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Argentina, 1978
IV. Conferma Olanda

Uno dei temi maggiormente dibattuti, quando si raccontano le vicende della nazionale olandese ai Mondiali d’Argentina, ha quale oggetto l’assenza di Johann Cruyff. Dopo aver contribuito a condurla sino alla fase di finale della Coppa, l’astro più splendente del calcio olandese abbandona la nazionale senza fornire alcuna spiegazione. Necessariamente le ipotesi si sono sprecate nel corso degli anni, spesso spacciate per verità. In diverse occasioni il rifiuto di Cruyff è stato interpretato come un gesto politico di protesta, di contrapposizione all’efferata giunta militare saldamente al potere in Argentina. Ma Cruyff non ha mai confermato di aver assunto una simile posizione politica. Si è parlato di un veto della moglie in seguito alle voci, comparse sulla stampa, di notti brave trascorse durante il precedente torneo mondiale – francamente, però, l’argomento non pare molto credibile. Altre voci, queste invece più credibili quando il protagonista è Cruyff, hanno puntato il dito su questioni legate alle sponsorizzazioni, e quindi ai soldi. Cruyff svela il mistero in modo esplicito soltanto nel 2008, nel corso di un’intervista concessa a Catalunya Radio. Racconta di aver subito, pochi mesi prima del calcio d’avvio del Mondiale, una rapina nella sua casa di Barcellona. Uomini armati erano penetrati di notte nell’abitazione del campione olandese e lo avevano legato assieme alla moglie e sotto gli occhi dei figli. Cruyff era riuscito a scappare e la vicenda si era risolta senza danni di alcun tipo. Era però rimasto molto scosso dall’accaduto e, di conseguenza, non voleva abbandonare i suoi cari, volando al di là dell’oceano per un lungo periodo. Scelse così di rinunciare anche se questa decisione, con ogni probabilità, gli avrebbe tolto per sempre la possibilità di conquistare un titolo di campione del Mondo.

Non c’è Cruyff e non c’è nemmeno l’allenatore del ’74, il guru del calcio totale Rinus Michels. È giunto quindi il momento di parlare di Ernst Happel, il commissario tecnico della nazionale olandese in Argentina. Questo è un Mondiale di tecnici, sotto vari punti di vista, e Happel è uno dei più grandi allenatori del periodo. Viennese di origine, è stato in gioventù un ottimo difensore e ha disputato con la nazionale austriaca i Mondiali del 1954. L’Austria raggiunse le semifinali del torneo, ma fu sconfitta per sei a uno dai tedeschi dell’ovest e la stampa, alla ricerca di un capro espiatorio, accusò lo stesso Happel e il portiere Walter Zeman della pesante sconfitta. Diventato allenatore, Happel approda in Olanda negli anni sessanta alla guida dell’Ado Den Haag, squadra senza troppe pretese de L’Aia. Conquista a sorpresa una coppa nazionale, poi passa al Feyenoord, dove vince il titolo nazionale due volte e soprattutto la Coppa dei Campioni, nel 1970, prima ancora del grande Ajax. Possiamo considerarlo uno degli artefici del calcio totale olandese. In particolare, intuisce l’importanza di controllare meglio la zona di metà campo, passando dal 4-2-4 al 4-3-3, e grazie a questa impostazione supera il Celtic nella finale europea.

Nel corso degli anni settanta siede sulla panchina del Bruges. La squadra belga non ha una grande tradizione alle proprie spalle, ma nonostante ciò Happel porta in dote tre campionati nazionali e sfiora due volte il successo in Europa: Coppa UEFA nel ’76 e Coppa dei Campioni nel ’78, l’anno dei Mondiali, in entrambi i casi sconfitto in finale dal Liverpool. All’inizio degli anni ottanta realizza il suo terzo capolavoro con una squadra di club, l’Amburgo. Conquista due campionati tedeschi e nel 1983 la Coppa dei Campioni, sulla favorita Juventus – e molti dei bianconeri in campo nella finale di Atene erano stati in Argentina con la maglia azzurra. Senza dubbio un vincente. Happel è un convinto sostenitore dell’atletismo e impone duri allenamenti ai calciatori. Diverse volte è stato accusato di non avere molto rispetto dei propri uomini, di comunicare poco, ma non so quanto tutto ciò corrisponda al vero. Si racconta che, prima della finale di Coppa contro la Juventus, avesse un dubbio in merito a quale uomo porre in marcatura su Platini, all’epoca il giocatore più forte del mondo. Ne parlò con i componenti della squadra, i quali lo invitarono a non dedicargli uno specifico marcatore. Seguì il consiglio e quella sera Platini fu neutralizzato1)Aleksander Losnegard, Ernst Happel: the quiet Austrian who conquered Europe, These Fotball Times.

