Salta al contenuto

Brasile, 2014
I. Il calcio non è uno sport

La vittoria è passeggera. La sconfitta è per sempre” (Billie Jean King).

Correva l’anno 1950 quando la nazione brasiliana ospitò per la prima volta il campionato del Mondo di calcio. Il torneo si decise con un girone finale a quattro nel corso del quale il Brasile, favoritissimo, dominò le prime due gare rifilando sette gol alla Svezia e sei alla Spagna (i verdeoro, allora però in maglia bianca che avrebbero abbandonato di lì a breve, avrebbero chiuso il torneo con ventidue gol all’attivo in sei partite). Alla viglia della partita decisiva tutti in Brasile – autorità, stampa, tifosi – vedevano la squadra di casa già con la Coppa Rimet tra le mani. Un Brasile che tra l’altro era campione continentale in carica in virtù di una competizione anch’essa disputata in patria e dominata in modo assoluto, però: nell’ultima partita del girone finale, giocata a Rio nello stadio del Vasco de Gama, la selecao aveva perso contro il Paraguay quando sarebbe bastato un pareggio e oltre tutto dopo essere passata in vantaggio. A posteriori, un monito e un presagio nefasto. Raggiunti così in classifica dai paraguaiani, servì uno spareggio, giocato tre giorni dopo e stravinto dai brasiliani.

In quella che da sempre è ritenuta per convenzione la finale della Coppa, ma che in realtà costituì solo la giornata finale del girone all’italiana, il Brasile affrontò l’Uruguay forte di due risultati su tre a disposizione per vincere il Mondiale, stante il pregresso pareggio tra uruguagi e spagnoli. L’Uruguay però era potenzialmente più fresco, gravato di due incontri in meno nel torneo a causa delle varie defezioni che avevano accompagnato la competizione. Per la cronaca fu anche la seconda e finora ultima finale mondiale senza europee in campo.

Il 16 luglio 1950 una folla mai vista di duecentomila persone assiepò lo Stadio Maracanà di Rio de Janeiro edificato apposta per i Mondiali, per assistere a Uruguay – Brasile. All’iniziò della ripresa Friaca portò in vantaggio i brasiliani: in mezzo al tripudio generale, narra la leggenda che il capitano della celeste Varela prese il pallone e lo portò lentamente a metà campo per riprendere il gioco, lamentando altresì un fuorigioco non ravvisato sul gol avversario, così da frenare l’entusiasmo del pubblico e spezzare il ritmo dei brasiliani all’apparenza ormai lanciati verso il trionfo. E pare ci riuscì. Su assist di Ghiggia, Schiaffino riportò l’incontro in parità. A dieci dal termine lo stesso Ghiggia scese sulla fascia destra e – mentre il portiere brasiliano Barbosa si spostava verso il centro della porta, in attesa di un passaggio in mezzo – calciò sul primo palo, infilando il pallone in rete. È difficile reagire all’incredibile: sul Maracanà calò il silenzio “proprio quando i suoi calciatori avrebbero avuto più bisogno di sentire il tifo. Mai fidarsi di uno stadio – ecco la vera lezione del 1950”, dirà Chico Buarque, il musicista1)Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, Baldini&Castoldi, 2014.

Due a uno e titolo mondiale per l’Uruguay. Sconfitta pesantissima e inconcepibile per il popolo brasiliano, Barbosa condannato a vita ad essere additato come maggiore colpevole tra i colpevoli. La partita passa alla storia come maracanazo – a enfatizzare il fracasso, la capitolazione, la disfatta– e diventa l’onta nazionale, il fantasma da esorcizzare del calcio brasiliano, tanto che lo scrittore brasiliano Nelson Rodrigues definisce la partita “la nostra Hiroshima2)Riccardo Brizzi, Nicola Sbetti, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930-2018), Le Monnier, 2018. Un altro mattone, e di enorme importanza, nell’edificazione del mito dei Mondiali di calcio.

