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Argentina, 1978
VI. Delirio albiceleste, delusione verdeoro

Claudio Coutinho è un capitano dell’esercito brasiliano ed è laureato in educazione fisica. Abbandonata la carriera militare, entra nel mondo dello sport e assume un ruolo nello staff dei preparatori fisici della nazionale brasiliana durante i Mondiali del 1970. Diventa allenatore; guida la nazionale olimpica del suo paese nel 1976 e la squadra del Flamengo. Nel 1977, mentre si svolgono le qualificazioni per il Mondiale argentino, in seguito a un deludente zero a zero della selecao con la Colombia viene scelto a sorpresa quale nuovo ct della nazionale. Coutinho ha solo trentotto anni e un’esperienza davvero scarsa a livello internazionale. Si dice che la nomina sia conseguenza della sua amicizia con Heleno de Barros Nunes, ammiraglio e presidente della confederazione calcistica brasiliana. Ad ogni modo, sarà lui a guidare il Brasile ai Mondiali del 1978 e non farà così male. Resterà in carica sino al 1980, ma l’anno seguente perderà tragicamente la vita nel corso di un incidente di pesca subacquea.

L’ex capitano dell’esercito si adegua al motivo dominante del football internazionale, ovvero seguire l’esempio del calcio totale olandese e in generale del calcio europeo. Rispetto alla tradizione brasiliana, il Brasile di Coutinho mostra pochi funamboli e punta molto sulla preparazione fisica e sulla forza. Per molti cultori del gioco verdeoro, è un’autentica bestemmia. Ma sono le idee che vanno per la maggiore in Brasile in quegli anni, anche in virtù di un campionato nazionale – disputato per la prima volta nel 1971 – ingolfato di partite da un regolamento astruso e quindi fondato giocoforza sulla resistenza fisica. Ed è importante precisare che tutti i convocati militano nelle squadre di club brasiliane.

Il ct del Brasile porta con sé al Mondiale tutta una serie di dubbi tattici che non risolverà neanche durante il torneo, come dimostrano i ripetuti cambi di formazione, e che sicuramente peseranno sul bilancio finale. Non convoca due giocatori importanti: Luis Pereira, esperto difensore centrale dell’Atletico Madrid, e Falcao, l’emergente talento dell’Internacional di Porto Alegre, campione del Brasile nel ’75 e nel ’76. Rispetto al Mondiale 1974 sono rimasti soltanto il portiere Leao e Rivellino (reduce da un infortunio e ormai a fine carriera). Il calcio brasiliano del periodo è alla ricerca di una nuova dimensione dopo i passati trionfi. Qualcosa comunque emerge dal Mondiale 1978: si mettono in evidenza le doti di nuovi importanti talenti quali il centrocampista Toninho Cerezo dell’Atletico Mineiro, il fantasista Zico del Flamengo e Dirceu, in forza al Vasco de Gama. Disputano un buon Mondiale anche la coppia di difensori centrali formata da Oscar e Amaral, e in generale si destreggia bene l’intero reparto arretrato brasiliano, il quale chiude il torneo con soltanto tre gol al passivo (uno dei quali, inoltre, incassato nella finale per il terzo posto). Manca però al Brasile un forte attaccante centrale, un problema che ricorre nella recente storia dei verdeoro. La formazione tipo del Brasile nella Coppa del ’78 può essere così riassunta: Leão (capitano); Toninho, Oscar, Amaral, Rodrigues Neto; Dirceu, Batista, Cerezo; Zico; Roberto Dinamite, Gil.

Nella primavera dell’anno del Mondiale la nazionale brasiliana varca l’Oceano Atlantico per una serie di prestigiose amichevoli in preparazione del torneo iridato. Al giorno d’oggi un tale impegno dei giocatori lontano dai club di appartenenza è fantascienza. Il Brasile fa una bella figura. Sconfigge la Germania campione del Mondo in carica a domicilio, oltre a Inter e Atletico Madrid. Pareggia con l’Inghilterra a Wembley, ma è un risultato bugiardo, con gli inglesi dominati e fallosi, e i brasiliani stanchi per i ripetuti incontri. Invece contro la Francia perde, e per la prima volta nella storia, nonostante giochi un buon primo tempo. Negli anni a venire il Brasile imparerà a odiarli non poco, i francesi, sempre parlando esclusivamente di pallone.