Happel inizia a gestire la nazionale olandese nel 1977. Prima di lui, la guida degli orange è stata in mano a George Knobel, fino al ’76. Dopo l’insoddisfacente Europeo in Jugoslavia è nominato ct Jan Zwartkruis. Sarà lui a portare l’Olanda alla qualificazione mondiale. La nazionale dei Paesi Bassi è sorteggiata di nuovo con il Belgio, oltre a Irlanda del Nord e Islanda. A differenza di quattro anni prima, l’Olanda domina il girone agevolmente – il Belgio vive infatti un passaggio a vuoto, prima di costruire una nuova nazionale di alto livello, in grado di raggiungere ottimi risultati nella prima metà degli anni ottanta. In vista della competizione iridata la federazione olandese preferisce però affidare la squadra a un tecnico più esperto, e pertanto Zwartkruis viene esautorato dall’incarico e aggregato alla nazionale quale vice. Zwartkruis non sopporta Happel e non si sforza di dimostrare il contrario. Nella sua biografia dichiarerà di aver assunto il comando della squadra olandese al Mondiale dopo la prima fase, su invito della federazione, e che pertanto Happel nella realtà rivestiva solo un ruolo di facciata2)Gareth Bland, In celebration of Holland’s underappreciated 1978 masters, These Football Times. Sia vero o meno è ormai difficile dirlo, si è perso nel tempo: i protagonisti della vicenda ci hanno ormai lasciato da qualche anno.

L’Olanda che si presenta sul palcoscenico della Coppa del Mondo FIFA dopo la rottura rappresentata dal calcio totale, è una squadra in parte diversa rispetto alla formazione di quattro anni prima. È meno spettacolare, meno rivoluzionaria, benché i fondamenti rimangano gli stessi: corsa, ruoli intercambiabili, aggressione degli spazi. Il controllo della palla è ridotto, c’è meno dinamismo e maggiore fisicità, e gli olandesi dimostrano di non disdegnare l’azione di rimessa. In sintesi, nei confronti del 1974, è meno forte; ma gli uomini, salvo il grande Cruyff, sono all’incirca gli stessi. Solo un po’ più vecchi.

Happel imposta la formazione alternando il canonico 4-3-3 a un più duttile (e nei fatti più difensivo) 3-4-3: dipende essenzialmente dalla posizione di Jansen sulla fascia destra, se viene schierato sulla linea dei difensori oppure più in avanti, a centrocampo. Il reparto arretrato è poi composto interamente da reduci del precedente Mondiale: in mezzo Rijsbergen, Suurbier sulla sinistra e Krol, nel ruolo di libero. Ruud Krol è una pedina fondamentale di quell’Olanda. Giocatore intelligente tatticamente, abile di testa e dotato di un ottimo piede, in grado di realizzare prestazioni notevoli sia in difesa che a centrocampo. Le azioni olandesi partono quasi sempre da lui. Chiuderà una carriera costantemente ad alti livelli nel Napoli pre-Maradona dei primi anni ottanta. Particolare che non guasta, si dice sia un gran tombouer des femmes. Nel 1978 milita ancora, unico fra i titolari, nell’Ajax – la squadra che sino a poco tempo prima costituiva la base della nazionale. Ma il calcio olandese è ora dominato dal PSV Eindhoven, club capace di aggiudicarsi tre degli ultimi quattro campionati, e la Coppa UEFA 1977/78.

Sulla linea mediana troviamo ancora Haan, che gioca nel valido Anderlecht, e Neeskens, non più ai livelli stratosferici mostrati nel recente passato. Manca van Hanegem – pare abbia rifiutato la convocazione per ragioni di soldi, o forse perché l’allenatore non gli avrebbe assicurato un posto nella formazione di partenza. Lo sostituisce Willy van de Kerkhof, del PSV. In avanti c’è il suo fratello gemello, nonché compagno nel PSV, Renè van de Kerkhof, nel ruolo di centrale alla Cruyff o di esterno (ma spesso torna a dare una mano a centrocampo). Completano la formazione altri due elementi dell’Olanda 1974: uno è Johnny Rep, in forza ai corsi del Bastia, club che proprio nel 1978 ha raggiunto una sorprendente e storica finale di Coppa UEFA. L’altro è Rensenbrink, autentico leader della nazionale assieme a Krol – se ne parlerà nel momento adatto.

Ad ogni modo l’assegnazione delle maglie da titolare, e anche gli stessi ruoli, risultano meno rigidi rispetto alla nazionale di Michels. Troveranno spazio nel corso del torneo alcuni giocatori pressoché esordienti quali i giovani difensori Poortvliet e Brandts, e l’attaccante Nanninga. Il loro utilizzo non passerà inosservato. In porta si alterneranno Jongbloed e Schrijvers.