Sessantaquattro anni dopo la terra brasiliana ospita nuovamente la fase finale della Coppa in un contesto calcisticamente molto diverso: la selecao nel frattempo ha vinto cinque titoli mondiali, come nessun altro, ed è ad ogni occasione la squadra favorita o fra le favorite per aggiudicarsi il titolo. Non si può dire che l’incubo del maracanazo sia scomparso del tutto, in Brasile ne parlano – e tanto – durante la preparazione del torneo del 2014, ma ormai è compresa nel discorso anche una certa dose ironia che in origine non era nemmeno contemplata. C’è uno spot pubblicitario molto apprezzato che raffigura il maracanazo proprio come un fantasma in giro per il paese; poi durante il sorteggio dei gironi mondiali tenutosi a Salvador de Bahia il 6 dicembre 2013 sono invitati rappresentanti delle nazionali campioni del Mondo, e per l’Uruguay compare proprio lui, Alcides Ghiggia, il giustiziere del 1950 (che morirà un anno più tardi).

Ma complice il tempo trascorso, i successi conquistati sul campo di gioco, il fatto che il Brasile sia pertanto diventato a livello internazionale un sinonimo di calcio, insomma sulla scorta del prestigio raggiunto e dei successi infilati in bacheca, il maracanazo pare un fantasma per buona parte già esorcizzato. In ogni caso la Coppa del 2014 potrebbe rappresentare il momento, il passaggio adatto per porre definitivamente una pietra sopra il passato. Il film della FIFA dedicato al Mondiale – il più noioso della serie – inizia con il racconto di un anziano tifoso ormai in casa di riposo che ricorda la finale del 1950, e allora sostiene, riferendosi al campionato edizione 2014: “Questa è la Coppa che avremmo dovuto vincere nel 1950”. E davvero durante i Mondiali casalinghi del 2014 ce la fanno, i brasiliani, a superare l’amarezza, la vergogna, il trauma vissuti nella terribile partita persa contro l’Uruguay. Riescono insomma a oltrepassare il nefasto ricordo del 1950. Rimediando una sconfitta ancora peggiore. Il calcio non è uno sport – è qualcosa di più.

Belo Horizonte, Estadio Mineirao, ore diciassette di martedì 8 luglio 2014. Semifinale mondiale tra Germania e Brasile. Tedeschi in campo con: Neuer; Lahm, Boateng, Hummels, Howedes; Khedira, Schweinsteiger, Kroos; Muller, Klose, Ozil. Il Brasile risponde con il seguente undici: Julio Cesar; Marcelo, Dante, David Luiz, Maicon; Luiz Gustavo, Fernandinho; Hulk, Oscar, Bernard; Fred. Arbitra il messicano Rodriguez, coadiuvato dai connazionali Torrentera e Quintero. Rilevanti assenze nelle fila dei brasiliani, ovvero Thiago Silva squalificato al cui posto gioca Dante, e Neymar infortunato e sostituito da Bernard (il capitano David Luiz prima del via alzerà una maglietta con il nome di Neymar). I commissari tecnici Scolari e Low si abbracciano, il brasiliano presenta pure un dono al collega, in un sacchetto con il simbolo della federazione. Si ripete ancora una volta nel torneo il rito di giocatori e tifosi brasiliani nato nel corso della Confederations Cup dell’anno precedente, cioè prolungare l’esecuzione dell’inno nazionale cantando a cappella la seconda strofa, dopo che l’accompagnamento musicale è terminato.

Il sostegno dagli spalti verso la squadra di casa è enorme e i brasiliani iniziano all’attacco: al terzo minuto conclude Marcelo da fuori area, basso, spedendo la sfera non lontana dal palo della porta tedesca; subito dopo Hulk conduce una pericolosa discesa sulla sinistra, scarica in mezzo ma la palla è preda di Neuer. Passa però poco tempo e la Germania inizia a spingere, con molti uomini e con estrema velocità e precisione. I tedeschi assumono il dominio della zona centrale del campo. Al settimo creano la prima occasione, con Khedira che calcia a botta sicura in area ma prende il compagno Kroos. All’undicesimo minuto, su calcio d’angolo di Kroos, Muller è lasciato completamente solo al limite dell’area piccola e segna, sfruttando a dovere anche un ottimo blocco di Klose su David Luiz. Uno a zero per la Germania.