Le ultime amichevoli prima del Mondiale si risolvono in due vittorie, contro Perù e Cecoslovacchia. Il Brasile prende pochi gol, vince e gioca un buon calcio, senza entusiasmare. A Mar del Plata lo attende la Svezia per il primo incontro della Coppa, all’interno di un girone meno semplice di quanto potesse sembrare alla vigilia. Contro la Svezia finisce uno a uno. I brasiliani nel complesso non impressionano. Reinaldo, attaccante verdeoro, sbaglia tre gol abbastanza semplici, prima di realizzarne uno che pareggia il momentaneo vantaggio svedese. Alla fine della partita, nei secondi di recupero, accade un fatto pressoché unico nella storia della Coppa. Calcio d’angolo per il Brasile, colpo di testa di Zico e gol. I giocatori esultano ma l’arbitro, il gallese Clive Thomas, non convalida la marcatura. Perché? Ha fischiato la fine prima che la palla finisse in rete! Le immagini televisive non chiariranno mai il dubbio – se il fischio abbia realmente preceduto l’ingresso in rete del pallone. Dirà in seguito il direttore di gara che il Brasile aveva perso troppo tempo nel battere l’angolo, tra l’altro già ripetuto per un errato posizionamento della palla. Qualcosa di analogo era accaduto nel corso della prima edizione della Coppa, nel 1930, durante l’incontro Argentina – Francia. A sei minuti dalla fine, con i sudamericani in vantaggio per uno a zero, il francese Langiller si involò solo verso la rete avversaria, quando l’arbitro fischiò inspiegabilmente la fine dell’incontro. I francesi infuriati assediarono il direttore di gara; il pubblico uruguayano, e anti-argentino, invase il terreno di gioco, tanto che dovette intervenire la polizia a sedare gli animi. Resosi conto dell’errore commesso, l’arbitro fece riprendere il gioco, ma il punteggio finale ormai non sarebbe più cambiato1)Alessandro Trisoglio, I Mondiali di Jules Rimet, Bradipolibri editore, 2012.

Altra partita, altro pareggio: zero a zero con la Spagna. Nell’occasione il terreno di gioco è ridotto così male che definirlo un campo di patate è un complimento. Il Brasile nel complesso gioca meglio, ma nella seconda frazione la Spagna fallisce con Cardenosa un’occasione gigantesca che, se realizzata, avrebbe probabilmente spedito anzitempo a casa la selecao. Contro l’Austria già qualificata il Brasile deve vincere per avere la sicurezza di passare il turno. Si racconta di una squadra in grande difficoltà, di risse nello spogliatoio e di un allenatore di fatto esautorato. Ma sono voci che non troveranno conferma. La partita con gli austriaci è importante perché vede l’inserimento in campo nel reparto avanzato, dal primo minuto, di Roberto Dinamite e Dirceu. La scelta gioverà al Brasile. L’Austria è sconfitta per uno a zero grazie a un gol proprio di Roberto Dinamite, ma nel secondo tempo gli austriaci mettono parecchio in difficoltà i sudamericani.

Brasile e Austria in campo a Mar del Plata - storiedicalcio.altervista.org
Brasile e Austria in campo a Mar del Plata – storiedicalcio.altervista.org

Il girone di semifinale vede quali favoriti d’obbligo l’Argentina e il Brasile, benché qualificati un po’ a sorpresa come secondi nei rispettivi gironi. Assieme a loro c’è la Polonia, intrusa europea tra le sudamericane. I polacchi, reduci dal grande Mondiale di quattro anni prima, rimangono una compagine temibile. Sono a metà strada tra le due migliori formazioni della loro storia (1974 e 1982) e alcuni giocatori – come Deyna, Kasperczak, Lubanski – navigano oltre i trenta; schierano però un giovane e promettente centrocampista avanzato, Zibigniew Boniek. Dopo il pareggio nella gara inaugurale con i tedeschi, hanno sconfitto abbastanza agevolmente le compagini tunisina e messicana. L’evento più importante di quel girone eliminatorio è però rappresentato da una partita irrilevante ai fini della classifica, ma dall’esito storico: Tunisia – Messico tre a uno è la prima vittoria di una squadra africana nel corso di una fase finale del Mondiale.