Gli olandesi giungono in Argentina vincendo tutte le amichevoli di preparazione. Li aspetta un girone che molti sottovalutano, sbagliando: sarà il girone eliminatorio più teso e combattuto della manifestazione. L’esordio comunque è leggero, contro l’Iran, definita la classica squadra materasso (all’epoca ce n’erano ancora diverse). L’Iran è al suo primo Mondiale. In patria si è alla vigilia di avvenimenti storici di primaria importanza; lo Scià, con il suo regime falsamente modernizzatore e realmente repressivo, è ancora al potere. Per poco. Dopo quell’estate le dimostrazioni popolari di protesta risulteranno irrefrenabili. In capo a qualche mese l’instaurazione della Repubblica Islamica rappresenterà un evento sconvolgente, in grado non solo di segnare quell’epoca, ma i cui effetti si propagheranno nei decenni a venire.

L’incontro è in programma a Mendoza il 3 giugno 1978. L’Olanda affronta qualche difficoltà iniziale, poi passa in vantaggio su rigore verso la fine del primo tempo. Nell’azione Renè van de Kerkhof si fa male ad un braccio e deve indossare un tutore per il resto del torneo. Nel secondo tempo i vice campioni del Mondo giocano in scioltezza e infilano altri due gol, dei quali il secondo ancora su rigore. Tutte le marcature portano la firma di Rob Rensenbrink. L’avversario successivo degli orange è la rappresentativa peruviana, campione del Sudamerica in carica, che nel suo primo incontro ha incrociato sul campo la Scozia. Ma la spedizione dei britannici in terra argentina merita alcune righe di approfondimento.

La Scozia presenta una nazionale di tutto rispetto. Schiera infatti una nutrita serie di ottimi giocatori, quasi tutti colonne portanti di squadre inglesi di primo livello. Fra questi annovera: Graeme Souness, giovane centrocampista del Liverpool, protagonista nella recente finale di Coppa dei Campioni; Kenny Dalgish, sempre del Liverpool, attaccante; Joe Jordan, altro attaccante, in forza al Manchester United – detto lo Squalo perché gli mancano un paio di incisivi sul davanti, persi in allenamento a causa di uno scontro con un compagno; il difensore Burns e il centrocampista Gemmill, entrambi del Nottingham Forrest; McQueen, difensore del Manchester United; Hartford, centrocampista, anch’egli di casa a Manchester, però sponda City. Nel 1977 la Scozia ha conquistato l’Interbritannico, uno storico trofeo in palio tra le federazioni britanniche che si disputerà sino agli anni ottanta. La partita decisiva è a Wembley, contro l’Inghilterra. La Tartan Army prevale due a uno e, al fischio finale, i tifosi invadono il terreno di gioco e lo devastano.

Sorteggiata in un girone di qualificazione che la vede opposta al Galles e ai neo campioni d’Europa della Cecoslovacchia, la Scozia parte male, sconfitta a Praga per due a zero. Si riprende, vince i due incontri casalinghi successivi, e arriva alla sfida determinante contro il Galles, in trasferta. I gallesi decidono di giocare l’incontro a Liverpool, sfruttando così la capienza di Anfield Road, ma gettando nel contempo a mare il vantaggio del fattore campo: lo stadio si riempie infatti di scozzesi. La nazionale formalmente ospite passa in vantaggio su rigore per fallo di mano di un difensore gallese in contrasto con Jordan, anche se in realtà pare sia proprio lo scozzese a toccarla con la mano. Termina due a zero e la Scozia si qualifica alla fase finale di Mondiali per la seconda volta consecutiva, dopo la deludente esperienza di Germania Ovest ’74. Non è un mistero che gli scozzesi possano aspirare al titolo. Ne sono convinti i tifosi, che in trentamila, esultanti, riempiono Hampden Park a Glasgow per salutare la nazionale in partenza per l’Argentina. E va bene, è comprensibile. Ma pare ne sia eccessivamente convinto anche il commissario tecnico, Ally McLeod, un allenatore di non eccelsa esperienza internazionale. Alla viglia della Coppa, dichiara: “Segnatevi questa data, 25 giugno 1978: sarà il giorno in cui il calcio scozzese conquisterà il mondo. Sono convinto che quella domenica la migliore squadra che questo paese abbia mai prodotto potrà giocare la finale della Coppa del Mondo e potrà vincerla3)Dominic Sandbrook, My name is Ally McLeod and I am a winner, The Blizzard n. 5.