Qualcosa – o molto – non funziona nel Brasile, un paio di attacchi tedeschi l’hanno colto in estrema difficoltà, e poi sul corner che ha generato il vantaggio tedesco, la difesa ha sbagliato completamente la marcatura. I brasiliani sembrano esagitati e troppo tesi: già al minuto diciassette scoppia una mezza rissa in area tedesca a causa di un intervento, comunque pulito, di Lahm su Marcelo. La selecao prova lo stesso a spingere ma è troppo squilibrata e sempre più disorientata, attaccando si scopre senza ragioni plausibili (manca ancora un’eternità) e così, quando i tedeschi avanzano, trovano spazi sconfinati.

Minuto ventitré, Kroos tocca per Muller in area brasiliana, palla restituita a Klose che davanti a Julio Cesar calcia, il portiere para ma la sfera torna sui piedi di Klose che stavolta infila in rete. È il sedicesimo gol di Klose alla fase finale della Coppa del Mondo, record assoluto. Sugli spalti una tifosa già piange – in campo la Germania sta facendo quello che vuole. Iniziano allora i sei minuti più incredibili della storia dei Mondiali, nonché i peggiori nella storia del calcio brasiliano. Ventiquattresimo, Ozil scova Lahm sulla destra, palla in mezzo mancata da Muller ma raccolta da Kroos al limite dell’area, tiro, rete e tre a zero. Il tempo di ripartire da metà campo e Kroos ruba la sfera a Fernandinho – addormentato, se non tramortito – sulla trequarti brasiliana, palla poi a Khedira, ancora Kroos, e quarto gol tedesco. Le immagini televisive mostrano in tribuna un bambino che sussulta con le mani sul volto e versa lacrime disperato, non è più calcio, è il Gotterdammerung, il crepuscolo degli Dei.

Ma non basta. Minuto ventinove, sfonda Hummels per vie centrali, poi Khedira, Ozil, ancora Khedira, cinque a zero! I brasiliani, devastati e scomparsi dal campo, hanno preso quattro gol dai tedeschi in sei minuti e mezzo di gioco, incluso il tempo dei festeggiamenti per le realizzazioni – segno anche della foga irrazionale dei nazionali verdeoro nel riprendere immediatamente a giocare dopo ogni sberla ricevuta, l’esatto opposto di quanto aveva fatto Obdulio Varela nel 1950, e conferma quindi di una condizione mentale poco salda. Due minuti dopo i tedeschi sfiorano il sesto gol con un tiro di Kroos deviato provvidenzialmente da Fernandinho. Si vedono alcuni tifosi che già lasciano lo stadio. Da lì alla fine del primo tempo è quasi solo Germania, che con ogni probabilità tira il freno, poiché volendo sarebbe potuta andare agevolmente in doppia cifra contro quella che al momento non è più una squadra di calcio, ma solo un gruppo di uomini in mezzo al naufragio.

Una comprensibile selva di fischi accompagna la nazionale brasiliana all’uscita del campo per la pausa. I tedeschi, chiaramente soddisfatti, hanno disputato una prestazione perfetta, ispirata da un centrocampo sontuoso ma in generale sorretta da undici giocatori in stato di grazia. La classe e la compattezza della mannschaft, messe di fronte alle pecche della selecao, hanno scavato una voragine tra le due squadre ormai palesemente incolmabile. Impossibile salvare anche solo un brasiliano sceso oggi sul terreno del Mineirao. Al rientro in campo, Scolari lascia negli spogliatoi Fernandinho, travolto dagli avversari come da un treno, e Hulk, mentre manda in campo Ramires e Paulinho, provando fuori tempo massimo a puntellare maggiormente la zona mediana; fra i tedeschi entra Mertesacker per Hummels.