Per la nazionale tunisina anche la sola partecipazione al campionato del Mondo costituisce un’impresa insperata e un fatto straordinario che inoltre, a giochi fatti, erano quasi riusciti a vanificare con le proprie mani. Tre mesi dopo aver conquistato la qualificazione ai danni dell’Egitto, sconfitto quattro a uno nell’incontro decisivo – e prima ancora la Tunisia aveva eliminato gli storici rivali del Marocco, ben più accreditati -, la formazione nordafricana disputa la Coppa d’Africa in Ghana. Gioca un valido torneo e approda in semifinale, dove affronta i padroni di casa – nonché di lì a breve campioni continentali sul sorprendente Uganda –, e perde. Deve quindi scendere in campo contro la Nigeria per la finale per il terzo posto, che di solito costituisce una scocciatura o al massimo l’eventuale passerella per chi ha giocato poco, ma evidentemente i tunisini la prendono più seriamente del dovuto: sull’uno a uno abbandonano il terreno di gioco per protesta nei confronti dell’arbitraggio. Ricevono così due anni di squalifica – che tradotto significa soprattutto niente Mondiali. Vengono però cortesemente graziati e possono finalmente giocare la fase finale di una Coppa del Mondo in Argentina, dove la capacità dei tunisini di vincere la partita contro i messicani, e di segnare una pagina fondamentale nella storia del calcio africano, assume contorni eroici. Dirà infatti Abdelmajid Chetali, ct della nazionale: “I francesi hanno i loro sessantottini, gli studenti rivoluzionari che riuscirono a imprimere il loro marchio sul panorama socio-culturale. Noi abbiamo i nostri settantottini, una generazioni di calciatori che furono eccezionali2)The Tunisinian 78ers do it for Africa, fifa.com.

La quarta squadra del girone di semifinale è la nazionale peruviana, uscita vincitrice dal proprio girone del primo turno. Il Perù è nel pieno di un periodo calcistico aureo iniziato nel 1970 e che terminerà con i successivi Mondiali del 1982, periodo che ha avuto il suo culmine nel 1975. In quell’anno è stata ripristinata la competizione fra le nazionali sudamericane, ribattezzata Copa America (prima era il campionato sudamericano), che non si disputava da otto anni. Nel periodo di assenza del torneo è accaduto un po’ di tutto in America Latina: la morte di Ernesto Che Guevara; il Cordobazo del 1969; l’esperienza di Unidad Popular in Cile; la nazionalizzazione del petrolio in Venezuela. Ora, con le forze armate al potere un po’ ovunque, la ricreazione è finita: dal sogno si è passati direttamente all’incubo.

L’ultimo autentico torneo continentale dell’America del Sud si è giocato in realtà nel 1959, in quanto le successive edizioni, fra defezioni e squadre sperimentali, non hanno offerto un’impronta tecnica di livello adeguato. Nel 1975 però ci sono tutte. L’Uruguay campione in carica è ammesso direttamente alle semifinali, che si giocheranno a eliminazione diretta, con partite di andata e ritorno. Le altre semifinaliste escono da tre gironcini all’italiana, e sono: Colombia, Brasile e Perù. La Colombia elimina l’Uruguay. Nell’altra semifinale il Perù sbanca il Mineirao di Belo Horizonte (uno stadio destinato in futuro a non passare inosservato tra il popolo brasiliano), imponendosi per tre a uno, con reti di Cubillas e Casaretto (due). Al ritorno però sono sconfitti in casa per due zero. A questo punto che si fa, spareggio? Rigori? Conteggio dei gol in trasferta? Niente di tutto questo: monetina. E vabbè, così sia. In questo modo il Perù vince il sorteggio e passa in finale, così come era accaduto all’Italia nella semifinale contro l’Unione Sovietica, campionati europei del 1968. Nell’ultimo atto della competizione i peruviani perdono uno a zero in Colombia, ma ribaltano il risultato a Lima, vincendo due a zero. In questo caso si organizza la bella, che vien giocata in campo neutro, a Caracas. Uno a zero per il Perù con rete di Sotil e Copa America in bacheca a Lima.