Perù – Scozia è una splendida partita, fra le migliori del torneo. I sudamericani sono ritenuti anziani, in calo, e forse vengono presi sotto gamba dai britannici. Alla Scozia mancano però alcuni uomini in difesa, fra i quali McQueen, elemento importante. McLeod inoltre decide di schierare a centrocampo Rioch e Masson, anziché Gemmill e Souness. L’arbitro è in rosso, evento piuttosto insolito all’epoca: ha abbandonato il nero d’ordinanza al fine di non confondersi con il blu scuro dei britannici. La Scozia inizia l’incontro molto bene e passa in vantaggio con Jordan. Tutto in discesa, allora? Un cavolo. Il Perù comincia a macinare gioco, sempre di più; i suoi giocatori scappano da tutte le parti. La Scozia tenta qualche contropiede, ma nulla può di fronte ad un’azione di sfondamento centrale che garantisce ai sudamericani l’uno a uno, sul finire della prima frazione. Nel secondo tempo è nuovamente la Scozia a fare l’incontro: colpo di testa di Jordan, clamoroso incrocio dei pali; parata miracolosa di Quiroga, sempre su Jordan, da una distanza di due-tre metri; rigore per la Scozia, tira Masson, parato! Poi incredibilmente Cubillas, la bandiera del Perù, controlla il pallone da fuori area – è poco contrastato dagli scozzesi – e scocca uno magnifico tiro che entra in rete. Poco dopo è ancora Cubillas a segnare, su punizione d’esterno piede, come spesso si faceva nei Settanta. Tre a uno a favore del Perù. Sorpresa, la temibile Scozia inizia il torneo con una sconfitta, ma nulla pare già perduto.

Quindi Olanda – Perù è la sfida fra due squadre che hanno vinto il primo incontro e che pertanto, in fin dei conti, potrebbero anche accontentarsi di un pareggio (ricordiamo che la vittoria vale ancora due punti). Così è. Happel schiera Haan quale centravanti arretrato, al posto di Rep. L’Olanda dimostra una certa superiorità, controlla buona parte dell’incontro, ma alla fine è zero a zero.

Nel suo secondo incontro, la Scozia avrebbe la possibilità di rifarsi, in quanto ha di fronte la nazionale iraniana. Nel frattempo, però, un altro episodio contribuisce a rendere ancora più cupa l’atmosfera di una spedizione avviata con ben altro spirito. Il centrocampista Willie Johnstone risulta positivo all’antidoping. Ha infatti assunto uno stimolante vietato, presente in una medicina che gli è stata prescritta per curare una febbre da fieno. Viene rimandato immediatamente in patria. Contro l’Iran la Scozia gioca una partita incolore, tesa. Passa in vantaggio grazie ad un comico autogol degli asiatici – su un’azione d’attacco avversaria, un difensore intercetta la palla; è solo, tenta un rinvio, ma preso probabilmente dal panico lo indirizza verso la direzione sbagliata, cioè la propria porta rimasta sguarnita. Sembra quindi tutto risolto per la Scozia. Nella ripresa, però, gli attaccanti iraniani fanno un po’ quello che vogliono in area scozzese e raggiungono il definitivo uno a uno. Ora la disfatta per la Tartan Army è lì dietro l’angolo. Stante la probabile vittoria del Perù sull’Iran, che infatti avviene, agli scozzesi servirebbe un miracolo per qualificarsi: non solo battere l’Olanda, ma farlo con almeno tre gol di scarto.

Quello tra scozzesi e olandesi sarà alla fine un altro incontro divertente, drammatico e consegnato alla storia. McLeod schiera finalmente sin dall’inizio Gemmill e Souness, al termine autori di prestazioni notevoli, a centrocampo. La Scozia inizia di nuovo alla grande, trova una traversa su colpo di testa e… prende gol. C’è un errore in difesa che provoca un penalty per la squadra dei Paesi Bassi. Si incarica dell’esecuzione Rensenbrink, realizza e la sua marcatura è la millesima nella storia della Coppa del Mondo. Alla fine del primo tempo però la Scozia perviene al pareggio grazie a Dalgish, lasciato colpevolmente troppo solo in area dai difensori olandesi. Nei primi quarantacinque minuti l’Olanda ha perso per infortunio Rijsbergen e Neeskens, sostituiti. Nel secondo tempo gli scozzesi danno il tutto per tutto. Gemmill su calcio di rigore, concesso per fallo su Souness, porta il punteggio sul due a uno – magari se li schierava sin dall’inizio del torneo, era meglio. Poi è ancora Gemmill a estrarre dal cappello un capolavoro: slalom fra tre uomini e rete sull’uscita del portiere. Un gol famosissimo in Scozia, immortalato anche in una scena del film Trainspotting (1996). Forse il più bello fra i gol inutili della storia dei Mondiali. Già perché la Scozia sarebbe proprio ad un passo da un’impresa davvero miracolosa, ma dopo appena quattro minuti Rep scaglia un gran tiro dalla lunga distanza, a occhi chiusi dirà in seguito, e segna. Finisce tre a due.

La Scozia è fuori al primo turno da un Mondiale che credeva di poter vincere. La squadra protagonista del primo incontro tra nazionali della storia del calcio, Inghilterra – Scozia del 1872, la scuola calcistica che altresì ha inventato prima di tutti lo sviluppo dell’azione di gioco tramite il passaggio, all’epoca non aveva mai superato la prima fase di un campionato del Mondo, e mai lo avrebbe fatto in futuro. Poi gli anni d’oro son passati, e dalla fine del secolo la stessa partecipazione al Mondiale sarebbe diventata una chimera.

