Durante l’atto finale di Euro 2012 la prodigiosa nazionale spagnola – già campione continentale e mondiale in carica e ancora una volta pronta a giocarsi il titolo europeo – realizza l’esperimento più prossimo all’utopia di una squadra composta da soli centrocampisti mai tentato, almeno a livello di nazionali. Il ct Del Bosque schiera di fronte alla difesa questi uomini: Xavi, Busquets, Xabi Alonso; David Silva, Fabregas, Iniesta. È una scelta che in realtà vuole anche sopperire a una certa carenza di punte in casa spagnola, tanto che ai Mondiali nel ruolo di punta scenderà in campo Diego Costa, un brasiliano naturalizzato; ma è soprattutto il giusto approdo – per il momento conclusivo – di un’interpretazione e di una logica calcistica che ha caratterizzato i recenti trionfi spagnoli.
Dunque la Spagna gioca senza attaccante, fondando il reparto avanzato sul sistema di un falso nueve ancor più ingannatore poiché David Silva scambia regolarmente la propria posizione sia con Iniesta che con Fabregas. Proprio David Silva è la nota positiva del periodo nelle fila dei campioni in carica: già fra gli iridati di quattro anni prima ma al di fuori dell’undici titolare definitivo, in quegli anni sta emergendo con forza nella nazionale e nella squadra di club, il Manchester City, con la quale conquista quattro campionati inglesi (due di questi rispettivamente nell’anno europeo e in quello mondiale). David Silva, di preferenza un esterno sinistro, è dotato di grande tecnica e di un ottimo dribbling, puntuale e pericoloso negli inserimenti, capace pure di segnare trentacinque reti con la maglia della selezione spagnola. Tornando alla finale europea di Kiev, la Spagna sovrasta l’Italia tramite la disposizione in campo, il palleggio e devastanti incursioni in verticale che tagliano fuori gli azzurri: il risultato finale è un’inappellabile quattro a zero.
Visti a posteriori, gli Europei del 2012 organizzati in coabitazione da Polonia e Ucraina sono una competizione poco indicativa, attraversati dalla meteora italiana capace di eliminare in semifinale la Germania ma terribilmente deludente al Mondiale seguente, e da una vittoria spagnola che poi assumerà le sembianze della fine di un’epoca, anziché di una prospettiva futura. Una vittoria comunque storica, poiché mai nessuna selezione era riuscita a confermarsi campione d’Europa, per di più con un titolo mondiale nel mezzo. È una Spagna che riesce a barcamenarsi anche in situazioni non semplici: pareggia con l’Italia al primo turno dopo essere stata in svantaggio; batte il Portogallo in semifinale solo ai rigori, al culmine di una sfida combattuta e dall’esito costantemente incerto. Ma il nuovo alloro continentale fornisce al momento l’impressione di una squadra granitica e inarrestabile, i cui giocatori ritrovano d’incanto il necessario spirito di gruppo dopo gli innumerevoli scontri fratricidi affrontati con le maglie dei rispettivi club (Barcellona e Real Madrid su tutti, incrociatisi undici volte in due anni e mettendo assieme ottantadue ammonizioni, nove espulsioni, più un’altra comminata al tecnico dei blancos Mourinho). I nazionali spagnoli, sazi di tante vittorie, festeggiano il titolo con soddisfazione mista a una certa compostezza, e anche attorniati da una selva di bambini poiché il tempo sta scorrendo anche per loro…
Di pari passo con la nazionale prosegue altresì il momento d’oro dei club iberici. La semifinale di Champions fra Barca e Real del 2011 è probabilmente il simbolo e l’apice della forza raggiunta, ma non esaurisce la loro onda d’urto, né circoscrive a queste due squadre il ruolo di protagoniste a livello europeo. Proprio nell’anno mondiale la finale di Champions League propone un derby madrileno tra Real e Atletico, poi replicato appena due anni dopo ma sempre con lo stesso esito, cioè il titolo al Real Madrid. Nella stagione 2013/14 l’Atletico Madrid allenato da Simeone riesce anche a rompere il duopolio Barcellona – Real (ma a netta prevalenza catalana) che reggeva in Liga dal 2004, vincendo il suo decimo titolo nazionale. L’anno dopo il Mondiale il club blaugrana tornerà a essere campione d’Europa e il dominio spagnolo nel massimo torneo per club andrà avanti per altri tre anni.