Il Perù del 1978 pare un po’ in calo rispetto alla squadra della prima metà del decennio. Disputa un’ottima prima fase, ma la prestazione nel girone di semifinale è solo la brutta copia di quanto mostrato nei giorni precedenti. Si narra di una forte contrapposizione fra i giocatori dello Sporting Cristal e quelli dell’Alianza Lima, i due club che mettono assieme diciassette uomini su ventidue convocati in nazionale. Pare che i calciatori dell’Alianza, di carnagione più scura (o ritenuti tali, vai un po’ a capire queste idiozie) subiscano l’atteggiamento razzista dei compagni di squadra provenienti dallo Sporting3)Pablo Llonto, I Mondiali della vergogna, Edizioni Alegre, 2010. In difesa la formazione andina schiera ancora il grande Chumpitaz. In attacco c’è Sotil, ma è in fase calante, e parte dalla panchina. Ci sono dei giocatori interessanti: a centrocampo Velazquez e Cueto, in attacco Oblitas; c’è una valida ala, Munante, che gioca in Messico. E c’è ancora una volta un centrocampista offensivo molto dotato, anima della squadra, di nome Teofilo Cubillas. Ha esordito in nazionale nel 1968; due anni dopo, ai Mondiali messicani, il suo talento è esploso. Bandiera dell’Alianza Lima, ha giocato anche in Europa, per breve tempo al Basilea e poi al Porto. Anche in Argentina esprime un gran bel calcio. Cubillas è senza dubbio il miglior giocatore peruviano di sempre.

Il commissario tecnico del Perù è Marcos Calderon, già in carica durante la vittoriosa Copa America. Nel 1987 Calderon allena l’Alianza Lima, una formazione con molti giovani di belle speranze. Dopo un incontro di campionato giocato a Pucallpa, i giocatori, con Calderon e lo staff tecnico, sono di ritorno verso Lima. Ma non arriveranno mai nella capitale: l’aereo che li trasporta si inabissa nelle acque dell’Oceano Pacifico. Non ci sono sopravvissuti. Il colpo per il movimento calcistico peruviano è enorme e per ben trentasei anni il Perù è rimasto lontano dalla fase finale di un Mondiale.

Il Brasile affronta il Perù nella prima partita del girone e si prende la rivincita della semifinale di Copa America giocata tre anni prima. La selecao mostra di essere in crescita, di riuscire a ingranare nel momento giusto come avvenuto, almeno in parte, nel 1974. È un tre a zero per il Brasile, meritato e al termine di una partita giocata da entrambe le squadre a viso aperto. L’affermazione brasiliana risulta in bilico soltanto quando, sull’uno a zero, il peruviano Munante si fa respingere sulla linea un tiro a botta sicura scagliato da non più di due metri dalla porta. Due gol vengono segnati da Dirceu, il primo su punizione, il secondo grazie ad un tiro da fuori area sul quale il portiere Quiroga non è esente da colpe. Il terzo gol è realizzato su rigore da Zico, partito dalla panchina e subentrato nella ripresa. Dirceu è comunque il grande protagonista dell’incontro, galvanizzato probabilmente dalla contemporanea venuta al mondo del suo primogenito. Nel complesso Dirceu è uno dei migliori giocatori del torneo. Ala tornante dotata di corsa e resistenza, con un ottimo dribbling e un potente tiro da fuori area, e anche una certa somiglianza di aspetto con il cantante Rino Gaetano, Dirceu giocherà tre Mondiali nella sua carriera. Girerà diverse squadre di club, anche in Italia, prima di morire prematuramente nel 1995 a causa di un incidente d’auto, mentre la moglie era in attesa del quarto figlio.

Dall’altra parte si gioca Argentina – Polonia. I padroni di casa sono stati costretti a lasciare la capitale, ma scendere in campo nell’impianto di Rosario non è poi così male: più piccolo, raccolto, con le tribune attaccate al terreno di gioco; la hinchada locale gode di ottime condizioni per scatenarsi e spingere i propri beniamini. Menotti schiera Bertoni, Kempes e Houseman in attacco, con Valencia a centrocampo, sostituito a metà del tempo da Villa. L’Argentina gioca una bella partita, forse la sua migliore prestazione nel Mondiale; la Polonia comunque non sta guardare – Deyna dirige l’orchestra, mentre Lato, Szarmach e Boniek provano a finalizzare. Nel primo tempo, dopo una favorevole occasione occorsa a Bertoni, l’albiceleste passa in vantaggio con Kempes, di testa, al primo gol nel torneo. Sul finire della prima frazione di gioco accade un episodio decisivo: azione d’attacco polacca, tiro, estremo difensore battuto e grande parata degna di un vero portiere da parte di Mario Kempes sulla linea di porta. Rigore ineccepibile; ma ciò che stupisce è come l’attaccante argentino non venga neanche ammonito – all’epoca, comunque, i cartellini venivano usati con una certa parsimonia. Deyna va sul dischetto ma tira abbastanza male e Fillol blocca il pallone. Nella ripresa, grande azione di Boniek e palla a Lato, il capocannoniere del 1974, ma il tiro è fuori. Dall’altra parte, grande azione di Ardiles, palla a Kempes che invece segna. Lato – Kempes, a posteriori sembra un passaggio di consegne. Due a zero, e avanti adesso per l’incontro più atteso: Argentina – Brasile.