Le proiezioni offensive del Brasile a inizio ripresa, per quanto accompagnate da una ricerca un po’ troppo insistente del fallo da rigore, hanno il chiaro obiettivo di rendere meno terribile una serata da film horror. I tedeschi si pongono in posizione di attesa. Al sesto minuto Fred serve Ramires che entra in modo pericoloso in area sulla destra, scarica in mezzo verso Oscar ma è ottima la deviazione in anticipo dell’estremo tedesco; poco dopo Oscar è libero in area, tira un po’ troppo centrale e respinge Neuer; ancora due minuti e un altro giocatore brasiliano si presenta a tu per tu con il portiere avversario: stavolta è Paulinho a concludere due volte, la prima respinta di Neuer è agevole, la seconda diventa una grande parata. La nazionale tedesca, che si è presa un quarto d’ora di pausa supplementare dopo l’intervallo, adesso ricomincia a giocare e a spingere, prima di rimessa e poi riprendendo il pieno controllo delle manovre.

Un errore di David Luiz davanti alla difesa consente a Muller di presentarsi palla al piede davanti a Julio Cesar, il quale gli tocca il pallone all’ultimo istante in uscita; e ancora Muller conclude da fuori area, obbligando l’estremo difensore brasiliano a prodursi in un’impegnativa deviazione in volo. Minuto sessantasette: tre tedeschi contro uno, Julio Cesar deve uscire fuori dall’area per anticipare con i piedi Schurrle, entrato al posto di Klose e in ottima condizione. Minuto sessantotto: unica ammonizione dell’incontro, comminata a Dante per fallo su Muller. Minuto sessantanove: azione manovrata tedesca condita da diversi passaggi consecutivi, alla fine la sfera viaggia da destra verso il centro per linee orizzontali, Khedira, Lahm, Schurrle, sei a zero.

Scolari manda in campo Willian per Fred, piagato dai fischi dei tifosi per un Mondiale senza dubbio insufficiente – ma trovare un singolo capro espiatorio stasera è quanto meno ingeneroso. Dall’altra parte Draxler sostituisce Khedira. A dieci dal termine Muller dalla sinistra passa a Schurrle, tutto solo in area di rigore: gran controllo, splendido tiro e palla che gonfia la rete brasiliana per la settima volta. I tifosi verdeoro rimasti allo stadio applaudono la compagine europea a scena aperta e iniziano a sottolinearne i passaggi di palla con gli olè, mentre i sostenitori tedeschi intonano un poco consolatorio coro a favore del Brazil. Si assiste ancora a tentativi brasiliani con Oscar e Bernard, terminati fuori, al tiro di Ozil – da solo di fronte a Julio Cesar – che lambisce il palo, e al gol brasiliano di Oscar, con palla raccolta su lancio lungo. Al fischio finale fra i brasiliani c’è chi piange e c’è chi prega: la vergogna e l’umiliazione ormai al culmine sono attraversate anche da un barlume di delirio. Germania – Brasile è finita sette a uno.

Le righe che precedono sono la cronaca di un dramma che appassiona, di un evento stupefacente, incalcolabile e inatteso, di per sé trasformatosi subito in storia, e che soltanto gli innamorati del gioco possono cogliere in tutto il suo dissonante, sproporzionato, ironico, mostruoso fascino. Il mineirazo (dal nome dello stadio, termine coniato pochi istanti dopo l’incontro) quale nuovo maracanazo affianca, sorpassa, (sostituisce?) il 1950. Uno spettro al posto di un altro, oppure al suo fianco, fate voi. Così si esprimerà Tite, successivo tecnico della selecao: “Il sette a uno è come un fantasma. La gente ancora ne parla, ma più ne parla e meno il fantasma scompare3)Simon Burnton, World Cup stunning moments: Germany humiliate Brazil 7-1, The Guardian. “A derrota des derrotas” (La sconfitta delle sconfitte) – Gazeta do Povo; “Um vexame para a eternidade”(Umiliazione per sempre) – Correio Braziliense; “A maior vergonha do futebol Brasileiro” (La vergogna più grande del calcio brasiliano) – Estado de Minas. Sono alcuni titoli della stampa il giorno seguente, giusto per rendere l’idea.

