. Ma in generale la caratteristica di questo Cile sarà spesso la capacità di esaltare le doti di giocatori discreti nei club, invece superbi con la maglia rossa della nazionale: si citano al riguardo Isla, Medel, oppure la punta Vargas, autore di quaranta gol in nazionale ma sempre deludente nei tentativi intrapresi con formazioni di club europei.
L’anno chiave del calcio cileno è stato il 2007. Durante i Mondiali giovanili di quell’anno il Cile raggiunse la semifinale e diversi giocatori in campo in quel torneo (Toselli, Isla, Medel, Carmona, Vidal, Sanchez) li incontriamo maturati nella selezione ora inviata in Brasile. Qualcosa di davvero importante si stava muovendo nel paese andino. L’altro episodio decisivo fu l’ingaggio per la panchina della selezione maggiore di Bielsa: il tecnico argentino riportò la squadra ai Mondiali, quelli del 2010; durante le qualificazioni il Cile riuscì inoltre a sconfiggere i rivali della seleccion argentina dopo trentacinque anni di tentativi andati a vuoto, e per la prima volta in assoluto nel corso di una partita ufficiale.
Dopo la parentesi Borghi, dal 2012 un nuovo argentino (il terzo di fila) siede sulla panchina cilena e si chiama Jorge Sampaoli. Espressivo e teatrale in panchina, Sampaoli è un seguace di Bielsa e del suo ossessivo pressing alto, ma è meno dogmatico di Bielsa: così per la partita con gli spagnoli trasforma il suo consueto 3-4-3 in un più prudente 3-4-1-2 con Vidal dietro le punte. Non ha mai allenato grandi squadre salvo l’Universidad de Chile, con la quale ottiene importanti successi; non avrà gradi risultati neanche dopo l’esperienza con il Cile, nemmeno con la nazionale argentina, che guiderà dopo qualche anno. Ma Sampaoli conduce il Cile ai Mondiali riuscendo a raddrizzare un girone di qualificazione che al suo arrivo pareva piuttosto complicato, e soprattutto edifica in modo definitivo la squadra.
Il Cile del periodo incarna progressivamente l’autentico esempio di un collettivo che rende decisamente di più rispetto alla somma dei singoli uomini. Organizzazione, carattere, sacrificio sono le costanti dei cileni, un gruppo di lottatori indomiti e sempre carichi di motivazioni, fra le quali brilla la concreta possibilità di scrivere la storia calcistica del proprio paese. Il gioco espresso non sempre è attraente, ma è produttivo: i cileni offrono un calcio senza dubbio intenso, in grado di chiudere gli spazi agli avversari, e in aggiunta la squadra si giova della versatilità di molti giocatori a disposizione. Il Cile riesce a diventare una delle selezioni nazionali più forti al mondo e dopo il torneo brasiliano ottiene risultati straordinari in Copa America, un trofeo che non ha mai conquistato.
È il 2015 e il Cile organizza il torneo calcistico del continente. La squadra di casa affronta ai quarti di finale l’Uruguay e lo supera uno a zero grazie a un gol nel finale di Isla, sfruttando anche il vantaggio di una superiorità numerica immeritata quanto bizzarra nel suo sviluppo: Cavani viene infatti espulso dopo che Jara gli ha messo un dito nel sedere e poi sempre Jara ha finto di ricevere dall’uruguaiano un colpo al viso. Per la prima volta in semifinale dal 1991, il Cile batte il Perù, giovandosi nuovamente di un uomo in più e per buona parte della gara. Entrambe le sfide sono battaglie che accendono l’entusiasmo popolare, mentre dall’altra parte avanza la favorita Argentina, che ha eliminato ai rigori la Colombia e poi sommerso di reti il Paraguay. La finale all’Estadio Nacional di Santiago si risolve in uno zero a zero combattuto e intenso, con gli argentini che devono fare a meno di Di Maria (fuori al trentesimo per infortunio) e di Messi (in campo ma perennemente in ombra): è una storia che si sta ripetendo, si veda più avanti il racconto del Mondiale. Vince quindi il Cile ai calci di rigore. Principali alfieri dei cileni in questo campionato sono stati Bravo, Medel, Vidal e Vargas.