Rosario, 18 giugno, ore 19 e 15. I due colossi sudamericani si sono già affrontati nel corso del Mondiale di Germania: nell’occasione ha vinto il Brasile due a uno. Si sfideranno ancora nel Mondiale successivo, e poi ancora nel 1990. La partita di Rosario è un nodo cruciale del torneo. L’Argentina trova il proprio assetto ideale, così composto: Fillol in porta; Galvan, Olguin, Passarella, Tarantini in difesa, Gallego, Ardiles (sostituito da Villa all’intervallo causa infortunio), Kempes (libero di scorrazzare in avanti) a centrocampo; Bertoni, Luque, Ortiz in attacco. Il Brasile invece si copre, eccessivamente, e forse in virtù di questa scelta perde l’opportunità di giocarsi il titolo in finale. Mendonca e Chiaco sono preferiti a Zico (che entrerà nel secondo tempo) e Cerezo. Ecco la formazione del Brasile: Leao; Toninho, Oscar, Amaral, Rodrigues Neto (fuori nel primo tempo, al suo posto Edinho); Dirceu, Batista, Mendonca, Chiaco; Roberto Dinamite, Gil.

Nei primi dieci secondi di gioco la formazione argentina riesce a commettere due falli, dei quali solo uno sanzionato dal fischio arbitrale, un dato utile per segnalare il livello di aggressività che si registra in campo. Anche i brasiliani picchiano non poco e al fischio finale gli ammoniti verdeoro saranno tre; fra gli argentini l’unico ammonito è Villa, il quale rischia un secondo giallo per un duro e potenzialmente pericoloso fallo su Roberto nel corso della ripresa. Il livello del gioco necessariamente ne risente – la sfida è spezzettata da falli, tentativi di ostruzione e anche interventi di mano – ma l’incontro risulta nel complesso godibile e avvincente. Le occasioni da gol non sono nel complesso molte. Ci prova Kempes con un tiro da fuori. Gil ha la concreta possibilità di portare in vantaggio i brasiliani, dopo un ottimo spunto di Dirceu, ma spreca sparando addosso a Fillol. Anche l’Argentina si mangia un gol: azione di Bertoni sulla fascia, palla in mezzo per Ortiz, solo, pallone calciato fuori.

Nel secondo tempo il Brasile crea un po’ di più rispetto agli avversari, anche se dovrebbe essere l’Argentina a premere, a causa di una differenza reti al momento sfavorevole. Due occasioni propizie capitano sui piedi di Roberto Dinamite: la prima, su assist di Zico, è salvata da un pronto intervento di Fillol in uscita; la seconda è calciata direttamente fuori. Bertoni, in ottima forma, sfonda di nuovo sulla destra e serve Luque in area, ma Leao esce e anticipa l’attaccante. Poi l’arbitro fischia la fine pochi secondi dopo il novantesimo, mentre l’Argentina è in fase d’attacco – abbastanza inusuale al giorno d’oggi. Il risultato finale della sfida tanto attesa è un pareggio a reti bianche.

Nonostante abbia trovato la disposizione ideale della propria squadra, tanto da non cambiarla sino alla fine del torneo, per Menotti la partita con il Brasile è stata la peggiore prova dell’Argentina nel corso del campionato. Il giorno dopo il ct argentino è nero. Mentre è a tavola assieme alla squadra, nel mezzo di un silenzio carico di tensione, sente alcune risate sommesse e sbotta: “Ma di che cazzo ridono? Non li sopporto più. Dopo la partita che hanno giocato ieri non dovrebbero aprire bocca per un mese!”. Deve intervenire il suo fido secondo, Roberto Saporiti, al fine di calmarlo ed evitare così una reazione dei giocatori4)Ibidem.