Il risultato colpisce, ed è ovviamente il margine di svantaggio più ampio mai registrato in una semifinale o finale mondiale, ma il sette a uno costituisce altresì la peggior sconfitta di sempre della nazionale brasiliana (uguaglia inoltre un passivo di sei reti subito dall’Uruguay nel lontano 1920). Ancor di più forse l’intero Brasile è sconvolto dall’aver visto la nazionale incassare cinque reti in appena mezzora di gioco senza poter accennare la minima reazione davanti al proprio pubblico. Questa volta non si diffondono notizie di suicidi in massa come accaduto nel ’50 – episodi narrati di frequente nel racconto del maracanazo ma da prendere comunque almeno con il beneficio del dubbio poiché mai supportati da reali fonti; non si azzardano poi paragoni con autentiche tragedie del genere umano. Nella nottata si registra qualche disordine sparso in giro per le metropoli brasiliane, in particolare a San Paolo. La selezione brasiliana è a pezzi e subisce tre gol anche dall’Olanda nella finale per il terzo posto, che mai come in questo frangente una delle contendenti avrebbe volentieri evitato di giocare. Inevitabilmente, il ct Scolari lascia alla fine del torneo.

Vista la partita in diretta, prevalse la meraviglia. Rivista a distanza di anni – oltre alla troppe volte sottaciuta ammirazione da tributare ai tedeschi, i quali hanno giocato una partita di rara grandezza per una selezione nazionale – emergono altri aspetti che colorano la sfida anche con sfumature violente, brutali, quasi oscene se non ridicole: è la conseguenza di aver assistito alla prestazione di una nazionale come il Brasile, in casa e durante una semifinale mondiale, che si butta via in questo modo e perde non come una squadra inferiore, bensì come una squadra di una categoria inferiore. Non è da escludere che durante l’avvio della ripresa gli stessi tedeschi siano stati invasi da un certo imbarazzo, mai esplicitamente ammesso per rispetto dell’avversario e poi superato nell’impegno agonistico. “Ci siamo disorganizzati e siamo entrati nel panico dopo il gol, e poi tutto è andato a rotoli per noi4)Gideon Long, Worst day of my life, says Brazil coach Scolari, Reuters. È l’analisi di Scolari sulla disfatta, in parte accettabile, nel complesso carente e semplicistica, com’è naturale in quanto proveniente dal primo responsabile. Provo ad abbozzare alcune spiegazioni, in ordine sparso.

La nazionale tedesca era più forte, punto e basta. Tale consapevolezza era piuttosto diffusa alla vigilia, ma si pensava che un Brasile in crescita, dopo le vittorie su Cile e Colombia, avrebbe potuto provare a porre in equilibrio la sfida, facendosi altresì forza sul fattore campo. Invece la differenza fra le selezioni in campo è emersa in modo dirompente e soprattutto poiché, come espresso in modo preciso da Arrigo Sacchi, la selezione brasiliana come squadra è stata una compagine essenzialmente sopravvalutata: “Il Brasile nel 2014 aveva i giocatori più cari. Guardate la loro difesa centrale, i due del PSG, sono costati cento milioni. Marcelo, Alves, Maicon, Hulk, Neymar… e hanno preso sette reti contro la Germania. Perché? Erano un gruppo di solisti contro una vera squadra5)Lucas Duvernet-Coppola, Javier Prieto-Santos, “Je voulais convaincre mes joueurs qu’un autre football etait possible”, intervista ad Arrigo Sacchi, So Foot hors-serie n. 11.