Ally McLeod, sommerso dalle critiche, in quell’estate è distrutto dallo stress sino ad ammalarsi4)All Blue Daze, Once upon a time in Argentina: the story of Ally MacLeod and his Tartan Army, These Football Times. Negli anni a venire allenerà solo squadre di secondo piano e morirà nel 2004. Ma una certa dose di ironia pare non averlo mai abbandonato, e in questo forse, in ultima analisi, consiste l’autentico discrimine che passa tra un vincente e un perdente. Ha scritto infatti nella sua autobiografia: “In fin dei conti sono stato davvero un buon allenatore; mi sono solo capitati una manciata di giorni disastrosi. È stato tanto tempo fa, in Argentina…”.

La nazionale scozzese - worldcupteams.republika.pl
La nazionale scozzese – worldcupteams.republika.pl

Ernst Happel gioca contro il suo passato. L’Austria è la prima avversaria nel percorso dell’Olanda verso la finale mondiale. Gli austriaci hanno chiuso in testa il proprio girone, non semplice, battendo all’esordio un’ambiziosa Spagna due a uno nel corso di una sfida intensa e molto combattuta (gol di Schachner e di Krankl a un quarto d’ora dal termine, dopo il momentaneo pareggio di Dani). Hanno poi sconfitto di misura anche la Svezia, grazie a Krankl su rigore, e hanno perso l’ultimo ininfluente incontro che li ha visti opposti ai brasiliani. Vive un momento brillante il calcio austriaco. Nel ’78 l’Austria Vienna ha raggiunto la finale di Coppa delle Coppe. Schierano una squadra di tutto rispetto, con Pezzey al centro della difesa, Kreuz a centrocampo, Prohaska in regia, Krankl e il giovane Schachner in attacco.

Il calcio austriaco ha rivestito un ruolo importante nell’evoluzione di questo sport, soprattutto in virtù del particolare stile di gioco sviluppato a Vienna negli anni venti e detto calcio delle coffe house – dal nome dei locali diffusi nella capitale austriaca nei quali le persone si riunivano a discutere un po’ di tutto, di politica, di arte, di attualità, e così anche di calcio. Nell’ambito del predominante calcio danubiano dell’epoca, il pregevole misto di tecnica e fantasia creato dagli austriaci consentì loro di diventare, all’inizio del decennio successivo, una delle nazionali più forti a livello internazionale. La formazione guidata dal grande tecnico Hugo Meisl e illuminata dal talento di Matthias Sindelar venne definita wunderteam (squadra delle meraviglie), ma arrivò forse un po’ in ritardo all’appuntamento con la Coppa del Mondo. Nel 1934 l’Austria fu sconfitta in semifinale dall’Italia padrona di casa in una serrata sfida giocata a Milano, l’incontro decisivo di quel torneo.

Nel ’78 si assiste a uno degli ultimi squilli di una tradizione calcistica gloriosa ma destinata ad affievolirsi col passare del tempo, così come si sta lentamente spegnendo il ricordo dell’importanza storica del paese. A Vienna nel 1993, poco dopo il suo decesso, verrà intitolato ad Happel il mitico Prater Stadion, uno degli impianti nei quali si è scritta la storia del calcio. “The feeling has gone only you and I / It means nothing to me / This means nothing to me / Oh, Vienna” (Ultravox, Vienna, 1980).

Al fine di ovviare ai numerosi infortuni, il ct dell’Olanda schiera contro l’Austria Brandts e Poortvleit in difesa al posto di Rijsbergen e Suurbier, mentre Wildschut sostiuisce Neeskens. Haan ritorna a occupare il suo ruolo in mezzo al campo – è una mossa molto utile -, Rep si muove al centro dell’attacco e realizzerà una doppietta. Schrijvers è il portiere titolare, anziché Jongbloed. I giovani forniscono una particolare vivacità alla squadra. Brandts addirittura segna e porta in vantaggio l’Olanda che poi dilaga, mostrando un calcio che per tutta la prima fase aveva tenuto nascosto. Rensenbrink gioca una partita mostruosa: segna una rete e fornisce quattro assist decisivi. Finisce cinque a uno. Ora l’Olanda inizia a fare sul serio.

Olanda – Germania Ovest, secondo turno del girone di semifinale, sta iniziando a diventare un classico del panorama calcistico internazionale. Le due squadre rappresentano giocoforza il meglio del calcio europeo negli anni settanta. Si sono solo sfiorate agli Europei di due anni prima, un torneo che nei pronostici difficilmente poteva sfuggire ai tedeschi o agli olandesi, e invece sfugge. Quegli Europei, davvero splendidi, intensi, meritano qualche riga.