L’incontro tra Polonia e Perù finisce uno a zero per gli europei dell’est, grazie a uno splendido gol di testa di Szarmach su traversone di Lato. In realtà la supremazia dei polacchi sugli avversari è andata ben oltre la vittoria di misura, con un’incredibile serie di occasioni da gol mancate, oltre a un palo colpito e almeno una parata strepitosa di Quiroga. Il portiere peruviano è inoltre riuscito nell’impresa di farsi ammonire per un fallo commesso nella metà campo avversaria, raggiunta con l’intento di supportare un’azione d’attacco dei compagni di squadra. Il Perù è a pezzi e quel giorno Quiroga in campo sembra un matto.

brasile_soccerbible.com
Il Brasile nel ’78 – soccerbible.com

Il 21 giugno del ’78 sono in programma le ultime due partite del girone: Brasile e Argentina – entrambe a tre punti – affrontano rispettivamente Polonia e Perù. In caso di parità nel punteggio, alla vigilia abbastanza probabile, entra in gioco la differenza reti e al momento il Brasile è messo meglio. L’Argentina gode però di un certo vantaggio in quanto scende in campo contro l’unica squadra già eliminata e di per sé alla deriva, appunto il Perù. La Polonia invece ha ancora delle speranze. L’Argentina gode inoltre di un altro vantaggio che ha ben poco di sportivo: giocherà in serata quando l’altro incontro sarà concluso, e quindi conoscendo già il risultato delle squadre avversarie nel girone. È stato deciso così per ragioni televisive (si dice). Da giorni si era conoscenza del programma sfasato delle due partite e i dirigenti brasiliani provano a far spostare l’orario dell’incontro soltanto all’ultimo momento, ma ovviamente invano.

Si comincia con Brasile – Polonia, la quale alla fine risulterà una partita decisamente bella e divertente. I sudamericani schierano una squadra offensiva che vede sin dall’inizio l’utilizzo di Zico e Cerezo. Il talento del Flamengo deve però uscire quasi subito per un infortunio. Il gol del primo vantaggio brasiliano è realizzato da Nelinho, un difensore di fascia, su punizione. Lo stesso Nelinho segnerà tre giorni dopo un gol straordinario nella finale per il terzo posto, con un tiro di esterno scagliato dalla fascia, fuori area, che lambisce il palo opposto e termina in rete. Gregorsz Lato raggiunge il pareggio prima dell’intervallo, da opportunista, sfruttando un pasticcio della difesa verdeoro. Al gol polacco la folla allo stadio, composta da tifosi argentini, esplode in un boato.

Nella ripresa, attorniati da un tifo assordante, i polacchi si rendono più volte pericolosi. Ma al dodicesimo il Brasile passa di nuovo in vantaggio grazie a Roberto Dinamite. Poi, intorno al minuto diciassette, in trenta secondi il Brasile colleziona due pali e una traversa, prima di infilare il definitivo tre a uno, ancora con Roberto Dinamite. Il doppio svantaggio non demoralizza i polacchi. Sono almeno quattro le occasioni da rete sprecate dagli europei da lì al termine. Si aggiunga anche un grande intervento di Leao a difesa della propria porta, mentre il Brasile, sfruttando gli spazi lasciati liberi dagli avversari, sfiora il quarto gol con Cerezo.