Nato da un’affermazione sulla nazionale italiana (Europei del 2008), coronato – in realtà chiuso – da un’altra vittoria sullo stesso avversario nel campionato successivo, il dominio spagnolo sul calcio internazionale ha i giorni contati, ma alla viglia di Brasile 2014 l’eventualità non sfiora l’immaginazione di nessuno: anzi, una nuova vittoria spagnola è giudicata più che possibile. La Spagna è al vertice del ranking FIFA, è fra le favorite e punta così a una doppietta che nessuna selezione è stata in grado di realizzare dal 1962. Si qualifica da imbattuta in un girone che vede al secondo posto la Francia. Vince cinque amichevoli pre-mondiali su cinque (ma salvo l’Italia, immancabile nella recente storia calcistica spagnola, le altre sono sfide molto abbordabili). Giunge quindi in Brasile, la roja, dove la sfida di esordio per i detentori della coppa è sorprendentemente la stessa partita che ha deciso, a loro favore, il Mondiale precedente: Olanda – Spagna.
Sì, è abbastanza stupido mettere di fronte sin dal primo turno i vigenti campioni e vice-campioni del Mondo, ma tant’è: la federazione internazionale pare suggerire l’idea che, più che l’esito del campionato organizzato da quasi un secolo con un discreto successo, contino le regole del ranking per le nazionali, di per sé opinabili e generalmente sconosciute (in realtà conta l’azienda di bibite che lo sponsorizza, il ranking). Oltre tutto, il raggruppamento è a prima vista proibitivo, composto in aggiunta dai campioni d’Asia in carica (l’Australia) e dai prossimi campioni del Sudamerica (il Cile). Il girone sarà invece risolto dopo appena due turni. Quindi le nazionali olandese e spagnola scendono sul campo dell’Arena Fonte Nova di Salvador, Bahia, il pomeriggio del 13 giugno 2014, con le formazioni che vado di seguito a elencare. Olanda: Cillessen; de Vrij, Vlaar, Martins Indi; Janmaat, de Guzman, de Jong, Blind; Sneijder; van Persie, Robben. Spagna: Casillas; Azpilicueta, Piqué, Sergio Ramos, Jordi Alba; Busquets, Xabi Alonso; David Silva, Xavi, Iniesta; Diego Costa.
L’avvio di gara è la classica fase di studio iniziale. Si assiste a un efficace pressing alto olandese condotto senza disdegnare il contrasto falloso, e poi in fase di possesso gli orange (in completo blu) optano per il lancio che oltrepassi il centrocampo, creando così la loro migliore occasione da rete: lancio di Robben per Sneijder che giunge in area avversaria al cospetto di Casillas, tiro che non è un granché e parata con la mano destra dell’estremo spagnolo. Sull’altro versante Iniesta calcia da fuori area alto e Diego Costa ha una buona palla in area di rigore, ma perde troppo tempo e consente l’intervento in copertura di de Vrij. Ogni volta che Diego Costa tocca palla si alza dagli spalti una selva di fischi provenienti dai tifosi locali, indispettiti verso l’attaccante per aver preferito la maglia spagnola a quella verdeoro, così come analoghe critiche erano pervenute nei mesi precedenti da federazione e ct brasiliani.