Il capolavoro della nazionale cilena si materializza l’anno successivo con uno splendido bis ottenuto nella Copa America del centenario, speciale edizione che celebra il primo secolo del torneo e che viene disputata negli Stati Uniti, mettendo assieme dieci squadre della Conmebol e sei della Concacaf – quindi è una sorta di campionato americano a tutti gli effetti. C’è un nuovo allenatore sulla panchina del Cile che si chiama Pizzi, è ancora un argentino seppur naturalizzato spagnolo, ma la sostanza della squadra non muta. Nella fase a eliminazione diretta un Cile travolgente rifila sette rete al Messico e poi liquida la Colombia con due reti nei primi minuti di gioco, nel corso di una partita interrotta nell’intervallo per due ore mezza a causa di una tempesta di pioggia che si scarica su Chicago. Arrivano nuovamente in finale le due migliori sudamericane del periodo, ovvero Cile e Argentina: i biancocelesti si mostrano più intraprendenti rispetto all’anno precedente, hanno una grande occasione nella prima frazione con Higuain, ma l’esito non cambia di una virgola: zero a zero, tiri dal dischetto, vittoria del Cile. Sanchez viene votato miglior giocatore della competizione, Vargas è il miglior marcatore. L’impressione destata dal nuovo trionfo cileno è ampia; dopo la finale, in proposito è stato scritto: “Il Cile è diventato un superpredatore che agisce più come un branco di lupi che come un cacciatore solitario. Quella che inizia come una battaglia tattica si trasforma all’improvviso in un confronto mentale. E il Cile non conosce il significato della parola paura”1)Martin Mazur, Chile’s super-predators are now South America’s most dangerous team, The Guardian.
La finale di Confederations Cup raggiunta nell’edizione 2017 e persa, completa la parabola cilena con inatteso anticipo poiché pochi mesi dopo il Cile, a sorpresa, fallirà l’accesso al campionato del Mondo dell’anno 2018. Ogni ciclo si conclude – ma l’importante è che il grande ciclo cileno ci sia stato.

Non è difficile scorgere un’altra faccia della medaglia nei trionfi continentali del Cile durante il biennio 2015-2016, e questa faccia assume il triste ghigno del rimpianto. Per la selezione cilena la vera opportunità di raggiungere vette impensabili, storiche, è infatti rappresentata dal Mondiale dell’anno 2014, poiché l’alloro continentale e pure doppio sarà anche importante e gravido di soddisfazione, ma ottenere risultati in Coppa del Mondo non ha paragone. E non si può davvero dire che il torneo sia arrivato troppo presto, perché le potenzialità della squadra sono intatte e già completamente a disposizione qui in Brasile. Il Cile ci prova ma il sogno fugge via, nella maniera più crudele, per un solo (o poco più) fottutissimo centimetro.
L’ora del Cile scocca all’una di pomeriggio del 28 giugno, nell’ottavo di finale mondiale in programma allo Stadio Mineirao di Belo Horizonte che vede la formazione andina contrapposta ai padroni di casa. Il Brasile rappresenta storicamente una sorta di ostacolo insormontabile per i cileni, eliminati dalla selecao nel corso della fase finale di tre Mondiali, inclusa l’ultima edizione. Il bilancio complessivo fra le due squadre in quel momento racconta di quarantotto vittorie brasiliane, tredici pareggi e appena sei affermazioni cilene. Inoltre, nel Mondiale del 1962 giocato proprio in Cile, il Brasile aveva sconfitto quattro a due gli stessi cileni nella semifinale del torneo, il loro traguardo massimo nel campionato (ma a dirla tutta fra le formazioni non c’era confronto e il Cile era arrivato sino a quel punto anche grazie a qualche spintarella arbitrale). Per tutte queste premesse i cileni meditano vendetta di fronte ai tifosi brasiliani. Ne avrebbero la possibilità.
Giunge però alla fase a eliminazione diretta in condizioni precarie la nazionale cilena, con importanti elementi quali Sanchez, Vidal e Medel fisicamente acciaccati e quindi a rendimento ridotto. Le due nazionali mettono comunque in campo le formazioni in quel momento titolari. Brasile: Julio Cesar; Dani Alves, Thiago Silva, David Luiz, Marcelo; Luiz Gustavo, Fernandinho; Hulk, Oscar, Neymar; Fred. Cile: Bravo; Silva, Medel, Jara; Isla, Aranguiz, Diaz, Mena; Vidal; Sanchez, Vargas.
Diciottesimo minuto di gioco, Brasile in vantaggio: calcio d’angolo di Oscar, prolunga di testa Thiago Silva e tocco ravvicinato in rete di David Luiz, in coabitazione con Jara, il quale era in marcatura ma un attimo prima ha erroneamente compiuto un passo in avanti, forse per mettere l’avversario in fuorigioco. Trentaduesimo, pareggio cileno e difesa brasiliana completamente in bambola: il Brasile batte una rimessa laterale in zona difensiva, Hulk sbaglia il controllo e Vargas gli soffia il pallone, per poi cederlo a Sanchez che mette in rete con difensori brasiliani immobili a guardare. Il Brasile attacca e costruisce una bella azione conclusa da un cross di Oscar per la testa di Neymar, con la sfera rimpallata da un difensore; poi un tiro da lontanissimo di Dani Alves è alzato sul fondo da Bravo. Risponde allo scadere il Cile: Sanchez per Aranguiz, chiuso prima del tiro dall’intervento di David Luiz a evitare danni.