I giocatori brasiliani erano stanchi dopo le dure, impegnative partite giocate negli ottavi di finale e nei quarti contro le selezioni cilena e colombiana, e quindi il fiato corto ha condizionato la loro prestazione in semifinale. Ma il limite è rinvenibile nella fondamenta del progetto, ovvero in una panchina corta e nel ristretto numero di giocatori di alto livello fra i selezionati, aggravato poi dalla mancanza di giocatori chiave quali Neymar e Thiago Silva (quest’ultimo più di tutti). La loro importanza è emersa con prepotenza in occasione della loro assenza.

La gara era stata preparata e impostata male, contraddistinta da un’incomprensibile finanche assurda volontà di spingere in avanti, e quindi di schiacciare in difesa una formazione, come detto, tecnicamente superiore. Il tentativo di travisare la realtà presentandosi al cospetto dei propri tifosi come la formazione dominante sul terreno di gioco è stato pagato a caro prezzo. Forse nel fondo è rintracciabile anche un’errata valutazione dei mezzi a disposizione, per lo meno da parte dello staff tecnico. È da sottolineare poi come il Brasile abbia chiuso il suo disastro epico con un inusitato numero conclusioni, diciotto, delle quali tredici indirizzate verso la rete, a conferma di una prestazione davvero senza capo né coda.

Infine, riprendendo le parole di Scolari, non si può sottacere il crollo psicologico che con ogni evidenza ha preso possesso sin dai primi istanti dell’intera squadra brasiliana, impegnata in un Mondiale casalingo, che oltre tutto avrebbe dovuto cancellare per sempre il maracanazo. Minuto dopo minuto, gol dopo gol, l’ansia si è trasformata in frenesia, poi in panico, poi in terrore, costruendo in tal modo un dramma che stava inesorabilmente edificando mattone su mattone un nuovo maracanazo davanti agli occhi di tutto il mondo.

Ci sono certe partite che cambiano la storia del calcio. E ci sono certe partite che cambiano proprio la storia. Non c’è da meravigliarsene, il calcio è così: non è uno sport, è qualcosa che porti dentro, che ti segna, che incide sulla tua vita6)Fabrizio Bocca, L’Apocalisse verdeoro: la notte che cambiò la storia del calcio (e non solo), il Brasile non c’è più. La Germania ha ucciso un mito. Un altro Maracanazo, 64 anni dopo, la Repubblica. Germania – Brasile sette a uno, semifinale del Mondiale 2014, è la partita più importante del calcio per nazionali nel ventunesimo secolo, almeno finora, ma non mi stupirebbe restasse tale per tutto il secolo. Segnerà il ricordo, cioè la vita, di alcune generazioni di tifosi ovunque nel mondo. E come sostiene Nietzsche, il Brasile calcistico dovrà imparare una pratica essenziale nelle vicende umane, oltre a imbastire una ricostruzione. Dovrà imparare a tramontare. Poiché da quel giorno al Mineirao di Belo Horizonte, il grande Brasile, il mito, la squadra che per oltre cinquant’anni bene o male ha dominato il calcio per nazionali, il faro e l’esempio di tutte le rappresentative, non esiste più.

1 marzo 2022

References   [ + ]

1. Alex Bellos, Futebol. Lo stile di vita brasiliano, Baldini&Castoldi, 2014
2. Riccardo Brizzi, Nicola Sbetti, Storia della Coppa del mondo di calcio (1930-2018), Le Monnier, 2018
3. Simon Burnton, World Cup stunning moments: Germany humiliate Brazil 7-1, The Guardian
4. Gideon Long, Worst day of my life, says Brazil coach Scolari, Reuters
5. Lucas Duvernet-Coppola, Javier Prieto-Santos, “Je voulais convaincre mes joueurs qu’un autre football etait possible”, intervista ad Arrigo Sacchi, So Foot hors-serie n. 11
6. Fabrizio Bocca, L’Apocalisse verdeoro: la notte che cambiò la storia del calcio (e non solo), il Brasile non c’è più. La Germania ha ucciso un mito. Un altro Maracanazo, 64 anni dopo, la Repubblica