Progressivamente la Spagna cresce e gli inserimenti dei suoi uomini in area olandese diventano sempre più pericolosi, in particolare con David Silva. De Guzman riceve il primo cartellino giallo dell’incontro per aver bloccato una ripartenza spagnola nella propria metà campo con un fallo su Iniesta; sull’azione seguente, splendido assist di Xavi che libera Diego Costa in area, de Vrij entra in scivolata sul sinistro dell’attaccante e l’arbitro Rizzoli fischia il calcio di rigore per gli spagnoli. Mentre Xabi Alonso si prepara al tiro, Robben parlotta con il portiere Cillessen che poi infatti battezza l’angolo giusto (sulla sua destra), ma la conclusione è precisa e la palla entra lo stesso. Minuto ventisette, uno a zero per la Spagna che sembra non avere la minima intenzione di abdicare dal trono di selezione più forte al mondo.
Però l’Olanda è in giornata e non si lascia intimorire: spinge sulla fascia di sinistra e da lì parte un cross di Blind che taglia fuori Sergio Ramos, ma vede van Persie arrivarci in ritardo. La difesa spagnola denuncia qualche passaggio a vuoto ma per il momento è abile a limitare i pericoli avversari con un accorto uso della tattica del fuorigioco. Al quarantunesimo gli olandesi accumulano un altro giallo per fallo di de Vrij su David Silva, il quale poco dopo ha sui piedi la palla del due a zero: servito da Iniesta e perso dai difensori avversari, Silva si trova a tu per tu con Cillessen, tenta un pallonetto ma il portiere olandese prodigiosamente resta in piedi e con la punta delle dita mette la sfera in angolo.
Minuto quarantaquattro: è la svolta della gara e dell’intero Mondiale per entrambe le formazioni. Da metà campo, prossimo al limite sinistro, Blind lancia in mezzo dove van Persie scappa a Ramos e a tutta la retroguardia spagnola eccessivamente alta, e corre con la palla in volo. Ma appena in area in un attimo si blocca e compie un salto quasi in orizzontale: come una foca, come un funambolo, tocca la sfera di testa dal basso verso l’alto, in direzione della porta, e disegna un’incredibile palombella nell’aria che passa sopra la testa di Casillas, il quale può solo guardare la palla terminare in rete. Van Persie, sino a lì impalpabile, corre verso la panchina e batte il cinque al suo tecnico van Gaal. È uno dei gol più fantasiosi, pirotecnici, geniali, belli di tutta la storia del torneo – un numero da circo, la follia di un esteta – assolutamente, assolutamente fantastico!
Ora nel secondo tempo potrebbe accadere di tutto, e infatti accade. Intanto ha iniziato a piovere copiosamente e si è fatto buio. Il primo tentativo è spagnolo con Iniesta che scarica da fuori area un rasoterra bloccato dal portiere olandese. Al cinquantatreesimo un nuovo lancio dalla sinistra di Blind consente a Robben di eseguire il suo pregevole repertorio tecnico: aggancio e dribbling che mandano fuori tempo Piqué e poi, mentre Sergio Ramos non chiude con la dovuta tempestività, conclusione a rete. Il gol del due a uno per i Paesi Bassi ricorda da vicino la realizzazione di Bergkamp che decise la partita contro l’Argentina nel 1998. Nere nubi si addensano anche sul pomeriggio della difesa spagnola.
Sette minuti dopo il vantaggio olandese van Persie – di poco in fuorigioco ma non segnalato – timbra la traversa spagnola. Alcuni cambi: Wijnaldum per de Guzman fra gli olandesi; Del Bosque deve tentare di riacciuffare la sfida e inserisce Torres e Pedro per Diego Costa e Xabi Alonso. Al minuto sessantacinque Sneijder dalla fascia sinistra calcia una punizione lunga sul secondo palo: Casillas esce a vuoto ed è contrastato da van Persie, testa di de Vrij, tre a uno. Gli spagnoli lamentano un fallo sul portiere, lo stesso Casillas prende un giallo per le proteste, sventolato poi anche a van Persie per un successivo fallo commesso su Pedro. Gli animi si surriscaldano. Finalmente la Spagna si scuote e impegna l’estremo olandese con un colpo di testa di Pedro, corretto poi in rete da Silva ma da posizione di fuorigioco.