Finisce sul punteggio di uno a uno un bel primo tempo. La ripresa è meno intensa, le occasioni scarseggiano ma nel complesso è il Cile a controllare l’incontro. Si annota un gol di Hulk realizzato un po’ per caso ma annullato per un controllo con la mano; lo stesso Hulk costruisce una bella occasione nel finale grazie a una caparbia azione personale, però Bravo è attento a respingere. La migliore possibilità di segnare è però di marca cilena quando Isla pesca solo in area Aranguiz, il quale scocca il tiro e impegna Julio Cesar in un’ottima parata. I tecnici provano a mischiare le carte: Gutierrez prende il posto di Vargas; intorno a metà ripresa Ramires e Jo sostituiscono Fernandinho e Fred, piuttosto scarso; alla fine dei regolamentari Pinilla entra per Vidal.
Nei supplementari il Cile appare stanco e il Brasile incapace di tentare l’affondo, quindi le squadre si annullano e le occasioni da rete latitano. Ci prova dalla distanza ancora Hulk, il migliore dei suoi nonostante l’errore che è costato il gol del pareggio, ma Bravo è in ottima giornata e si distende a respingere. Tutto ciò sino all’ultimo minuto di gioco. Al centoventesimo il Cile attacca, c’è un triangolo con palla da Pinilla, a Sanchez, ancora a Pinilla che arriva al limite dell’area e scaglia un gran destro verso la porta brasiliana: Julio Cesar è superato, ma la palla sbatte in pieno sulla traversa per poi tornare in campo. Un filo più basso e il tiro avrebbe regalato al Cile il passaggio del turno e l’eliminazione del Brasile dal Mondiale.
Il passato alle spalle e l’attuale contesto, la posta in palio, la rivalità tra le due squadre e infine l’incredibile epilogo dei tempi supplementari – tutto concorre a instaurare un clima di tremenda tensione allo Stadio Mineirao. I tiri di rigore tra Brasile e Cile offrono uno svolgimento drammatico. Iniziano i brasiliani con David Luiz che mette in rete. Nella testa di Mauricio Pinilla senza dubbio risuona ancora lo schianto della sfera sulla traversa ascoltato pochi minuti prima, e certo non aiuta: calcia maluccio, centrale – Julio Cesar para. Willian, che è entrato nei supplementari al posto di uno spento Oscar, tira lento rasoterra e manda fuori. Sanchez oggi è stato il migliore dei suo assieme a Medel, benché sia calato alla distanza: la sua conclusione dagli undici metri, non molto angolata, è respinta da una bella parata di Julio Cesar.
Sinora è un disastro. Marcelo va sul dischetto e infila il due a zero a favore dei brasiliani; Aranguiz accorcia, due a uno. Tocca a Hulk, il suo tiro forte ma centrale è neutralizzato con i piedi da Bravo, il quale oggi pare avere una questione personale aperta con l’attaccante brasiliano. Diaz segna e ritorna tutto ancora in parità, due a due. Il pesantissimo quinto rigore brasiliano viene affidato ai piedi Neymar, che spedisce in rete. Tira a questo punto il cileno Jara per stare nel match e andare ad oltranza: la palla vola a mezza altezza alla sinistra del portiere e prende il palo! È finita, il Brasile ha sconfitto ancora una volta il Cile, passa ai quarti di finale.
Si è anche fatto tatuare sulla schiena l’immagine del suo tiro sulla traversa all’ultimo minuto, Pinilla, ovvero l’episodio che lo ha consegnato alla storia dei Mondiali di calcio. E poi tempo dopo ha interpretato uno spot molto divertente e ironico intitolato “La Revancha”, nel quale ricorda quel maldito – per ragioni commerciali non è definito con il termine appropriato, cioè “fottutissimo” – centimetro. Insomma, in questo filmato Pinilla è alla guida di un commando stile militare che raggiunge lo stadio di Belo Horizonte, inganna la sorveglianza, ruba la porta della traversa incriminata e poi, in un deserto cileno, sulle note del “Nessundorma” dalla Turandot di Puccini, la fa esplodere con liberazione catartica.
Per i cileni sicuramente – ma con ogni probabilità anche per i brasiliani sarebbe stato meglio che quel tiro di Pinilla fosse entrato in rete. Poiché in tal modo, pur dovendo soffrire una precoce eliminazione davanti al proprio pubblico all’ultimo istante, il Brasile avrebbe evitato di tornare a Belo Horizonte qualche giorno dopo per giocare la semifinale e subire la sconfitta più umiliante dell’intera storia del calcio. Se la palla fosse entrata, la storia del Mondiale e del calcio sarebbero cambiati: come detto, non ci sarebbe stato il mineirazo; poi chissà chi avrebbe prevalso tra Cile e Colombia nella sfida successiva, e chissà cos’altro sarebbe successo. Ma quel tiro di Pinilla all’ultimo minuto sulla traversa ci è finito e tutto il resto è solo pura fantasia.
1 marzo 2022
immagine in evidenza: Pinilla centra la traversa – gazzetta.it
References
1. | ↑ | Martin Mazur, Chile’s super-predators are now South America’s most dangerous team, The Guardian |