L’Olanda si qualifica alla fase finale della competizione continentale dopo aver superato un girone davvero ostico – come già visto, composto anche da Polonia e Italia. Ai quarti di finale rifila un perentorio cinque a zero al Belgio, con quattro gol di Rensenbrink. Per l’ultimo atto del torneo la aspettano le rappresentative di tre nazioni che appena venti anni dopo non esisteranno più come tali: Cecoslovacchia, Germania Occidentale e Jugoslavia (che ospita la manifestazione). La semifinale dell’Olanda si gioca a Zagabria sotto una pioggia torrenziale; di fronte c’è la Cecoslovacchia, la meno accreditata tra le quattro nazionali. I cecoslovacchi riescono però nell’impresa di bloccare il gioco arrembante degli orange. Trascinano l’incontro ai tempi supplementari, nei quali a sorpresa si impongono per tre a uno. Nell’altra semifinale, a Belgrado, i padroni di casa guidati da Dzajic si portano avanti per due a zero già nella prima mezzora. La Germania accorcia. Poi, verso la fine dell’incontro, entra l’attaccante Dietmar Muller, ed è la mossa decisiva: consegna alla sua squadra il pareggio proprio allo scadere; nei supplementari realizza una storica doppietta che ribalta completamente lo sorti dell’incontro e apre le porte della finale ai tedeschi.

Quindi finale inaspettata tra Germania Ovest e Cecoslovacchia, un’altra partita tiratissima. I tedeschi sono di nuovo sotto per due reti, ma ancora una volta sono in grado di realizzare un valoroso recupero. Ai supplementari però il risultato non cambia. Prima di iniziare l’incontro, le due squadre si sono accordate sull’epilogo in caso di eventuale pareggio dopo i centoventi minuti, ovvero: calci di rigore. È la prima partita di alto livello tra nazionali che viene decisa dai tiri dal dischetto. Da lì in avanti diventeranno un elemento fondamentale nel calcio. Nessuno dei giocatori sbaglia e pertanto si va a oltranza, quando il primo errore è del tedesco Hoeness, che spara oltre la traversa, di molto. Deve calciare il cecoslovacco Panenka – se segna è il titolo. Prende la rincorsa e, arrivato sulla palla, la tocca sulla parte inferiore, generando così una palombella che scavalca il portiere – tuffatosi su di un lato – ed entra placidamente in rete. Ha provato spesso il tiro in allenamento e l’ha anche già eseguito nella sua formazione di club, il Bohemian. Nasce così un tipo di rigore geniale quanto beffardo, che in tutto il mondo verrà chiamato in suo onore proprio panenka, e che solo in Italia, volendo a tutti i costi mostrarci provinciali, chiamiamo scavetto o peggio ancora er cucchiaio.

La Cecoslovacchia è così campione d’Europa. La Germania ha perso la prima grande sfida ai rigori fra nazionali, ma nella fasi finali di Europei o Mondiali non accadrà più, almeno sino a quando sto scrivendo. La squadra guidata Jezek costruisce la vittoria sull’organizzazione, sul fisico, su alcuni giocatori chiave quali il portiere Viktor, il libero Ondrus, il centrocampista Pollak e l’attaccante Nehoda. Ma è un successo senza seguito, come diverse volte accadrà ai detentori del titolo continentale: la Cecoslovacchia manca l’appuntamento con i Mondiali del ’78.

Invece la Germania Occidentale, campione in carica, al torneo iridata è presente in quanto qualificata di diritto. È una compagine difensivista, priva del talento di quattro anni prima. Sono assenti Breitner, Beckenbauer, Overath, Gerd Muller, dunque la spina dorsale, il cervello, il cuore della squadra campione del Mondo. Aprono il torneo giocando contro la Polonia. Finisce zero a zero ma i polacchi sfiorano la vittoria a più riprese. È la quarta volta consecutiva che la partita inaugurale del Mondiale finisce a reti inviolate. Poi i tedeschi sommergono di gol il Messico e chiudono la prima fase pareggiando con la Tunisia, qualificandosi pertanto come seconda classificata al turno successivo.

La Germania Ovest ha affrontato l’Italia nella prima sfida del girone di semifinale. Dopo un buon inizio, è stata messa sotto dagli azzurri per il resto dell’incontro. L’Italia ha creato diverse occasioni da rete, si è vista respingere due gol fatti sulla linea di porta dal difensore avversario Kaltz e ha colto un palo. I tedeschi si sono difesi e hanno raggiunto lo zero a zero finale. È forse il massimo cui potevano aspirare quel giorno, tanto che l’azzurro Causio – nell’occasione ben controllato dall’esterno tedesco Dietz – ha dichiarato dopo l’incontro: “I tedeschi hanno costruito il Muro di Berlino in Argentina5)Brian Galville, Second Round Group A games, World Cup Argentina 78 – Official FIFA Report.