Ma ormai l’Olanda straborda. Van Persie tira da fuori area e respinge Casillas di piede, ancora un po’ incerto; al minuto settantacinque sempre Casillas, incappato probabilmente nella giornata più nera di tutta la sua prestigiosa carriera, riceve un retropassaggio e controlla male la palla, piomba quindi come un avvoltoio van Persie che marca il gol del quattro a uno. Gli sguardi di pietra sulla panchina spagnola sottolineano la condizione di una squadra che si è sciolta con la pioggia, mentre gli olè dei tifosi olandesi presenti allo stadio sono il giusto accompagnamento allo stato di grazia dei propri nazionali. A dieci dal termine van Persie – oggi semplicemente strepitoso, come d’altra parte Robben, al quale lascia la fascia di capitano– esce fra gli applausi per far posto a Lens; un attimo dopo Sneijder dalla propria trequarti apre splendidamente per Robben che fa mezzo campo di corsa palla al piede, surclassa Sergio Ramos, fa sedere Casillas e infila in rete il quinto gol olandese. Prima del fischio finale la Spagna rischia a più riprese di incassare il sesto: con ogni probabilità gli uomini in rosso stanno solo pregando che arrivi il prima possibile il triplice fischio, così da mettere fine a un martirio. Nel frattempo anche Torres manca un gol fatto.
Cinque a uno per la selezione dei Paesi Bassi, andamento del punteggio identico alla sconfitta che la stessa Spagna inflisse alla Danimarca negli ottavi di Messico ’86. Inatteso collasso della roja campione in carica che soprattutto nel secondo tempo ha preso una memorabile lezione di calcio non richiesta dagli olandesi, a parziale – molto – rivincita della finale 2010. Poco incisiva in attacco, disastrosa in difesa e in porta, illuminata solo a intermittenza da Xavi e Iniesta, in ultima analisi la Spagna è stata sovrastata dalla velocità di azione e dal pressing asfissiante degli avversari. Il dato finale del possesso palla (57% a favore degli iberici) precisa che, discutendo di calcio, questo dato avulso dal contesto non significa niente. Ben più indicativa la statistica dei falli commessi, cioè diciotto olandesi contro cinque spagnoli, a dimostrazione del fatto che gli orange oggi sono scesi in campo con la giusta tenacia e con atteggiamento completamente diverso rispetto agli spagnoli. Non la più importante (di quella si è già detto), ma questa Olanda – Spagna è la partita più bella di tutto il Mondiale.
Stravolta, incredula, la Spagna quasi imbattibile della viglia esce dal Mondiale brasiliano al primo turno – così come accaduto all’Italia detentrice del trofeo quattro anni prima – e lo fa dopo appena due partite, dando vita così alla grande e inattesa sorpresa di questo campionato. La successiva sconfitta contro il Cile, combinata con gli altri risultati del girone, rende infatti inutile l’ultima sfida con la nazionale australiana: la Spagna comunque vince tre a zero e fra le marcature si segnala un bel tacco di Villa su assist di Juanfran. Prima del fischio finale Del Bosque saluta in modo cavalleresco tutta la squadra e lo staff, ma il tecnico spagnolo resterà sulla panchina della nazionale ancora per altri due anni, sino a quello che costituirà l’epilogo del suo grande percorso professionale, ovvero la sconfitta patita negli ottavi di finale dell’Europeo 2016. Per mano di chi? Ovviamente l’Italia.

La nazionale olandese seconda al mondo del ct van Marwijk, tanto criticata in patria durante lo scorso Mondiale per il suo gioco utilitaristico, falloso ma alla fine della fiera vincente, gioca un pessimo torneo a Euro 2012. Arrivati con aspettative ben diverse, gli olandesi escono al primo turno del campionato per di più rimediando solo sconfitte (contro Danimarca, Germania e Portogallo). È allora il momento di un cambio in panchina; è il momento di Louis van Gaal, che poi una vera e propria novità non lo è.