Gli argentini ricevono le notizie dei gol brasiliani mentre giungono allo stadio di Rosario. A questo punto, per giocarsi la Coppa in finale, dovrebbero battere il Perù con quattro gol di scarto, oppure con tre ma segnandone almeno cinque di reti. Come detto, il Perù è una squadra allo sbando e fuori dal torneo. Oltre a questo, i giocatori sono fiaccati da una notte insonne per il disturbo volontario dei tifosi argentini e sono abbastanza intimoriti dal clima che li circonda. Sugli spalti è un delirio. L’albiceleste si presenta nella formazione tipo, salvo Ardiles, ancora dolorante, sostituito da un valido Larrosa. Paradossalmente però sono proprio gli argentini a sentire la tensione del contesto, oltre al peso di dover realizzare un’impresa sportiva rilevante, per quanto non impossibile. Scendono in campo molto contratti, si sbilanciano troppo e rischiano di capitolare per ben due volte nei primi minuti: al decimo Munante scappa sulla destra, tira e prende un clamoroso palo interno; al quindicesimo il buco è a sinistra, ma Oblitaz manda fuori di un niente. Scampato il pericolo, la manovra argentina cresce. Al ventesimo Kempes sfonda per vie centrali e porta in vantaggio i biancocelesti. Al venticinquesimo Luque timbra il palo. La vera svolta dell’incontro però avviene al minuto quarantadue: su calcio d’angolo, Tarantini segna di testa e manda le squadre al riposo sul due a zero. L’Argentina vede la concreta possibilità della goleada in grado di spalancare le porte della finale; il Perù alza bandiera bianca.

Sono trascorsi tre minuti dal fischio di avvio del secondo tempo quando Mario Kempes realizza il tre a zero. Altri due minuti e Luque, di testa, in probabile posizione di fuorigioco, mette in rete il quarto gol. A questo punto l’Argentina è in finale. Luque esulta con le braccia levate al cielo e sembra il giocatore stilizzato sul manifesto del torneo; in realtà il gesto raffigurato riprende un tipico saluto di Juan Domingo Peron. Il manifesto è stato ideato nel ’74, prima del colpo di Stato. La giunta militare avrebbe voluto ritirarlo, ma è tardi, l’immagine è stata ormai commercializzata in giro per il pianeta. Nel prosieguo dell’incontro segnano ancora Houseman e nuovamente Luque. In totale sono sei le volte che il portiere peruviano deve chinarsi a raccogliere il pallone dal fondo della porta. Quiroga è argentino, addirittura di Rosario; è stato naturalizzato peruviano solo l’anno prima. Al portiere del Perù viene imputata da molti una presunta eccessiva arrendevolezza di fronte agli ex connazionali. Di Quiroga, e di Argentina – Perù sei a zero, si parlerà in eterno.

Attraverso un percorso accidentato e per nulla semplice, trascinata da una gioia popolare a tratti perfino esagerata e prossima all’isteria collettiva, l’Argentina conquista il diritto di giocarsi la Coppa del Mondo in finale. La difesa è diventata più solida – l’ultimo gol incassato è quello di Bettega nel corso della prima fase. L’attacco continua a segnare e, in aggiunta, è esploso Kempes. L’Argentina è favorita per la finale, anche soltanto in virtù del fattore campo.

Il Brasile invece recrimina per il vantaggio riservato all’Argentina nell’ultimo turno e giudica l’incontro dei padroni casa con il Perù una truffa bella e buona. Coutinho, a chiare parole, ritiene il Brasile moralmente campione del Mondo (in mezzo c’era ancora la finale, però). Il Brasile del 1978 è stato spesso criticato e definito una selecao fra le meno riuscite della storia. In realtà quella squadra chiuderà il torneo come l’unica nazionale imbattuta. Anzi, fra il Mondiale in Germania Ovest e quello in Argentina, i brasiliani perdono solo un incontro, con l’Olanda, nel ’74 – lasciamo la finale per il terzo posto di quell’anno solo alle statistiche. Nonostante questo, in entrambe le occasioni mancano l’accesso alla finale per il titolo e il giudizio su quelle esperienze rimarrà sempre abbastanza negativo.

Il Brasile del periodo paga lo scotto del paragone con la nazionale tre volte campione fra il ’58 e il ’70, quella che per semplicità viene definita la squadra di Pelé (anche se in campo non c’era solo o Rey). Il confronto è per forza improponibile. Ma la ricerca di una selezione in grado di ritornare nel posto che secondo i brasiliani loro compete, ovvero sul tetto del mondo calcistico, durerà ancora diversi anni, passando in particolare attraverso il nodo cruciale e drammatico dei Mondiali ’82.

19 ottobre 2018

immagine in evidenza: Un’immagine di Argentina-Perù – channelfour.com

References   [ + ]

1. Alessandro Trisoglio, I Mondiali di Jules Rimet, Bradipolibri editore, 2012
2. The Tunisinian 78ers do it for Africa, fifa.com
3. Pablo Llonto, I Mondiali della vergogna, Edizioni Alegre, 2010
4. Ibidem