Quindi, nella rivincita di Monaco ’74, la Germania Ovest ha necessità di vincere per puntare alla finale. Si gioca a Cordoba il 18 giugno 1978. L’Olanda conferma la formazione che ha sommerso di gol l’Austria. Dopo tre soli minuti la Germania passa in vantaggio grazie al centrocampista Abramczik, ma nel corso del primo tempo gli olandesi pareggiano con un gran tiro da fuori di Haan. È il primo gol incassato dai tedeschi nella competizione, segno comunque di una difesa molto solida. L’ultima rete al passivo ai Mondiali era stata il rigore di Neeskens nella finale del 1974. L’Olanda nel secondo tempo controlla ma non preme – è diventata una squadra attendista, calcolatrice. C’è equilibrio in campo, rotto però dal nuovo vantaggio a tedesco a venti minuti dalla fine siglato da Dieter Muller. L’Olanda reagisce e trova il due a due finale a pochi minuti dal termine grazie a una bella azione chiusa da Renè van de Kerkhof.

Nell’altro incontro l’Italia ha sconfitto l’Austria uno a zero. Il gol è di Paolo Rossi: c’è stata una bella azione centrale Rossi – Causio – Rossi; il centravanti azzurro è entrato in area, il difensore avversario è in vantaggio, ma con grande opportunismo e astuzia Rossi lo ha anticipato e ha segnato. L’Italia poi ha controllato l’incontro, sfiorato il raddoppio in un paio di occasioni e rallentato il ritmo. Si parla di Italia stanca, ma non sembra così, più che altro amministra le forze. Prima del turno finale, la situazione del girone vede Olanda e Italia a tre punti, Germania Ovest a due, Austria a zero, tagliata fuori. A parità di punteggio è presa in considerazione la differenza reti. Pertanto all’Olanda basta un pareggio per accedere alla finale; l’Italia invece deve vincere a tutti i costi. Le speranze della Germania Ovest sono ridotte a lumicino – dovrebbe imporsi con quattro gol di scarto e sperare in un pari delle altre due. Si arriva quindi alla partita decisiva, quella che passerà alla storia come la semifinale di fatto (e paradossalmente, l’unica) del torneo.

Rensenbrink in azione contro l'Austria - storiedicalcio.altervista.otg
Rensenbrink in azione contro l’Austria – storiedicalcio.altervista.org

Olanda – Italia si gioca all’Estadio Monumental – mercoledì 21 giugno ’78, le 13 e 45 locali; la giornata invernale è tersa, bellissima a Baires, la luce è splendida. È una grande partita, combattuta, tesa, vibrante. L’Olanda scende in campo con: Schrijvers; Jansen, Brandts, Krol, Poortvliet; Haan, Neeskens (che rientra dall’infortunio), W. Van de Kerkhof; R. van de Kerkhof, Rep, Rensenbrink. La nazionale italiana risponde con: Zoff; Gentile Scirea, Cuccureddu (Bellugi è infortunato), Cabrini; Causio, Tardelli, Benetti; Zaccarelli (anziché Antognoni); Rossi, Bettega.

L’Italia ha un solo risultato utile a disposizione. Nel primo tempo spinge e impone il proprio gioco. L’Olanda reagisce di rimessa e picchia parecchio; il direttore di gara interviene ma le sanzioni disciplinari sono quasi assenti (e gli azzurri si lamenteranno molto del gioco duro praticato dagli avversari). I lanci sugli avanti italiani, Causio, Rossi e Bettega, mettono parecchio in difficoltà la difesa olandese. Al sesto minuto c’è una grande occasione di testa per Rossi, fuori. Poco dopo un assist geniale di Causio libera Cabrini in area, ma il tiro è alto. Poi attacca ancora Causio: il passaggio per Rossi è troppo lento e viene bloccato dal portiere. L’Olanda si fa vedere con un colpo di testa di Rensenbrink che sfiora la traversa; è un episodio, perché la pressione italiana non accenna a calare. Al diciassettesimo, al culmine di una splendida e veloce ripartenza, Causio per un soffio non arriva a deviare in rete. Al diciannovesimo giunge il meritato vantaggio, su autorete: azione di prima per vie centrali – uno schema efficace, ripetuto in diverse occasioni nel corso del torneo – Bettega, Benetti, Rossi, ancora Bettega che si invola verso la porta avversaria; Brandts è in ritardo, interviene da dietro e riesce solo a infilare la propria porta. Nell’azione Schrijvers si infortuna e viene sostituito da Jongbloed, che dopo pochi minuti è seriamente impegnato da Rossi. Dalla mezzora l’Italia cala il ritmo e arretra, tira il fiato dopo l’evidente sforzo iniziale, ma l’Olanda crea poco. Scirea è stato gigantesco, sugli scudi assieme a tutto il reparto offensivo azzurro.