Nel 2014 van Gaal è ormai diventato una sorta di guru del calcio mondiale, benché il suo curriculum professionale alterni importanti vittorie a pesanti sconfitte, come infatti accaduto nel corso della sua prima esperienza sulla panchina dei Paesi Bassi a inizio secolo. Però grazie a un deciso carisma e a una visione intransigente del calcio, ha edificato attorno a sé l’aura del maestro, a torto o a ragione. Per van Gaal il fulcro del gioco è il collettivo, poiché il calcio è uno sport di gruppo e i membri di una squadra sono per forza dipendenti uno dall’altro (ipse dixit, sarà scontato ma non fa una piega). E quindi è fondamentale il ferreo rispetto dei ruoli e dei compiti: “Se alcuni giocatori non eseguono correttamente il compito assegnato sul terreno di gioco, ne soffriranno i loro compagni. Questo vuol dire che ogni giocatore deve portare avanti il suo compito al meglio delle sue abilità, e questo richiede un approccio disciplinato sul campo”1)Matt Gault, The Ajax utopia under Louis van Gaal, These Football Times. Le peculiarità di van Gaal sono state ben riassunte da Dennis Bergkamp: “Louis è un didattico. Lui fornisce ai suoi giocatori le istruzioni per far funzionare il sistema. E il sistema è sacro. Per van Gaal tutti i giocatori sono uguali, per lui non esistono i grandi nomi, e tutti sono subordinati alla squadra e al sistema, il suo sistema. Essendo stato un grande calciatore, Cruyff incoraggiava gli individualisti poiché questi possono decidere gli incontri, li sfidava, e altri giocatori venivano messi al loro servizio. Van Gaal non potrebbe mai fare una cosa simile: andrebbe contro la squadra che lui stesso sta costruendo”2)Omar Saleem, Louis van Gaal: a divisive success story, These Football Times.
Non è più l’Olanda dura e aggressiva di quattro anni prima, ma non è nemmeno l’Olanda spettacolare di anni addietro. Con particolare acume e intelligenza, van Gaal presta parecchia attenzione alla fase di copertura e imposta un gioco verticale se non tendente al contropiede, lasciando estrema libertà ai giocatori avanzati: è il modo migliore per far funzionare questa squadra, dal tasso tecnico complessivo inferiore alla selezione del Mondiale sudafricano. L’infortunio occorso a marzo all’uomo chiave del suo centrocampo, Strootman – infortunio che ne segna anche l’intera carriera -, induce van Gaal a optare per lo schema 3-4-1-2. Usa quindi una difesa composta da tre centrali, un’opzione che sta tornando molto in auge e che van Gaal utilizzava già nel suo ottimo Ajax di vent’anni prima, ma per il resto l’Olanda del 2014 è parecchio diversa da quell’esperienza.
Gli uomini del reparto offensivo sono gli stessi del Mondiale precedente: Robben disputa di nuovo un gran torneo accompagnato da tre reti e un assist, e stavolta è schierato come seconda punta al fianco di van Persie. Alle loro spalle nel ruolo di regista – ma molto mobile, talvolta in posizione di falso nove – gravita Sneijder, che non è più il giocatore di quattro anni fa ma che comunque sa farsi valere. Brilla anche il giovane Depay. A centrocampo l’uomo chiave è de Jong, mentre rispetto all’esordio con la Spagna, de Guzman e Janmaat lasceranno spazio come titolari a Wijnaldum e Kuyt, costui un veterano.
Gran protagonista del Mondiale orange è Robin van Persie, autore di quattro reti fra le quali la realizzazione che sarà giudicata come la più bella dell’anno (ovviamente il già celebrato gol marcato alla Spagna). Figlio di artisti – uno scultore e una pittrice – van Persie cresce nel quartiere popolare di Jaffa a Rotterdam, e in quelle strade impara il calcio, assieme ai figli degli immigrati: le origini formano in van Persie un carattere forte, a tratti ribelle e decisamente poco malleabile. Gioca le sue migliori stagioni nel quadriennio fra i due Mondiali, in particolare le annate 2011/12 e 2012/13: in quest’ultima stagione diviene capocannoniere in Premier e vince il titolo con il Manchester United, dove sarà allenato da van Gaal dopo il torneo brasiliano. Van Persie chiude la carriera con cinquanta reti in nazionale, ragguardevole primato assoluto per una nazionale che da quarant’anni spesso privilegia il proprio reparto avanzato.
Alla trionfale affermazione sugli spagnoli segue la sfida all’Australia, una partita dall’andamento divertente e molto più incerta di quanto si attendesse. Come detto, gli australiani sono reduci dalla conquista del loro primo titolo asiatico, vinto un anno prima nella finale di Sidney sulla Corea del Sud grazie al gol decisivo di Troisi nei supplementari. Un avversario da rispettare, dunque, benché l’Australia non sia più la selezione del 2006, della quale ancora conserva in rosa e in campo i veterani Cahill e Bresciano.
L’Olanda passa in vantaggio al ventitreesimo del primo tempo grazie a una pregevole azione personale di Robben, il quale corre da metà campo all’area avversaria palla al piede, e una volta di fronte alla porta calcia in rete; palla al centro, McGowan lancia in area per Cahill che conclude al volo, rete, immediato uno a uno degli australiani. Dieci minuti di ripresa e viene fischiato un rigore a favore degli aussie per fallo commesso da Janmaat: tira Jedinak e segna, ribaltando il parziale in due a uno per l’Australia, che a questo punto gode di un vantaggio comunque meritato. Però dopo solo cinque minuti Depay serve a van Persie – lasciato completamente solo in area dagli avversari (Davidson non è salito per il fuorigioco) – la palla buona per marcare un rapido due a due, provvidenziale per gli olandesi. Depay è entrato causa infortunio al posto di Martins Indi ed è l’eroe della giornata L’Australia potrebbe passare ancora avanti: Oar si ritrova palla al piede in area davanti al portiere olandese, ma anziché tirare serve di lato il compagno Leckie, il quale a sua volta la tocca inspiegabilmente di petto e Cillessen blocca. E quindi al sessantottesimo la risolve appunto Depay con un tiro dalla distanza non forte né teso – ma con la palla che rimbalza di fronte al portiere, reo altresì di un’errata valutazione della traiettoria – che termina in rete. Olanda – Australia tre a due.
Passa così il turno l’Olanda, superando le difficoltà di una sfida il cui esito avverso avrebbe potuto incasinare parecchio il percorso di qualificazione verso la fase a eliminazione diretta, e alla fine archiviando una giornata nel complesso non eccelsa dei suoi uomini. Paesi Bassi – Cile è una partita fra due formazioni ormai sicure del passaggio del turno, giocata quindi con leggerezza e condotta quasi sempre dagli olandesi – con un Robben scatenato – e dagli stessi vinta grazie a due gol nel finale di Fer e Depay. L’ottavo di finale toccato in sorte all’Olanda è contro il Messico.
I centroamericani schierano l’eterno Marquez al centro della difesa a tre. Per il resto è una squadra senza stelle ma reduce da un valido girone di prima fase, e che sarà in grado di vendere cara la pelle anche oltre le previsioni. Campione olimpica a Pechino 2012 dove in finale sconfigge a sorpresa il Brasile, la nazionale messicana giunge però al Mondiale 2014 per il rotto della cuffia e dovendo pure ringraziare lo storico avversario statunitense. Nell’ultima sfida del girone di qualificazione, al minuto novanta Panama ha già un piede mezzo in Brasile poiché è in vantaggio in casa due a uno sugli USA – per altro già qualificati, mentre nel contempo il Messico si sta suicidando contro la Costa Rica, anch’essa già qualificata: in classifica, quindi, Panama raggiungerebbe i messicani, sopravanzandoli però per gol segnati. Ma in due minuti di recupero i panamensi riescono a subire due gol dagli americani, perdendo tre a due, e mentre in pochi istanti sono costretti ad abbandonare il sogno di giocare il loro primo Mondiale, i giocatori non si capacitano, sembrano chiedere agli avversari perché gli stiano facendo tutto ciò. Dovranno aspettare solo quattro anni. Scampato il pericolo, il Messico elimina la Nuova Zelanda nel play-off intercontinentale e approda al campionato del Mondo.