Si va negli spogliatoi. L’Italia è in vantaggio, ha dominato per larghi tratti gli avversari e sta legittimando pienamente l’accesso in finale. Tutto bene, quindi. Intanto, però, al quarantesimo è stato ammonito Benetti, e questa non è una buona notizia: è diffidato, salterà l’eventuale finale, la circostanza influisce inevitabilmente sulla sua concentrazione. Benetti ha giocato sinora un ottimo Mondiale. Nell’intervallo, poi, succede inoltre qualcos’altro. Bearzot è piuttosto convinto della vittoria azzurra – lo dirà subito ammettendo l’errore, con l’onestà che contraddistingue i forti – e quindi sostituisce lo straripante Causio con Claudio Sala, al fine di preservarne le forze per l’ultimo atto del torneo. Si lasciano per strada anche così i titoli mondiali. Inizia il secondo tempo. L’Olanda attacca; Neeskens, in precedenza sacrificato in marcatura su Rossi, è spostato più avanti e la scelta pare rendere bene. Passano appena quattro minuti e Zoff in uscita riceve un colpo in testa da un attaccante orange. Rilancia apposta il pallone in fallo laterale, è stordito, si lamenta con l’arbitro, il quale fa proseguire il gioco. L’Olanda non restituisce il pallone e lo gioca. Ci sono alcuni rimpalli, poi la palla arriva a Brandts che tira da fuori area. Gol.

Uno a uno, c’è ancora un tempo intero da giocare, ma è finita. L’Italia non c’è più, in pochi minuti tutto è andato al vento. La nazionale italiana ora è diventata più lenta e imprecisa: “Le nostre gambe si sono sbriciolate dopo quel gol”, dirà Paolo Rossi6)Ibidem. Ci prova comunque, soprattutto con Cabrini e Rossi, gli ultimi ad arrendersi. Bettega è fuori dalla partita, Sala è un corpo estraneo. La sfida è diventata meno bella. Al trentesimo un missile da lontanissimo di Haan chiude l’incontro sul due a uno per gli olandesi, che si assicurano così la loro seconda finale consecutiva della Coppa del Mondo.

L’Olanda votata al risparmio, opportunista, falcidiata dagli infortuni, pur senza esaltare la critica e i tifosi, ha una nuova occasione per issarsi sul tetto del mondo. Ha sbagliato sinora solo una partita nel torneo, quella contro la Scozia. D’altra parte, però, ha mostrato la sua forza solo in occasione della sfida contro l’Austria. Ha rincorso Germania Ovest e Italia, ma le ha riprese. È solida ed efficace. Ha giocatori di talento. Non sarà il calcio totale al massimo del suo splendore, ma non è in finale per caso. E attenzione: sino a quel momento solo Italia (’34 e ’38) e Brasile (’58 e ’62) hanno giocato due finali di fila della Coppa.

L’Italia andrà a giocare l’inutile finale per il terzo posto – poi vinta dal Brasile – in quanto seconda classificata del girone. Sì, perché i tedeschi occidentali hanno disputato in contemporanea la partita contro l’Austria e l’hanno persa tre a due. L’Austria non batteva i tedeschi su di un campo di calcio da quarantasette anni. L’incontro entra nella storia calcistica austriaca come il miracolo di Cordoba, un evento in grado di costituire un fondamento dell’orgoglio nazionale. Sotto di un gol nel primo tempo, l’Austria si porta in vantaggio nel secondo, prima del pareggio momentaneo della Germania Ovest. A due minuti dalla fine Krankl realizza il gol decisivo. Il telecronista austriaco esplode con queste parole “Tooor, Tooor, Tooor, Tooor, Tooor, Tooor! I wer’ narrisch!” (Gol! Gol! Sto impazzendo!).

Nonostante il mancato accesso in finale, nonostante le critiche ingenerose rivolte dalla stampa a Zoff per i gol incassati dall’Olanda, i tifosi italiani hanno amato questa nazionale. Al ritorno la squadra è accolta con calore. L’Italia ha giocato nel complesso un gran calcio e ha mostrato di possedere molti nuovi talenti. È fra le prime quattro squadre al mondo, non è cosa da poco, per quanto torni a casa a mani vuote. Di lì a breve raccoglierà i frutti di quanto seminato. Ma quella in Argentina, a parere di scrive, è stata probabilmente la nazionale azzurra più forte di sempre.

19 ottobre 2018

immagine in evidenza: Olanda-Italia – storiedicalcio.altervista.org

References   [ + ]

1. Aleksander Losnegard, Ernst Happel: the quiet Austrian who conquered Europe, These Fotball Times
2. Gareth Bland, In celebration of Holland’s underappreciated 1978 masters, These Football Times
3. Dominic Sandbrook, My name is Ally McLeod and I am a winner, The Blizzard n. 5
4. All Blue Daze, Once upon a time in Argentina: the story of Ally MacLeod and his Tartan Army, These Football Times
5. Brian Galville, Second Round Group A games, World Cup Argentina 78 – Official FIFA Report
6. Ibidem