Olanda – Messico si gioca a Fortaleza all’una del pomeriggio. L’incontro è ricordato come la prima occasione nella storia dei Mondiali in cui viene concessa ai giocatori una pausa rinfrescante, oltre al consueto intervallo: è una novità di questo torneo, in inglese si chiama cooling break ed è disposta a discrezione dell’arbitro dopo mezzora di ogni tempo se ricorrono particolari condizioni atmosferiche (tramite un calcolo che considera non solo i gradi, ma anche il tasso di umidità e il vento). Dopo nove minuti di gioco de Jong è costretto ad uscire per problemi fisici, al suo posto entra Martins Indi, ma è una mancanza che pesa sugli olandesi. Il Messico gioca bene: al diciassettesimo un rasoterra di Herrera sfiora il palo olandese; poco dopo c’è un probabile rigore non fischiato per fallo in gioco pericoloso di Vlaar su Herrera (sul finire, dall’altra parte, potrebbe starci un altro penalty per fallo su Robben); Dos Santos impegna Cillessen, costretto a un non semplice intervento di piede.
Nel primo tempo il Messico ha creato molto di più, non ha segnato ma realizza a inizio ripresa: tiro da fuori di Dos Santos, la traiettoria è arcuata e finisce vicino al palo, con il portiere olandese un po’ sorpreso. Non subito, ma lo svantaggio fornisce una scossa agli olandesi, i quali dopo un po’ iniziano a dare segnali di vita e partecipazione: una deviazione sotto porta di de Vrij, su calcio d’angolo, è respinta d’istinto dal portiere messicano Ochoa. Robben prende a spingere e creare, cosicché è necessaria una notevole deviazione di Ochoa per parare un tiro dell’attaccante olandese, al culmine di una devastante discesa sulla fascia. L’estremo messicano sta difendendo il vantaggio con i denti, ma i suoi compagni, forse stanchi, cominciano a traballare terribilmente. A due dalla fine, su azione d’angolo, un tiro preciso, teso e al volo di Sneijder da fuori area regala agli olandesi il pareggio. E non basta. Gli orange scorgono clamorosi spiragli di vittoria, si gettano in attacco; in pieno recupero il capitano Marquez entra in modo falloso, quanto improvvido e inutile, su Robben in area, e l’arbitro assegna il calcio di rigore. Assume su di sé il peso non indifferente dell’esecuzione Huntelaar, entrato in campo da un quarto d’ora: rasoterra che spiazza Ochoa, rete, due a uno per l’Olanda.
Crolla il mondo addosso alla tricolor, che riesce a perdere nei regolamentari un partita dominata in lungo e in largo per un’ora: un finale di gara tremendo per i messicani, mai così vicini a raggiungere i quarti di finale dalla Coppa che mancano dall’ormai lontano 1986. La selezione olandese stavolta rischia davvero grosso ma avanza ancora, arriverà fino alla semifinale, e quindi per la seconda edizione di fila entrerà fra le prima quattro al mondo. Non è davvero cosa da poco. Però progressivamente l’Olanda si sta ammosciando: smette di segnare, involve il proprio gioco, fino a rendere solo un ricordo, bello ma remoto, la fantastica partita vinta contro la Spagna.
1 marzo 2022
References
1. | ↑ | Matt Gault, The Ajax utopia under Louis van Gaal, These Football Times |
2. | ↑ | Omar Saleem, Louis van Gaal: a divisive success story, These Football Times |